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Autore: Jackie_Blue    14/04/2017    1 recensioni
Ci troviamo nel 2012, l'anno in cui, grazie al Tesseract, tutto ebbe inizio e i primi Avengers si riunirono per difendere il nostro amato pianeta. Ma qualcun altro, oltre a Loki, sbucherà fuori dal cubo cosmico. Chi? Ma sopratutto, perché? Pronti a svelare l'"Enigma"?
Genere: Azione, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Senzatetto



Manhattan, New York.
Monday, 16th September 2012.
06:30 p.m.


Erano passati tre giorni da quando Loki era approdato sulla Terra carico di intenzioni ben poco pacifiche e con lui, dal Tesseract, era fuoriuscita una giovane ragazza dai corti capelli castani e un'identità sconosciuta. Lo S.H.I.E.L.D. l'aveva completamente persa di vista durante l'evacuazione della base segreta, ormai distrutta e ridotta in polvere dalle attività paranormali del cubo. Fury l'aveva vista sfrecciare via tra le macerie, mentre ancora dolorante cercava di raggiungere l'elicottero sul tetto.
Aveva provato a rintracciarla, mentre nella baraonda più totale tentava di mettere in piedi il progetto “Avengers”. Erano riusciti a risalire al Suv scomparso, ma quest'ultimo era stato abbandonato sul ciglio di una strada deserta, ripulito di qualsiasi traccia potesse ricondurre ad un indizio sulla fuggitiva.
Non accadde lo stesso per la controparte, che insediatasi in un rifugio per senzatetto aveva racimolato abbastanza informazioni da ricostruire gli avvenimenti che l'avevano vista protagonista.
La parola chiave, che precedeva “Tesseract”, era: viaggio nel tempo.
Senza un reale preavviso, si era ritrovata a fuggire da quell'ormai lontano e buio 1965 per essere catapultata in un 2012 dalle sfaccettature misteriose e i tratti somatici di un labirinto complesso. La sua teoria si basava sui pochi concetti di fisica quantistica che aveva acquisito nel tempo, sulle informazioni dei giornali che aveva raccattato dai cestini in metro e tutto il resto lo aveva messo di immaginazione, o intuito, che dir si voglia: il varco che Loki aveva aperto nell'epoca odierna, in qualche oscuro modo, aveva cozzato e si era amalgamato alle attività processuali del Tesseract del 10 gennaio del '65. Le forze elettromagnetiche e i fasci quantici l'avevano risucchiata via come un aspirapolvere fino a sputarla in avanti di circa cinquant'anni.
Restavano aperte diverse domande, ad esempio come avesse fatto a sopravvivere a così tanta potenza ed energia aliena restandone indenne. Ma le risposte risultavano passare in secondo piano di fronte ad un problema più grave. Il Tesseract era in mani nemiche.
Aveva lavorato tanto per riuscire a recuperarlo e ora se lo vedeva scivolare via dalle mani come fosse di sabbia.
- Ehi tu, hai da accendere?- una donna sulla quarantina, dai capelli spettinati e le occhiaie gonfie e livide l'aveva ridestata dai suoi pensieri. Indossava una felpa sgualcita di qualche taglia più grande e i sui pantaloni avevano diverse toppe ricucite alla meglio. Tutti lì erano sistemati in quel modo improvvisato e stentato, con espressioni vuote e cariche di nichilismo e misantropia. Parecchi annerivano lo sguardo con rabbia o l'effetto devastante della solitudine.
- No, mi dispiace.- asserì fissando la sigaretta penzolante tra le dita lunghe e magre della donna. Questa senza neanche rispondere si voltò alla ricerca di una fiammella che le regalasse un soffio di nicotina per alleviare i nervi tesi.
La ragazza passò in rassegna il suo sguardo su tutte quelle figure grigie e nuvolose, solitarie e dimenticate dal mondo. Qualche misero relitto umano si stava sistemando sulle panche, rimboccandosi dei fogli di giornale attorno al corpo a mo' di coperte. Li guardò senza impietosirsi. Fare il barbone, lo chiamavano. Suonava così dispregiativo, eppure lei non aveva mai sentito pietà per quel genere di poveri: autentici, genuini, straziati da sentimenti veri. Erano i poveri in giacchetta nera, i piccoli ragni della società, che bisognava compiangere. Bramosi di tessere ragnatele fatte di soldi e sangue. Quelli sì che li biasimava con disprezzo: freddi come macchine e assassini che non si erano mai sporcati le mani.
Ora si ritrovava a guardare loro, i senzatetto, e no, non erano questi i poveri di cui aveva pietà; loro erano gli invisibili, esattamente come lei. Pedine spersonalizzate, spesso facili da sacrificare per una brama di potere più grande.
Tornò a riflettere soffermandosi proprio sulla parola “senzatetto” trovandola piuttosto ironica, nonché disegnata a pennello sulla sua pelle in quell'istante.
Lei era una senzatetto, nel senso più stretto del termine; una randagia scappata di casa, senza un tetto sulla testa, che puzzava di ciò che non aveva mai posseduto, ma anche di tutto ciò che probabilmente mancava a molti di quelli che aveva incontrato nel corso della vita.
Aveva acquisito quell'andare silenzioso totalmente libero, quel deambulare perplesso, eppure così naturale, così necessario, quel fregarsene del tempo meteorologico e di quello dell'orologio. Per la prima volta dopo tempo si sentiva libera; libera anche se sulla sua testa non c'era e non vi era mai stato un tetto che le appartenesse; e in quel momento, ironia della sorte, neanche il cielo violaceo che si imperlava del rosso del tramonto poteva considerarsi più suo.
Sorrise rivolgendosi ad una finestra del prefabbricato in cui decine di poveracci e barboni si rintanavano per nascondersi dal freddo della notte.
Pensò che mancavano poche ore al calare del buio e che quindi il suo progetto di ricerca avrebbe avuto inizio: il Tesseract doveva tornare tra le sue mani.
Il suo piano non si era ancora concluso.

   
 
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