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Autore: l y r a _    03/06/2017    3 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2

Ambizione

Il budget limitato che il consiglio d’istituto aveva riservato al club femminile di pallavolo condizionava anche le dimensioni della stanza ad esso assegnata. Di certo a nessuna delle ragazze sarebbe mai passato per la mente di lamentarsi: quello che avevano a disposizione non era il minuscolo cubicolo dalle pareti foderate di armadietti che la maggior parte delle scuole rifilavano ai propri club sportivi, ma era inevitabile – per chiunque conoscesse le stanze a disposizione dei club maschili di calcio e pallavolo e di quello femminile di ginnastica, notare la differenza di trattamento. Laddove infatti questi ultimi disponevano di un arredamento funzionale e confortevole, tutto ciò che componeva invece il mobilio del club femminile di pallavolo erano le sedie avanzate dall’aula del consiglio studentesco, una lunga fila di armadietti personali, una vecchia libreria della biblioteca ridipinta e utilizzata impropriamente, una bacheca di sughero come quelle all’ingresso dei dormitori e due banchi accostati per sostituire la scrivania dell’allenatore. Sulle pareti bianche si distinguevano i segni del nastro adesivo rimosso di recente: Chigusa-san aveva raccontato alle kohai che in passato erano costellate di poster di idol e sportivi piacenti, ma che il coach Hattori li aveva fatti staccare appena aveva assunto l’incarico. Tutto sommato era luminosa e spaziosa, potendo contare sul fatto che gli spogliatoi fossero invece collocati direttamente della palestra C, ma per una scuola con un nome del genere e per la retta onerosa che l’accademia pretendeva dai suoi iscritti, Megumi si era aspettata di meglio.
Trovò l’allenatore ad attenderla con una sigaretta accesa fra le dita, un vezzo che ormai si concedeva abitualmente di propria iniziativa in quel luogo, anche se il regolamento scolastico lo vietava categoricamente. Se ne stava comodamente adagiato accanto al davanzale della finestra spalancata e le fece cenno di entrare e chiudere la porta.
«Alla buon’ora, Sakurai!» la accolse controllando l’orologio al polso «Stavo per andar via.»
A giudicare dalla lunghezza della sigaretta, appena consumata all’estremità, le aveva detto una bugia: uno che sta per andar via non inizia a fumare una sigaretta nuova. Sentì gli occhi dell’uomo percorrerla dai piedi alla testa e poi di nuovo dalla testa ai piedi, lentamente ed in silenzio, e avvertì montare l’ormai familiare senso di disagio.
«Sono stata appena avvisata, sensei.» si giustificò comunque, alludendo a Kurihara.
«Cazzate, Sakurai … cazzate.» tagliò corto quello «Tu manchi di disciplina, ma oggi voglio perdonarti perché non ti avevo ancora vista con l'uniforme scolastica. Ti sta molto bene.»
Megumi fu colta alla sprovvista dal complimento improvviso, che non sapeva nemmeno come interpretare. Mormorò un “grazie” incerto e cercò di tirare più giù l’orlo della gonna, perché non le scoprisse eccessivamente le cosce, troppo piene e muscolose per rispettare gli standard di bellezza giapponesi. Se ne vergognava così tanto che limitava l’uso dei pantaloncini solamente alle partite ufficiali in cui era prevista la divisa della squadra e ad ogni modo, in quei casi, entrava in campo per ultima e ne usciva frettolosamente per prima.
«Non devi coprirle, è un peccato.» la biasimò Hattori questa volta indugiando sulle sue cosce più manifestamente, senza preoccuparsi di nasconderlo «Hai delle gran belle gambe, dovresti indossare le gonne più spesso, magari senza quelle calze scure.»
Non aveva idea di perché stesse sostenendo quella conversazione surreale col proprio allenatore, ma provava un imbarazzo fastidioso. Non le piacevano le proprie gambe, non le piaceva l’argomento, non le piaceva affatto che qualcuno le guardasse, soprattutto se quel qualcuno era Hattori.
«Quella della divisa è l’unica gonna che ho, mi spiace.» borbottò in risposta, desiderando ardentemente che quella questione fosse accantonata al più presto. Non era possibile che il coach l’avesse convocata solamente per complimentarsi per come le stava l’uniforme scolastica.
«Non ti piace il tuo fisico, Sakurai?» continuò invece lui.
«Non del tutto. Ma una ragazza che sceglie l’agonismo deve pur rinunciare a qualcosa.»
«Mi piace la tua filosofia, ma lasciati dire che tu non hai rinunciato a nulla. Sei ugualmente bella.»
Hattori spense la sigaretta prima ancora di arrivare alla metà e si affrettò a chiudere la finestra. Per qualche motivo, anche quel gesto non le piacque per niente. Ancora confusa da tutti quelle lusinghe indesiderate, accettò il suo invito a sedersi su una delle sedie poste di fronte all’improvvisata scrivania. Quello si accomodò davanti a lei, incrociando le dita sulla superficie lignea del banco.
«Parliamo di cose serie, Sakurai. Giocherai con noi o con la squadra avversaria?»
«Prego?»
«Ogni volta che sei in campo, combini casini. Sarò onesto: tu hai talento, tanto, e credo che questo tu lo sappia già, ma il talento da solo non serve a niente. Posso avere fra le titolari dozzine di ragazze che non hanno il talento dalla loro, ma hanno raggiunto gli stessi tuoi risultati per mezzo di allenamento duro e costante. Senza contare che nessuna di loro si attaccherebbe briga con la palleggiatrice, o si rifiuterebbe a priori di schiacciare sulle sue alzate perché “indecenti”.»
«Kurihara non ha dalla sua né talento né allenamento.» commentò stizzita.
«È un’affermazione molto presuntuosa, questa.»
«Non è lontana dalla realtà.»
«Anche se lo fosse questo non cambia la tua posizione. Sakurai, sei egocentrica, insolente, per niente empatica ed assolutamente poco collaborativa. Dimmi cosa dovrei farmene di una come te nella rosa titolare.»
Megumi non riusciva davvero a capire come le motivazioni addotte dal coach potessero interferire nella decisione di inserirla o meno nella formazione titolare. Un giocatore vale nella misura in cui segna punti, e lei di punti – con delle buone alzate – ne segnava abbastanza.
«Lei mi lasci giocare e io glielo mostrerò.»
«E quali garanzie ho? Nessuno sano di mente ti ammetterebbe ora come ora.»
«Ha la mia parola. Se le cose dovessero andare male, mi ritirerò spontaneamente.»
«Mi sembra un’offerta che pende tutta dalla tua parte, Sakurai. Forse, se mi dessi qualcosa in cambio, potrei prendere in considerazione l’idea … » propose con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto.
«Qualcosa tipo?» lo incalzò incuriosita dall’offerta.
«Un bacio, ad esempio.»
Per i primi secondi di silenzio teso che seguì, Megumi s’illuse che Hattori stesse cercando di fare dell’umorismo. Si sforzò di rivolgergli un sorriso che potesse passare per divertito, ma l’espressione dell’allenatore rimase seria più che mai.
«Dice davvero?» domandò allora, sbalordita.
«Sono serio. Un bacio e sei dentro, prima banda.»
«Non mi prende in giro? Se io le do un bacio, lei mantiene la parola?»
«Puoi giurarci.»
Esitò qualche istante: in cuor suo sapeva che era sbagliato. Stava comprando un posto da protagonista al prezzo di un bacio, al vantaggioso prezzo di un bacio. Era completamente scorretto entrare in squadra a quel modo, ma si era ripromessa che non avrebbe mai perso un’occasione simile, a qualsiasi costo. Farsi odiare di più o di meno dalle altre galline in campo non era più un problema, ci si era abituata e sarebbe sopravvissuta comunque. Ed era vero che nei suoi sogni aveva sempre riservato il suo primo bacio a Wakatoshi, che desiderava condividere con lui uno di quei primi baci romantici in punta di piedi, forse dopo la ventesima dichiarazione, ma una ragazza che sceglie l’agonismo – lo aveva detto poco prima – deve pur rinunciare a qualcosa. Se Wakatoshi non lo avesse saputo, non ne avrebbe sofferto. Per conto suo, lei avrebbe fatto in modo di dimenticarsene subito dopo. Al diavolo le romanticherie, in ballo c’era il ruolo di prima banda!
«Va bene.» bisbigliò prima ancora di rendersene conto «Anche adesso.»
«Così ti voglio, Sakurai: intraprendente.» commentò soddisfatto.
Mentre le si avvicinava, con l’avidità che scintillava negli occhi scuri, si rammentò che Hattori portava una fede all’anulare sinistro, che una volta aveva menzionato di avere una figlia alle medie e che non era per nulla normale che bramasse il bacio di una sedicenne. Serrò gli occhi nel momento in cui il palmo del coach raggiunse la sua spalla, pochi istanti prima che si chinasse ad un soffio dal suo volto. Si sforzò di concentrarsi su altro, sull’aurea prospettiva di calcare il campo in qualità di titolare, sui rari sorrisi che Wakatoshi le riservava quando erano soli, sulla strada di terra battuta che dalla fermata dell’autobus di Minamisaka conduceva a casa sua attraverso le risaie, sui messaggini carini che la sua sorellina le inviava ogni sera per sapere come stesse. Quella sera sarebbe stato diverso? “Ciao Himeka, ho baciato il mio coach ed adesso sono titolare, non è fantastico?” No, non avrebbe mai permesso che scoprisse qualcosa di così raccapricciante sul suo conto. Le labbra di Hattori erano sottili e arse, la barba le pungeva la faccia, e solo un secondo più tardi si rese conto che un semplice bacio a stampo non era quello che aveva in mente. Fu costretta, suo malgrado, a schiudere le labbra e accoglierne la lingua, combattendo contro il senso di nausea che montava dallo stomaco, tollerando a stento il sapore sgradevole della sigaretta che pochi minuti prima stava fumando. Pregò a lungo che quel supplizio finisse il prima possibile e, dopo quella che le parve un’infinità di tempo, Hattori la lasciò nuovamente libera di respirare.
«Non c’è bisogno che ti dica che questo è un segreto che rimane fra me e te, vero? Non devi assolutamente parlarne con nessuno.» si raccomandò poi, gli occhi appena socchiusi.
Disgustata ed intimorita, Megumi annuì lentamente.
«Brava ragazza!» la lodò accarezzandole una guancia «Perché hai ancora quel muso? Sei titolare ora, dovresti esserne felice! Non era quello che volevi?»
La ragazza finse un sorriso tirato, ma non riusciva ad essere affatto felice. Gli occhi le caddero sulla fede di Hattori, poi sull’armadietto con la targa di Hoshino, che probabilmente avrebbe spodestato del suo ruolo in campo. Si sentiva sporca dentro, ma non poteva permettersi di abbandonarsi ai sentimentalismi superflui, se voleva farsi strada.
Dopotutto, era solo un bacio, si disse mentre tornava a lezione, con la sensazione di muoversi su delle gambe che non fossero le proprie. Continuò suo malgrado a crucciarsi, fissando il vuoto dal proprio banco, interrogandosi sull’eventuale esclusività del trattamento che Hattori le aveva riervato.
Dopo l’ultima, interminabile, ora di matematica, Megumi quasi urlò quando – aperta la porta della propria camera – trovò Scoiattolo sdraiata a pancia in giù sul letto che si era dimenticata non essere più vuoto. Era stata così turbata da quello che era successo con Hattori che non si era ricordata dell’ennesima scocciatura che quell’aprile le aveva riservato. Con uno scatto ferino, la nuova inquilina si puntellò sui gomiti e si mise seduta, affrettandosi a togliersi gli auricolari dalle orecchie. «Ho sentito che sei stata dal coach … allora? È quello che penso io? Promossa?» le domandò prima ancora che Megumi avesse il tempo di sfilarsi la giacca della divisa. Non capiva perché la cosa la interessasse tanto, ma era una buona occasione per ristabilire la propria supremazia.
«Così pare.» replicò con sufficienza.
«Non vedo l’ora di giocare dal tuo stesso lato del campo!» annunciò quella improvvisando un piccolo applauso con le mani. Davvero, una maestra della recitazione: fino al giorno prima era stata così giù di morale da farla sentire in colpa, adesso mancava poco che cominciasse a saltare sul letto. «Dai, cambiati! Ti ho aspettato qui apposta per andare in palestra insieme!»
In effetti, ora che notava, Scoiattolo indossava già la sua tuta da allenamento e il borsone era già pronto sulla sua scrivania. La guardò infilarsi le scarpe da ginnastica senza muoversi di una virgola.
«C’è qualcosa che non va, Sakurai-san?» le chiese, constatando la sua esitazione.
Megumi non riuscì a trattenersi dal porre quella domanda. Scoiattolo aveva reso palese che anche lei era stata ammessa fra le titolari e dunque anche lei aveva dovuto sostenere un colloquio con Hattori. Per un po’, aveva cercato di giustificare la propria sottomissione al volere dell’allenatore, ipotizzando che avesse preteso il pagamento di un prezzo simile a tutte le sue nuove giocatrici. In cuor suo sapeva che non era vero, ma volle chiedere comunque conferma.
«Hattori-sensei ha chiesto che tu gli dessi qualcosa in cambio?»
«In cambio di cosa?»
«Del posto nel sestetto iniziale.»
L’espressione confusa di Scoiattolo sfumò rapidamente in una profondamente offesa. Assottigliò gli occhi nocciola e arricciò il labbro inferiore, irritata. Megumi comprese subito di aver adottato una pessima combinazione di parole per farle quella domanda e che aveva lasciato largo spazio al fraintendimento. Per una volta non intendeva insultare nessuno, si stava solo interrogando sulla condotta di Hattori, ma riuscì ugualmente a mandare la piccola compagna di stanza e di squadra su tutte le furie.
«Si può sapere per chi mi hai preso? Certo che sei cambiata affatto, sei rimasta una stronza!» si lamentò profondamente ferita «E comunque, no … non preoccuparti, non mi sono comprata con una bustarella l’ammissione in squadra, non sei brava solo tu!»
Avrebbe potuto spiegarsi e rimettere a posto le cose, ma per farlo si rese conto che avrebbe dovuto confidare quello che era accaduto nel primo pomeriggio fra lei e l’allenatore, perciò preferì continuare a marciare sul malinteso che, tutto d’un tratto, da spiacevole come le era sembrato a primo acchito si riempì di possibilità. Si ripeté, ancora una volta, che non era un problema farsi detestare da una persona in più o da una in meno, l’importante era raggiungere i propri obiettivi.
«Già, dimenticavo che sei l’unico libero che abbiamo.» aggiunse quindi con freddezza.
«Come puoi essere così odiosa? Se non l’avevi notato, io stavo cercando di mettere da parte i nostri problemi e di ricominciare dall’inizio per rendere più civile questa convivenza. Potresti almeno sforzarti di fingere che io ti vada a genio, giusto per ricambiare un minimo della mia fatica, ma tu che fai? Sempre la solita antipatica arrogante!»
«Non ho alcuna voglia di fingere che tu mi vada a genio, perciò puoi smettere di essere ipocrita.»
«Ero sincera, non ipocrita! Ma una persona tristemente sola come te evidentemente questa differenza non è in grado di afferrarla!»
Ci sono dei tasti, nella nostra vita, che nessuno dovrebbe mai toccare senza permesso. Per Megumi, lo erano i suoi scarsi rapporti sociali: lei con le persone proprio non ci sapeva fare. O meglio, le piacevano finché la facevano sentire ammirata su un piedistallo e si sentiva autorizzata a non dar loro confidenza proprio in virtù della diversità di piani su cui insistevano. Chi per qualche motivo osava sentirsi un suo pari o – peggio – potesse a ragione vantarsi di essere migliore di lei, lo evitava senza rimpianti. Wakatoshi era l’unico a cui riconoscesse una superiorità e, complice la singolare natura della loro duraturo legame, l’unico che riuscisse a considerare un amico. Anche di più, nel suo particolare caso, ma non era quello il momento di crucciarsene. Tollerava a stento che fosse Wakatoshi stesso a farle notare la sua penuria di socievolezza, figurarsi la prima sconosciuta piombata fra capo e collo nella sua vita. Le montò in corpo la stessa identica rabbia che l’aveva spinta ad umiliare Scoiattolo in campo qualche mese prima e, come quella volta non aveva esitato a ferirla sportivamente, questa volta non intese affatto moderare l’affilatezza della propria lingua.
«Parla di solitudine quella che si è fatta chiudere in faccia tutte le porte del dormitorio! Non ti avrei voluta nemmeno io se Inoue non si fosse fatta improvvisamente proprietaria della mia stanza!»
Gli occhi di Scoiattolo non diventarono lucidi come l’ultima volta. Mantenne un contegno ed una determinazione ammirevole ma, involontariamente, confermò la teoria che Megumi aveva formulato all’amico il giorno prima e che da lui era stata disapprovata.
«Ne avevo tanti, di amici, prima che tu … prima che tu facessi quello che hai fatto!»
«Quindi dai la colpa a me perché hai voluto tingerti i capelli di rosa? Quanto sei infantile?»
«Do la colpa a te di aver fatto perdere alle mie compagne di squadra la fiducia che avevano in me! Ti do la colpa di avermi fatto dubitare della sincerità di quelli che mi stavano intorno! Ti do la colpa di avermi fatto trascorrere l’ultima metà dello scorso anno fuori dal club della mia scuola! Ma soprattutto, ti do la colpa di avermi fatto diffidare delle mie capacità, non ci cascherò di nuovo!»
«Se mi detesti così tanto, allora perché fra tutte le scuole della prefettura sei venuta ad iscriverti proprio qui? Saresti potuta andare al liceo Niiyama[1], ed avresti potuto prenderti la tua rivincita in campo. Ma, ahimè, credo che neanche con loro saresti riuscita ad averla vinta contro di me.»
Scoiattolo divenne paonazza per la collera. Strinse i pugni e boccheggiò a vuoto due o tre volte prima di riuscire a ribattere con la risposta definitiva.
«Sono fatti miei il perché sono venuta qui! E comunque non sperare di farmi desistere, questa stanza ormai è anche mia, non levo il disturbo fino alla fine dell’anno scolastico. Fino ad allora, mi dispiace, ma dovrai sopportare la mia presenza!»
Imbracciò il borsone che aveva già preparato e si sbatté la porta alle spalle, lasciando Megumi irritata e sola nella stanza che ormai non era più soltanto sua.
Mentre sbottonava la camicia meditò di telefonare immediatamente Wakatoshi e riferirgli cosa era appena accaduto, ma dovette subito riconsiderare l’idea. Per giustificarsi avrebbe dovuto parlare anche a lui di Hattori e per dirla tutta, l’amico non doveva assolutamente sapere nulla del bacio che aveva concesso al suo coach se non voleva perdere ogni chance con lui. Imprecò quando, per l’eccessivo vigore che aveva impiegato, un bottone saltò via dalla camicia rimbalzando dietro il letto. Non gli aveva mai tenuto nascosto qualcosa, ed era certa che lui sarebbe stato presto in grado di leggere oltre le sue bugie. Aveva le sensazione di aver imboccato un vicolo cieco.
~
«Allora, come va con Scoiattolo?»
Erano passate tre settimane da quando Megumi gli aveva annunciato che avrebbe giocato da titolare i preliminari degli interscolastici. Quando Wakatoshi le aveva fatto notare che non sembrava poi così felice come si aspettava, l’amica gli aveva menzionato di aver avuto – fra le altre cose – un battibecco con la compagna di stanza. Sospettava che non volesse rivelargli quale fosse stata la motivazione del litigio perché la ragazza sapeva bene di essere nel torto. In quei casi, per il proprio benessere, aveva imparato a lasciarla fare, ma buttò la domanda lì per interrompere il silenzio carico di tensione che si era creato fra lei e Tendou, colpevole di essersi seduto di punto in bianco accanto a lui a pranzo e di aver interrotto il loro momento di confidenza. A lui, in tutta sincerità, non dispiaceva affatto.
«Non ci parliamo da quella volta.» rispose giocherellando annoiata con un pezzetto di carne avanzata nel piatto.
«Eh?» s’intromise il centrale dando sfogo a tutto il suo potenziale da pettegola «E non avete provato a far pace, Sakurai-chan
Megumi arricciò il naso infastidita, ma si limitò a precisare acidamente che non aveva alcuna intenzione di riappacificarsi con Scoiattolo, nonostante quella stesse fingendo da un po’ che la discussione non fosse mai avvenuta e tentasse di parlarle con disinvoltura.
Apparentemente era la stessa di sempre, ma c’erano una serie di piccoli segnali che aveva iniziato ad osservare nell’amica che lo lasciavano talvolta perplesso. Innanzitutto, l’appetito: Megumi era capace di spazzolare quantità incredibili di cibo, tant’è che appena il suo corpo aveva iniziato ad essere rimodellato dall’adolescenza, aveva messo su dei cuscinetti sui fianchi che a stento teneva a bada con le numerose sessioni di allenamento a cui si sottoponeva. Il fatto che invece di mandare giù quel pezzetto di manzo ci stesse giocando era completamente fuori dalle sue consuetudini. Due: come conseguenza, era più pallida e smunta. Se non fosse stato per il fondotinta che adoperava copiosamente per coprirsi le lentiggini, sarebbe sembrata un cencio. Tre, continuava a guardarsi attorno con circospezione ed una certa inquietudine e a controllare il cellulare facendo attenzione che Wakatoshi non leggesse i messaggi che riceveva. Quattro: da un pezzo quando parlava con lui, si tratteneva. Sembrava sempre sul punto di dirgli qualcosa di importante, ma alla fine decideva di rimanere zitta o cambiare argomento. Era ovvio che gli stesse tenendo nascosto qualcosa che la tormentava, ma non se la sentiva di metterla alle strette a costringerla a confidarsi con lui, l’avrebbe solamente indispettita. Solo che a volte gli sembrava quasi spaventata da qualcosa, ed iniziava a preoccuparsi.
«Cosa fai oggi pomeriggio, Megumi-chan?» le domandò allora.
«Niente.» l’amica fece spallucce «Forse andrò in biblioteca a studiare, oggi che non ci sono allenamenti al club preferisco trascorrere meno tempo possibile con Scoiattolo.»
«Potresti venire a guardare i nostri.» le propose per cercare di tirarle su il morale.
«Sì, Sakurai-chan! Vieni a vederci!» approvò Satori con entusiasmo «Le ragazze fra gli spettatori hanno sempre un effetto benefico su Semisemi, poi s’impegna per fare bella figura!»
La questione Semi era piuttosto spinosa, ma si era aperta solamente a partire da quell’anno. Era stato il palleggiatore di Wakatoshi per tutto il periodo delle medie, poi al primo anno di liceo: era molto bravo e non gli sarebbe mai venuto in mente di lamentarsi di lui o delle sue alzate, ma da quando al club si era iscritto Shirabu, Washijou-sensei gli aveva sostituito la nuova leva senza esitazioni. Non l’aveva mai visto tanto furioso: i primi giorni evitava accuratamente di scambiare alcuna parola con il kohai, poi la rabbia era mutata in una quieta presa di coscienza dei fatti e in uno stato di perpetuo abbattimento. I palleggi di Shirabu erano certamente più efficaci ed affidabili di quelli di Semi, ma a Wakatoshi rincresceva che fosse stato escluso. Fra l’altro era un episodio che lasciava spazio alla riflessione: se Washijou avesse trovato fra i nuovi iscritti qualcuno di migliore degli attuali membri della formazione titolare, non si sarebbe fatto scrupoli e lo avrebbe sostituito come era accaduto a Semi. Al suo posto avrebbe potuto esserci chiunque, perfino Wakatoshi stesso, se non si fosse impegnato abbastanza.
Comunque, come sosteneva Tendou, le belle ragazze che assistevano gli allenamenti avevano sempre il merito di tirar fuori il meglio di lui, perciò non sarebbe stato male se Megumi si fosse fatta vedere da quelle parti.
Alla fine l’amica si era accucciata in un angolo sul palco che la palestra B ospitava e si era messa a scrutare ad uno ad uno i suoi compagni di squadra in azione. Questi ultimi, dal canto loro, gli chiedevano di continuo se fosse la sua ragazza e – alla successiva risposta negativa – se fosse single o già impegnata con qualcun altro. Wakatoshi non aveva considerato l’eventualità che un fenomeno simile potesse verificarsi quando l’aveva invitata, tuttavia il coach prese la situazione rapidamente in mano piazzandosi seduto proprio davanti a lei ed impedì che i ragazzi si distraessero continuando a ronzarle intorno.
Le sembrò che fosse leggermente più distesa: seguì la partitella di allenamento con attenzione lodevole, lasciandosi sfuggire un sorriso compiaciuto ogni volta che era lui a completare l’azione in fase di attacco. Lo faceva da quando erano bambini, e – nonostante fossero cambiate molte cose da quando lei correva a fare il tifo per lui durante i tornei fra bambini disputati nel minuscolo campetto all’aperto di Minamisaka – non riusciva a non trovarlo adorabile.
«Allora, che mi dici?» le domandò mentre gli altri lasciavano la palestra alla volta degli spogliatoi. Qualcuno la salutò timidamente con la mano, ottenendo in cambio un’occhiata scettica di entrambi.
«Sei sempre troppo schifosamente straordinario per questo mondo, Waka-nii.» commentò scuotendo il capo con rassegnazione. Le tese la mano per aiutarla a scendere dal palco, ma Megumi preferì saltare giù da sola. «Ma è stato ancora più straordinario scoprire che Secchione-kun in realtà non ha il naso geneticamente attaccato al libro. Iniziavo a credere che fosse nato così.»
«Cosa c’entra ora il tuo compagno di classe secchione?»
«Il vostro nuovo palleggiatore, quello del primo anno.»
«Shirabu è Secchione-kun
Megumi annuì con solennità. «Dovresti vederlo, Waka-nii. È un tutt’uno col banco. Non pensavo che fosse iscritto a nessun club, in tutta franchezza.»
«Effettivamente avevo sentito che non è entrato qui con una raccomandazione sportiva, e non ha frequentato le medie all’Accademia quindi … »
«Ha superato il test. Come ci si aspetta da un secchione.»
«A guardarlo non lo diresti … » considerò Wakatoshi osservandolo sfilarsi le ginocchiere. Il più giovane si accorse di avere addosso gli occhi dei due amici e, tutto imbarazzato, finse di doversi riallacciare le scarpe e si concentrò sui lacci.
«Non diresti nemmeno che è così bravo. Vuoi fare a cambio con Kurihara?»
«Kurihara ve la tenete voi. Non saprei che farmene di una che fa doppia in bagher.»
«Non era un modo di dire pallavolisticamente scorretto?» lo citò divertita.
«Comincio a credere che non sia solo un modo di dire. Ad ogni modo sono contento, Megumi-chan. Ti ho vista più tranquilla questo pomeriggio, mi stavi facendo impensierire.»
Shirabu passò accanto a loro per raggiungere l’uscita e li salutò con un inchino goffo e frettoloso prima di scappare via.
«Sono sempre tranquilla.» mormorò l’amica, sforzandosi di essere disinvolta.
«È ovvio che non lo sei, ti si legge in faccia che hai i nervi a fior di pelle. È per colpa di Scoiattolo?» le domandò mentre si allontanavano in direzione dell’uscita.
«No, quella non c’entra niente.»
«Allora è successo qualcosa al club?»
Megumi sembrò nuovamente sul punto di dirgli qualcosa ma si morse un labbro davanti alla porta degli spogliatoi, dove avrebbe dovuto salutarlo. Come al solito, alle fine non disse nulla.
«No, è tutto uguale.» dichiarò con poca convinzione «Waka-nii, ti dispiace se ti chiedo di farti la doccia su al dormitorio e di venire via con me adesso? Non voglio tornare da sola ora che si sta facendo buio.» lo pregò invece con un tono docile che sentiva raramente. Non era il solito capriccio da ragazzina innamorata, né un modo per attirare la sua attenzione a discapito delle sue nuove conoscenze, ebbe l’impressione quasi che fosse una richiesta d’aiuto. E se quello era l’unico tipo di aiuto che poteva darle, non aveva alcuna intenzione di negarglielo. Le rivolse un sorriso comprensivo.
«No, non mi dispiace.» la rassicurò accarezzandole affettuosamente i capelli «Vado a prendere le mie cose e possiamo andare.»
~
I cori degli spalti la infastidivano, più che rincuorarla, ed in quel primo sabato di giugno al Sendai City Gymnasium faceva così caldo che perfino respirare stava diventando difficile. Colpire la palla dalla zona 4 doveva essere teoricamente semplice con di fronte un muro basso come quello approntato dal liceo Gensai, ma Kurihara era così prevedibile che perfino quelle avversarie notoriamente scarse riuscivano a marcare con facilità le schiacciatrici. In tutta sincerità, era anche stanca di saltare a vuoto. Aspettava palle che raramente arrivavano, il più delle volte si ritrovava senza volerlo ad essere l’esca che distoglieva l’attenzione da Yoshida, che segnava da sotto rete un punto dopo l’altro ripetendo di continuo la stessa fast e guadagnandosi le lodi degli spettatori. Dopo esserci cascate per tutto il primo set, ora le ragazze della Gensai si stavano adattando al loro ritmo. Messa alle strette dalle circostanze, Kurihara tentò di alzarle finalmente una palla, ma il palleggio era tanto basso e scadente che la sua schiacciata rimbalzò sulle dita della centrale avversaria e ricadde nella loro metà del campo, a pochi centimetri dal braccio teso di Scoiattolo.
Con la coda dell’occhio scorse Hattori non battere nemmeno un ciglio per manifestare il proprio disappunto per l’errore. Quando però si accorse che Megumi lo stava guardando, scoprì la di denti ingialliti dalla nicotina in un ghigno che la fece rabbrividire di paura.
Non ne poteva più. Doveva uscirne, in ogni modo.
Da quando ad aprile aveva accettato lo scambio del coach, la situazione era rapidamente precipitata. Hattori ne aveva preteso un altro per farla rimanere nonostante le proteste delle sue compagne, un altro ancora quando aveva abbandonato il campo dopo aver aggredito Kurihara, un altro ancora quando aveva sofferto per uno stiramento al trapezio della spalla destra e non aveva potuto allenarsi a pieno regime per una settimana. Ne aveva pretesi e ricevuti così tanti che ormai Megumi aveva perso il conto e lui aveva smesso perfino di chiedere, prendeva e basta. Ed erano baci sempre più audaci, durante i quali ormai non voleva più saperne di tenere le mani a posto, ultimamente aveva avuto paura che potesse iniziare a esigere un prezzo ancora più alto. Più di una volta l’aveva minacciata di rovinare la sua carriera sportiva macchiandola di calunnie se non avesse acconsentito alle sue richieste, più spesso di quanto volesse le ricordava che se non avesse collaborato o se avesse parlato con qualcuno, non si sarebbe limitato a punirla con gli schiaffi o gli strattoni che le riservava ogni volta che opponeva resistenza.
Megumi era terrorizzata da Hattori. Le mani le tremavano e sudavano freddo, la vista le si appannava, dimenticò perfino di avere caldo. Cosa le avrebbe chiesto questa volta per rimediare all’errore? Si malediva ogni giorno per aver accettato quel ricatto: di certo non aveva giovato alla sua ambizione. Non era in quel modo che voleva giocare: nessuna delle ragazze si fidava di lei e, a parte i timidi tentativi di Scoiattolo, nessuna le si avvicinava. La guardavano tutte con sospetto e disprezzo e più di una volta aveva temuto che qualcuna sapesse qualcosa del modo in cui era arrivata nel sestetto iniziale. E neanche l’idea di mollare la formazione titolare era vantaggiosa: il coach avrebbe preteso comunque qualcosa perfino per rimanere in panchina, glielo aveva fatto presente in uno dei numerosi messaggi che le inviava ad ogni ora del giorno e della notte. Non poteva parlarne a Wakatoshi, non poteva parlarne alla sua famiglia, non aveva alcuna voglia di parlarne con le compagne di squadra.
Riuscì a stento a concentrarsi abbastanza per approfittare di una buona alzata di Kurihara e infilare nei tre metri una diagonale, riprendendosi il punto che aveva perso. Giocò il resto del set con il cuore in gola, temendo quasi che la palla le si avvicinasse e lei fosse costretta a colpirla male. Salutò il fischio del 2-0 con estremo sollievo e si unì alle altre per inscenare la recita dell’esultanza. Ascoltò Hattori propinare alla squadra le consuete quattro parole di rito, come se gliene importasse effettivamente qualcosa della loro vittoria. Rabbrividì ancora quando lo udì pronunciare il suo nome con tono serio.
«Sakurai, dobbiamo parlare, fuori di qui.»
Kurihara ridacchiò e mormorò qualcosa nell’orecchio di Okamoto, la più giovane delle due manager. Megumi avrebbe voluto prenderle entrambe a schiaffi: non avevano idea di cosa Hattori intendesse quando diceva di voler “parlare con lei”. Scoiattolo cercò di difenderla, incolpandosi personalmente di non aver raggiunto la palla prima che toccasse terra, ma Hattori era sordo a qualsiasi tipo di giustificazione: bramava solo ardentemente di poterle rimettere le mani addosso.
Sotto il flusso di acqua bollente della doccia, cercò di strofinare scrupolosamente ogni porzione della sua pelle che le mani e le labbra del suo coach avevano toccato, finché la zona interessata non si arrossava e cominciava a farle male. Questa volta ci era andato molto vicino, lei si era un po’ ribellata e le cose erano finite per il meglio, se meglio si poteva definire il ceffone che le aveva tirato prima di lasciarla andare. Ma le aveva anticipato:
«La prossima volta che ne combini una, dovrai impegnarti molto di più per farti perdonare.»
Osservò depressa il proprio riflesso nello specchio, appena uscita dalla doccia. Con sommo orrore si accorse, dopo aver scostato i capelli, di avere un segno rosso scuro fra la clavicola sinistra ed il collo. Quel maiale si era preso la libertà di farle un succhiotto e lei non era nemmeno stata in grado di riconoscere il dolore pungente che aveva provato in quel momento, per via della paura che aveva monopolizzato tutti i suoi organi di senso. Un succhiotto! Come se lei fosse una sua proprietà che – come tale – fosse sottomessa ad ogni suo più inconfessato e sudicio desiderio!
Si sentì ripugnata da se stessa, da quello che stava facendo, dallo sport che stava praticando. Se si fosse iscritta al liceo femminile Niiyama, come la sua famiglia e Wakatoshi le avevano più volte consigliato, le cose sarebbero state certamente diverse. Aveva scelto di rimanere vicina all’amico d’infanzia ad ogni costo e quelle erano state le disastrose conseguenze delle sue scelte.
Non valeva nemmeno più la pena lottare, l’ambizione che fin’ora aveva guidato ogni suo passo non serviva più a nulla, giocare non le serviva più a nulla. Era tutto sbagliato.
Alla fine di quel torneo si sarebbe spontaneamente ritirata dalla squadra e chiuso definitivamente con quella storia. Poco contava che avrebbe perso la borsa di studio sportiva, che non sarebbe riuscita a ripagare il prestito d’onore che i suoi genitori avevano dovuto chiedere alla banca per sostenere la retta esosa dell’accademia, loro li avrebbe affrontati quando lo avrebbero scoperto.
Se il giorno successivo avessero perso la partita contro l’istituto Shimaoka, tanto meglio: quel supplizio si sarebbe concluso in anticipo. Non le veniva nemmeno da piangere: aveva solamente voglia di tornare a casa, in mezzo all’orticello di nonna Ushijima e al canto delle cicale di luglio, farsi abbracciare da Wakatoshi come quando erano bambini e sentirsi sussurrare da lui che andava ancora tutto bene.
 
 

[1] LIEVE SPOILER PER CHI SEGUE SOLO L’ANIME! Il Liceo Niiyama è una scuola femminile della prefettura di Miyagi. La sua squadra femminile di pallavolo vince i preliminari degli interscolastici e del torneo nazionale primaverile ogni anno da ben tre anni. Insomma, queste ragazze sono il meglio della pallavolo femminile di Miyagi.

NOTE FINALI

Non ci credo nemmeno io che ho postato un altro capitolo! Innanzitutto voglio ringraziare tutti quelli che hanno dato una possibilità al primo, non mi aspettavo il minimo successo ed invece sono stata piacevolmente sorpresa! Grazie mille, mi fate recuperare un pochino di fiducia in me stessa, che scarseggia.
Questo capitolo è un po' pesantuccio, per le tematiche (lo riconosco) e si ha l'impressione che accada tutto molto in fretta: quella di tagliare le molestie di Hattori e limitarmi a degli accenni successivi è stata una scelta dettata dalla necessità di non rendere troppo melò e tragica la storia, anche se alcuni particolari sono rimasti piuttosto chiari. Insomma, questo è un capitolo in parte di transizione ed in parte necessario al meccanismo della trama, spero non sia risultato noioso.
Il prossimo posso assicurarvi che è più leggero: debuttano nuovi personaggi, il punto di vista principale cambia e se tutto va bene potrebbe anche far sorridere un pochino. Al momento sono in piena sessione estiva, ma cerco di fare del mio meglio. Che poi perché l'ispirazione arriva sempre sotto esame?
Ad ogni modo, se il capitolo vi è piaciuto, se ve la sentite lasciatemi una recensioncina: non c'è bisogno che sia un saggio sulla letteratura post moderna (ne ho già letti abbastanza), perciò non sentitevi intimoriti :( Se non vi è piaciuto per favore siate buoni che ho il cuore debole. ^^'
Se ci sono i miei soliti bellissimi errori di distrazione/battitura segnalatemeli, pare che nonostante le decine di riletture qualcuno mi sfugga sempre!
Un bacio e alla prossima! ♥

   
 
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