Capitolo 12: Lost
It seems we have lost
We keep on running in different directions
Never again
The way you’re turning all my
wrongs to right
Never again this one you
can’t deny
Never again I wanted to
reveal a softer side
Never again
Forgive me if I tried to do what’s
right.
(“Lost”
– Delain)
La
malattia del Principe Alfonso durò più di una settimana e il fatto innervosì
non poco Re Carlo, che avrebbe voluto partire al più presto per la Francia e
invece si ritrovava a dover attendere la guarigione di quell’insopportabile
ragazzino. A volte si pentiva di aver dato retta al suo Generale e pensava che
avrebbe fatto molto meglio a lasciarlo torturare fino alla morte…
“Ma
insomma, quel mezzo bastardo di Principe senza corona non è ancora guarito?”
sbottò il sovrano al terzo giorno di malattia del giovane. “Noi dobbiamo
tornare in Francia, abbiamo uno Stato da rassicurare, un successore da
scegliere… non possiamo certo dipendere dai capricci di un inutile moccioso!”
“Vostra
Maestà, comprendo benissimo le vostre preoccupazioni, ma la salute del Principe
è più preziosa di quanto non crediate” insinuò astutamente il Generale. “Stiamo
organizzando tutto ciò che è necessario per poter partire mantenendo in
sicurezza il potere sul Regno di Napoli e per assicurarci un viaggio tranquillo
fino in Francia; gli uomini sono pronti per affrontare eventuali attacchi da
parte di eserciti italiani, ma non ritenete anche voi più saggio avere un buon
rapporto con la Spagna in un momento tanto delicato? Se al Principe Alfonso
accadesse qualcosa e la famiglia reale Aragonese approfittasse di ciò per
muoverci guerra proprio quando siamo più vulnerabili, oppure per tentare di
riconquistare il Regno di Napoli?”
Il
monarca francese scosse il capo, frustrato. Si domandava fino a che punto il
suo Generale insistesse per proteggere quel ragazzino per motivi suoi personali e quanto per il bene
della Francia e per l’incolumità sua e di tutti i soldati, tuttavia doveva
anche riconoscere che le sue motivazioni erano perfettamente logiche e
giustificate.
“E’
vero, ma se intraprendessimo il viaggio adesso e il Principe non ce la facesse”
tentò di nuovo il Re, “potremmo sempre sostenere che la colpa non è stata
nostra, che abbiamo fatto di tutto per tenerlo al sicuro e che è stata solo una
tragica fatalità.”
“Mio
sovrano, voi stesso sapete quanto corrano velocemente le voci in queste corti
italiane. Gli Sforza e persino il Duca di Mantova hanno dimostrato di sapere
più di quanto desiderassimo riguardo alle torture subite dal Principe e sono
certo che, in questo momento, le spie delle famiglie più potenti d’Italia hanno
già riferito ai loro signori della sua malattia” obiettò il Generale. “Se
accadesse qualcosa al Principe durante il viaggio, tutta la penisola
affermerebbe che siete stato voi a causarne la morte, forzandolo ad un viaggio
faticoso nonostante la febbre. E questa voce arriverebbe in Spagna in men che
non si dica. Come ben sapete il vostro nemico, il Papa Borgia, è spagnolo…”
“E
va bene!” borbottò il sovrano. “Attenderemo la guarigione del Principe Alfonso!
Ma tu fai in modo che il dottore sia più celere nell’occuparsi di lui, abbiamo
molte cose di cui occuparci in patria.”
“Sarà
fatto come comandate, Vostra Maestà” replicò l’uomo, sollevato per aver ancora
una volta convinto il suo Re e protetto il giovane Principe al quale si sentiva
legato ogni giorno di più.
Dopo
una settimana di febbre e malessere, il Principe iniziò a stare meglio, ma era
ancora debolissimo, non mangiava quasi più e al Generale ricordava molto il ragazzo
che aveva tirato fuori dalle segrete. Temeva, adesso, che il dottore avesse
ragione e che Alfonso avesse cominciato un lento declino che, in poco tempo, lo
avrebbe portato alla tomba.
Non
poteva accettarlo, no! Proprio adesso che aveva finalmente trovato qualcuno che
gli scaldava il cuore con la sua sola presenza, qualcuno con cui sperava di
dividere un’esistenza fino ad allora dedicata solo alla guerra e al servizio
della Corona, no. Lui non poteva permettersi di perdere il suo dolce Principe…
Incalzò
il dottore affinché trovasse qualche rimedio, tonici ricostituenti o qualunque
altra cosa aiutasse il giovane a rimettersi e a tornare in salute. Il dottore
si impegnava già con tutto se stesso per curare il povero Principe ma, dopo
tutti quei giorni e vedendolo tanto fragile e privo di forze, ritenne giusto
che anche il ragazzo sapesse come stavano veramente le cose. Fino a quel
momento aveva creduto di poter rimandare, sperava che Alfonso si sarebbe
ripreso più velocemente, invece il Principe non mangiava quasi più e le forze
non gli tornavano, forse sarebbe stato suo dovere spiegare anche a lui che non
sarebbe più stato quello di prima.
Quella
mattina, il decimo giorno che il Principe trascorreva a letto, il dottore
giunse nella camera con un nuovo tonico che aveva preparato perché restituisse
un po’ di vigore al delicato corpicino del giovane. Gli avrebbe somministrato
quello, certo, ma gli avrebbe anche parlato francamente.
“Allora,
dottore, avete portato qualche rimedio utile, finalmente?” esordì il Generale,
sempre più in pena.
“Questo
è un tonico che ho ricavato da miele e erbe selvatiche e dovrebbe avere un
effetto rigenerante sul Principe, tuttavia” replicò il medico, guardando prima
il militare francese e poi il giovane, “mio Principe, ritengo mio dovere
informarvi sulle vostre reali condizioni.”
Alfonso
trasalì e iniziò a tormentare il lenzuolo con le mani, mentre il Generale ebbe
una reazione innervosita.
“Cosa
intendete dire, dottore? Mi sembra perfettamente inutile spaventare il ragazzo,
che è già debole e preoccupato. Fate il vostro dovere e andatevene!”
“Mi
dispiace, mio signore, ma tra i miei doveri c’è anche quello di mettere al
corrente il Principe riguardo alla sua salute, in modo che possa comprendere
come gestire le sue forze e prendere i dovuti provvedimenti. Mio Principe, non
dovete temere di aver contratto la peste, come vi dicevo non è questo il male
che vi affligge, nondimeno si tratta di qualcosa di grave che inciderà sulla
vostra vita futura.”
“Proseguite”
mormorò Alfonso, stringendo a sé il lenzuolo come per proteggersi dalle parole
che avrebbe dovuto ascoltare.
“Purtroppo
ciò che vi ha tormentato in questi lunghi giorni non è stato causato da una
malattia che io, o chiunque altro, possa curare” riprese il dottore, con un sospiro.
“Come immagino sappiate già, le torture che vi hanno inflitto hanno indebolito
le vostre membra e straziato il vostro corpo in modi che nulla hanno di umano e
chiunque altro non sarebbe sopravvissuto a tali orrori, io lo so bene… Voi,
invece, siete giovane e questo vi ha aiutato a riprendervi. Tuttavia… i
supplizi vi sono stati inflitti con strumenti infetti e pieni di ogni sporcizia
e hanno lacerato i vostri… insomma, i punti del vostro corpo dove più
facilmente si espandono le infezioni. Certo gli arnesi di tortura non sono
pensati perché il condannato sopravviva, dunque a nessuno poteva interessare
quanto fossero ricoperti di sudiciume e altro…”
Il
Principe era sempre più spaventato, ma ormai voleva sapere tutto. Annuì per
invitare il dottore a continuare, poiché non aveva la forza di parlare.
“Quegli
arnesi vi hanno lacerato, ma hanno anche avvelenato il vostro sangue e i vostri
organi interni. Io ho curato meglio che ho potuto le ferite esterne, ma nulla
posso fare contro ciò che vi divora dall’interno” mormorò tristemente il
medico. “Potrei salassarvi per togliere un po’ del sangue infetto, ma siete
troppo debole per perderne e, comunque, temo che ben presto l’infezione
colpirebbe ancora.”
Alfonso
aveva stretto tra le mani il lenzuolo, tirandoselo fin sotto il mento, e adesso
si vedeva solo il suo viso pallidissimo e sempre più affilato e i grandi occhi
neri pieni di paura e disperazione che sembravano mangiargli tutto il volto.
“Quindi…
morirò?” chiese, in un soffio.
“Ma
certo che no!” protestò il Generale, attirandolo a sé. Il Principe, però, si
scostò da lui e guardò fisso il dottore, aspettando una riposta sincera.
“Io
farò di tutto per mantenervi in vita il più possibile” promise il medico, “e
voi siete molto giovane e quindi il vostro corpo reagirà sicuramente meglio di
quello di un uomo in là con gli anni. Non morirete certo adesso, no, tuttavia
sarete sempre molto fragile, cadrete spesso ammalato com’è accaduto stavolta e…
e non posso promettervi che avrete una lunga vita. Ne sono addolorato, mio
Principe.”
“Ho
capito” mormorò il ragazzo, mentre negli occhi gli si leggevano tutto il dolore
e la disperazione del mondo. Era condannato. Forse non sarebbe morto subito, ma
chissà quanti anni, o forse mesi, avrebbe avuto ancora da vivere? Ecco, Re Carlo
aveva comunque raggiunto il suo scopo, si era sbarazzato di lui, lo aveva
rovinato e il Generale, che diceva di tenere tanto a lui, aveva fatto ben poco
per impedirlo, era intervenuto soltanto quando era ormai troppo tardi!
“Mio
Principe, adesso prendete il vostro tonico e riposate. Dovreste anche sforzarvi
di mangiare un po’ di più e di fare qualche breve passeggiata, magari sotto il
loggiato” lo incoraggiò il dottore, vedendolo tanto abbattuto. “Sono sicuro che
vi riprenderete e che sarete anche in grado di affrontare il viaggio verso la
Francia. Come vi ho detto, questa infezione lavora contro di voi, ma la vostra
giovane età è dalla vostra parte e, se vi impegnerete per guarire, magari
riuscirete anche a darmi torto e a stare meglio di quanto io abbia previsto.
Perciò ve ne ho voluto parlare, per spronarvi a fare del vostro meglio per
guarire. So che ce la farete, mio Principe. Vostro padre ha affrontato una
malattia altrettanto grave ed è sopravvissuto fino a tarda età, perciò abbiate
fiducia.”
“Seguirò
tutti i vostri consigli, dottore” promise il Principe, abbozzando un mesto
sorriso.
Mentre
il dottore si inchinava e lasciava la stanza, Alfonso pensò che, molto
probabilmente, non sarebbe stato in grado di reagire e che sarebbe morto presto
ma, in fondo, cosa gli rimaneva per cui valesse la pena sopravvivere? Aveva
perso il suo Regno, la sua vita, non sarebbe mai più stato il ragazzino
sbarazzino e insolente che si divertiva ad essere quando era veramente il
Principe di Napoli, era un ostaggio in mano a dei nemici che lo odiavano… per
quale motivo avrebbe dovuto vivere? Certo, la morte nelle segrete sarebbe stata
atroce, ma uno spegnersi così lento e graduale, perdendo le forze a poco a
poco… sarebbe stato poco diverso dall’addormentarsi, solo che non avrebbe più
dovuto svegliarsi in un mondo che ormai gli era sconosciuto ed estraneo.
Il
giovane Principe si voltò sul fianco e si sistemò più comodamente nel letto,
avvolto nelle lenzuola e nelle coperte.
“Principe
Alfonso, non hai sentito cosa ha detto il dottore?” gli disse, premuroso, il
Generale. “Non devi cedere alla malattia, devi reagire. Sforzati di mangiare
qualcosa e poi ti accompagnerò a fare una breve passeggiata, ti sorreggerò io,
non temere. Stamani Sua Maestà non ha bisogno di me e io posso occuparmi di te
per tutto il tempo.”
Lo
sguardo che Alfonso gli rivolse avrebbe potuto raggelare l’Inferno.
“A
voi cosa importa della mia salute?” lo rimbeccò, brusco.
“Certo
che mi importa” replicò il Generale, sorpreso da quell’improvvisa ostilità.
“Sai che appartieni a me, non solo come ostaggio ma come mio amante, ti ho già detto tante volte che
voglio prendermi cura di te, proteggerti e tenerti accanto.”
“Non
l’avete fatto la notte delle segrete, però” fu la fredda risposta del Principe.
“Mi avete trascinato laggiù, pur vedendo che ero solo un ragazzo spaventato. Mi
avete strattonato e picchiato e infine lasciato in balìa degli aguzzini. Vi
siete ricordato di venirmi a salvare solo quando era troppo tardi. Sì, mi avete
risparmiato una morte atroce e di questo vi sono grato, ma quello che mi hanno
fatto mi ha comunque condannato. Non avete detto una parola, non avete nemmeno
tentato di intercedere per me presso il vostro sovrano, avete eseguito
quell’ordine disumano e basta!”
Una
morsa gelida strinse il cuore del Generale, che già da giorni si lacerava
l’animo e si incolpava per non aver almeno tentato di mitigare le pene del
disgraziato Principe.
“So
ciò che ho fatto e, credimi, me ne pento ogni giorno. Non ero d’accordo con Sua
Maestà, eppure ho contribuito alle cose terribili che ti hanno fatto” disse, in
tono amaro. “Avrei potuto parlargli, come ho fatto in altre occasioni e invece…
Non so nemmeno io perché non mi sono opposto subito a qualcosa che offendeva in
tal modo ogni senso dell’onore, ma purtroppo non posso tornare indietro e
cambiare le cose. Posso solo prometterti che sarò con te per il resto della
vita, che mi prenderò cura di te in ogni modo, che cercherò con ogni mezzo di
tenerti al sicuro e, se possibile, di renderti felice.”
“Ah,
credete davvero che potrò mai più essere felice?” ribatté astioso Alfonso. “Mi
avete tolto tutto e ora sono condannato a vivere da infermo e a morire in
giovane età. Di che cosa mai dovrei essere felice?”
Il
volto solitamente impassibile del Generale mostrò per un attimo tutto il dolore
che quelle parole gli avevano causato, parole che andavano a sommarsi a tutto
ciò che già da tempo si ripeteva, tormentandosi per non aver soccorso subito il
suo prezioso Principe.
“Non
lo so” ammise poi l’uomo, avvilito. “Speravo di poterti fornire io stesso dei
motivi per esserlo. Speravo che la mia vicinanza e il mio affetto potessero
significare qualcosa per te.”
Era
la prima volta che quell’uomo coriaceo e austero lasciava spazio ai suoi
sentimenti e li esprimeva liberamente.
“Vicinanza
e affetto? Dov’erano quando mi straziavano nelle segrete?” obiettò caustico il
Principe.
“Vorrei
solo trascorrere il resto della mia vita a cercare di farmi perdonare da te,
Alfonso” replicò il Generale con veemenza, combattuto tra i rimorsi e il senso
di colpa e il desiderio di ritrovare quella pace che provava sempre quando era
vicino al giovane Principe. Si avvicinò al ragazzo e lo strinse per le spalle,
con il viso vicinissimo a quello di lui. “E’ questo che voglio dedicarmi a
fare, se tu me lo concederai. Davvero non puoi perdonarmi per quello che ti ho
fatto?”
Il
giovane Principe non era veramente arrabbiato, solo confuso, spaventato e
tanto, tanto stanco. Aveva aggredito a male parole il Generale per sfogarsi
della rabbia e del terrore provati ma, in fondo al suo cuore, sentiva che solo
accanto a quell’uomo era riuscito a ritrovare un po’ di serenità, che lui lo
faceva sentire protetto e gli scaldava il cuore. Gli occhi gli si riempirono di
lacrime.
“Io…
ho solo voi…” mormorò, per tutta risposta.
“E
io non ti lascerò mai, mai più per niente al mondo, Alfonso” disse il francese,
stringendo il ragazzo in un abbraccio avvolgente e sentendo che il peso delle
sue colpe gli scivolava via dalle spalle. “Sarò sempre vicino a te e farò tutto
ciò che è in mio potere per regalarti una vita felice, piccolo mio.”
Cercò
le sue labbra tenere e morbide per baciarlo a lungo e profondamente, per
sentirlo suo, godere del suo dolce sapore, respirare il suo respiro e sentire
che quel Principe fragile, giovane e indifeso era lì per lui, gli apparteneva e
lui non se ne sarebbe mai più separato, lo avrebbe aiutato a guarire e gli
sarebbe rimasto sempre accanto per donargli serenità e amore. Ancora piangendo
silenziosamente, il Principe si lasciò andare al Generale e nel profondo del
suo intimo sentì rinascere il calore della speranza, la consapevolezza che,
forse, davvero un motivo per reagire e per tornare a vivere l’aveva…
FINE