Film > Re Leone
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Autore: QueenOfEvil    29/04/2017    4 recensioni
(Dal capitolo sette):
"Sì, aveva aspettato quel giorno per anni, nella polvere, nell’ombra di qualcun altro, di Ahadi, di Mufasa e adesso che correva il rischio di venire oscurato anche da Simba, da quello scricciolo che altro non era che un prolungamento del fratello tanto odiato, gli era stata finalmente data l’opportunità di scuotersi di dosso tutti: sarebbe diventato ciò che era stato predestinato ad essere fin dall’infanzia, fin dalla nascita. Il sovrano che nessuno mai aveva visto in lui."
La storia di un re considerato tale solo da se stesso. E, chissà, forse, in fondo, neanche quello.
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Scar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Piccola prefazione (e state tranquilli, poi potete passare al racconto):
Devo ammettere di essere abbastanza emozionata al pensiero di pubblicare questa storia, la quale trama, per quanto scontato possa sembrare, mi è stata ispirata da un sogno. Il re leone è il mio film Disney preferito in assoluto ed in particolare fin da piccola sono sempre stata perdutamente innamorata del personaggio di Scar. Forse è per l'intelligenza, forse la malvagità, forse il sarcasmo, fatto sta che è ed è sempre stato il mio villain/personaggio in generale preferito sia nel Re Leone che fra gli altri film di animazione e quindi ho voluto fargli, finalmente, un piccolo tributo.
Il progetto è (o meglio era considerando che sto pubblicando i capitoli a storia già completamente scritta) di riscrivere la sceneggiatura del film al pari di un libro, ma concentrando l'attenzione proprio sul suo personaggio, cosa ha pensato, cosa ha provato, durante le sue scene, oltre ad ampliarle con dei Missing Moments durante il suo regno e, perché no?, durante la sua infanzia. Mi sono tenuta strettamente al canon per quanto riguarda il rapporto con i personaggi, dunque ho considerato ogni cosa non detta esplicitamente nei film (ho tenuto conto sia del primo che del secondo) come non realmente avvenuta... perciò mi dispiace fan della Scar/Zira, ma qui questa coppia non è presente, anche se i due ovviamente si conoscono, né compariranno OC. L'unica cosa che ho tratto da "A tale of two brothers" sono i nomi di Ahadi e Uru ed il fatto che Scar prima della sua cicatrice si chiamasse Taka, null'altro, quindi anche la storia della sua infanzia sarà diversa da come veniva presentata in quel libro. 
Detto ciò, saranno in tutto diciassette capitoli, postati uno ogni due settimane e regolamente, avendo già tutto pronto: ci saranno parti riprese direttamente dal film, con dialoghi invariati, e parti totalmente inventate da me, che spero vi possano piacere. È un progetto a cui tengo particolarmente, perché ci ho dedicato molto tempo e, come ho già detto, sono molto affezionata alla figura di Scar, perciò mi piacerebbe davvero tanto se voleste lasciare una recensione, giusto per dirmi che non ho fatto a pezzi il suo personaggio e non l'ho reso totalmente OOC.
Un'ultima cosa: i titoli dei capitoli hanno tutti qualcosa in comune, un particolare che vi sfido a notare e a comunicarmelo nel caso lo capiste. Vi rivelerò l'arcano alla fine della storia.

The almost lion king

1. Scar. There is nothing either good or bad but thinking makes it so.

Squittii. Barriti. Nitriti. Un suono che aveva tutta l’aria di provenire dal muso di un ippopotamo con seri problemi gengivali. Il frastuono che proveniva dalla Rupe dei Re era sempre più insopportabile e rendeva difficile, molto, estremamente, troppo difficile ignorare la causa di quella che Scar avrebbe volentieri definito l’ultima delle nuove trovate del fratello per rovinare i suoi già tesissimi nervi. Alzati gli occhi al cielo e infastidito oltre il proprio, a detta sua altissimo, limite di sopportazione, si diresse verso una caverna lì vicino, rassegnato ormai all’idea di non poter evitare di ascoltare quegli insopportabili lacchè di cui Mufasa si contornava, ma decisissimo a ridurre il più possibile la tortura uditiva ed eliminare al più presto quella visiva. 


Con la flemma tipica del suo carattere, si avviò con andatura ciondolante all’interno, non senza aver scoccato un’ultima occhiata al penoso spettacolo che si presentava davanti ai suoi occhi e la sua espressione si riempì di disgusto: Rafiki, quello stupido, stupido babbuino che Scar era assolutamente certo avesse qualcosa di avariato nel cervello, aveva appena sollevato l’oggetto di tanta adorazione in aria e lo stava mostrando, quasi come fosse un trofeo, alla folla esultante. Cosa ci fosse di speciale nel primogenito di Mufasa e Sarabi, questo proprio lui non riusciva a capirlo: aveva due giorni e l’aveva appena intravisto, sempre rintanato com’era nel grembo della leonessa, ma sembrava a tutti gli effetti una palla di pelo con quattro zampe e due occhi sproporzionatamente grandi, marroni come quelli del padre e come quelli, a quanto pare, di ogni altro leone divenuto Re delle Pride Lands. Con le sue iridi verdi, verdi come l’invidia del sempre secondo, avrebbe potuto dire qualcuno, la criniera corvina e il corpo snello, Scar tendeva a confondersi con le ombre della notte, non certo a brillare al sole come il fratello, ma lui aveva sempre preferito, aveva imparato a preferire, in tal modo: era opportuno in alcuni casi, a sua opinione, sapersi muovere per fili sottili, invisibili e indisturbati, senza l’ausilio della mera forza bruta di cui i suoi predecessori sembravano tanto ricolmi e di cui egli si ritrovava invece totalmente sprovvisto. Il cervello batte muscoli e apparenze, questa era sempre stata la sua convinzione. Una piccola occhiata a quello che ormai sentiva universalmente chiamare “l’erede al trono”, e sia dannato il cielo se i suoi denti non digrignavano impercettibilmente ogni volta che quelle tre parole uscivano dalla bocca di qualcuno, gli era bastata per capire che sarebbe stato esattamente come il padre, un altro prototipo di sovrano buono, bello, giusto, quasi creato con uno stampino per ricreare esattamente tutti i tratti fondamentali dei suoi antenati, e la sua convinzione sulla predominanza della mente sulla forza aveva vacillato per qualche momento. Poi si era riscosso, aveva lanciato il suo sguardo più disinteressato al cucciolo e, senza neanche degnarsi di commentare con qualche parola di circostanza, aveva lasciato la caverna, senza dare a Sarabi né al caro fratello, così abituato a ricevere i complimenti e l’ammirazione di tutti, la soddisfazione di sentirsi elogiato anche quella volta. 


Era per quello che aveva deciso di non presentarsi a quella stupida cerimonia: perché partecipare ancora e ancora ad un successo che non era e mai sarebbe stato suo? Un sottile ghigno si aprì sul muso del leone, pensando a quanto il suo perfetto parente si sarebbe dimostrato indignato e deluso per la sua mancata apparizione… sempre che lo avesse notato, tutto preso com’era a festeggiare la nascita del suo pupillo.


Il piccolo era ancora esposto, anche se era evidente che fra poco la cerimonia si sarebbe conclusa, e per un attimo nella mente di Scar si delineò un’immagine confusa, ma dai foschi contorni: vide Rafiki perdere la presa o scivolare, magari per incidente, o spinto forse, sì, spinto proprio da lui, e vide il cucciolo senza nome, quel cucciolo che conteneva tutte le speranze per la successione di Mufasa, cadere dalla rupe, cadere esanime e indifeso in mezzo agli animali che sicuramente lo avrebbero calpestato, sotto lo sguardo atterrito dei genitori, morto. E da quella morte magari sarebbe potuta nascere una nuova opportunità, una nuova era, un nuovo regno… un nuovo sovrano, forse?


Scosse la testa con decisione, allontanando quella fantasia, stranamente allettante, è vero, ma altrettanto utopicamente irrealizzabile e volse finalmente la schiena alla scena, in tempo per non vedere i due genitori e il babbuino dare il benvenuto ufficiale al piccolo nella famiglia reale e nel Grande Cerchio della vita.

 

                                                    *******************

 

Rintanatosi all’ombra, Scar, annoiato oltre ogni limite, si guardò intorno, tentando disperatamente di trovare una qualsiasi occupazione per ingannare il tempo, e raggiunse il suo obiettivo quando vide la coda bianca di un piccolo topolino spuntare da un anfratto della caverna; realizzando che effettivamente era quasi mezzogiorno e non aveva toccato cibo dalla sera prima, lo stomaco troppo serrato dalla frustrazione per il “grande evento”, decise che quel magro spuntino era al contempo un compenso meritato per la sua eccezionale capacità di tolleranza e una distrazione dovuta per non pensare a ciò che stava accadendo poco distante da lui. Rimase per qualche secondo in silenzio, quindi, immobile e invisibile, aggettivi che aveva ben imparato a sopportare e a sfruttare a suo vantaggio in qualità di ignorato secondogenito della famiglia reale, accompagnando la poca aspettativa di potersi effettivamente soddisfare con una preda tanto piccola con l’inutile tentativo di concentrarsi esclusivamente in quella pressoché vana iniziativa. 


Quasi confermando i suoi pensieri l’animaletto, apparentemente dimenticatosi della presenza di un leone grosso cinquanta volte lui, sporse il muso e poi il piccolo corpo fuori dal suo rifugio, dimenando velocemente la sua coda sproporzionatamente lunga: Scar non perse tempo e, con una zampata fulminea, catturò quell’esserino con i suoi lunghi artigli. 


Alzando il suo trofeo fino all’altezza degli occhi, si ritrovò a pensare come fosse ironico che nessuno, neanche le bestie più indifese e minuscole, paresse considerare la sua presenza o denotarla come una possibile minaccia. Certamente questo non sarebbe successo con Mufasa, il perfetto, forte, coraggioso Mufasa che tanto sapeva essere rispettato da tutti, e non era difficile, ragionava lui, avere l’attenzione del prossimo quando era possibile stenderlo con facilità: guardando il topo, il leone per meno di un secondo si immaginò che al suo posto ci fosse suo fratello e che fosse suo fratello a squittire, dimenandosi in modo decisamente poco dignitoso e finalmente dimostrando di avere paura di lui.


“La vita a volte è ingiusta, non è vero?” disse alla sua preda, con la sua tipica espressione rassegnata e annoiata insieme, ottenendo come unica risposta un ancor più rapido agitarsi del suo poco loquace interlocutore.


“Guarda me. Sì, io non diventerò mai re” Lasciò momentaneamente andare la presa, voltando la zampa in modo che il topolino potesse muovercisi sopra, con qualche speranza di libertà: speranza breve, perché Scar lo riprese nuovamente per la coda dopo qualche attimo, sorridendogli cinico e con, forse, un lieve e fugace sentore di superiorità.


“E tu domani, amico mio, non vedrai sorgere il sole” Rise fra sé brevemente, prima di portarsi il suo pranzo alla bocca “Adieu”


“Tua madre non ti ha mai detto che non si gioca con il cibo?” La voce di Zazu lo interruppe proprio prima che le sue fauci si chiudessero sulla bestiolina: alzando gli occhi al cielo e infastidito dall’inopportuna presenza del pennuto, assunse un atteggiamento composto e allo stesso tempo ricolmo di indifferenza, poggiando a terra entrambe le zampe ed emettendo un sonoro sospiro.


“Che cosa vuoi?” L’unica cosa che invece in quel momento era Scar a volere era che si togliesse di mezzo velocemente, in silenzio e non facendosi più vedere per un tempo indefinito: non era assolutamente dell’umore per sopportare la petulante saccenza di quell’uccellaccio, tantomeno visto che ella sovente corrispondeva alla vicinanza del fratello tanto adorato, da tutti meno che da lui.


“Sono qui per annunciare l’imminente arrivo di Re Mufasa” rispose il pennuto, con le piume tutte alzate nel tentativo, assolutamente patetico secondo il leone, di aggiungere solennità alle sue parole “Perciò è meglio che trovi una buona scusa per la tua assenza alla cerimonia di questa mattina”


Come osava uno stupido uccello rivolgersi con quel tono saccente e pieno di rimprovero a lui, lui che era un membro della famiglia reale, mentre quell’essere non era assolutamente nulla? Gli artigli di Scar si ritrassero impercettibilmente nel tentativo di mostrare indifferenza e noia, atteggiamenti che sapeva per esperienza innervosivano il prossimo molto più di qualsiasi dimostrazione di fastidio, e grazie a questo il topolino riuscì finalmente a liberarsi dalla sua presa, guadagnando un sicuro ritorno nella propria dimora fra le rocce.


“Con le tue chiacchiere Zazu mi hai fatto perdere il pranzo” commentò ad alta voce, per poi aggiungere fra sé “E se ti azzarderai a parlarmi di nuovo in quel modo farò in modo che tu diventi il mio prossimo spuntino”


“Ah! Perderai molto di più quando il re farà i conti con te. È infuriato come un ippopotamo con l’ernia” Il sorrisetto che il suo interlocutore gli aveva rivolto prima di rispondergli sarebbe già stato sufficiente a rendere la sua minaccia una risoluzione, ma il tono di sufficienza e malcelata soddisfazione con cui aveva parlato fecero decidere al leone che probabilmente la sua carne non sarebbe stata poi così male da digerire. Lasciando cadere dunque la sua espressione annoiata si girò verso di lui, guardandolo sinistro con un sorriso che, con suo grande piacere, bastò a far cadere l’insopportabile pomposità dell’altro.


“Uuuh, sto tremando di paura!” lo schernì dunque, incrociando le zampe anteriori pronto ad alzarsi in piedi: si sentì alquanto divertito nel vedere gli occhi di Zazu illuminarsi di terrore mentre tentava di ragionare con lui e lo pregava di non fare gesti avventati. Amava vedere le suppliche altrui, ma non altrettanto accoglierle: si sentì perciò decisamente meglio dopo aver chiuso le zanne sopra quel dannato uccello e avergli finalmente tappato la bocca.


Non era del tutto sicuro che lo avrebbe inghiottito, dopo aver passato tutto quel tempo con Mufasa era probabile che gli avrebbe rovinato lo stomaco, ma la questione si semplificò alquanto perché dopo neanche qualche secondo, sentì l’unica voce che aveva disperatamente tentato di evitare dall’inizio del giorno alle sue spalle.


“Scar?” Si voltò di quarantacinque gradi, abbastanza per intravedere la figura del fratello, ma anche per non dare l’impressione di essere particolarmente interessato in quello che l’altro aveva da dirgli. “Mollalo” Appena pronunciata quella parola, dal muso del secondogenito spuntò il becco della sua preda che, a quanto pare per nulla intimorita dalla sua precaria situazione e altrettanto priva del senso della misura, commentò l’arrivo del suo salvatore.


“Tempismo impeccabile, Vostra Maestà” Quattro parole che rendevano la voglia che Scar aveva di masticarlo fino a ridurlo in poltiglia ancora maggiore, ma, pensando che sarebbe stato più uno stupido dispetto che un’azione realmente efficace, senza contare il saporaccio che era certo gli avrebbe lasciato in bocca, si decise infine a sputarlo, senza maledirsi interiormente per quello che senza dubbio era sembrato un atto di ubbidienza al volere dell’altro.


“Io non prendo ordini da nessuno, men che meno da te” pensò, ma non lo disse e, dopo aver lanciato un’occhiata quantomeno divertita a Zazu, tutto coperto di saliva e con un’espressione a metà fra la schifata e la traumatizzata, rivolse l’attenzione a Mufasa, sorpreso e, sì, anche compiaciuto che egli si dimostrasse quasi offeso dal suo comportamento.


“Ma guarda! È proprio il mio fratellone disceso dall’Olimpo per mescolarsi con i comuni mortali!” Gli si avvicinò con il suo miglior sorriso di superiorità e tono indifferente, per poi, facendo segno di ignorare le fosche nubi che apparentemente gravitavano sul muso del suo interlocutore, volgergli nuovamente la schiena, aspettando la ramanzina che sicuramente l’altro non avrebbe perso l’occasione di fargli.


“Sarabi ed io non ti abbiamo visto alla presentazione di Simba” Era proprio da Mufasa fare quel tipo di affermazioni: non era una domanda, anche se ne sottintendeva una, non era un’accusa, ma il tono non lasciava molti dubbi sul perché venisse pronunciata e la sua voce offesa era calibrata apposta per far sentire in colpa chiunque. Beh, chiunque tranne lui, che ormai trovava il fratello se non quasi ridicolo, almeno alquanto prevedibile. Tra questo e la scelta del nome per il cucciolo, chiamare un leone “Leone” non era esattamente la scelta più intelligente che si potesse fare, non che ci si potesse aspettare molto di più da un re di nome “Re”, dovette fare un grande sforzo per non ridacchiare. 


“La cerimonia era oggi?” chiese, con il suo miglior tono fintamente sorpreso e colpevole “Quanto sono mortificato!” Fece stridere poi i suoi artigli sulla pietra, producendo una cacofonia che evidenziasse quanto poco, in realtà, era stata la sua attenzione per quello che il fratello gli aveva detto: le scuse erano di circostanza, ma doveva essere immediatamente chiaro quanto esse fossero false.


“Deve essermi sfuggito di mente” aggiunse poi, guardandosi le unghie in tono nuovamente indifferente.


“Sì… beh, per quanto la tua mente possa essere sfuggevole, come fratello del Re avresti dovuto essere in prima fila” Quell’uccello proprio non voleva capire quale fosse il suo posto: Scar non avrebbe saputo dire se ad essere più irritante fosse il tono con cui egli osava rivolgerglisi o il fatto che il suo vero interlocutore lasciasse che un microbo simile gli parlasse in quel modo. Fece schioccare i denti, rivolgendogli il suo miglior sorriso acuminato e, con suo sommo gaudio, la sicurezza dell’altro venne meno, facendolo nascondere fra le zampe del suo protettore: le piccole soddisfazioni della vita. Si chinò verso di lui, cercando un contatto visivo che improvvisamente Zazu non era più tanto disposto a concedergli.


“Beh, ero io il primo della fila. Finché non è nato quel micio spelacchiato”


“Quel micio spelacchiato è mio figlio. Ed il tuo futuro Re” Improvvisamente, si ritrovò a guardare negli occhi il fratello e, perso ogni divertimento nel tentare di torturare il consigliere, distolse lo sguardo, non senza provare un certo pungente fastidio all’idea che un giorno quella cosina tanto piccola e inutile avrebbe avuto lo stesso potere che adesso Mufasa aveva su di lui. Come poteva avere rispetto di qualcosa che aveva per il momento come unica occupazione leccarsi e ricercare le costanti attenzioni altrui?


“Oh, dovrò perfezionare la riverenza” Considerando il discorso finito e non volendo passare un altro minuto in quella compagnia, dopo aver rivolto ancora un sorriso falso all’altro, si girò verso l’uscita della caverna, più di ogni altra cosa intenzionato a passare il resto della giornata, e magari anche della settimana o del mese, perché no?, il più lontano possibile da quel pallone gonfiato del fratello.


“Non voltarmi le spalle, Scar” 


Che cos’era, un ordine forse? Un ordine a lui? Non poteva veramente pensare che gli avrebbe ubbidito esattamente come tutti erano soliti fare, vero? Oppure si sentiva di potergli dire e comandare tutto quello che voleva per via della sua ostentata superiorità? Lo credeva davvero così innocuo e inutile? Sapeva di doversi mordere la lingua, ma le parole gli uscirono di bocca prima di poterci, o volerci, ripensare.


“Oh no, Mufasa, forse sei tu che non dovresti voltarmi le spalle” Non era del tutto chiaro neanche per lui a cosa volesse mirare con quella frase: forse era una semplice provocazione, non era la prima volta che diceva cose simili per il gusto di scatenare reazioni altrui né sarebbe stata l’ultima, ma, al contrario che in precedenza, si ritrovò a credere veramente in quel che diceva, seppur solo per un battito di ciglia. Era la stessa sfuggevole sensazione che aveva provato alla vista di Rafiki che sollevava Simba o dei pensieri che l’avevano assalito alla vista del topolino catturato, ma non ebbe tempo di soffermarcisi: il fratello, ovviamente ferito nell’orgoglio per questa improvvisa mancanza di rispetto, si slanciò contro di lui con un impeto e una furia tale che per un attimo Scar temette che davvero volesse aggredirlo. Era sempre sorpreso dai suoi sbalzi d’umore, lui che invece sembrava averne sempre solo uno, indifferenza condita con sarcastico cinismo: era ovvio che quella fosse una facciata, ma era diventato talmente bravo a sostenerla che anche decifrare i propri diversi stati d’animo si presentava come un problema.


“Mi stai sfidando?” Sarebbe stato bello, magnifico, potergli rispondere affermativamente: purtroppo, sapeva bene quali fossero le sue chance di vittoria in un combattimento diretto ed era altrettanto certo quanto la sorte non lo avesse mai favorito, altrimenti avrebbe fatto in modo di confrontarsi con Mufasa decisamente prima nel tempo. La sua non era codardia, semplicemente… istinto di sopravvivenza: aveva sempre atteso un momento opportuno che non si era mai presentato, ecco tutto.


“Stai calmo, stai calmo” gli rispose quindi, con il suo miglior tono annoiato “Non mi sognerei mai di sfidarti, no” O meglio, a dire la verità ci aveva fantasticato parecchio, soprattutto in gioventù, ma alcune umiliazioni piuttosto cocenti nei suoi primi anni di vita gli avevano insegnato un’importante lezione: se non puoi batterli, unisciti a loro, perlomeno fino a che non ne avrai tratto un vantaggio.


“Peccato, perché no?” Non era certo se Zazu avesse degli istinti suicidi piuttosto spiccati o stesse solo facendo l’arrogante, forte della sua posizione privilegiata tra le zampe del fratello, ma sicuramente non doveva avere un grande senso del tempismo e della buona educazione: avrebbe molto gradito insegnargli alcuni concetti basilari sull’intromissione nelle conversazioni altrui, ma preferì non scendere nei dettagli e levarsi di torno entrambi il più in fretta possibile.

“Per quanto riguarda la materia grigia ne ho a sufficienza” ribatté quindi, non senza aggiungere mentalmente che probabilmente era più intelligente di quei due messi insieme “Ma se si tratta di forza bruta, lo sai: temo che l’impronta genetica sia piuttosto carente”


Dopo aver rivolto un’ultima occhiata rassegnata a Mufasa e al suo inutile consigliere, che certamente non avrebbero perso occasione per parlare di lui alle sue spalle, si allontanò definitivamente e questa volta nessuno cercò di fermarlo. Si diresse quindi fuori senza una vera meta, tentando di mettere più spazio possibile fra lui e tutto quello che la presenza del fratello comportava.


A distanza di qualche minuto di cammino, si fermò per qualche secondo e lanciò uno sguardo alla Rupe dei Re e al trono che ormai aveva perso qualsiasi speranza di conquistare: al pensiero del sovrano che sarebbe potuto diventare, degli onori e del rispetto che gli sarebbero toccati e del Potere che avrebbe posseduto se l’accoppiata padre-figlio non si fosse messa in mezzo i suoi artigli si conficcarono violentemente nella terra, scalfendola nel profondo.


A Scar non dispiacque immaginare che fra le sue zampe ci fossero insieme Mufasa e il suo prezioso Simba. 


E che stesse squarciando la gola ad entrambi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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