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Autore: Cyanide_Camelia    07/06/2009    2 recensioni
Irlanda, in un liceo privato si incontrano e si intrecciano le vite di alcune personalità eterogenee, quali Shelly, una diciassettenne americana con un passato burrascoso, tutta mascolinità e vitalità; Mia, una dolcissima ragazza vittima degli errori degli altri; ed a seguire Daphne, Ginger, Weed, Emerien, Kurt e molti altri personaggi emblematici, a raccontare quanto dolore si possa sopportare, quali sono le ferite nascoste di ognuno e le singole aspirazioni, la difficoltà nel rapportarsi, fino a dipingere un quadro complessivo, cantato dalle voci di Mia e Shelly, di una generazione che balla sul precipizio.[Ripubblicata a seguito di un'accorta revisione della precedente "Memories of a Toxicdoll and of a Broken Dream" ed arricchita]
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mangiatrice di uomini e altre figure mitologiche

La mangiatrice di uomini e altre figure mitologiche.

 

Ogni istituto ce l’ha.

Che sia bionda o bruna, lei c’è.

L’archetipo più famoso della modernità: la mangiatrice di uomini.

Può essere una collega affascinante, un’esperta compagna di classe che sa esattamente che punti toccare, o una donna in carriera protagonista della sua scalata sociale.

Sta di fatto, che da qualche parte la trovi, gira e mettiti bene.

La nostra scuola ne vanta ben due, e per di più di fronti opposti: Daphne, la ribelle reginetta della corte di Shelly, con quell’aria di languida apatia, e Margaret.

Una vera e propria serpe in seno, capace di assumere l’aria di un angelo di fronte ad ogni suora, anche la più severa, e sempre in situazioni che sarebbero incontrovertibili e inequivocabili.

E’ riuscita ad essere pizzicata mentre stringeva il pacco del capo della squadra di football, e a cavarsela facendosi venire i lacrimoni a forza, piagnucolando che era stato lui, Garrett, ad obbligarla a farlo, minacciandola di picchiarla se si fosse rifiutata.

Naturalmente, quel bel bietolone di Garrett non si sarebbe mai sognato di minacciare una ragazza, neanche la peggiore stronza, ed in realtà l’unica vittima di una violenza sessuale era lui, che si era ritrovato l’uccello stritolato tra le mani di quella assatanata.

Insomma, dopo parecchie di queste performance da Oscar ed un letto più affollato di un negozio H&M di sabato pomeriggio, Margaret si è meritata la fama di puttana ed è man mano rimasta sola.

Le sue amiche sono scivolate via come un pugno di sabbia.

In questo modo, lei è diventata un’isola. Certo un’isola splendida, con curve da Grand Prix, dove puoi trovare esattamente quello che desideri: lo sballo più sfrenato, coccole regali, oppure  una sfida all’ultimo sangue.

La verità è che da Mag puoi avere davvero tutto, ma non il suo amore.

E’ una grande attrice che sa sfruttare l’onda e le persone che le sono accanto, ha fatto delle donne i suoi nemici e degli uomini la sua personale riserva di selvaggina.

Un’amica sarebbe un ostacolo tra un ragazzo e lei, e per quanto riguarda gli uomini, quand’anche questi credano di averla domata e sopraffatta, la verità è che sono stati loro ad essere domati e sopraffatti.

Margaret è facilmente distinguibile: ha capelli biondo platino, un delizioso faccino innocente e due occhioni blu più profondi dell’oceano. Una Mary Sue.

Una delle sue caratteristiche è stare sempre da sola, ed avere una straordinaria preparazione scolastica, determinata non tanto dalla voglia di studiare, quanto dalla logica della potenza, un’insana necessità di fare tabula rasa di ogni potenziale avversario, una specie di bullismo intellettuale.

In breve, quella che sembra una ragazza dolcissima è una carogna a tempo pieno.

Facciamo la strada insieme tutti i giorni, abitiamo vicine, e procediamo una su un marciapiede, una sull’altro, fingendo di ignorare le nostre divise, troppo uguali per nascondere che evidentemente non siamo amiche. La mattina è il momento della giornata più bello e più brutto al tempo stesso.

Io sono impaziente di arrivare a scuola, e aspetto che Shelly si degni di venire.

Ma durante tutto quel pezzo di strada, gli occhi curiosi della gente che si chiede perché noi due non camminiamo, ridacchiando, una accanto all’altra come sarebbe consueto, mi fanno venire una voglia incontrollabile di scappar via e correre alla fermata dell’autobus come se dovessi vincere la maratona di New York.

 

Anche stamattina la situazione non fa eccezione.

Mag cammina ondeggiando con i fianchi dall’altro lato della strada, la gonna le volteggia intorno alle gambe seguendo il ritmo dei suoi passi.

Io invece avanzo meccanicamente, attenta a non fare movimenti inconsulti che possano scoprire le mie cosce, non perfettamente toniche e nascoste dalle calze nere, di lana, e lascio che qualche ciocca di capelli, sfuggita alla treccia, mi cada davanti al viso.

Poi, una frase di Shelly mi balena in mente.

Mia, devi proprio imparare ad affrontare le cose da persona matura, tanto cos’hai da perdere? Avrai solo il rimpianto di non averlo fatto, alla fine.

Va bene, affrontiamo la situazione.

Attraverso la strada, e la fermo tirandola per la spalla.

 

“C-ciao, noi…noi andiamo nella stessa scuola.” balbetto.

 

“Embè?” risponde Mag, seccata e con un’espressione di sufficienza.

 

“Io sono Mia e…beh, facciamo sempre la stessa strada la mattina perciò…mi chiedevo se non potessimo andare insieme.”

 

Benone, mi sono bruciata la dignità in mezzo minuto.

 

“Si può fare.” Sorride, di un sorriso storto.

 

La guardo, cercando di sondare il terreno. Mi sta prendendo in giro? Perché ha detto sì? E perché sorride a quella maniera? Che Dio me la mandi buona…

 

 

Ogni scuola ha quella strana specie chiamata “migliori amici”.

Si muovono esclusivamente in coppia, e tu puoi inzuccheratici il naso, ma non sarai mai parte integrante della loro amicizia.

Perché loro si capiscono al volo, e tu a volte li osservi come se, per te, parlassero sanscrito.

Questo e quello che succede a me nei confronti di Ginger e Daphne.

Io pensavo che la mia amicizia con Daph fosse esclusiva e, beh, che la coppia fossimo noi.

E invece no.

C’era un problema di centoquaranta centimetri a dividerci. C’è tuttora. Ed è insormontabile per me.

Così l’unica cosa che posso fare è tenermi in disparte, e godere delle briciole del loro banchetto.

Adoro Ginger, adoro Daphne.

Ma loro, adorano me?

 

 

Quando conosci Ginger, capisci che lei non racconta la sua vita a nessuno. La distribuisce a pillole alle persone scelte da lei con una cura meticolosa, forse perché è tanto piena di dolore che nessuno ci crederebbe sentendola tutta di fila.

La sua allegria e la sua inspiegabile felicità sono una specie di reazione omeopatica alla sofferenza con cui è stata avvelenata, e nonostante la portata dei suoi problemi è sempre pronta ad ascoltare le lagnanze degli altri.

 

Daphne invece è tutto il contrario. Bellissima, con una famiglia affettuosa, scivola, lasciva, da un ragazzo all’altro, uno più bastardo del precedente, e cerca tutte le scuse per deprimersi.

Non che ci sia qualcosa di infinitamente drammatico nelle sue relazioni, anzi talvolta c’è da dubitare del suo stesso coinvolgimento, è piuttosto un suo masochismo.

Daphne ha un desiderio di compatimento insoddisfatto che trova un placebo solamente nell’autocommiserazione e nel pessimismo cosmico.

Che, naturalmente, si trasforma in una pedanteria esasperante.

 

E così, i due poli opposti sono la Coppia.

Le amiche per eccellenza, quelle cresciute insieme, Ginger con i suoi occhi celesti ed elettrici, Daphne con i suoi occhi acquosi, due grandi laghi gemelli, con trentasette, irrecuperabili centimetri di distanza, ma la stessa lunghezza d’onda.

 

Sdraiati sull’erba verdissima, come una buccia di lime srotolata sulla terra umida.

Weed si diverte ad alzare la gonna a Ginger, che si impegna a fingersi più indignata che lusingata, Daphne si dispera mentre il Nerd le rispiega per la centesima volta la lezione di fisica, ed io e Kurt giochiamo a poker. Io nemmeno so le regole, quindi è più Kurt che gioca a poker con me, che mi invento le scale e le coppie.

 

“Ma perché ‘sto coso ha una freccetta sopra?” chiede Daphne, indicando un numero sul libro.

 

“Perché è un vettore, capra!” tuona il Nerd, esasperato.

 

“E che è?”l’espressione di Daphne è sempre più sconcertata.

 

“Basta, ti prego, ho bisogno di un analista!” lui si alza e si sgrulla il giaccone, poi va via.

 

“Adesso che gli è preso?” si intromette Ginger, prendendola da parte.

 

“Sbaglio sempre tutto!” sospira.

 

La coppia di “migliori amiche” si allontana, e lascia noi tre a guardarci.

 

“Ma quando litigheranno quelle due? Stare così appiccicate gli farà male e rovinerà il rapporto…”dice Kurt.

 

“Mai, Kurt, non litigheranno mai.” Gli rispondo io sorridente, prima di tuffarmi di nuovo nell’erba.

 

“Sai, Shelly, i rapporti umani sono fatti così. Quando due persone stanno insieme per troppo tempo, prima si danno assuefazione, poi arrivano al livello di mal sopportazione e alla fine –bang!- si portano reciprocamente a non sopportarsi. Litigano, si parlano male alle spalle, fanno pace e ricomincia l’amore. Inevitabilmente, è un amore diverso rispetto a quello di prima. Diciamo che un amore…post rem.”

 

“Che vuoi dire?” chiedo, incuriosita dal discorso di Kurt.

 

“Che dopo una rottura, i due litiganti si riuniscono, ma con l’esperienza. I momenti cruciali sono quelli più importanti perché sono quelli in cui impari davvero com’è la persona che hai accanto, e la osservi con occhio disincantato e critico. Fidati, Ginger e Daphne sono lì lì per scoppiare.”

 

“Lo sai…lo sai che hai ragione?”strabiliata. Ecco cosa sono.

 

“Certo che lo so. Comunque, puoi altrettanto rassegnarti al fatto che il mondo funzioni per affinità elettive. Per coppie. Ginger e Daphne, Ginger e Weed, Nerd ed io. Io e te.” Sorride.

 

Kurt ha un sorrisetto dolce, che rende buffi i suoi lineamenti imponenti e spigolosi.

Consiste, sostanzialmente, nell’alzare un angolo della bocca: questo movimento gli forma una fossetta deliziosa nella parte alta della guancia.

 

“Già. E’ dolce da parte tua dirmi che mi vuoi bene.” Lo guardo, stringendomi nelle spalle. “Ti voglio bene anch’io, gigantone.”

 

D’altronde, anche io e lui siamo una coppia, nel branco di quella strana specie chiamata “migliori amici”.

  
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