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Autore: azkaban    16/03/2017    1 recensioni
Gira la sedia verso la finestra per ammirare al meglio quella vista e memorizzarla nella mente. Oltre il buio della sua cella e qualche sprizzo di luce di qualche incantesimo non gli è permesso vedere nulla. Aspetta silenzioso che la Granger gli desse qualche spiegazione, invece rimane a guardarlo senza proferir parola. Aguzza la vista per riuscire a trovare la posizione del sole oltre le nuvole.
«Granger» la chiama, incrociando le gambe e continuando a fissare il cielo «In che mese siamo?»
Passa qualche secondo.
«Quasi metà Gennaio.»
Di sottecchi vede che si posiziona meglio sulla sedia e meccanicamente congiungere le mani. Un sgradevole pensiero passa nella mente di Draco.
«Di che anno?» sussurra, non volendo sentire la risposta.
Silenzio.
Sospira e si passa una mano sulla lunga barba.
«Chi ti ha mandato?» domanda distaccato, guardandola in viso.
Come intimorita, ritira le mani dal tavolo, le strige a pugno e si volta verso la finestra, interrompendo lo scambio di sguardi.
«Harry...»
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Strinse maggiormente la presa sulla mano della madre. Corsero verso i cancelli di Hogwarts. Si voltò verso il castello per avvistare il padre che correva dietro di loro. Prese un grosso respiro.
Il Signore Oscuro era morto. Il Signore Oscuro era morto. La guerra era finita. La guerra era finita.
Rimasero in Sala Grande solo qualche minuto per cogliere la notizia della Sua caduta con sollievo. 
Siamo liberi, pensò il giovane mago. Ma Lucius Malfoy strinse lui e la moglie in un abbraccio prima di suggerire di scappare.
«Il Ministero ci darà la caccia. Siamo Mangiamorte e soprattuto perchè siamo Malfoy non ci sconteranno la pena. Non riuscirò a fargli chiudere un occhio una seconda volta.» disse.
Sorpassarono il cancello, pronti a smaterializzarsi. Si guardò in giro e disse addio alla sua vita trascorsa in quelle mura. Una figura venne intravista poco lontano dall'entrata. Uno scambio di sguardi e il cuore perse un battito. Blaise era lì, appoggiato ad un tronco d'albero andato in fiamme con gli ultimi mozziconi di una sigaretta tra le dite; era pronto a fuggire anche lui. C'erano troppi messaggi in quegli sguardi da poterli capire. Ma persino i genitori del ragazzo si accorsero che quello era un muto addio. Un leggero cenno del capo, un mezzo sorriso e Draco si smaterializzò insieme ai genitori, nello stesso istante in cui vide Blaise scomparire dalla visuale. 



Viene spinto dentro la cella, ritrovandosi con il volto schiacciato il muro. Qualcuno stringe la presa nei suoi capelli per sbatterlo nuovamente contro la dura roccia. Sente il sangue colargli lungo la guancia. Un calcio e si ritrova a terra con un piede sullo stomaco. Aguzza la vista per vedere la sua guardia personale. Ma non fa in tempo a focalizzare che questo gli assesta un calcio nel torace facendogli mancare il respiro.
«La punizione inizierà tra un'ora. Comincia a pregare.»
Ma chi doveva pregare? Chi era quel Dio che lo aveva abbandonato ormai da anni? Draco Malfoy non crede in nessun essere superiore. Draco Malfoy crede solo alla forza e al potere dell'uomo. Ma lui non ha né forza né tanto meno potere. Non è nulla se non un numero di Azkaban. Il numero 4785. Un numero speciale, aveva scoperto. Perché è, per una ragione ancora sconosciuta, intoccabile da ogni maleficio e da ogni Dissennatore esistente su quella terra. Nulla lo può scalfire. Se non i metodi pratici.
Sente lo scatto della serratura della porta. Si stringe al petto.
Deve resistere. 


Passarono dieci mesi dal giorno della loro fuga. Si tolse la giacca sgualcita e ricucita in più punti. Chiuse gli occhi e alzò il volto verso il cielo. Respirò profondamente per accogliere i raggi del sole che si poggiavano su di lui. Si grattò la barbetta che pungeva. Si voltò verso la piccola tenda che nascondeva un appartamento ben rivestito. Entrò dentro dando le spalle alla distesa di alberi di quella nuova foresta in cui si erano momentaneamente trasferiti. Africa. Draco non c'era mai stato in Africa. 
«Madre, devo radermi.» comunicò a Narcissa seduta in una confortevole poltrona in pelle nera concentrata a rammentare alcuni vestiti del marito e pulire il salottino con la bacchetta.
«Lo farai domani mattina. Tra poche ore sarà buio e devi ancora prendere qualcosa da mangiare.»
Si stirò il collo per allentare la tensione. Erano dieci mesi che correvano da un continente all'altro. L'Inghilterra non era più sicura. E nemmeno il resto della Terra. Il Ministero incaricò gli Auror a rintracciare tutti i Mangiamorte fuggiti anche in capo al mondo. E i Molfoy erano disposti ad addentrarsi nelle profondità dell'oceano per sopravvivere, per proteggersi, per restare insieme. 
«Sei pronto figliolo?» domandò il padre sistemandosi i lunghi capelli in una perfetta coda bassa. 
«State attenti.» ricordò la moglie mentre uscivano con le bacchette in mano.
«Chissà cosa ci serbe la natura in questo luogo…» rifletté Lucius. 
«Ti sta piacendo la caccia.» constatò il figlio.
«E' un bel modo per non pensare a cosa ti ho trascinato Draco, si.»
«Padre.» lo richiamò con voce ferma. Lucius continuò a camminare guardandosi attorno. Dopo qualche minuto riprese «Quando io e tua madre eravamo usciti da Hogwarts... eravamo già fidanzati, pronti a sposarci… ma… stavo male… stavo male al pensiero di coinvolgere anche lei nei piani del Signore Oscuro. Ero sicuro che una volta diventata mia moglie sarebbe dovuta diventata Mangiamorte. Non volevo. Non si meritava quel genere di vita… non era fatta per quel genere di vita... La sua famiglia era abbastanza potente da non marchiare tutti i suoi membri, quindi speravo che allontanandomi da lei avrei fatto la cosa giusta una volta ogni tanto…» Draco per tutto il racconto trattenne il fiato, mai sentito parlare del passato dei suoi genitori dalle labbra del padre. Continuarono a camminare, dimenticandosi di procurarsi la cena, in silenzio. Poi la curiosità ebbe la meglio «Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
Lucius si voltò verso il figlio con sguardo serio.
«Non ho mai cambiato idea. Neanche oggi.» si voltò e riprese a camminare «Narcissa... è una donna molto testarda… lei… è andata dal Signore Oscuro e si è consegnata di sua spontanea volontà. Quando è venuta da me e mi ha mostrato il braccio e… e… » la voce gli tremò, si fermò nuovamente. Un sorriso apparve sulle labbra dopo anni mentre si toccava la barbetta cresciuta nel mento. «Me lo ricordo come se fosse ieri… mi ha detto testuali parole: adesso non hai più nessuna scusa per non prendermi come moglie. E se continui a rifiutarti non ho paura di lanciarti la Maledizione Imperius e portarti all’altare in questo istante.»

Draco sorrise e si sentì avvampare quando il padre si voltò a guardarlo con le lacrime agli occhi. Gli poggiò le mani sulle spalle come per appoggiarsi.
«E’ stato un errore figliolo, sposarla. Continuo a darmi la colpa per tutto. Non vi meritate tutto questo… che razza di padre sono stato… ti ho saputo solo dare un futuro da ricercato…» «Il mio futuro è con te e con la mamma.» lo troncò subito.
Fu come scottato nel sentire quelle parole e tolse la mano dalla sua spalla per proferire di nuovo parola. Ma un incantesimo gli sfrecciò vicino all'orecchio. 
«Ci hanno scoperto! Draco corri!» gli ordinò lanciando l'Anatema che Uccide.
«Cosa? No!» si fece avanti schiantando il loro avversario. Non si rese conto però che accompagnato da numerosi Auror. Li stavano per circondare ma Lucius spinse il figlio dietro di sé aprendo le braccia.
«Li trattengo. Vai da tua madre e scappate!»
Ma Draco titubava.
«Io vi raggiungo! Adesso vai!»
Gli diede le spalle con il cuore in gola. Corse verso il loro accampamento sentendo che il padre distraeva gli Auror che cercavano di fermarlo. Inciampò su un tronco cadendo rovinosamente a terra e strappandosi i pantaloni. Si rialzò pensando solo che dovevano salvarsi. 
«Mamma! Andiamocene. Ci hanno trovato!» comunicò con voce tremante, trascinandola fuori.
«Dov'è tuo padre?» chiese, mentre con un colpo di bacchetta chiuse la tenda in una sacca e tutto ciò che conteneva dentro.
«Lui… ha detto che ci raggiunge.» 
Un gridò squarciò l'aria. Si girarono di scatto verso la direzione della battaglia con le bacchette pronte. Qualcuno era stato vittima della Maledizione Cruciatus. Gli Auror avevano il permesso di usarla? Era stata la voce di suo padre?
Contemporaneamente cominciarono a correre per andare in suo soccorso. 
Vide in lontananza molte figure con mantelli neri che inseguivano una chioma di capelli biondi.
Narcissa uccise quello più vicino al marito per poi buttarsi al suo fianco. Gli strinse per un attimo il braccio per poi coprirgli le spalle, pronta a proteggerlo.
«Avada Kedavra!» lanciò la maledizione Draco da dietro un albero, ma l'Auror fu abile a schivarlo con un protego.
Corse verso i genitori evitando i lampi rossi che gli passavano attorno. Non volevano ucciderli, ma li volevano abbastanza deboli da portali ad Azkaban. 
«Sectumsempra» 
Un Auror volò a terra agonizzante, mentre il sangue usciva copioso dal suo petto. 
«Arrendetevi!» urlò uno di loro.
Lucius gli fu addosso, lanciandogli uno schiantesimo ma questo lo mancò avanzando verso di lui.
«Non meriti nemmeno Azkaban. Serpe!» gli disse a denti stretti mentre cercava di ucciderlo. 
Draco fu scosso da quel cambiamento improvviso del combattimento. La paura si fece largo nel suo petto. Erano in pericolo più di quanto potessero immaginare.
Continuò a lanciare incantesimi sperando di abbatterli il maggior numero possibile in modo che potesse raggiungere i genitori e smaterializzarli in un posto qualsiasi. Ma era troppo lontano da loro. Doveva correre. Doveva riuscirci. Doveva salvarli.
Vide una luce verde schizzare nella direzione del padre, mentre un incantesimo di incarcerazione lo fece rotolare a terra.
No
No
«NOOO!» il grido acuto di sua madre gli perforò i timpani «Lucius! Lucius!»
Si mise a gattoni per vedere.
No
No
Narcissa era accanto ad un corpo inerte. Un corpo con degli occhi azzurri simili a diamante, privi di vita.
No
No
La vide alzare la bacchetta per difendere sé stessa e il corpo del defunto marito. Le lacrime scendevano sulle guance perlacee.
No
No
Un Auror lo alzò malamente. Gli diede una testata in fronte per poi sentire il sangue colargli lungo il naso. Si liberò dalle catene stringendo con forza la bacchetta.
Doveva proteggerla. Doveva salvarla. Almeno lei.
«Avada Kedavra!»
«Avada Kedavra!»
«Avada Kedavra!»
Urlarono madre e figlio in preda alla disperazione. Dovevano scappare. Dovevano sopravvivere.
«Non mio figlio! Pezzenti!» si alzò prepotente Narcissa quando vide un Auror cercare di ricatturarlo.
Ma qualcosa era andato storto.



L'ora è passata. Si alza dolorante. Esce il petto in fuori e alza il mento quando sente la porta chiudersi. Non ha paura. Non deve avere paura. I suoi ricordi sono tornati e non se vuole farseli sfuggire di nuovo. Non accadrà. Non si abbandonerà all'oblio come ha fatto in passato. Deve rimanere lucido fino alla fine.
La guardia lo trascina per il corridoio per poi entrare in un piccolo ascensore e scendere verso le profondità di Azkaban. Sente il gelo dei Dissennatori farsi largo nelle ossa. Ma non ne subisce alcun effetto. Non sono i Dissennatori a farlo piangere silenziosamente della morte dei suoi genitori. Non sono i Dissennatori che gli provocano quel buco nello stomaco che non riesce a gestire. Deve essere forte. E' debole. E' debole perchè si lascia trascinare dal dolore dei ricordi quando dovrebbe prepararsi a ciò che in quegli anni ha dovuto subire giorno dopo giorno. A ciò che lo aveva portato alla follia, alla perdita di sé stesso. Serra le labbra quando una botta di bastone gli colpisce il fondoschiena.
«Bastardo» sibila, ma viene ammutolito da un altro colpo alla testa. 
Escono dall'ascensore ed entrano in una stanza simili a quelli ospedalieri. Draco è debole. E' decisamente un uomo debole. E' terrorizzato. E' avvolto da una paura palpitante, quasi viva che gli stringe ferocemente il petto. Il respiro gli viene a mancare quando viene inginocchiato. Gli fanno spalancare le braccia per legargli i polsi a due pali metallici. Un calcio viene ben assestato alla schiena e china la testa dolorante. Altre persone erano presenti. Non riesce a distinguerle per colpa di una forte luce bianca puntata su di lui. Eccola la luce del Morte. Volta lo sguardo rifiutandosi di pensare una cosa del genere. Deve rimanere lucido. Cerca di svincolarsi dalle catene quando una figura si piazza davanti a lui. Un pugno nella mandibola gli offusca la vista. Sente dei passi avvicinarsi lentamente dietro di lui. Stringe i denti. Sgrana gli occhi. Le iridi grigie sono coperte dal puro orrore. Sente il cuore cominciare a pompare violentemente il sangue nelle vene.
Vi prego, no. 


Le catene tintinnarono. Poggiò la schiena contro il muro freddo. Un brivido gli percorse la schiena alla vista della luce di una bacchetta. Alzò le braccia per proteggersi col terrore che gli stava spaccando le ossa. A quel movimento i polsi urlarono di dolore. Sentì le croste delle ferite staccarsi nuovamente.
«Malfoy?»
Trattenne il fiato al suono di quella voce. Sin da quando venne rinchiuso con la madre ad Azkaban era certo che sarebbe morto lì, a distanza di anni, o forse molto di meno. Stava perdendo la cognizione del tempo e dello spazio. Stava perdendo la capacità di essere padrone del proprio corpo dopo tutte le torture che gli imponevano. Si costrinse a non abbandonare la sua sanità mentale. Quella, fortunatamente non furono capaci di sfiorarla. Si costrinse ad ascoltare quella parte di lui che continuava a suggerirgli che qualcuno sarebbe arrivato a liberarlo da quella prigionia. Qualcuno a cui importasse qualcosa della sua sorte. Ma molte volte quel pensiero lo rinchiudeva nelle parti più tralasciate del suo cervello. A nessuno interesserebbe la sua libertà. Ma di nuovo tornava quella luce di speranza. Colui che magari, in un mondo folle, si sarebbe presentato nella sua cella, confermandogli quel barlume di possibilità di fuga. E chi non altri se non l'Indesiderabile numero uno come lo chiamava un tempo il Ministero? E chi non altri se non proprio Harry Potter che in un’occasione cercò di salvargli la vita? Anzi correttamente, di temporeggiare per dargli modo di salvarsi la vita? A chi altri se non a sua madre gli doveva un grosso debito? Eccola la speranza. Eccola la speranza mandata da Harry Potter attraverso la sua migliore amica.
«Granger, finalmente.» sussurrò prima di svenire. 



La frustata arriva prepotente e il rumore risuona per la stanza. Stringe i pugni per non far trapelare alcun segno di dolore. Ma la vista è sfocata per qualche secondo e la spina dorsale trema all’interno del corpo. La seconda frustata gli prende di poco la nuca. Questa volta uno spasmo gli percorre tutto il corpo mentre le braccia vengono trattenute dalle catene. Stringe i denti. Sente il sangue colargli lungo la schiena. Chiude gli occhi improvvisamente senza energie, quando la figura dietro di lui si allontana. Un ronzio occupa le orecchie. Deve resistere. Non può cedere. Non adesso che ricorda tutto.


Boccheggiò in cerca di aria, svegliandosi di soprassalto. Gli occhi danzavano da una parte all'altra confusi e impauriti. Si strinse a sé come per proteggersi. Sentì dell'acqua schizzare intorno a lui dopo il movimento brusco. Strinse le mani nei bordi della vasca dopo aver visto che era piena fino all'orlo. Le ossa si spezzarono dentro di lui. Voleva piangere per il dolore. La testa gli divenne pesante e dovette appoggiarla su una spalla. Continuava a vedere sfocato mentre dei brividi gli percorsero tutta la spina dorsale. Era nudo e dentro una vasca piena d'acqua. L'unica idea che gli venne in mente era che volevano toglierlo di mezzo affogandolo. Chiuse gli occhi improvvisamente stanco. Non riusciva a tenerli aperti se non per qualche frazione di secondo. Li schiuse sentendo passi di due persone nella stanza. Delle mani lo fecero poggiare con la schiena sul bordo della vasca. Si irrigidì a quel contatto e cercò di divincolarsi sbattendo gambe e piedi. L'acqua schizzò fuori dalla vasca tanto che le ginocchia piegate uscivano dalla superficie. 
Nuovamente si posarono sulle sue spalle e tremò.
«Mettilo seduto.» ordinò una voce femminile. Sgranò gli occhi al suono di quella voce e l'immagine della Sanguesporco nella sua cella ritornò nella mente. Si voltò velocemente verso di lei per constatare la sua ipotesi, ma un improvviso giramento di testa gli fece abbassare la testa. Cercò di alzare una mano, ma ancora trema.
«Hermione…» un respiro trattenuto «La sua schiena...»
La voce di Potter gli arriva forte e chiara nelle orecchie e serra nuovamente la presa nel bordo.
«Lo so» rispose la strega flebile. 
Chiuse gli occhi quando gli mancarono nuovamente le forze e si calava pesantemente nella vasca.  
«Fallo rimanere seduto!» ribadisce la Mezzosangue e si aggrappa a quel suono cercando di non perdere i sensi nuovamente. 
«Ginny porta l'unguento!» grida il mago dietro le spalle, mentre gliele stringe per reggerlo. 
Qualcuno entrò prepotentemente dalla porta e intravide lunghi capelli rossi avvicinarsi alla vasca. Si trovava in un bagno. In un piccolo bagno azzurro.
Chiuse nuovamente gli occhi sentendo le palpebre pesanti. Solo in quel momento notò che era immerso in acqua calda. Cercò di rilassare i muscoli e nel trattenersi nel non continuare a tremare. Mollò la presa dal bordo della vasca. La testa gli girava terribilmente e cominciò a sudare freddo. 
Una mano gli toccò la schiena e scattò verso avanti pronto ad alzarsi. Per allontanarsi da loro. Le ferite gli bruciavano terribilmente tanto che non vide altro che macchie nere farsi sempre più ampie. Cominciò a tremare più forte di prima.
«Non-Non toc-» la voce si spezzò in gola, mentre le mani di Potter lo trattenerono dalle spalle e altre gli afferrano le braccia per non farlo muovere.
«Shh. Tranquillo. Sei al sicuro.»
Per un attimo vide una chioma ribelle castana e un piccolo viso per poi serrare gli occhi. Una smorfia di dolore si formò sul suo volto quando la Weasley cominciava a spalmargli la crema sulla schiena. Voleva piangere. Voleva piangere. Ma non aveva abbastanza forza. Alzò le braccia di prepotenza quando gli toccò un punto più sensibile e non capì più nulla. Il dolore gli stava portando via ogni brandello di lucidità. Le mani delle Granger gli carezzano il braccio per tranquillizzarlo. Per fargli smettere di tremare. E nonostante si sentisse frustato da quell'idea di essere trattato come un cane che deve essere calmato si abbandonò alla delicatezza di quel tocco e per un secondo non pensò ad altro che a quelle mani. Il dolore però si accentuava da parte a parte e non poté fare a meno di concentrarsi solo sul movimento delle mani della Sangue sporco, solo su quell'immagine sfocata del suo viso accanto al suo. Le stringe la mano disperato quando gli spalmarono l'unguento al centro della spina dorsale. Si aggrappò a lei per non perdere coscienza. Poggiò la testa sul suo braccio intrecciato a quello della ragazza, esausto, col fiato corto. E questa volta cedette all'oblio mentre le sue mani gli accarezzavano il viso e i capelli bagnati. 



Una bacchetta si posiziona all'altezza delle tempie. Le scariche elettriche gli percorrono l’intero organismo e sbraita come un maiale al momento del macello. Le catene gli strappano la pelle dei polsi e tintinnano rumorosamente ad ogni spasmo. Il cuore litiga con la cassa toracica per uscire dal petto, per non sopportare oltre quella tortura. I polmoni sono privi d'aria. Le ossa tremano, si spezzano, si frantumano. Tutto finisce. Trema per le scosse rimanenti. Ma sa che non è ancora finita.

  
«Dove sono?» chiese brusco appena svegliato.
«A casa mia.» gli rispose Il Prescelto.
Sospirò sistemandosi meglio nelle coperte calde e nei morbidi cuscini.
«Privet Drive?»
«No. Godric's Hollow.»
Gli tremarono le mani a sentire pronunciare quel paese. Il Signore Oscuro era caduto in quella città la prima volta e si ricordò perfettamente la sua ira ogni volta che veniva menzionata.
Si guardò intorno. Era una piccola stanza per gli ospiti, con le pareti color panna e una grande finestra che dava su un balcone. Il letto era proprio al centro della stanza in mezzo ad un comodino con un'orrenda bachour a forma di testa di leone e ad una scrivania piena di bottiglie, libri e garze. Le lenzuola erano di un giallo pallido con una stoffa di bassa qualità. L'armadio a due ante accanto alla porta d'entrata stonava con tutto il resto della stanza: blu elettrico. 
«Dovevo capirlo che ero a casa tua. Fa proprio pena questa stanza. Spero che non sia allo stesso modo il resto della casa.»
«Per favore non riempirmi di ringraziamenti per averti portato via da Azkaban! Così mi sconvolgi!» gli disse con occhi divertiti.
La Granger entra nella stanza con una piccola scodella tra le mani.
«Oh, si è svegliato!» esclamò prima di poggiare la disgustosa brodaglia che intravide sulla scrivania accanto. 
«Perfetto! Prima di mangiare fammi controllare come sono le ferite.»
Strinse le lenzuola e serrò le labbra. La fulminò con lo sguardo con una smorfia sul volto. 
«Non mi farò toccare da te, Sanguesporco.»
Ricambiò lo sguardo astio per poi roteare gli occhi.
«Malfoy non ti puoi lamentare dopo che si è praticamente presa cura di te in questi giorni.»
Irrigidì la mascella pensando che la Granger lo abbia spogliato, toccato e curato. Si ricordò del suo tocco sulla sua pelle quando era cosciente al momento del suo arrivo in quella casa e si rilassò leggermente. La guardò di sottecchi e vide che incrociò le mani imbarazzata. Si alzò le maniche di quel pigiama rosso di cotone e notò che le ferite ai polsi e agli avambracci erano quasi completamente guariti.
«Quanto tempo ho dormito?»
«Otto giorni.» rispose la Granger mettendogli in mano il piatto che aveva portato in camera.
«Bhè, direi che mi sono ripreso completamente. Mia madre, invece?»
Li vide trattenere entrambi il fiato e scambiarsi uno sguardo complice. Posò lo sguardo prima sul mago ma non trapelò nulla dal suo sguardo se non comprensione. Poi passò alla Granger e capì immediatamente cosa gli stavano nascondendo. Gli occhi nocciola trasparivano più emozioni di quanto si potesse aspettare: sofferenza, rimorso, dispiacere, pietà! Ed a quel sentimento scosse la testa frustato. Qualcosa gli erano caduto addosso. Improvvisamente il corpo gli divenne pesante. Immaginò il letto rompersi a causa del suo peso. Abbassò lo sguardo sul piatto tra le sue mani. Quel misto di verdure e carne triturati dentro un brodo bollente era l'esatta rappresentazione del suo essere. Non era altro che un groviglio di frammenti rotti, disintegrati pezzo dopo pezzo. Una consistenza distrutta, orripilante al solo vederla. Non era nulla se non il rifiuto di quel mondo che doveva appartenergli ma che ormai non sentì più suo. E si vide lui stesso seduto in quel letto non suo, in una casa non sua come se si fosse improvvisamente alienato. Come se avesse abbandonato il suo essere Draco Malfoy e fosse diventato solo una soffiata di vento che attraversa la stanza, osservando la scena.
«E' morta.»
«Siamo andati nella sua cella per farla uscire, ma non ha voluto.» continuò a spiegare Potter
«Ci ha implorato di salvare te e non lei.» aggiunse la Granger
«Ci è voluto troppo tempo per ottenere il permesso di portarvi fuori di lì e quando siamo andati a prenderla non era più se stessa. Il dolore di perdere il marito, di non essere riuscita a proteggere te e la propria famiglia l'ha distrutta. E i Dissennatori aiutarono il collasso. Due giorni dopo della nostra visita il suo cuore ha smesso di battere. Credo che si è sforzata di rimanere in vita solo per essere sicura che tu avessi la possibilità di salvarti. Se fossimo andati prima forse... forse le case sarebbero andate diversamente. E' stato un mio errore per non aver insistito con tutte le mie forze.» concluse il ragazzo che si era avvicinato maggiormente al letto.
Draco alzò lentamente lo sguardo su di lui, completamente svuotato. Ma poi una rabbia si accese nel suo petto. Tutti i suoi sacrifici, tutti quegli anni trascorsi a prendersi cura di lui, di loro. Tutti gli sforzi per riuscire a sopravvivere, per riuscire a mantenere la famiglia Malfoy unita e forte come lo era stato fin dai secoli precedenti. Svaniti in un battito di ciglia. 
Incontrò il suo sguardo comprensivo e i suoi occhi grigi si accesero in un turbine di tempesta. Lo vide indietreggiare di un passo, pronto per qualsiasi sua reazione che non tardò ad arrivare. Lanciò il piatto violentemente verso di lui che lo schivò e cadde a terra frantumandosi. Si tolse violentemente le lenzuola di sopra per alzarsi. Si lanciò contro Potter prendendolo per la maglietta e facendolo sollevare all'altezza del suo volto.
«Ti ha salvato il culo dal Signore Oscuro! E tu non hai fatto niente per salvarle la vita! Eri troppo occupato a grattarti le palle circondato di attenzioni per essere il Salvatore!»  gli sbraitò contro per poi sbatterlo contro una sedia lì vicino. Ma la spinta era tanto violenta che cadde a terra con tutta la sedia. 
«Malfoy..» cercò di fermarlo la strega
«No!» sentì solamente dire. Ma non gli diede importanza. 
Tutto presente in quella casa lo odiava. Lo odiava più di qualsiasi altra cosa. Ogni oggetto, ogni quadro, ogni spazio vuoto, ogni essere vivente, ogni granello di polvere che vedeva sotto gli occhi voleva distruggerlo per dimostrare la sua ira, la sua collera, il suo dolore. Voleva distruggere tutto quello che gli capitasse a tiro in modo che guardassero cosa nascondeva il corpo di quel diciottenne.
Si voltò con cura verso il letto e cominciò a strappare le lenzuola e le fodere dei cuscini. Li lanciò in aria furibondo. Prese la piccola lampada sul comodino e la scagliò contro la finestra, sentendo successivamente i pezzi di vetro cadere a terra. Tolse i piccoli quadri dai muri e li ruppe con un colpo di ginocchio insieme alle cornici. Cercò di strappare la carta da parati con le unghie ma non provocò altro che futili linee bianche, al contrario delle sue dita che volevano protestare per tutta quella furia. Corse verso l'armadio e spalancò le due ante. Orrendo, piccolo e contenente vestiti decisamente di seconda mano. Li tolse ad uno ad uno facendoli volare dietro di sé. Come se cercasse qualcosa di vitale. Come se cercasse la conferma di quella nuova notizia. Come se da un momento all'altro si aspettasse sua madre uscire dal suo nascondiglio e dirgli che era tutta una menzogna che quelle fecce e quei traditori del proprio sangue gli avevano mentito solo per il piacere di vederlo in quello stato. Ma più svuotava l'armadio e più la consapevolezza di essere rimasto solo venne elaborata dal suo cervello. L'unico Malfoy in vita. Tutti le persone più importarti della sua vita l'avevano abbandonato. Una vita fatta di macchie, di bugie, di crimini, di sangue versato, di paura, di codardia, di tortura, di maledizioni senza perdono, di magia oscura, di scosse elettriche e di frustate alla schiena; una vita alla ricerca della tranquillità, della pura pace di poter vivere. Non cercava la felicità rubatagli anni addietro, voleva solo trovare quella serenità in compagnia delle uniche persone che aveva imparato ad amare. Sua Madre, suo Padre, Daphne, Blaise. Spariti. 
Chiuse prepotentemente le ante dell'armadio. Batté i pugni su di esso facendosi male ma assaporando quel leggero fastidio. Appoggiò la fronte contro il legno ruvido chiudendo gli occhi e lasciando i pugni ancora sulla superfice delle ante.
Le spalle gli tremarono insieme alle gambe. Cominciò a scivolare lentamente fino a che le ginocchia non toccarono terra. Il petto era scosso da singhiozzi. Addio alla perfetta facciata dell'impassibilità. Addio alla compostezza tipica di un Malfoy. Addio alle pareti bianche che costruiva nella sua mente e lo aiutavano sempre a mantenere il controllo. Addio ad ogni sua forma di dignità. Cosa se ne faceva lui della dignità se non gli era rimasto nulla, niente. Che motivazione aveva per continuare a vivere? Perchè doveva continuare a lottare per sopravvivere a quell'inferno di vita? Non c'era alcuna ragione se loro non erano al suo fianco. Era un orfano. Era un cane bastonato lasciato in mezzo alla strada in balia del proprio dolore. Era un cane solitario che non poteva godere della compagnia dei propri fratelli strappati via dalla guerra.
Pianse. Pianse senza ritegno. Pianse poggiando la fronte e stringendo i pugni contro il pavimento.
Insignificante se qualcuno assisteva a quella scena. Insignificante se il dolore alla schiena e alle ossa iniziò a farsi sentire. Insignificante il dolore alla testa che voleva spaccarlo in due. Voleva cadere in quel dolore. Voleva assaporare ogni suo brandello, ogni sua forma, per sentirsi vivo. Perché solo nel loro ricordo ritornava ad aggrapparsi alla vita. A quella misera vita che ancora qualcuno gli stava concedendo.
Un tocco leggero ai capelli gli fece aprire gli occhi ma non smise di sfogarsi. Non smise di gemere e tremare. Le mani della Granger cominciarono ad accarezzargli i capelli, per poi passare alle mani. 
«Andrà tutto bene.» gli sussurrò, cercando di consolarlo.
Le strinse le mani cercando quell'appiglio, a quella corda che non lo fece crollare nel baratro della follia. L'unico scoglio esistente che riuscisse a reggerlo. A proteggerlo.

Se sai come far smettere questa tortura ti prego, ti prego dimmelo. Avrebbe voluto dirle, ma il pianto aveva preso il sopravvento. 


Quattro bacchette gli puntano addosso in diversi punti del corpo. Le scariche aumentano di potenza e grida di animale ferito escono dalla bocca. Sbarra gli occhi, le pupille si dilatano, il cervello in fiamme, le vene del collo che si gonfiano per lo sforzo di far uscire almeno un minimo del dolore attraverso le urla, le vene delle braccia e delle gambe che si rialzano per l'alto voltaggio. I muscoli si irrigidiscono, il cuore vorrebbe crollare, vorrebbe fermarsi e riposarsi per il troppo sforzo di compiere il suo dovere. I polmoni cercano invano di accogliere aria. Urla con tutta la potenza che gli rimane. Urla per ricordarsi di non perdere il controllo di sé stesso. Urla per combattere a mantenere vivi i ricordi di quegli anni. Urla per la morte dei suoi genitori. Urla per il sé stesso adolescente rimasto solo nel cercare di salvarsi la vita. Urla per non dimenticarsi dell'ultima ragione rimastagli che lo spinge a continuare a vivere. Urla per il tocco della Granger, per i suoi occhi, per le sue labbra, per i suoi baci, per il suo corpo. Urla per ciò che ha amato e per ciò che gli è rimasto da amare. 
   
 
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