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Autore: yua    08/06/2017    2 recensioni
Tesurou Kuroo ha una gran passione per le cose usate, per quelle che tutti gli altri considerano ormai senza valore.
Le va a cercare, passa giorni e giorni a cercare di rimetterle a posto ed è una cosa che lo riempie di soddisfazione.
Kenma Kozune è un ragazzino che ha tanto l'aspetto di quelle cose che affascinano tanto Kuroo.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Come le luci di Natale





Che Kenma amava il Natale, Kuroo lo aveva intuito presto.
Certo, non che il più giovane gli offrisse molte possibilità di parlarne, solo che, come per tutto il resto, aveva imparare a tradurre quel suo modo peculiare di comunicare nella lingua che chiunque altro avrebbe usato. Ma Kenma era così, e Kuroo si era accorto di essere intimamente fiero della propria capacità di trasformare in parole e discorsi gesti infinitamente piccoli che nessun altro pareva neppure notare.
Nelle settimane che precedevano quella strana festa, tutto il corpo di Kenma sembrava aver assunto una posa diversa, sembrava felice in una maniera ancora completamente inedita: per una volta tutti sembravano essersi accorti che per lui stava succedendo qualcosa di bello – anche Bokuto gli aveva chiesto che cosa avesse, con quel suo sorriso spensierato, sinceramente contento che qualcosa di buono evidentemente stava accadendo.
Per Kuroo, invece, il Natale non aveva mai avuto chissà quale attrattiva: era sempre stato anzi un giorno decisamente triste in cui mamma faceva di tutto per non fargli sentire la mancanza di papà, che non aveva tempo da perdere con loro nemmeno in quello che doveva essere un giorno di festa; mamma non se ne accorgeva, ma così non faceva che rendere quell'assenza ancora più enorme, ancora più ingombrante.
Da quando aveva lasciato la casa di mamma avevano anche smesso di festeggiarlo, lei andava da qualche amica, lui in giro ad ubriacarsi. Era stato probabilmente un sollievo per entrambi, anche se nessuno dei due aveva avuto il coraggio di dirlo a voce alta.
Era stato dunque un po' perplesso, Kuroo, nell'accorgersi dell'entusiasmo silenzioso di quello che ormai considerava a tutti gli effetti il suo compagno; ma se Kenma amava il Natale Kuroo avrebbe fatto qualunque cosa pur di farlo sorridere. E poi era sempre felice di costruire nuovi ricordi con lui, nuovi momenti speciali tutti per loro.


Kenma sapeva bene che quel piccolo segreto, il motivo profondo per cui era così affezionato a quella sera, lo condivideva soltanto con Suga e Daichi. E non per qualche motivo particolare, ma semplicemente perché erano stati loro due a regalargli quella possibilità.
Nessun altro avrebbe potuto sapere a che cosa fosse legato quel suo entusiasmo: come per la maggior parte delle cose che lo riguardavano, non vedeva per quale motivo avrebbe dovuto raccontarlo a qualcuno, rovinando la magia del ricordo e delle sensazioni con parole che non avrebbero potuto essere all'altezza... eppure si era reso conto di desiderare ardentemente che Kuroo lo capisse lo stesso.
Ci teneva così tanto a condividere quella piccola e preziosa giornata con lui che pensava davvero che avrebbe potuto sforzarsi, che per una volta avrebbe potuto rendergli le cose facili. Ma la verità era che gli si scioglieva il cuore ogni volta, ogni volta che quel buffo ragazzone gli dimostrava di capirlo, di capire davvero che cosa potesse volere dalla vita, che cosa potesse pensare, cosa sognava, cosa lo spaventava. Era diventato profondamente egoista, e profondamente dipendente da quelle sensazioni, da quelle conferme, da quelle piccole attenzioni che diventavano certezze necessarie alla sua sopravvivenza. Si sentiva felice ogni volta per il semplice fatto che ci provasse – e che ci riuscisse, a capirlo profondamente: nonostante tutto non riusciva ancora a credere completamente che quella sensazione che gli scaldava lo stomaco, che lo faceva sorridere come uno stupido, che lo faceva sentire a casa ogni volta che passava del tempo con l'altro fosse condivisa. E ogni volta che Kuroo scopriva un altro tassello di quel complicato puzzle che era la sua vita, Kenma sentiva il cuore impazzire e la paura e la diffidenza e la sensazione di dover rimanere costantemente in allerta allontanarsi.
Aveva dunque pensato davvero di parlare apertamente, per una volta: e l'occasione venne una sera, quando mentre erano a letto a guardare un film alla televisione Kuroo gli aveva chiesto chiaramente per quale motivo fosse così affezionato ad una festa che nemmeno apparteneva alla loro cultura. Come spesso accadeva, lo stava avvolgendo tra le sue braccia, e nella perfetta sicurezza che gli dava la consapevolezza della presenza di lui si era deciso a provare a rispondere.
Si era immobilizzato e aveva preso un piccolo respiro, aveva appena socchiuso le palpebre, e aveva sfogliato le pagine dei suoi ricordi per cercare attentamente le parole, al ritmo costante del cuore di lui: ma come spiegare la sensazione di quella sera quando, ancora decisamente troppo giovane, aveva ricevuto la chiamata di un cliente – ti supplico mamma... ti prego... - no tesoro, ha già pagato, è venuto e ha chiesto proprio di te, soldi in mano – una carezza sul viso e un sorriso di circostanza.
Che parole usare per spiegare che era Natale e sembrava uno stupido film di quarta categoria?
Come spiegare il viaggio in autobus fino a casa del cliente, con la sensazione di sporco che gli si irradiava già attraverso il corpo, come spiegare il modo in cui tentare di anestetizzare l'umiliazione, la disillusione, la voglia di vomitare? Come spiegargli che se il disgusto saliva già prima di arrivare allora dopo sarebbe stato insopportabile, la bile che minacciava di risalirgli nella gola, lo stomaco contratto? Che parole si usano per spiegare la propria vita a qualcuno che si desidera intensamente non la conosca mai?
Quella notte aveva salito le scale fino ad arrivare alla porta che gli era stata indicata: aveva pagato per tutta la notte, aveva detto lei, sperava solo di ritardare un pochino l'inizio di tutta quella lunghissima prova, mentre pensava che probabilmente l'uomo di mamma si era fatto dare più soldi visto che il quartiere era abbastanza decente, che lui era minorenne, che era aveva chiesto proprio lui, che era una notte di festa.
Come si spiega a qualcuno che ha avuto una vita normale che lui invece non aveva mai visto le luci sull'albero di natale brillare a quel modo fino a quando quello strano, strano uomo non aveva aperto la porta di casa?
«Scusami» gli aveva detto mentre rimaneva sull'uscio e gli lasciava il tempo di rendersi conto di quello che poteva star succedendo «non sapevo se avresti festeggiato. Ed è una festa così bella che... pensare a te che te la saresti potuta perdere mi faceva sentire molto triste».
Kenma non era mai stato a casa di Suga fino a quel momento: lo aveva sempre visto soltanto al locale, e con grande confusione si accorse che stava sbirciando oltre la porta ormai spalancata – Suga gli sorrideva quasi con timidezza stavolta, e dopo il primo passo all'interno si rese conto che c'era Daichi, il suo compagno, che stava apparecchiando la tavola per tre – dietro un enorme, magnifico, luminosissimo albero, uno più bello di tutti quelli che avesse mai visto, più bello di quelli dei negozi in centro, più bello di quelli nelle case di chi lo comprava per qualche ora.
Per un attimo solo, Kenma aveva tremato. Per un lunghissimo istante ci aveva creduto davvero che anche lui in fondo era come tutti gli altri, che tutti i sorrisi, tutte le premure e le gentilezze erano solo un modo per sentirsi meno in colpa in quel momento, quando lo avrebbe trattato esattamente come tutti gli altri. Era stato un istante solo, in cui si era accorto di quanto la delusione gli stesse spezzando il cuore e il fiato, era stato un istante solo in cui si era reso conto di quanta fiducia, lentamente, avesse affidato a quell'uomo. Di quanto ci aveva creduto, di quanto si fosse legato alla prima persona che gli aveva mostrato una gentilezze incomprensibili... di quanto piano piano l'affetto fosse diventato reale.
E allora Suga aveva sorriso, e Daichi lo aveva salutato, e si erano guardati, incerti per un momento ancora di quella che poteva essere la sua reazione. E Kenma sapeva poco della vita degli altri, conosceva solo frammenti rubati per caso, ma lo aveva capito che quello che volevano da lui non era niente di simile a quello che conosceva, e che nessuno quella notte lo avrebbe usato, che non sarebbe stato un oggetto, che non lo avrebbero umiliato, che non gli avrebbero chiesto di recitare una parte, che non avrebbe dovuto fingere un coinvolgimento o una passione che non credeva di poter provare davvero. Aveva capito che avevano davvero preparato una cena, che gli avrebbero dato davvero la possibilità di godere di una serata tranquilla.
E lo sapeva che a quel punto avrebbe dovuto rispondere che la carità non gli serviva, che non gli serviva la compassione, che non aveva bisogno di nessuna elemosina, che faceva quello che voleva; ma quella stanza profumava di casa, di caldo, di buono, di affetto, e il sorriso di Suga non parlava di pena, ma di un sentimento profondo e incondizionato e di una voglia altrettanto profonda di condividere la propria fortuna proprio con lui.
E Daichi aveva uno sguardo che parlava dell'amore radicato per il compagno, e di fiducia, e di un milione di possibilità che non aveva mai saputo di avere.
E allora per una volta non gli importava che Suga avesse pagato per il suo tempo, non gli importava che non gli avesse dato la possibilità di scegliere: quella sera era solo un ragazzino che per la prima volta sperimentava una famiglia, e il cibo fatto in casa, e le prese in giro bonarie, e le chiacchiere, e le risate. E poi i regali che Suga e Daichi si erano scambiati, e quelli fatti a lui, e poi giocare alla playstation di Daichi con i giochi che gli avevano regalato – puoi lasciarli qui e venire a giocare quando vuoi.
Kenma era stato felice. E l'amore spassionato di Suga era inspiegabile, era inspiegabile con quanta facilità lo avessero accolto pur essendo lui soltanto un ragazzo di strada. E Daichi aveva parlato con lui come non sapesse che mestiere faceva, e gli aveva spiegato come battere i mostri del gioco e solo dopo gli aveva dato il suo biglietto dicendogli di chiamarlo per qualunque cosa, per qualunque problema in qualunque momento. E Kenma aveva capito che era vero, che sarebbe arrivato davvero.

Come spiegare che quella, nella sua estrema semplicità, era stata fino a quel momento la sera più bella della sua vita? Loro lo sapevano, e non aveva mai creduto di voler dividere quel ricordo tanto prezioso con altri.
Ma come dirlo adesso, come spiegarlo a Kuroo che tutto lo schifo della sua vita di prima non poteva nemmeno immaginarlo? Come spiegare la bellezza di una giornata normale, di una cena in famiglia, con qualcuno che sorride solo perché è felice di averti lì?
Le parole si erano perse di nuovo, le emozioni e i ricordi si erano aggrovigliati in tal modo da sembrare inestricabili, e prima di farsi prendere dal panico si era stretto nelle spalle, aveva guardato Kuroo negli occhi e aveva fatto un minuscolo e appena intuibile sorriso.


Kenma si illuminava ogni volta che vedeva le luci natalizie in giro per la città, questo era un dato di fatto, e Kuroo doveva sapere il perché.
Nel locale di Suga avevano messo decorazioni ovunque, e Kuroo aveva notato in che modo il suo Kenma si era impegnato nel sistemarlo; certo, poteva dire di aver imparato da solo tutto quello che c'era da sapere sul biondino, ma stavolta davvero non riusciva a superare il muro che lo circondava. Si era accorto che c'era qualcosa da sapere, ma per una volta stava gettando la spugna e chiedendo aiuto per risolvere quel nuovo enigma.
Koushi Sugawara era una persona decisamente particolare: aveva un sorriso gentile e una lingua tremendamente velenosa, una generosità senza misura e il sangue freddo di chi ha a che fare con criminali da tutta la vita; ed il suo compagno, Sawamura Daichi, lo metteva ancora un po' in soggezione con la sua espressione seria da persona che non esiterebbe un attimo ad uccidere un uomo se avesse pensato che questo avrebbe potuto aiutare le persone che amava. E c'era da riconoscere che entrambi erano profondamente affezionati al piccolo Kenma.

Era un giovedì sera quando Kuroo, entrato nel locale di Suga e trovandolo solo, aveva preso la sua decisione.
«Sugawara.»
Suga aveva alzato gli occhi dal bancone che stava ripulendo.
«Ho deciso di fare una sorpresa a Kenma».
Il sorriso che gli regalò Suga gli fece capire che aveva scelto le parole giuste, che aveva trovato un alleato. Allora aveva lasciato perdere con le pulizie, aveva dimenticato lo straccio e aveva preso posto accanto a lui; aveva invitato il moro a raccontargli quello che pensava di sapere e con la voce bassa e il sorriso sulle labbra gli aveva raccontato la storia, e Kuroo si era fatto spiegare il resto, si era fatto raccontare come avrebbe potuto rendere tutto perfetto – dal cibo alle decorazioni, ogni dettaglio che avrebbe reso tutto ideale.
Suga gli aveva scritto tutto, e Kuroo aveva di cominciare dallo sviluppare le sue sopite doti di pasticcere: quanto poteva essere difficile preparare una teglia di biscotti? Evidentemente molto più del previsto.
La sera, quando dopo il turno Kenma era tornato a casa, aveva cercato di mascherare il disastro che aveva combinato, ma l'odore di plastica bruciata era difficile da nascondere, soprattutto mentre cercava di tirarla via dal forno con uno strano attrezzo di metallo. Ma non era stata colpa sua, nessuno gli aveva detto che quel coso era di plastica, sembrava potesse davvero andare in forno!
Sicuramente Kenma aveva apprezzato meno di Bokuto l'originalità delle sue imprecazioni mentre tirava via plastica e impasto liquido di biscotti - che liquidi non avrebbero dovuto essere.
Sul tavolo della cucina, già pieno di roba normalmente, c'erano ingredienti sparsi e rovesciati, e lui si sentiva davvero stupido mentre cercava in qualche modo di non peggiorare la situazione. Non aveva avuto il coraggio di alzare gli occhi sull'altro, leggermente umiliato per aver fatto quel casino, ma se lo avesse fatto lo avrebbe trovato che gli rivolgeva un sorriso tenero e incredulo, e probabilmente avrebbe lasciato tutto lì e lo avrebbe portato a letto per farsi perdonare in un modo più consono a lui.
Aveva provato a giustificarsi, e solo allora aveva alzato lo sguardo: ma Kenma aveva arricciato il naso e si era mosso con la solita facilità nel loro piccolo appartamento per andare a spalancare le finestre.
Kuroo non lo sapeva che, sotto lo strato di nausea che aveva colpito il più giovane, il cuore gli si era sciolto quando aveva capito che cosa aveva provato a fare per lui.
Quel tremendo odore aveva infestato la stanza per giorni, e Kenma – che era estremamente sensibile agli odori, e spesso molto capriccioso – si era lamentato moltissimo a modo suo, facendogli notare che dovevano scegliere se morire assiderati o soffocati dalla puzza. Arricciava il naso e socchiudeva gli occhi ogni volta che rientrava, si appallottolava nelle coperte e lo guardava male ogni volta che gli chiedeva di uscire da lì.
Ma nonostante le frecciatine, in fondo era intimamente felice: aveva una scusa in più per stringersi contro il petto di Kuroo la notte, facendosi minuscolo contro il corpo di lui – è solo per non sentire quello schifo di puzza, sembrava un'ottima giustificazione – e giustificarsi sembrava ancora necessario, dal momento che non riusciva davvero a credere di meritarselo, un Kuroo nella sua vita. E continuava anche se erano passati giorni e di quello sgradevole odore davvero non c'era più traccia. Kuroo sorrideva e non faceva domande, annegava nel profumo del suo shampoo e si lasciava cullare dal suo respiro contro la propria pelle.

A Kenma il Natale piaceva moltissimo, e osservandolo nei giorni immediatamente precedenti Kuroo aveva anche pensato di aver capito il perché: sembrava ancora un bambino quando gli si riempivano gli occhi di meraviglia, quando la sua espressione si distendeva in un mezzo sorriso, quando socchiudeva gli occhi e muoveva appena la testa al ritmo di una qualche canzone occidentale dalle parole incomprensibili.
Kuroo avrebbe tanto voluto regalargli il mondo intero, avrebbe voluto bloccare quel momento e incartarlo in una brillante carta rossa, chiusa con un grosso fiocco solo per vederlo sempre così – Kenma lo aveva capito e aveva provato a dirgli che non voleva niente di più di quello che avevano, che non voleva niente se non stare a casa con lui sotto le coperte, a fare l'amore e a sentirlo parlare della sua vita normale e fantastica, a giocare a qualche videogioco senza doversi alzare, a viversi semplicemente ogni giorno. Kuroo, lui che capiva sempre tutto, sembrava non accorgersi di questa enorme e semplicissima verità: gli aveva permesso di riappropriarsi della vita, nessuno sarebbe mai stato in grado di fare altrettanto, non c'era nient'altro che potesse davvero interessargli.
Ma, di nuovo, non aveva parole per questo, quindi si accoccolava contro il suo corpo e sospirava con gli occhi chiusi.


Dopo l'incidente col forno e la plastica che aveva commesso l'indicibile reato di non aver avvertito in qualche modo Kuroo di non poter essere messo in forno, Kenma pensava che le sortite del compagno in cucina fossero finite.
Per questo mentre tornando a casa si rese conto che il pianerottolo era invaso dall'odore di biscotti, rimase immobile e perplesso davanti alla porta con le chiavi in mano.
Sentì che Suga stava sgridando qualcuno – evidente che dovesse essere Kuroo – e che si lamentava della quantità assurda di aggeggi completamente inutili riposti, poggiati, appesi, sparsi senza nessun criterio in quella che ci vuole davvero tanta fantasia a definire cucina!
Si decise ad entrare solo quando sentì Suga proporsi di sistemare almeno quel piccolo angolo – e Kenma aveva sentito sin fuori la porta i brividi che dovevano aver attraversato il corpo di Kuroo, terrorizzato da quello che avrebbe potuto fare lo strano barista dai capelli bianchi e il sorriso ingannatore in una sessione di pulizia intensiva in casa loro.
Appena aperta la porta le voci cessarono, e l'odore di biscotti lo investì letteralmente – ed era il profumo giusto, stavolta, erano proprio quelli che ricordava ancora bene da quella prima volta, erano proprio quelli che sapevano di festa: a confronto con l'atmosfera che c'era fuori, lì dentro era un delirante angolo di sogno, con un piccolo alberello appoggiato su una cassettiera e decorazioni appese in giro, con angeli e fiocchi di neve, e alberelli e renne appesi a fili drappeggiati in giro. Chiunque altro probabilmente si sarebbe impiccato solo a muoversi, ma per Kenma quella era una cosa davvero magnifica – anche se non stentava ad immaginare per quale motivo Suga lo avesse minacciato.
Suga aveva in una mano un mestolo abbozzato e un cucchiaio di legno scheggiato nell'altra con i quali sembrava minacciare Kuroo. Aveva un'espressione terribilmente decisa, e Kenma sapeva che difficilmente avrebbe cambiato idea a quel punto: non avrebbe voluto trovarsi al posto del compagno, considerando quanta fatica avrebbe fatto a fargli cambiare idea.
Rimase immobile sulla porta, con un sopracciglio alzato: il moro aveva un'espressione che era un inedito mix di sollievo e raccapriccio nel guardarlo.
«E tu che ci fai qui? Sono abbastanza sicuro che il tuo turno finisce alle nove e mezza» gli disse Suga, che non sembrava per niente sicuro della legittimità della sua presenza in quella che, a tutti gli effetti, era la casa in cui viveva.
«Sono le dieci» rispose sempre più perplesso, ma sicuro dell'orario.
Suga alzò gli occhi verso l'orologio a parete, che segnava le otto meno venti.
«Rotto» rispose Kenma alla domanda non formulata.
«Ma allora è tardissimo!» lanciò uno sguardo terribile a Kuroo «tu e la tua mania di accumulare cianfrusaglie e ciarpame! Almeno aggiusta le cose che... ma che te lo dico a fare! Un giorno entrerò qui e darò una bella sistemata. Oh sì, è inutile che mi guardi a quel modo, signorino. Ti pare il modo di far vivere un'altra persona?» Chiese indicando Kenma – che avrebbe anche detto che non gli interessava il disordine, se solo fosse stato interpellato. Ma ovviamente in quel momento per Suga non era importante. «Quando suona il timer, se almeno quello funziona, spegni il forno. E lascia tutto dentro per una mezz'ora. E nel frattempo metti via le cose a cui tieni, perché non saprai quando entrerò qui dentro e mi metterò a ripulire tutto. Oppure rendi questo posto abitabile, e allora ci posso ripensare. E adesso me ne vado, ho promesso a Daichi che... va beh, questo non vi interessa.» in un attimo aveva recuperato il cappotto e le scarpe, aveva sorriso a Kenma con affetto e aveva chiuso la porta alle proprie spalle.
Kenma aveva ancora la propria giacca in mano, e in qualche modo stava cercando spiegazioni a quella che era stata una scena al limite del surreale.
«Volevo farti una sorpresa» disse l'altro dopo svariati minuti di immobile silenzio, con gli occhi bassi sulle proprie scarpe. «Volevo mettere qualche decorazioni, e farti trovare pronti i biscotti, visto che sapevo che mangiavi al locale... e Suga aveva detto che era una ricetta facile, e che sono questi quelli che ti piacciono di più, e che mi avrebbe dato una mano, e che era una bella idea... e non pensavo di metterci tanto, e Suga mi ha sgridato perché ho comprato gli ingredienti sbagliati, e perché dice che così ho solo peggiorato il casino che c'è in questa casa e... e mi fa un po' paura a volte, ma dopo il disastro dell'ultima volta io... ma Daichi lo fermerà, vero? Gli impedirà di venire a buttar via tutto, vero?» Si guardò intorno allarmato.

Kenma non era bravo con i sentimenti, non riconosceva bene le emozioni e non sapeva come trattarle, come viverle; ma mai come in quel momento era sembrato necessario lasciare che una risata scivolasse fuori dalle sue labbra, o lasciar cadere il cappotto e dimenticarsi di togliere le scarpe per correre tra le braccia di quel Kuroo così preoccupato per la propria collezione di storie e di vite, di quel Kuroo che tanto si era impegnato per offrirgli qualcosa di cui non poteva capire fino in fondo l'enormità, che parlava tanto, che viveva intensamente, che rideva con gli occhi e che si agitava nel sonno.
Non era bravo con le parole, coi gesti, con le emozioni, eppure in quel momento si sentì libero di essere semplicemente grato al mondo per quello che gli era stato offerto – Kuroo che faceva i biscotti per lui, Kuroo che provava a decorare un appartamento piccolo e già pieno, Kuroo che cercava di comprenderlo senza chiedergli di parlare troppo, Kuroo che gli offriva il mondo e la vita.
Kuroo, che era quella notte di Natale, che era l'albero colorato, che era la cena fatta in casa, le luci che brillavano: Kuroo che era ogni cosa bella della sua vita e molto di più.
Kuroo, che doveva saperlo, era giusto che lo sapesse ma... erano troppe parole, e Kenma non ne aveva abbastanza, erano parole difficili e non le conosceva, non sapeva dirle; erano troppo intense, erano troppo in profondità radicate nel fondo della sua pancia, e del suo stomaco, e del cuore, e in ogni altro angolo del suo corpo.
Kenma non aveva parole per spiegarsi, non conosceva discorsi o argomenti per farsi comprendere: così decise semplicemente che avrebbe lasciato la parola ai suoi gesti, offrendosi completamente ad uno dei suoi abbraccia scaccia-paure, ad un bacio leggero proprio all'angolo del suo sorriso, alla promessa scritta negli occhi di una felicità sottile e bellissima, che non sarebbe stata spezzata mai.














Okay, è venuta una cosa molto più mielosa di quello che avevo inizialmente pensato per questa storia: nel senso, all'inizio Kuroo voleva davvero morire.
Nessuno sentiva il bisogno di questa storia, lo so, soprattutto considerando la quantità di reazioni ottenute alle precedenti storielle. Va beh, probabilmente non è importante. Mi dispiace per il piccolo Kenma, mi dispiace per il piccolo Yama, mi dispiace anche per Suga in realtà, ma anche se qualcuno dovesse leggere questa cosa non saprebbe a cosa mi riferisco, quindi... niente, poveri piccini, vorrei abbracciarli tutti.
Comunque, se qualcuno apprezza o non apprezza e volesse farmelo sapere sarei molto ben felice... ad ogni modo, mi sto un sacco affezionando a questa au, ho un sacco voglia di scrivere la tukkiyama e la (le) daisuga. Perché lo comunico? Boh.
Grazie a chi legge, a chi mette tra preferiti/seguiti/ricordati. So che ci siete, so chi siete, vi voglio un pochino bene anche se non mi fate sapere cosa c'è di buono o di non buono.
Bacibaci!
Ps, stavolta l'ooc è davvero evidente, lo so, ma non mi andava di sbatterci troppo la testa di nuovo, quindi niente, ormai è così. Ovviamente se qualcuno ha suggerimenti ben vengano, indi per cui probabilmente mi devo rivolgere solo a nanas, credo
  
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