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Autore: EmilyW14A    05/03/2017    2 recensioni
Succede spesso di convincerci che le persone ci guardano e critichino ogni singola cosa che facciamo, ma non è così. La verità è che gli esseri umani sono tutti perfettamente egoisti e non hanno tempo da dedicare agli altri, anche se si tratta di uno sconosciuto seduto nel sedile davanti sul treno. Noi ci convinciamo che gli altri passino il loro tempo a commentare i nostri abiti, i nostri capelli, i piercings, i tatuaggi, i nostri lineamenti, il nostro fisico; in realtà nessuno si sofferma veramente a giudicare cosa fanno gli altri. Nonostante ciò, in questo momento non riesco a togliermi di dosso la sensazione che tutti i passeggeri della metropolitana si siano accorti di quello che ho appena fatto e mi stiano fissando con sguardo indagatore. Cerco di darmi velocemente un contegno, sistemo la camicia e la giacca, e proseguo nel mio cammino. Controllo l'orologio e mi accorgo che tra meno di due ore devo iniziare il turno a lavoro. Decido di fermarmi qualche fermata prima per pranzare in un posto tranquillo. Ho bisogno di riflettere da solo su tutto quello che è appena successo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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(obbligatorio l'ascolto e la lettura del testo di The Crawl - Placebo) 



XXIV.






























4 mesi dopo






Accelero. Il semaforo posto un paio di metri sopra la mia testa lampeggia annunciando agli automobilisti l’arrivo del segnale rosso.  Non ho voglia di stare nuovamente fermo all’ennesimo incrocio. Continuo a schiacciare il piede sul pulsante dell’acceleratore. Se solo questo stronzo che guida davanti a me si desse una mossa forse riuscirei a evitare il segnale rosso. Odio il traffico di Tokyo il sabato pomeriggio. Odio gli automobilisti. Il pezzente davanti a me sembra proprio  contento di farsi odiare dal sottoscritto considerando che ha frenato quando il semaforo lampeggiava ancora sul segnale verde. Mi rassegno ad altri minuti di attesa. Schiaccio il pulsante del freno e contemporaneamente quello della frizione; cambio la marcia. La macchina esegue i miei comandi e dopo pochi attimi rallenta fino ad arrestare il proprio moto. Fisso il panorama urbano davanti a me. Sono le sei di pomeriggio passate e quasi tutte le insegne dei negozi sono ormai accese e lampeggiano orgogliose ai lati dei palazzi. Ce ne sono di tutti i colori e dimensioni e alcune si accendono e si spengono continuamente come a voler urlare ‘Ehi notami! Sono qui!’. Sposto lo sguardo alla mia destra e fisso le persone sul marciapiede.  C’è di tutto là fuori. Studenti, madri, famiglie intere, uomini d’affari, artisti, musicisti, ricchi, poveri, gente felice, gente triste. Mi sento al sicuro dentro la mia macchina. Non invidio per niente quelle persone che camminano in mezzo alla folla di esseri umani. Io al contrario sono chiuso dentro il mio rifugio sicuro. Qua non può succedermi nulla. È bellissima questa sensazione.
Passo un dito sulla rotella dello stereo per alzare il volume. Ho messo su un cd dei The Who, una band rock inglese che ho sempre adorato.  La voce di Roger Daltrey mi fa sentire a casa. Ogni volta che ascolto un loro album mi sembra di venir catapultato nel passato. In una Londra degli anni Sessanta, in un quartiere pieno di ragazzi con i capelli lunghi e con le chitarre in braccio. È così bello essere giovani. A volte vorrei tornare indietro nel tempo. No, non rifarei tutto quello che ho fatto. Sono stanco di quelle persone che continuano a ostentare l’orgoglio della loro giovinezza. Io mi pento amaramente di quello che ho fatto. Mi pento di tutti i miei peccati. Se potessi veramente tornare indietro non farei nulla di quello che ho fatto. Tutte scelte di merda. Ecco il riassunto della mia vita. Forse avrei dovuto dare ascolto alla mia insegnante delle elementari e diventare un dottore invece di inseguire i miei sogni e le mie passioni. I sogni non servono a nulla, non ti danno soldi né ti portano il pane sulla tavola. Non mi servono a niente.
Schiaccio il pedale dell’acceleratore con una forza tale da far sobbalzare la macchina inaspettatamente. L’uomo alla mia sinistra* soffoca un gemito di paura.
“Akira, sbaglio o sei un po’ troppo nervoso? Dovresti rilassarti…siamo quasi arrivati” dice Kouyou toccandomi la spalla.
La sua voce mi riporta alla realtà. Ha ragione. Sono troppo nervoso. Odio essere imbottigliato nel traffico del weekend quando ho un impegno importante. Per quale arcano motivo ho deciso di prendere la macchina? Sarebbe stato meglio raggiungere l’altra parte della città con la metropolitana, così avrei risparmiato tempo e malumore. D’altronde dovevo aspettarmelo. È la seconda settimana di dicembre e le persone in questo periodo impazziscono: corrono a destra e a manca a reperire regali e oggetti natalizi, per non parlare poi dei bar e delle caffetterie gremite di persone che si concedono un po’ di riparo dal freddo invernale consolandosi con una deliziosa cioccolata calda. Adoro l’inverno ma non sopporto il periodo natalizio. Gli esseri umani sembrano totalmente matti quando si tratta di comprare oggetti inutili e vestiti che indosseranno due volte in tutta la loro vita. Eppure sembra che questa superficialità li renda felici. Sorridono tutti. Sorride l’uomo che corre per prendere l’autobus, sorride la signora anziana che porta a spasso il cane. Sorride la coppia felice che cammina sul marciapiede tenendosi per mano.
“Scusami Kou, sono veramente stressato e poi non nego di essere piuttosto in imbarazzo. Ho paura di fare brutta figura e poi sono impaziente di arrivare. Lo sai come sono fatto.” Ammetto grattandomi il mento.
“Lo so Suzuki, ma se non rallenti e non ti dai una calmata finirà che faremo un incidente e passeremo la serata al pronto soccorso.” Il mio interlocutore ride toccandosi il naso. “Inoltre mi hai relegato l’insano compito di tenere sulle gambe la torta che hai preparato senza rovesciarla. Però se continui a guidare così veloce finirà che la torta volerà dal finestrino!”
Scoppiamo a ridere guardandoci.
“Chiedo scusa” dico con aria solenne. Alzo ancora un po’ il volume della musica.
“Quanto hai impiegato a prepararla?” chiede Kouyou curioso.
“Più o meno un paio di ore. Non è così difficile come sembra anche se  è molto elaborata. E poi è la sua torta preferita.” Ammetto evitando il suo sguardo.
“Oh, è una cosa davvero carina sai?”
Mi volto verso di lui mentre rallento il ritmo della mia guida. Cerco di rilassarmi. Inspiro un bel po’ di aria.
“Mh?” emetto un piccolo gridolino sorpreso.
“Intendo dire…è molto carino il fatto che tu abbia preparato una torta per il tuo fidanzato con tanto amore. Significa che sei proprio innamorato” esclama serio il mio migliore amico.
Arrossisco cercando di non darlo a vedere. Non pensavo di essere un libro aperto agli occhi delle persone, eppure evidentemente è così. Kouyou mi conosce più di ogni altro e non posso proprio nascondergli nulla. Sono contento di avere una persona al mio fianco come lui da tutti questi anni. Mi sento…protetto. Mi sento capito e rassicurato. Rispetto a qualche mese fa sono molto migliorato, anche se tuttavia tendo a fare pensieri negativi o a essere di malumore un po’ troppo spesso. Lavorerò anche su questo, non è un problema. Posso riuscire ad andare avanti e a chiudere con il passato. Posso farcela perché accanto a me ho due persone meravigliose. Kouyou e Jonathan. Credo veramente di amare Jonathan. È una persona che mi ha cambiato la vita più di ogni altra cosa. Con lui mi sento libero; libero di essere me stesso, libero di essere triste, sofferente, stanco. Non mi ha mai giudicato per quello che ho fatto e per questo motivo non lo ringrazierò mai abbastanza.
Mi rendo conto che le mie mani tremano al pensiero di cosa accadrà tra pochi minuti. Jonathan ha deciso di organizzare una serata natalizia nell’attico di proprietà dei suoi genitori. Ci sarà sua madre, suo padre e sua sorella. Conoscerò finalmente la sua famiglia e i suoi amici più stretti. Ho deciso di portare Kouyou con me perché sapevo che da solo non ce l’avrei fatta. Sono un gran fifone e non riesco ad affrontare certe situazioni da solo. Mi sento così tremendamente nervoso. Eppure è solo una cena in compagnia, come mai sono così intimorito? Forse perché i suoi genitori sono persone ricche dai modi di fare gentili e pacati. Forse perché ho molta paura di fare brutta figura. Di non essere all’altezza. Dovrei esserci abituato però. In ogni situazione che mi è capitata nella vita non mi sono mai sentito all’altezza di qualcosa. Ho sempre provato disagio. Porto con me da tutti questi anni il peso enorme della malattia, quel mostro orribile che mi ha quasi ucciso.
Due mesi fa ho preso la decisione di andare in terapia da una psicologa che mi ha consigliato mia sorella. È una donna molto matura, molto seria, ma decisamente esperta nel suo ambito. Da quando ho iniziato a parlare con lei ho visto cadere le pareti del muro in cui mi ero rinchiuso per tutti questi anni. Sto abbattendo tutti i mattoni rimanenti. Tuttavia il percorso è ancora lungo. Mi sento ancora incompleto e confesso che le mie notti sono costantemente popolate da incubi. Ma questo non lo sa nessuno. Non ho mai parlato a Jonathan dei miei incubi, né a Kouyou, né alla dottoressa Sakamoto, la mia psicologa. Non ho alcuna intenzione di farlo. I miei sogni sono i miei segreti e voglio che restino tali. Nessuno deve venirne a conoscenza. Se raccontassi queste cose mi sentirei come nudo di fronte agli occhi degli altri; vulnerabile e inerme. L’ultima volta che mi sono dimostrato così fragile davanti a qualcuno, quel qualcuno mi ha divorato l’anima. Non permetterò mai più che succeda. Porterò i miei segreti con me. Sono miei, e di nessun altro.
Parcheggio finalmente la macchina davanti all’edifico corrispondente al numero di casa che mi ha fornito Jonathan.  Un sonoro fischio prolungato fuoriesce dalle labbra di Kouyou.
“Alla faccia dei poveri insomma! Questi qui vivono in un castello, altrochè! Pensi che tutto il palazzo sia di proprietà dei genitori di Jonathan?” chiede il mio accompagnatore mentre scende dalla macchina.
Chiudo lo sportello e schiaccio il pulsante di chiusura dal telecomando della mia auto.
“So che i suoi genitori sono persone importanti ma non credo che siano così ricchi come dici tu”
“Bah, sicuramente non sono dei comuni mortali come noi. Porca vacca dovevi dirmelo però…forse sono vestito un po’ troppo banalmente?! Quelli passeranno la serata a giudicarci”  Kouyou parla come un fiume di parole. Per fortuna ero io quello nervoso e impaziente. D’altronde lo capisco. Ci stiamo per catapultare in un ambiente che non ci appartiene. Tuttavia Jonathan mi ha rassicurato in ogni modo possibile. Mi fido di lui e so che andrò alla grande.
Suono il campanello e attendo impaziente l’apertura del grosso portone di legno trattato. Salto impaziente sul posto. Un piccolo ‘click’ annuncia l’apertura della porta di ingresso. Percorriamo un piccolo sentiero che taglia in due il giardino verde e perfettamente curato. Ci troviamo di fronte ad un secondo ingresso. Spingo la maniglia e attendo che Kouyou mi raggiunga. Entriamo finalmente nel lussuoso palazzo. Prendo il mio iPhone e compongo un numero di telefono familiare.
Pronto?!” riconosco la sua voce e soffoco un leggero timore.
“Pronto amore sono qua al piano terra insieme a Kouyou. Dove dobbiamo andare?” chiedo timidamente.
Prendete l’ascensore e salite al trentesimo piano! Vi stiamo aspettando!
Chiudo la chiamata e respiro a pieni polmoni. Il mio migliore amico mi tira una pacca sulla schiena. Il rumore risuona per tutto il perimetro dell’ingresso silenzioso.
Prendiamo l’ascensore e schiacciamo il piano corrispondente. In pochi secondi il grande macchinario annuncia con un suono buffo e squillante l’arrivo a destinazione. Le porte si aprono come per magia. Troviamo un grosso pianerottolo arredato con delle statue in stile occidentale, specialmente riproduzioni di famose sculture rinascimentali. Qualcuno apre la porta invitandoci ad entrare.
Io e Kouyou rimaniamo fermi davanti alla porta aperta guardandoci negli occhi a vicenda. Un signore fa capolino dalla porta di legno scuro.
“Sono il maggiordomo della famiglia Okamoto. Prego, entrate. I signori vi stanno aspettando.”
Deglutisco a fatica. Prima di raggiungere l’ingresso mi specchio nel vetro dell’ascensore controllando che sia tutto apposto. Ho optato per una camicia blu e un maglione bianco. I pantaloni e il cappotto rigorosamente neri. Spero di aver abbinato i colori giusti.  Controllo che anche il mio accompagnatore sia decente e finalmente varco la soglia di casa.
Appena entro mi sembra di essere stato sbatacchiato in un’altra città, probabilmente una metropoli americana. La stanza, grande quanto una sala conferenze, è un lussuoso soggiorno circondato da enormi finestre a vetri. Le luci accese sono moltissime ma molto soffuse e donano un’atmosfera piacevole.  La parete destra della stanza è arredata con una libreria mastodontica stracolma di libri di ogni misura e colore. Al centro della stanza si trovano due divani molto lunghi di pelle color champagne e in mezzo ai due un grazioso tavolo da soggiorno di vetro. Alla nostra sinistra scorgiamo una scala che porta al piano superiore anch’essa di vetro trasparente. In un angolo della sala è riposto un pianoforte Yamaha a tre quarti di coda. Nemmeno il tempo di accorgermi del restante arredamento che vedo Jonathan venirmi incontro. Indossa un maglione grigio di lana molto elegante e dei jeans chiarissimi. È così bello. Dietro di lui riconosco una donna sulla sessantina e un uomo più o meno della stessa età. Sorrido.
Jonathan appoggia le braccia sulle mie spalle e cinge il mio collo dolcemente. Le mie labbra sfiorano le sue. Solo dopo numerosi secondi mi rendo conto di aver baciato il mio fidanzato di fronte ai suoi genitori e così faccio un passo indietro imbarazzato. Tossisco guardando il pavimento pulitissimo di marmo. 
“Akira…” la sua voce è dolce e misteriosa.
“Scusa Jonathan io-”
“Fa nulla.” Sussurra nascondendo una risata. “Questi sono i miei genitori” lo vedo muovere qualche passo indietreggiando come se stesse per annunciare un premio Oscar al migliore degli attori.  “Mamma, papà…lui è Akira Suzuki. Il mio fidanzato.”
Sento il cuore battere a mille. Allungo il braccio destro stringendo le mani della signora e poi del signor Okamoto. Spero di non apparire così nervoso come mi sento internamente. Sono un uomo adulto ma a volte mi comporto come un ragazzino. Sento Kouyou ridere alle mie spalle. Gli lancio un’occhiata poco simpatica.
“Piacere di conoscervi” dico con tono flebile.
“Piacere nostro!” risponde la madre di Jonathan regalandomi un sorriso smagliante e ben curato.  Suo padre mi fa un leggero cenno con la mano. Sembra un tipo simpatico ma molto taciturno.
Tossisco.
“Lui è Takashima Kouyou, un mio caro amico di infanzia. Lavora come impiegato all’università Todai di Tokyo.” Dico tutto d’un fiato.
Kouyou si avvicina a me e allunga un braccio stringendo saldamente le mani di Jonathan e dei suoi genitori. Ci guardiamo negli occhi imbarazzati per svariati secondi fino a quando Kouyou interviene, come sempre, a salvare la situazione.
“Ecco….Akira ha deciso di portare un regalo per ringraziarvi dell’ospitalità. È un regalo molto originale e unico nel suo genere!” la voce di Kouyou è squillante e mi risveglia dallo stato di coma in cui ero appena caduto.
Jonathan prende tra le mani il pacco aprendolo leggermente e sbirciando all’interno.
“Akira ma…è una torta al cioccolato con i lamponi! La mia preferita! Non dirmi che…”
“Esatto!” interviene Kouyou grattandosi la guancia. “L’ha preparata lui con le sue mani.”
Non riesco a emettere un suono. Mi sento completamente travolto dalla situazione. I miei occhi sono costantemente posati sulla figura alta e snella di Jonathan.
“Sì ecco Jona-chan…l’ho preparata io” affermo.
Lui si avvicina annullando la distanza tra di noi e posando un leggero bacio sul lato destro delle mie labbra. Sorrido come un ebete. Lancio un’occhiata silenziosa ai suoi genitori. Sembrano…sereni. Quel clima dolce e ospitale mi fa sentire a casa. Mi sento come se conoscessi i suoi genitori da sempre. Le luci della città penetrano nella sala tramite le enormi vetrate della stanza creando un’atmosfera magica. Con la coda dell’occhio noto un bellissimo e raffinato albero di Natale posto vicino alla libreria e decorato con numerose sfere di vetro color ghiaccio e indaco. I miei occhi si posano nuovamente su di lui. Ci guardiamo per un tempo che sembra interminabile.
“Jonathan, tesoro, dove è tua sorella?” domanda la signora Okamoto interrompendo il nostro silenzioso contatto.
“Non lo so mamma, credo che sia in camera sua a leggere.”
“Eccomi” una voce fresca e femminile interrompe nel soggiorno. Una ragazza alta, magra e tonica scende elegantemente le scale di vetro. Il suo passo è felpato e tranquillo, cammina anteponendo un piede davanti all’altro come se stesse percorrendo una lunga passerella. I lineamenti del suo volto sono dolci e armonici proprio come quelli di Jonathan. È bellissima.
“Akane! Finalmente!”  la madre di Jonathan si avvicina a me appoggiando una mano sulla mia spalla e l’altra  sulla schiena di Kouyou.
“Scusa mamma ma quando mi immergo nella lettura perdo totalmente la concezione del tempo”
Akane si avvicina a me e Kouyou tendendo la sua mano destra. L’altra stringe saldamente un libro di cui non riesco a scorgere il titolo. Il sorriso della ragazza è così bianco da sembrare finto. Sembra proprio la versione femminile di Jonathan. Anche senza saperlo avrei potuto facilmente intuire che la ragazza di fronte a me è una modella. Tutto nel suo modo di fare sembra totalmente studiato e raffinato nei minimi dettagli. Le sue mani femminili si muovono come delle farfalle davanti ai miei occhi. Finalmente finiamo le presentazioni.
“Mi dispiace che tu non possa conoscere anche Sarah e Yuki, le altre mie due sorelle. Hanno avuto degli impegni di lavoro e così sono dovute rimanere a Los Angeles per qualche giorno in più.  Sono sicuro che ci saranno altre occasioni in cui potrai incontrarle” Jonathan sorride mettendomi completamente a mio agio.
Sua madre ci guida verso un lungo tavolo posizionato vicino al pianoforte su cui sopra sono disposti vassoi contenenti ogni tipo di leccornia: voulevant farciti con tonno, funghi e prosciutto, tramezzini, pesce crudo, avocado, tartare di salmone e chi più ne ha più ne metta. Sei bottiglie di champagne ornano i lati della grande tavola.
Mentre ci dirigiamo verso il buffet mi avvicino a lui baciando il suo collo liscio.
“Sei bellissimo” pronuncio queste parole in un sussurro leggero.
“Anche tu” Jonathan mi porge un bicchiere di spumante da cui sorseggio qualche goccia. Ridiamo e scherziamo parlando del più e del meno. Kouyou non smette un attimo di fare battute. Sorrido stringendo Jonathan al mio fianco.
Mi accorgo che una copia di  ‘Lolita’, il famoso romanzo di Vladimir Nabokov, è abbandonata solitaria sul ripiano di vetro del soggiorno.
Deglutisco a vuoto tornando a concentrarmi sulla conversazione. Sorrido ingurgitando la bevanda fresca nel mio calice.
Adoro i vini francesi.
 
 
 
 
 














*in Giappone le automobili sono uguali a quelle inglesi, quindi il volante si trova a destra e il passeggero a sinistra. 






































Spero che abbiate letto il testo e ascoltato la canzone che vi ho suggerito. Incredibile come i Placebo riescano a descrivere ogni tipo di situazione. Se dovessi associare quello che ho scritto ad una bevanda direi che questo capitolo è assolutamente un caffè espresso bevuto la mattina appena svegli e senza zucchero. E' amaro e coinvolgente e alla fine ti lascia qualcosa sulla lingua, un sapore che rimane per tutta la giornata, proprio come una tazza di caffè caldo.
Non aggiungo niente. Ringrazio tutti voi che avete letto fin qui 
♡  Grazie.
Ci vediamo (molto presto) al prossimo capitolo. 

 
   
 
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