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Autore: Bael    11/06/2009    1 recensioni
Non è finita, almeno non ancora, perché a tendere i fili delle marionette non è che la noia. La noia e il fuoco.
Genere: Sovrannaturale, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Risparmiala

Risparmiala

 

Tota Matsuda era stato uno di quei ragazzini che si adattano al loro ambiente in maniera immediata, cercando, per lo meno, di non essere a disagio con gli altri, così poteva essere silenzioso se i suoi amici lo erano, frivolo, se lo erano le sue compagnie. Curava l’abbigliamento, aveva il tipico egoismo godereccio che si sviluppa durante l’adolescenza, quando si comincia a bere e a fingersi ubriachi solo per fare stranezze, a godere delle luci artificiali della città di sera che oscillano dorate e calde lungo i marciapiedi, delle minigonne delle ragazze che passavano. Egoismo che si raffina più tardi, nell’età adulta, quando si finge sobrietà nei gesti, nelle risate, quando si fuma mentre si passeggia con i vecchi compagni di scuola e si cerca di ricordare dove si è parcheggiata la macchina, quella che si finge che sia nuova, per fare colpo, naturalmente. Quando era entrato nella polizia si era adattato, e aveva, a modo suo, cercato di fare la cosa giusta rimanendo con i colleghi che persistevano pur nel rischio nella lotta contro Kira. L’aveva fatto per coraggio? Se ci avesse riflettuto abbastanza avrebbe capito che, no, non era così. Non era un eroe, era uno che voleva risaltare, era uno che si conformava nella maniera che riteneva giusta, senza rinunciare a essere schietto e a mantenere la sua posizione; rimaneva ugualmente influenzabile.

Capiva le cose essenziali ma non era una mente che comprendeva se stessa. Quando si svegliò rimase con gli occhi chiusi. Ci ripensava. A quelle luci calde della sua adolescenza, nelle insegne, nei pali della luce, quando si bruciava gli occhi per guardarle. Ripensava alle gambe delle ragazze, sì, e alla sensazione di soddisfazione, quando la serata era fresca e divertente, al calore rimastogli in gola di qualcosa che aveva bevuto. Una bella vita. Un buon divertimento.

Cosa avrebbe dovuto pensare, invece, sollevando a fatica le palpebre, della ragazza con gli occhi arrossati, quasi cerchiati da una nitida linea rossa, i capelli un po’ in disordine e l’espressione assente?

Come avrebbe capito cosa fare se non aveva modelli, un qualcosa che gli dicesse come reagire? I suoi polsi erano bloccati. Ancora non sapeva bene da cosa, ma lo erano, sì. E lui era sul letto.

“Come stai?” la voce di Sayu era un po’ roca, come se il pianto le avesse raschiato la gola.

“Bene” rispose stupidamente Matsuda.

Certo bene. Che razza di sciocchezze diceva? Pensò.

“Non mi aspetto che mi perdonerai mai le cose terribili che verrai a sapere di me” disse lei sorridendo appena, con rassegnazione.

Matsuda se ne sarebbe dovuto accorgere molto prima. Lo sguardo di Sayu. Aveva perso innocenza, si era incupito di maggiore profondità.

Invalicabile, pensò Matsuda.

“Ti ha fatto il lavaggio del cervello” disse lui.

Cercò di muoversi, ma la roba che lo teneva legato –cavi? Sembravano cavi- sfregò contro i suoi polsi e lui si arrese, docile.

“In parte è così” aveva risposto lei.

“Ma non proprio: se anche non si trattasse di lavaggio del cervello non avrei avuto scelta. Non ci riesco, ho provato” disse.

Naturale, pensò lui, certo, era sempre suo fratello.

Suo fratello.

Come poteva essere lì? Come…?

“Come fa a…?”

“È uno Shinigami. Sai di cosa parlo?”

Uno Shinigami. Come quello bianco, come l’altro custode del quaderno. Quello che mangiava mele.

“Devo tenerti qui in questa camera. Capisci, no? Sei un testimone e poi come potrei pretendere che tu faccia parte di questo inferno?” sorrise ancora, con amarezza.

“Già, non puoi” disse lui. D'altronde, considerò, se fosse diventato complice non se lo sarebbe mai perdonato.

Però. Però poteva perdonarlo a lei. Lei era in crisi, scioccata, ferita, e avrà passato chissà quanto tempo con suo fratello morto. Naturalmente era con le spalle al muro. Costretta.

Costretta, vero piccola? Quanto sei bella. Bellissima. Fai venire voglia di proteggerti.

Probabilmente, però, non è quello che vuoi.

“Sayu” la voce di Light. Di certo Matsuda non si sarebbe mai aspettato di sentirla di nuovo.

“Sayu, vieni via, forza” ordinò.

Lei si alzò senza dire una parola e uscì dalla porta. Light rimase sulla soglia fissando Matsuda sprezzante.

“Idiota” disse.

“Hai rovinato tutto. Ma sarà peggio per te. Molto peggio” concluse.

Se Matsuda avesse potuto muovere le mani probabilmente avrebbe fatto due cose. La prima -per sé stesso- avrebbe picchiato Light fino a ucciderlo, la seconda: avrebbe stretto le mani, supplice, in preghiera.

“Light” disse, sperando che lui l’ascoltasse prima di chiudere la porta dietro di sé.

“Risparmiala dal dolore! Ti prego!”

La porta si chiude.

Il silenzio.

Il silenzio e più nulla.

Risparmiala dal dolore!

 

***

 

Jim osservava Lene. Lei aveva ragione, certo: avrebbe dovuto pensare al suo lavoro. Con distacco, ecco. Uno stupido divorzio. Invece non se ne stava occupando: si era limitato a seguire una donna cinica, cocciuta, sbadata in quella che definirebbe follia.

Perché come altro avrebbe dovuto chiamarla l’ossessione di Lene? Era vero: le morti erano ricominciate, tutti i telegiornali parlavano del ritorno di Kira, però quello non era il suo lavoro, insomma, non era un poliziotto lei.

“E tu non sei il mio psicologo!” aveva ribattuto Lene, quando lui gliel’aveva detto.

Certo, ragazza, ma io non rischio la vita, tu sì. Ecco la differenza.

E poi… questo Kuraji che spuntava dal nulla e veniva proprio da lei per portarle una prova così importante. Non c’era motivo, naturalmente, di dubitare che ci fosse del vero in quella storia: il mostro, ecco, lui l’aveva visto, l’aveva anche toccato, e non era forse vera la mela che aveva ingurgitato davanti ai suoi occhi? Non era vera nelle mani di Kuraji?

Sì, sì, sì, maledizione!, tutto vero!

E Lene che era lì con un ragazzino che aveva qualcosa di inquietante, con il mostro col sorriso e i denti aguzzi. Sembravano gli artigli di un gatto, sì, esattamente.

No, non voleva vederla con quei due mostri, non la voleva vedere alle prese con Kira, per vendicare un ragazzino a cui non aveva mai davvero dedicato molte attenzioni.

Jim osservava Lene. Lene che guidava, diretta a casa di quella ragazza: la figlia, aveva detto, di quel Soichiro Yagami. Non aveva voluto che Kuraji venisse con loro.

“È una ragazza con problemi, preferisco incontrarla solo con Jim” gli aveva spiegato. Allora lui aveva fatto una faccia strana, rigida, quasi offesa, poi però aveva sorriso.

“Come vuole”

Lene parcheggiò e scese.

Non era un’improvvisata: aveva avvisato della visita e aveva anche portato dei dolci.

Sembrava un pesce fuor d’acqua, Lene, quando aveva a che fare con la gente.

Suonò il campanello; la ragazza che aprì la porta aveva un sorriso tirato,  gli occhi stanchi e un volto pallido chiazzato di rosso: sotto gli occhi, vicino agli angoli della bocca.

“Salve” li salutò.

“Ho portato un amico” disse Lene.

“Lui è Jim”

Represse l’istinto di porgerle la mano. Giusto, pensò, questi qui si inchinano.

La ragazza chinò educatamente la testa.

“Io sono Sayu” si presentò.

Li lascò entrare e prese il pacco con i dolci ringraziando e inchinandosi ancora. Era bella casa sua, si ritrovò a pensare Jim. Strano, però, neanche una foto di famiglia.

Quando Sayu prese il cappotto dalle mani di Jim gli sfiorò il polso.

“Il mio ragazzo scenderà molto presto, porto su i cappotti, nel frattempo accomodatevi” disse, poi salì le scale.

A scenderle non fu lei, ma un ragazzo castano, coi capelli un po’ lunghi.

“Buonasera”

Jim e Lene risposero al saluto.

“Lieto di rivederla” aggiunse rivolto a Lene.

“Puoi darmi del tu e chiamarmi per nome” rise lei.

“Lui è Jim” aggiunse.

“Heiji” si presentò il ragazzo.

Anche Sayu scese le scale.

“Volevo ringraziarvi per la visita” disse sorridendo.

“Ha detto che…”

“Dammi del tu” si affretto a correggerla.

“Ok” Sayu sembrò imbarazzata.

“Hai detto di volermi dire delle cose” disse sedendosi sul divano davanti a Lene.

“Sì” rispose.

“Ascolta, vorrei andare subito al sodo, quindi perdonami se sarò brutale, mio marito…” cominciò.

“Il mio ex marito, è poliziotto e so che sta indagando sulle morti che si stanno verificando di recente, simili a quelle attribuite a Kira qualche anno fa”

Sayu si irrigidì.

“Perché mi dici questo?” chiese a Lene.

Lei aspettò qualche secondo.

“Lui sospetta di uno dei tuoi parenti deceduti, Sayu” disse.

Sayu rimase in silenzio, anche Heiji.

“Si tratta di tuo padre. Io ho voluto parlartene perché conosco la tua situazione, non voglio che arrivi gente in casa tua senza che tu sappia il perché di tutto questo” concluse.

Jim si accigliò.

Lene era bugiarda. E spregevole. Fingeva di essere andata da Sayu come un’amica e invece voleva informazioni. La gente in casa? Quella gente erano proprio loro.

Che ti succede, Lene?

“Questo è assurdo!” Sayu stava alzando la voce.

“Mio padre è stato un uomo esemplare! Non posso permettere che venga sospettato in questo modo!” protestò.

“Sayu” la richiamò Heiji.

“Sayu ascoltami attentamente” riprese Lene.

“Lui era il capo del gruppo d’indagini giapponese che lavorava sul caso Kira. Con la sconfitta e la scomparsa di Kira stesso corrisponde la morte del capo di quel gruppo. Questo ha portato a pensare alla colpevolezza di tuo padre” spiegò.

“Allora hanno fatto un grave errore” ribatté la ragazza.

“Mio padre è morto prima della cattura di Kira. Il giorno della sua scomparsa c’era un altro agente a capo dei poliziotti, e Soichiro Yagami era già morto allora. Controllate, fate tutte le ricerche che volete!” esclamò la ragazza

Lene sembrava perplessa.

“Sei sicura?”

“Certo!” gridò Sayu. Heiji, il suo ragazzo, cercò di calmarla, le afferrò il polso.

“Chi ha preso il suo posto?” chiese Lene.

“Io non lo so! E non so i nomi degli agenti, non me li chiedere, non ne so niente. Voglio solo dimenticare, ok?”

Lene restò in silenzio. Forse, pensò Jim, finalmente capiva, finalmente si sentiva un po’ in colpa ora.

“E poi… se cercano Kira non dovrebbero dar la caccia a un morto, visto che è sicuramente qualcuno di vivo a continuare la strage adesso” disse.

“La ragazza ha ragione, dovresti dirlo a tuo marito” disse Jim sperando che Lene non se la prendesse troppo. Solo una piccola presa in giro.

“Lo so anche io, ma vedi non ci sono punti di partenza, non ce ne sono affatto, e così mio marito e gli altri si sono attaccati a quest’unico indizio: il vecchio Kira” spiegò Lene addolcendo il tono, sperando che Sayu si calmasse.

“Be’ mio padre non c’entra e poi per una questione di segretezza non ha mai portato colleghi in casa, perciò non posso aiutarti Lene”

Jim sospirò e chiuse gli occhi. Ora dovrebbe aver capito Lene, no?

Jim le mise una mano sulla spalla.

“Lene, adesso dobbiamo andare”

 

***

 

Quando la porta si chiuse, mi avvicinai a mia sorella, le presi le mani.

Erano gelide e umide, sentivo le unghie corte pungere sotto i polpastrelli.

“Ascolta Sayu” dissi.

Per una volta avrebbe dovuto capire, ascoltare, fare come dicevo. C’era urgenza, urgenza che eseguisse. Doveva.

“Sa troppo. Uccidila. Devi uccidere O’Brian e quel Berry, capito? Ascolta: l’affare del marito è sicuramente una bugia, ne sono certo, quindi nessuno a parte quel suo amico saprà di questa vita. Uccidili e siamo fuori dai guai, se non lo fai capiranno, capiranno tutto”

Sayu alzò lo sguardo fino al mio.

“Ma non hanno il quaderno: come potrebbero capire…”

“Andiamo Sayu!” esclamai, strinsi un po’ di più le sue mani.

“L’hanno capito tutti che intorno a Kira gira un potere sovrannaturale, o non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto. Nonostante tutta la razionalità che si vorrebbe conservare non credo che si stupirebbero di scoprire di aver parlato con una persona morta, se si tratta di Kira. E anche se non sanno del quaderno capiranno quello che gli serve sapere” dissi.

Sayu staccò le mani.

“E va bene” si arrese.

Io sospirai, sollevato, la seguii fino in camera entrai e mi sentii gelare prima per la sorpresa, poi per l’orrore.

“Il quaderno!”

 

***

 

Non aveva avuto intenzione neanche per un secondo di starsene lì ad obbedire a quella stupida di Lene O’Brian.

Quando lei e Jim erano partiti, Kuraji aveva scritto il nome di un signore che aveva parcheggiato lì vicino, aveva specificato le azioni da eseguire prima della morte: doveva farlo salire in auto e seguire Lene e Jim, lui, naturalmente, si sarebbe abbassato per non farsi vedere, casomai uno dei due l’avesse scorto dallo specchietto retrovisore, dopodiché, appena Lene e Jim fossero scesi, l’autista avrebbe dovuto proseguire di poco, fingendo di voler uscire dal quartiere. Si sarebbe fermato quando quei due sarebbero entrati in casa e sceso Kuraji, l’uomo avrebbe proseguito, fino ad andare fuori città e avere un incidente.

Kuraji aveva osservato la casa dall’esterno. Solo la finestra che dava sul retro era socchiusa, così si era guardato intorno, in effetti una scala c’era, ma era troppo bassa, pensò.

Ok, rifletté, non fa niente, vediamo che si può fare.

La scala era appoggiata contro il muro del garage, Kuraji la prese e l’appoggiò sotto la finestra.

Troppo corta.

Non importa.

Kuraji salì e provò ad alzarsi sulle punte, ma per poco non cadde.

Niente da fare.

Appoggiò il piede sinistro sul muro. Era ruvido, faceva presa anche se poco. Bene.

Cercò di spingersi col piede, si sollevò di poco e allungò la mano verso il davanzale.

È piccolo, porca puttana!

La scala cade, lui manca il davanzale ma afferra l’anta della finestra.

Il piede scivola, lui alza l’altra mano e stavolta riesce ad appoggiarsi al davanzale.

Ok, ok. Calma, va bene.

Le dita fanno malissimo, non ce la farà. Prova a puntare di nuovo i piedi. Ci riesce, la pressione sulle dita si allenta.

Meglio, ok.

Ora è un po’ più in alto, prova a salire col piede fino al davanzale, si spinge con le braccia, sale, l’altro piede, apre di più la finestra e si lascia cadere all’interno. Le gambe gli fanno male e anche le mani, ma sorvola. Si trova nel bagno, sente parlare al piano di sotto.

Esce dal bagno. Ci sono due porte, una è chiusa a chiave, l’altra è aperta.

Entra: deve essere la camera della ragazza. Una foto. Se soltanto ci fosse una foto.

Niente. Apre i cassetti e invece della foto trova un quaderno nero. È simile al suo. Sorride.

“Ma bene”

Lo prende. Ryuk gli aveva detto che il quaderno dello Shinigami era inservibile, quindi se portava via il Death Note della ragazza entrambi sarebbero stati privi di difese.

La ragazza.

Sente la sua voce, il suo tono agitato. Potrebbe scendere, si dice, potrebbe sbirciare il suo viso e così avrebbe vinto, pensa.

Però…

Però lui non sa come è fatta quella casa, non sa dove si trovano e se da dove sono possono vederlo scendere le scale e scoprirlo.

“Ok” decide, infine.

Questa volta lascerò perdere, ma tanto, Sayu Yagami, so dove abiti. È solo questione di tempo.

Stringe tra i denti il dorso del quaderno, si affaccia alla finestra per scendere.

E nessuno ti salverà dal dolore.

 

_____________________________________

 

La fan fiction a questo punto comincia ad avvicinarsi alla fine. Vi avviserò quando mi preparerò a giocare a scacchi con l’ultimo capitolo.

A forza di fare ragionamenti complicati comincio a sentire la mancanza di una bella descrizione fatta per il gusto di mostrare qualcosa di bello. Prometto che mi rifarò. Chissà magari già dal prossimo capitolo. Passo ai ringraziamenti

 

Reus: sono piacevolmente sorpreso dal fatto che apprezzi i miei capitoli senza individuare difetti. Certo ho tanto bisogno di migliorare, perché se non l’avessi capito ho tanta voglia di riuscire addirittura ad emozionarti. Magari ce la farò un bel giorno a scrivere come la Rice XD comunque smetto di divagare. Matsuda non teme che a Sayu piaccia il sadomaso se era questo che intendevi XD e poi… sì Light è un po’ isterico, fai un po’ tu: è morto XD be’ che dire? Grazie per la recensione. Sei adorabile.

 

Bleus De Methylene: Il fatto che ti piaccia Lene mi soddisfa. Volevo che fosse una donna forte anche perché non mi piacciono le storie in cui le donne sembrano esistere solo per innamorarsi, sposarsi e procreare. Mi sembra un’idea un po’ maschilistica dei personaggi letterari femminili. Insomma una donna non è solo un’innamorata, può essere molto altro. Per quanto riguarda la rabbia: mi piace dare ai capitoli una carica emotiva che cerco di rendere quasi estrema, penso che sia funzionale ad emozionare il pubblico… anche perché la scrittura serve anche a far provare al lettore cose che non conosce. Il pubblico non conosce la morte e forse non conosce il modo in cui si avverte la rabbia quando non si vuole contenerla. Grazie per la recensione! (A proposito… io ti ho aggiunta, ma tu non sbuchi mai XD)

 

Francy91: Tranquilla: sei comunque esauriente. Sono lieto che ti siano piaciute le parti in cui Matsuda scopre tutto e viene aggredito da quello Shinigami isterico :D. Di fan fiction su Death Note non ne ho lette nemmeno io a dire il vero, sia perché sono non nuovo ma quasi del sito, sia perché preferisco non essere condizionato finché non concludo Prometheus… quindi non saprei rispondere al tuo commento in proposito. Cerco di mettere un ragionamento che sia in linea con la storia originale perché anche se conservo il mio stile e il mio approccio con la storia so che non sto scrivendo un AU ma una specie di sequel quindi andare fuori dalla linea principale toglierebbe, forse, qualità e coerenza. Ti ringrazio per il commento e per le tue osservazioni. :D ciao!

  
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