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Autore: _Frame_    11/06/2017    6 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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129. Sul pavimento e Tra due fuochi

 

 

Diari di Bulgaria

 

D’accordo, d’accordo, ammetto di non essermi esattamente meritato la medaglia d’oro da ‘Alleato Numero Uno’ durante quella guerra, a cominciare da quella prima campagna in Grecia a cui ho partecipato attivamente – contro la mia volontà, maledizione, e poi anche mi dicono che non dovrei inferocirmi – ma non chiederò mai scusa per il mio atteggiamento, né ora né mai. Tutto ebbe inizio con la mia frustrazione, direi. No, anzi, con una sorta di compassione nei confronti dell’Asse, di Italia per primo, che nacque il giorno in cui lui venne da me a pregarmi di aiutarlo con l’invasione in Grecia. Mi dissi: “Ooh, poveretto, ma guarda cosa gli tocca fare e da chi gli tocca venire per avere una speranza di vincere, per non rischiare di disonorare l’Asse, per dimostrarsi all’altezza dei suoi alleati.” Contro un avversario come Grecia, ricordiamolo. Poi arrivò anche Germania, e la mia pietà iniziò pian pianino a trasformarsi in un fastidioso sentimento di odio che sentivo non avrebbe portato a nulla di buono per me. Di mezzo poi ci andò anche Romania, e tutta questa gran bella situazione mi intrappolò in una gabbia da cui non c’era via di fuga. O meglio, la via di fuga c’era, solo che mi avrebbe scaricato in mezzo a un’Europa in fiamme, da solo, con possibilità di uscirne vivo pari a zero. Pesci e squali, no? O accetti di nuotare sotto la pinna di un altro, o vieni sbranato vivo.

Così ricominciò la frustrazione di dover tornare a leccare i piedi di qualcuno, non solo per il mio bene ma anche per quello di qualcun altro. “Va bene!” dissi a un certo punto. “Io ti aiuto, mi lascio portare al guinzaglio e accetto di correrti vicino alle gambe, ma non aspettarti che io scatti come un mastino a ogni tuo schiocco di dita.” Ho anch’io il mio orgoglio. Sono una nazione, non un soldatino di stagno che puoi tirare fuori dalla scatola quando ne hai bisogno per poi rificcarlo nell’armadio nel momento in cui non ti serve più. Così questa mia sorta di continua ostilità nei confronti dei tedeschi divenne un po’ la mia vendetta, il prezzo della mia partecipazione e dei miei servizi. È stato più un dispetto che altro, lo ammetto, ma Germania ha avuto modo di imparare una lezione importante: ogni dannata azione ha la sua dannata conseguenza, anche la più misera. Mi voleva al suo fianco? Benissimo, e io gli avrei fatto vedere che gestirmi come alleato sarebbe stato più difficile rispetto a gestirmi come nemico.

Poi il mio orgoglio da nazione tornò a colpirmi, ma in tutt’altra maniera.

Lo ammetto, lo ammetto, il fatto di essermene un po’ fregato dalla campagna ha penalizzato più me che Germania. Prendersi una qualche rivincita su di lui era un conto, ma il momento in cui mi accorsi che forse non era stata una grandissima idea quella di far fare tutto il lavoro a Rom fu quando ci ritrovammo in mezzo agli spari, con armi tedesche fra le mani, a gestire un esercito che non era nostro e che comunque non avrebbe mai accettato pienamente la nostra autorità. Ritrovandomi così incapace di gestire un assalto, mi sentii di nuovo ferito nell’orgoglio, e questa volta la colpa era solo mia. Più o meno. In quel momento mi scattò qualcosa dentro, quella scintilla che si era spenta con la fine della Grande Guerra, quell’istinto primordiale che, volente o nolente, ogni nazione ha dentro di sé.

Volevo combattere bene, a un certo punto. Per me, ovviamente, non per Germania, e soprattutto non volevo fare la stessa fine che era toccata alla Jugoslavia. Confermo tutto quello che dissi anche agli altri, comunque. Quando venni a sapere del colpo di stato e della decisione di Germania di bombardare Belgrado, non riuscii proprio a sentirmi indignato come gli altri. Che cavolo, se quel popolo non era stato abbastanza intelligente da capire che Germania faceva sul serio, perché avrebbe dovuto essere risparmiato? Non era giusto! Non è così che va il mondo! Perché io avrei dovuto cedere per essere risparmiato e loro no? In quel momento, tutti i gran bei discorsi sull’orgoglio nazionale, sull’essere liberi dalle catene di una prigione come l’Asse, sull’avere il potere di dichiararsi indipendenti e autonomi nel conflitto, mi sembravano barzellette. La Jugoslavia stessa mi sembrava una barzelletta finita male, senza nessuno che ride alla fine.

Nemmeno io risi, quando assistetti con i miei occhi alla devastazione di Belgrado.  

 

.

 

Il quadrante del mirino della carabina impugnata da Bulgaria si soffermò sulla finestrella del forte, fumi evaporati dai crateri scavati nel campo di battaglia vi scivolarono davanti, tre esplosioni di seguito fecero tremare il terreno sotto il suo busto sdraiato, gli aprirono un vuoto allo stomaco e strinsero una forte pressione all’altezza dei polmoni. Bulgaria serrò i denti, inspirò dal naso, espirò dalla bocca, e tornò subito a rilassare la mandibola. Le mani che reggevano il fucile tremarono, la spalla su cui era poggiato il calcio dell’arma cominciò a fargli male, il cuore accelerò il battito, due righe di sudore scivolarono dall’attaccatura dei capelli e gli attraversarono la fronte bruciando all’angolo dell’occhio.

Bulgaria sbatté le ciglia umide. Tornò a inspirare e a espirare fino a far scendere l’aria nella pancia.

Calmo, bello, calmo. Respira.

Tornò a portare l’occhio socchiuso davanti al mirino. Immobilizzò le palpebre, isolò i suoni attorno a sé cancellando i tuoni delle esplosioni, le grida dei soldati che avanzavano assieme ai rombi dei carri e al clangore dei mezzi cingolati che ribaltavano il terreno. Ascoltò solo il battito del suo cuore e il soffio del suo respiro. Aria fuori e aria dentro.

Sollevò l’indice dalla levetta del grilletto, l’osso della falange scricchiolò, un formicolio bollente attraversò il muscolo del dito, scaldandolo. Bulgaria tornò ad abbassarlo senza premere.

Mira.

Il fiato rimase dentro, il corpo irrigidì, il battito del cuore fu attraversato dalla stessa scossetta che gli pizzicò la nuca. Una risacca di vento spazzò via i fumi da davanti la parete del forte, il nero della finestrella che dava su una delle camere tornò a riempire il mirino della carabina.

E spara.

Bulgaria schiacciò il grilletto, rilasciò lo scoppio, soffiò il respiro trattenuto dalle labbra socchiuse. Il proiettile schizzò fuori dalla volata e forò la sottile barriera di gas esplosi dalla canna, volò attraverso l’aria e puntò l’apertura nella parete di cemento armato. Bulgaria rilassò l’indice, lo sollevò dal grilletto, riaprì entrambi gli occhi e seguì la traiettoria del proiettile che attraversò l’intero campo di battaglia come un piccolo fulmine fra i nuvoloni del temporale.

 

.

 

Le perle di sangue schizzate dallo sparo appena esploso attraverso la spalla di Grecia volarono davanti al viso di Inghilterra, si specchiarono nei suoi occhi lucidi e sbarrati, attraversarono il suo sguardo, e macchiarono la parete della camera del forte. Inghilterra gemette per lo spavento. “Ah!” Sobbalzò arretrando e sbatté la schiena sul muro.

Grecia finì sbalzato all’indietro, spinse il peso sui piedi che strusciarono sul pavimento, frenarono l’attrito sollevando una nuvoletta di polvere, e si aggrappò alla spalla ferita ingobbendo la schiena in avanti. Flesse le ginocchia tremanti, indurì i muscoli dei polpacci, il capo ciondolò facendo finire i capelli davanti agli occhi, ma non cadde. Solo un piccolo fremito gli attraversò la bocca torta in una lieve smorfia più di stupore che di dolore.

Inghilterra rimase a labbra socchiuse, il fiato in gola, il cuore fermo, e ruotò gli occhi spalancati verso la mano di Grecia aggrappata alla spalla colpita. Boccheggiò. “G-Grecia, stai...” Rivoletti rossi colarono fra le dita contratte sopra la ferita, il sangue gocciolò fra le falangi, scivolò fuori dalla mano, e tinse la stoffa della manica che divenne nera. Inghilterra deglutì, il cuore riprese a battere regolarmente, e staccò la schiena dal muro facendo un passo in avanti. “Stai bene?”

Grecia arricciò una smorfia di disapprovazione, il broncio di chi è appena stato punto da un insetto, e calpestò un passo in avanti per tornare con le spalle dritte e le gambe in equilibrio. Abbassò lo sguardo, sollevò la spalla colpita ancora avvolta dalla mano insanguinata, e aggrottò l’estremità di un sopracciglio. Sospirò. “Mi hanno colpito.” Staccò la mano dalla spalla, distese le dita davanti al viso, rigirò il palmo sporco e lucido di rosso, e una goccia di sangue gli scivolò sotto il polsino della giacca. Sul viso di Grecia tornò a dipingersi quell’annoiata smorfia seccata. “Che male.” Si asciugò la mano sulla giacca lasciando un’impronta nera della stoffa.

Inghilterra scosse il capo per riprendersi dallo spavento improvviso, e sporse le mani verso la spalla ferita di Grecia. “Aspetta, sta’ fermo.” Lo fece spostare fuori dal raggio di luce che entrava dalla finestrella, gli allontanò la mano e posò la sua sotto la ferita che aveva carbonizzato la stoffa della manica, senza premere. Restrinse le palpebre, sollevò un lembo di tessuto annerito e sporco di sangue, scavò con lo sguardo nel nero della ferita. “Non riesco a vedere il proiettile.” Davanti ai suoi occhi, la spalla ferita di Grecia si trasformò nella spalla di Prussia a cui aveva sparato lui stesso durante il loro ultimo scontro. Ricomparve la sua sagoma ancora in piedi davanti al riverbero del sole che gli incorniciava il corpo, l’abbaglio d’argento che era brillato sulla lama del pugnale, e l’affondo che era penetrato nel muscolo, snocciolando il proiettile dal braccio. Inghilterra deglutì sopprimendo lo stesso brivido che lo aveva colto quel giorno, e le guance impallidirono leggermente. “Ce la fai a continuare? Forse...” Flesse il capo e tornò a squadrare la ferita. “Forse posso provare a estrartelo.”

Grecia gli sfilò la spalla da sotto il tocco. “No, ce la faccio.” Tese leggermente il braccio, lo rigirò lentamente, fermandosi non appena sentì la pressione del proiettile spingere sul muscolo e morderlo come una corona di denti affilati. Tastò i bordi carbonizzati con le punte delle dita. “Non credo abbia raggiunto l’osso.”

Gli spari continuarono incendiare l’aria fuori dal forte, raffiche di ombre e sciami di scintille attraversarono la polverosa lama di luce che penetrava la finestra. Il suolo prese a tremare. I rumori di soldati in corsa e il clangore delle artiglierie che venivano trascinate sollevarono un boato simile a un ruggito che si perse in lontananza.

Grecia rivolse lo sguardo fuori dal ritaglio nel muro di cemento armato, fece un passetto in avanti, si appoggiò con la mano sporca al calcio della mitragliatrice, e si alzò sulle punte dei piedi per sporgersi di più.

Inghilterra si sentì venire i capelli bianchi. “Fermo, idiota!” Lo agguantò per il braccio sano e lo strattonò lontano dalla luce. Altri spari di una mitragliatrice nemica schizzarono scintille bianche nel punto dove Grecia si era sporto a guardare. Inghilterra gli tenne la mano premuta sulla spalla, abbassò il capo per non entrare nella traiettoria della lama di luce, e fece un passetto in avanti. Si sporse a guardare. Le sagome dei Panzer tedeschi aumentarono di numero, scavalcarono la linea d’orizzonte, e avanzarono in una nebbia di polvere divorata da lampi bianchi. Davanti a loro, i soldati greci corsero verso il forte, alcuni si gettarono dietro le protezioni dell’artiglieria contraerea, altri si tuffarono nelle trincee. Stavano arretrando. “Ma che sta succedendo?” mormorò Inghilterra.

“Cosa?” Anche Grecia tornò a guardare fuori, senza esporsi alla luce.

Inghilterra strinse i pugni, un groviglio di timore e confusione salì a bruciargli il petto. “State cedendo,” soffiò. “Forse siamo al limite. Germania potrebbe ordinare l’entrata nel forte da un momento all’altro.” Fece un passo indietro e si passò due volte la mano fra i capelli. Le dita sporche di nero si inumidirono di sudore freddo. “Devi uscire, immediatamente.” Fece voltare Grecia di schiena e lo spinse fra le scapole, entrambi rimbalzarono lontani dall’apertura nella parete. “È troppo pericoloso per te continuare a combattere con quella ferita.”

Grecia aggrottò la fronte, il suo sguardo perse subito l’ombra di sonno che gli appannava le iridi. “Non dire scemenze.” Sgusciò di un passo di lato e si sfilò dalla spinta di Inghilterra. “Non vado da nessuna parte,” disse, “non abbandonerò i miei uomini uscendo e gettandomi fra le braccia di Germania.”

“Be’, allora...” Inghilterra guardò di nuovo la finestra, si girò per buttare un’occhiata all’anticamera del forte, e tornò su Grecia spalancando un braccio verso l’esterno. “Allora dobbiamo dividerci. Se Germania e Prussia dovessero trovarci assieme, non avremmo la possibilità di guardarci le spalle, di difenderci a vicenda. Dobbiamo essere in grado di soccorrerci nel caso l’altro fosse in pericolo, capisci?”

Grecia sollevò un sopracciglio, mimò aria scettica. “Sai muoverti qua dentro?”

Inghilterra sospirò, si girò di profilo, fece rimbalzare il suo fucile sulla spalla stringendo la mano sulla cinghia, e si strofinò la nuca arricciando la bocca in una smorfia poco convinta. “Cercherò di farcela,” borbottò. “Seguirò le piantine appese alle pareti o mi farò aiutare dai soldati.”

Grecia annuì. “Se lo riterrò necessario...” Infilò una mano in una delle tasche appese alla cinta, vi scavò dentro sollevando un tintinnio metallico, e passò a quella dopo. “Sappi che darò ordine di evacuare. Non voglio che questo forte si trasformi in una tomba.”

Inghilterra annuì e già rivolse lo sguardo a una delle estremità del corridoio. Corse di due passi lontano da Grecia. “Assicurati solo di essere l’ultimo a uscire.”

“Ovviamente.” Grecia estrasse una pezza bianca dalla tasca appesa alla cinta, e anche lui corse in direzione opposta a quella di Inghilterra.

“Ehi.” Inghilterra lo afferrò per la cinghia del fucile che gli passava attorno alla spalla sana e lo trattenne. Il viso lucido di sudore e sbavato del nero esploso dalla polvere da sparo si contrasse in un’espressione dura e severa, gli occhi bruciarono. “Non morire.” Scosse il capo. “Non qui. Altrimenti non ci sarà modo di arrestare Germania prima che arrivi ad Atene. Sei tu quello che conosce il territorio e che può coordinare le direttrici di difesa.”

Grecia sollevò un sopracciglio e annuì. “Non morirò.” Si avvolse la benda attorno alla ferita sulla spalla, e il sangue imbevette subito il tessuto, facendolo diventare nero. “Ma sei pregato di non farlo nemmeno tu.” Strinse un nodo e lasciò ricadere i due lembi di stoffa sul braccio.

Inghilterra gli lasciò andare la cinghia del fucile, sollevò un ghigno arrogante simile a uno di quelli di America, e si batté il pollice sul petto. “Ormai Germania ci ha provato tante di quelle volte che penso proprio si sia stufato di uccidermi.” Si girò, allungò la prima falcata, e sventolò un mezzo saluto. “A dopo.” Svanì in un’ala del corridoio.

Grecia prese la direzione opposta, il braccio sano strinse maggiormente attorno al corpo del fucile, il dolore che pulsava nel muscolo gli scaricò una scossa di energia che gli ingabbiò il petto. Tutt’attorno a lui l’aria divenne elettrica e calda, gli rese l’udito più teso, come prima di un pericolo. Le pareti del forte gli sussurrarono dietro i padiglioni. Una voce fredda e impaurita che gli entrò nel cuore, ammonendolo.

Sei vicino, Germania, rimuginò Grecia. Ti sento.

Tornò a impugnare saldamente il fucile, sollevò leggermente la canna davanti al petto, accelerò la corsa non badando al lieve giramento di testa dovuto alla perdita di sangue alla spalla, e svoltò una curva del corridoio.

Ti sento e so che stai cercando di arrivare a me. Ma anche io ti sto aspettando.

Socchiuse gli occhi, e il suo volto assunse una sfumatura più tetra, quasi estranea.

E giuro che impedirò con tutte le mie forze che tu arrivi da Italia.

 

.

 

Bulgaria aspettò che l’eco dello sparo si ritirasse. Sollevò il capo di colpo, buttando la vista oltre il riparo formato dalla fila di sacchi di sabbia su cui era poggiata la volata del fucile. Sbatté due volte le palpebre inumidite di sudore e sporche di terra e di polvere da sparo. Staccò la mano dal fucile e si passò il polso sulla fronte, asciugandosi dal bruciore.  

“Eh. Cosa?” Nello sguardo ancora incredulo e smarrito, sbavato del nero della terra, si riflesse l’immagine del proiettile che esplodeva in un lampo e che entrava nella camera del forte. Bulgaria inarcò un sopracciglio. “Ho colpito qualcuno?” Infilò l’indice nell’otturatore, lo tirò all’indietro, ed espulse il bossolo che rimbalzò su una roccia. Cling!

Bulgaria tornò ad abbassare le spalle, spostò il peso da un gomito all’altro per alleggerire la pressione sulle spalle, si spinse con le punte dei piedi per trascinarsi più avanti, e tornò con l’occhio davanti al mirino. Di nuovo i fumi gli appannarono la vista e celarono la struttura del forte dietro il velo di nebbia grigia e nera. Bulgaria fece schioccare la lingua fra i denti in un moto di frustrazione.

Non riesco a vedere, maledizione. Se solo potessi...

I soldati in uniforme greca arretrarono. Grida di incitamento in quella lingua straniera rimbombarono in mezzo agli spari e alle cannonate. I rombi dei Panzer tedeschi accelerarono, la contraerea greca smise di sparare, i nuvoloni di gas si ritirarono scoprendo le sagome in corsa del battaglione in ritirata.

Bulgaria alzò un sopracciglio. Un attimo. Di nuovo distolse lo sguardo dal fucile e sollevò la fronte. Girò il capo a destra e a sinistra – il collo irrigidito gli scaricò due fitte di dolore attraverso le vertebre – e spianò il campo con lo sguardo. Che sta succedendo?

Fischi acuti accompagnarono le esplosioni provenienti dalle artiglierie tedesche. Cannoni e obici continuarono a sparare, soldati tedeschi si spostarono in massa, saltarono oltre le curve del colle, attraversarono la piana di terra ed erba secca, e corsero guadagnando terreno.

Bulgaria si strofinò la nuca, continuando a sentire quel senso di confusione aleggiargli attorno alla testa. Perché questo calo improvviso della difesa? Cos’è successo che può avere indebolito i greci in questa maniera? Abbassò gli occhi sul suo fucile. Che sia stato...

Davanti si suoi occhi comparve il fantasma del suo proiettile che scoppiava, il colpo che partiva forando l’aria, penetrando il forte, e la difesa greca che cedeva immediatamente dopo.

Bulgaria sgranò gli occhi e trattenne il fiato, il cuore si fermò.

No. Non dirmi che...

Si tappò la bocca per ingoiare un gemito di esultanza, sentì le guance infiammarsi e il cuore bruciare di un gonfio e ardente sentimento di orgoglio.

Ho colpito Grecia? Ma allora Germania ci aveva visto giusto. Grecia è davvero in questo forte!

Si buttò il fucile dietro la spalla, rotolò a terra tenendosi dietro la fila di sacchi, e gettò le mani verso la schiena per reggere lo zaino rigonfio che non si era sfilato di dosso.

Devo andare ad avvertirlo, esclamò la voce nella sua testa. Ora che l’ho ferito, Grecia sarà sicuramente più vulnerabile.

Piegò le ginocchia al suolo, scaricò tutto il peso sulle gambe, e saltò fuori dal nascondiglio, cominciando a correre con la terra che tremava sotto i piedi, l’aria che vibrava attraversata da scie di spari roventi, e le ciocche di capelli sudati che sbattevano davanti agli occhi e sulle orecchie.

Se c’è un momento giusto per lo sfondamento definitivo e per la conquista del forte, è proprio questo!

La sua sagoma in corsa si rimpicciolì, divenne un’ombra, un puntino all’orizzonte, e svanì in mezzo al campo di battaglia. 

 

.

 

Romania schiacciò i palmi sulle orecchie, si gettò in ginocchio dietro il profilo del cannone appena caricato, e strizzò gli occhi in attesa dello sparo. “Tutti giù!” Il tuono arrivò secco e prepotente. Il terreno sotto le sue gambe sobbalzò, il cuore saltò in gola e tornò a cadergli nel petto con un tuffo da lasciarlo senza fiato. Un fischio accompagnò la parabola della cannonata, l’esplosione finale squarciò il suolo in un cratere che fece brillare le nubi di bianco e che rigettò verso il cielo una spumosa colonna di fumo color carbone. Romania si staccò le mani dalle orecchie, girò lo sguardo di scatto e due ciocche fulve gli rimasero incollate alle labbra. Si fece correre una mano fra i capelli, tirandoli dietro le orecchie, e si rimise in piedi aggrappandosi con una mano a una sporgenza del cannone che ancora vibrava di tensione. Le ginocchia traballarono, le gambe erano di gomma.

“Ricaricate, svelti,” gridò ai soldati, “non perdete tempo!” Raccolse le energie ai piedi e corse verso la cassa di munizioni scoperchiata attorno alla quale erano già radunati altri due soldati. Si chinò assieme a uno di loro, raccolse fra le mani la punta di uno dei siluri. Strinse le dita sudate fino a sentire le ossa schioccare e le unghie spezzarsi, serrò i denti sentendo la pressione pungente dei canini sulle labbra, strizzò gli occhi, sudore bollente gli lacrimò sulla fronte e in mezzo agli occhi, e tirò su la munizione assieme all’uomo. L’adrenalina che gli correva nel sangue gli impedì di sentire lo strappo al muscolo, secco come una frustata.

Romania e il soldato inserirono la munizione nella bocca di fuoco rivolta verso l’alto, Romania corse subito dietro il cannone e alzò la voce per farsi sentire in mezzo agli spari che continuavano ad attraversare la vallata. “Spostate la mira di dieci gradi nord, poi avvisate i granatieri di portarsi in avanti, ordinate a chi si occupa dell’anticarro di prendere la mira su –”

“Testa bassa!”

Una mano lo afferrò per la nuca, strinse fra i capelli, e la forza di un gomito piegato contro la sua nuca lo spinse a chinare le spalle e a raccogliersi contro quel corpo più grande di lui che si era gettato ad afferrarlo e a proteggerlo contro di sé. Romania non fece nemmeno in tempo a chiudere la bocca, che un’esplosione diversa da quella del loro cannone si schiantò alla sua sinistra, investendolo con una risacca di fumo e calore che sentì infiammargli il collo e le orecchie. Il peso del corpo che lo aveva stretto lo sollevò fino a fargli sfiorare terra con le punte dei piedi e lo tirò più indietro, lontano dal calore e dalla puzza di zolfo.

L’eco dell’esplosione si dissolse in uno scroscio simile a quello di una grandinata che picchia sulla vegetazione di un bosco. Romania schiuse gli occhi e si ritrovò con la guancia premuta su un’uniforme tedesca, gli occhi finirono abbagliati dalla scintilla della croce di ferro toccata dal riverbero degli spari.

Il braccio di Germania si slacciò dalle sue spalle, lo rimise a terra, e Romania si ritrovò subito fulminato da quello sguardo contratto e nero di rabbia su cui ricadevano le ciocche di capelli disordinate e sporche di terra e sudore.

Mai esporti in questa maniera davanti a un cannone di queste dimensioni con i soldati attorno! Troppi movimenti attirano i nemici e rischiate di scoordinarvi e di finire colpiti non solo dall’altro esercito, ma anche dai bossoli espulsi dal cannone stesso.”

Romania ingoiò un ansito, sentendo un pugno di colpevolezza centrarlo fra le costole. “Oh. Mi...” Gettò lo sguardo a terra. Tremò. “Mi dispiace.”

Un gracchiare metallico annunciò la risalita del cannone che veniva regolato con una gittata più alta, la voce di un soldato tuonò lungo tutta la valle. “Sparate!” Fece partire lo scoppio secco e violento come quello di prima.

Germania gettò prima uno sguardo ai suoi uomini, poi si passò una mano fra i capelli e tornò con occhi più calmi su Romania, ma sempre accesi da quella fiamma che ardeva come uno sparo. “Resta concentrato,” gli disse. “Non posso permettermi che uno di voi due rimanga ferito, soprattutto tu che non sei militarmente coinvolto nella battaglia.” Lo guardò con durezza. “Proteggi te stesso, sono stato chiaro?”

Romania deglutì. La gola secca e amara, la lingua impastata sul palato. “D’accordo.” Tornò quel formicolio di sensi di colpa misti a gratitudine che lo spinse a morsicarsi il labbro. Romania sbirciò da sotto i ciuffi di capelli sfoltiti ma rimase a capo basso. “Scusa.”

“Germania!” La voce di Bulgaria esplose alle loro spalle.

Germania e Romania si girarono di scatto, lo videro correre davanti ai profili lontani dei carri e di altri soldati che avanzavano lungo le curve dell’orizzonte da cui fumavano pennacchi di gas e terra. Bulgaria correva a pugni chiusi e con il peso dello zaino e del fucile a rimbalzargli sulla schiena, i capelli incollati al viso rosso di fatica, e gli occhi brillanti di tensione.

Germania aggrottò la fronte. “Cosa ci fai qua?” Si mise davanti a Romania. “Ti avevo ordinato di...”

Bulgaria gettò un braccio all’orizzonte ancora prima di fermarsi. “Ehi, forse ho colpito Grecia!”

Germania rimase a labbra socchiuse senza terminare la sfuriata. Il velo di rabbia però si sciolse dagli occhi, gli lasciò uno sguardo incrinato dallo stupore.

Romania spalancò le palpebre. La paura e la soggezione che aveva provato nell’essere protetto da Germania si sciolsero come ghiaccio sul fuoco. “Tu cosa?”

Bulgaria li raggiunse, si fermò con due saltelli per riprendere l’equilibrio, gettò le spalle in avanti e si strinse le ginocchia. Rauchi boccheggi di fatica gli scossero il corpo piegato in due. “S-sono...” Respirò a fondo, ansimò, si asciugò la fronte con una manica, tirò su le spalle senza staccare l’altra mano dal ginocchio, e rivolse l’indice libero di nuovo all’orizzonte, verso il forte. “Sono riuscito a sparare dentro una delle finestrelle del forte che danno sulle camere delle mitragliatrici,” altro affanno, “ho fatto centro e la difesa è diminuita all’improvviso.” Tirò su le spalle, incrociò un passo di lato per resistere ai muscoli delle gambe che ballavano, e si spolverò una spallina. Sul viso stremato dalla corsa, si dipinse un ampio e appuntito ghigno di arroganza e fierezza. “Ora non vorrei precipitare conclusioni affrettate, ma penso proprio di aver compiuto un’impresa niente male considerando che...”

“Signore!” Un ufficiale corse loro incontro reggendosi il copricapo sulla fronte. Si fermò davanti a Germania, batté un attenti esibendo i gradi da colonnello, e tenne la voce alta per farsi udire sopra i boati del campo di battaglia. “La difesa sta cedendo, signore, abbiamo già i plotoni d’assalto pronti a penetrare la struttura.” Il colonnello sciolse l’attenti, fissò Germania con occhi che bruciavano di aspettativa. “Ci serve solo il suo ordine.”

Bulgaria sollevò il mento tenendo quel sorriso a piegargli le labbra, e rigirò le unghie annerite e screpolate davanti agli occhi. Romania lo guardò storto e inarcò un sopracciglio mantenendo un’aria scettica.

Germania si rimise davanti a Bulgaria, lo seppellì nella sua ombra, e lo guardò dritto negli occhi. “Sei sicuro di aver colpito Grecia?”

A Bulgaria passò immediatamente la voglia di fare lo sbruffone. Scivolò di un passo all’indietro per allontanarsi dalla sensazione di avere la stazza di Germania piantata davanti a lui, a inghiottirlo nella sua fitta presenza minacciosa. “Be’, non al cento percento, ma...”

“Ma è già qualcosa,” intervenne Romania. “Se possiamo assalire il forte subito, allora abbiamo la possibilità di trovarlo dentro prima che decidano di farlo uscire e che lui scappi approfittando della confusione.”

Germania annuì. “Bene.” Rimboccò la cinghia del suo fucile sulla spalla, volse lo sguardo verso una delle piccole trincee scavate dietro i cespugli, e chiamò Romania e Bulgaria con un gesto della mano. “Venite con me, svelti.” Fece strada a entrambi e congedò il colonnello con un cenno del mento. “Lei può andare.”

Corsero, raggiunsero la piccola trincea deserta, e Germania ci scivolò dentro per primo.

Si schiacciarono tutti con le ginocchia al petto facendosi più stretti. Romania strisciò di lato per non sentire il fiato di Bulgaria sul collo, gli diede una gomitata di proposito, e urtò il piede contro le assi di legno che reggevano la struttura di terra.

Germania si portò accanto alle casse lasciate dai soldati, vi tuffò le mani dentro, e ribaltò due lembi di telo. “Ora ascoltate,” disse a entrambi senza smettere di lavorare, “ci sono due entrate del forte. Io e voi non prenderemo la stessa strada, perché questo ridurrebbe le possibilità di catturare Grecia. Una volta entrati, ci divideremo.” Si girò e puntò l’indice verso i loro sguardi. “Voi due rimarrete assieme guidando una parte del plotone, e io l’altra.” Rinfilò la mano dentro una delle casse, estrasse due oggetti di colore verde muschio, e li passò a Bulgaria e a Romania. “Indossate queste.” Ne diede una ciascuno.

Bulgaria rigirò l’oggetto di stoffa e metallo largo quanto la sua faccia, si ritrovò a specchiarsi dentro due lenti trasparenti vuote e inespressive che occupavano lo spazio degli occhi. Al posto della bocca, era cucito un filtro a tamburo scavato da un alveare di buchi. Una maschera antigas.

“Bulgaria,” riprese Germania, “tu fatti sostituire il Mauser con un fucile d’assalto.” Buttò uno sguardo al suo fucile. “La carabina non va bene per operazioni di questo tipo, è un’arma troppo lenta e che richiede più precisione. Sei in grado di usare un fucile d’assalto?”

Bulgaria non staccò lo sguardo dalla maschera, la rigirò sul dorso per non fissarla nelle lenti che gli trasmettevano un inconscio e viscido brivido di timore e disagio. Annuì. “Sissignore.”

“Molto bene.” Germania prese una maschera anche per sé, indicò verso l’alto. “Fate molta attenzione quando spargeremo il gas. Non toglietevi le maschere a meno che non siate sicuri di essere al riparo.”

Romania soppesò la sua, con occhi più seri e meno spaventati di quelli di Bulgaria, e tornò a rivolgere lo sguardo a Germania. “Altri ordini?”

Germania annuì. “Sì.” L’atmosfera all’interno della trincea divenne di ghiaccio. Gli occhi di Germania bui e cerchiati da palpebre nere e contratte dalla tensione. “Se troverete Grecia, non uccidetelo,” disse. “Feritelo in modo tale che non sia più in grado di muoversi o di combattere, imprigionatelo, ma non permettete che muoia qui. Nel caso lo trovaste...” Le sue iridi si tinsero del colore del sangue, la voce bassa e cavernosa sonò come la vibrazione di una delle esplosioni. “Portatelo da me. Tutto chiaro?”

Romania e Bulgaria si scambiarono una fugace occhiata di traverso, percependo entrambi la stessa unghiata di timore graffiargli il profilo della schiena, e annuirono all’unisono. “Sissignore.”

“Ottimo.” Germania allungò una mano verso la cima della trincea, si aggrappò alla terra, tirò su di colpo le spalle e raddrizzò le gambe. “Per il resto, restate vivi, questo è il mio unico ordine.” Rivolse un’ultima occhiata meno minacciosa a entrambi da sopra la spalla. “Preparatevi.” E saltò fuori dalla trincea facendo piovere granelli di sassi e terra.

Romania si portò una mano davanti alla fronte, spinse le ginocchia in avanti battendole sull’altra parete della trincea, e si aggrappò alle assi di legno. Una nuvola di fumo attraversò il cielo, oscurò i raggi del sole tappato dai vapori del campo di battaglia, e gli annebbiò la luce degli occhi. Romania aggrottò un sopracciglio. “Dici che lo voglia uccidere con le sue mani?” chiese. “Magari è per questo che vuole impedire che siamo noi ad ammazzarlo. Non ci sarebbe soddisfazione per lui.”

Bulgaria scrollò le spalle e tornò a rigirare la sua maschera fra le mani. “Probabile.” Cercò l’apertura all’altezza della nuca, ribaltò la stoffa color muschio.

Romania tornò indietro con le spalle, stette seduto sulle ginocchia e si strofinò la testa. Il naso ancora rivolto verso l’alto. “Anche se non capisco come Germania possa preoccuparsi del fatto che io e te possiamo arrivare a ucciderlo. Sarà già una conquista riuscire a stanarlo e a metterlo fuori gioco.” Sbuffò. “Ma ucciderlo...”

Dietro di lui, Bulgaria emise una risata ovattata – un sottile gracchio metallico. “Ehi, ehi, guarda.”

Romania si girò.

Due braccia tese gli vennero incontro, le mani a ciondolare come quelle di un morto vivente, avvicinandosi assieme al viso di Bulgaria nascosto dalla maschera antigas che aveva appena indossato. “Buuu!” Bulgaria fece cadere le braccia sopra le spalle di Romania, gli circondò il collo, e gli rise accanto all’orecchio. “Con queste lo facciamo morire di paura.”

Romania fece roteare lo sguardo, trattenne un mezzo sorrisetto, e gli spinse via la faccia con una mano. “Non spaventeresti nemmeno un codardo come Italia.”

Bulgaria si sfilò la maschera tirandola sulla fronte. “Oh, stai zitto.” Piantò il broncio. “Tu avrai pure i denti coperti, perderai la tua identità.”

Romania aprì la bocca per rispondere, ma il suo sguardo cadde sulla carabina di Bulgaria ancora allacciata alla sua schiena. Gliela indicò. “Prima di entrare ti faccio dare un MP 41, calibro da nove millimetri, come ha detto Germania. Sai usarlo?”

“Uhm.” Bulgaria si strinse nelle spalle e guardò in disparte. “Certo.”

“Bene. Ricorda solo che ogni tanto si inceppa, quindi devi colpirlo sul caricatore, e poi...”

“Ti ho detto che so come si usa!” Bulgaria annodò le braccia al petto e si girò di profilo, il broncio rivolto in mezzo alle ginocchia. “Smettila di trattarmi da ignorante, sono io che prima ho colpito Grecia. Forse.”

Romania sospirò. “Va bene, va bene.” Raddrizzò le ginocchia, si aggrappò con le dita all’orlo della trincea reso più solido dall’asse di legno, e guardò fuori assottigliando gli occhi.

Dovrebbe andare tutto bene, siamo pur sempre sotto la protezione di Germania, non ci accadrà nulla con uno come lui a difenderci. Sospirò, non riuscendo a nascondere un soffio di sconforto. Eppure...

Raggiunse la sua maschera antigas, la sua immagine circondata dai fumi che tappavano il cielo si riflesse nelle lenti trasparenti.

Dentro di me, non riesco a liberarmi di questa sensazione. È come se sentissi che accadrà qualcosa a cui non voglio assistere.

Girò la maschera, trovò l’apertura in mezzo alla stoffa, e la indossò.

 

.

 

Inghilterra corse fra le pareti del forte con il braccio premuto sulla bocca e sulle narici, il fucile a pendere dalla spalla opposta, e il capo chino per passare in mezzo ai residui di gas più rarefatto che impregnavano l’ambiente di un odore acre e dolciastro, di fieno marcio e di acqua sporca e stagnante. Svoltò una curva tenendo la fronte bassa, diede due rauchi colpi di tosse che finirono assorbiti dalla manica, e si strinse il ventre sotto le costole per frenare il bruciore che lo aveva colto come una morsicata allo stomaco. Giunse davanti a una piccola stanzina preceduta da un’anticamera in cui erano ammassate casse di munizioni ricoperte da teli e accostate al muro. Le fioche lampadine installate sul soffitto disegnarono con il loro riverbero i rigonfiamenti dei riccioli di gas che galleggiava nell’aria, srotolandosi e scivolando verso la piccola finestrella da cui entrava aria più fresca.

Inghilterra strinse il pugno del braccio ancora schiacciato sulla bocca, si sporse a scrutare all’interno della camera – non c’era nessuno –, si girò, guardò a destra, dove il corridoio si faceva più buio e il gas si addensava, e buttò un’occhiata anche a sinistra.

Schioccò la lingua fra i denti, una vena si gonfiò sulla tempia.

Merda.

Si diede una spinta sulla parete con il braccio libero e si lanciò verso sinistra, riprendendo a correre. Sottili tentacoli di fumo gli avvolsero il torso, si srotolarono seguendo la sua fuga e finirono schiacciati sotto i suoi stivali che battevano secchi sul pavimento di cemento.

Inghilterra aggrottò la fronte, una bruciante botta di frustrazione gli centrò lo stomaco.

Mi sono perso, maledizione. Dove diavolo...

Un suono di passi estranei, passi in corsa sempre più vicini, lo fece fermare di colpo.

Inghilterra si bloccò, gettò lo sguardo all’indietro premendo le spalle al muro, tornò a guardare alla sua destra e tirò su il fucile. Puntò la bocca di fuoco contro lo svincolo del forte che dava su un’altra anticamera. Trattenne il fiato per non inalare quello che era rimasto del gas, scosse il capo per scrollarsi di dosso il ronzio di vertigini dato da quell’odore dolciastro e nauseabondo, e tese le orecchie. I passi estranei si fermarono, tornarono a correre, rallentarono, si allontanarono, e un’esplosione tuonò fuori dalla struttura, fece vibrare le pareti staccando dal soffitto una nevicata di polvere di cemento. Il risucchio dato dal boato che si ritirava isolò i passi che Inghilterra aveva sentito avvicinarsi, creò un fitto silenzio interrotto solo dallo scricchiolio delle pareti e dalle cannonate lontane che suonavano come un temporale.

Inghilterra fece scivolare un piede all’indietro fino a toccare il muro con il tallone, vi schiacciò le spalle sopra, sollevò la canna del fucile stringendolo più forte, e sul suo viso comparve un’ombra di tensione. Una viscida sensazione di pericolo gli corse sotto la pelle, gli sussurrò un ammonimento all’orecchio con un alito ghiacciato, gli sollevò la pelle d’oca sulle braccia e gli torse la pancia in un nodo di disagio.  

Da dove proviene questa presenza? si domandò. Che sia Germania? Sta già entrando anche lui?

Si girò dalla parte opposta, sporse le spalle in avanti, restrinse gli occhi, la sua vista penetrò nella foschia di gas, i denti strinsero e le unghie graffiarono sul metallo dell’arma.

Dov’è Grecia? Una nota di rabbia inasprì la voce della sua testa. Deve andarsene da qua. Se Germania lo stanasse e lo catturasse, sarebbe la fine.

Spari a raffica risuonarono in una delle camere del forte che Inghilterra non vedeva. Lo schianto improvviso di mitragliate sul muro lo fece rizzare di nuovo sull’attenti, un piede già volto verso l’estremità più silenziosa del corridoio, e l’indice di nuovo teso attorno alla leva del suo grilletto.

Inghilterra ricominciò a correre. Abbassò il viso contro la spalla per sopprimere altri tre violenti colpi di tosse, scrollò il capo, si strofinò la manica sopra la bocca, e accelerò. L’aria divenne più respirabile, gli alleggerì i polmoni. Devo correre a metterlo in guardia. Svoltò un altro spigolo. Ombre estranee corsero su una delle pareti alla quale stava andando incontro, e si ritirarono. Dobbiamo andarcene da –

Una sagoma sbucò da uno svincolo del corridoio, sbarrò la strada a Inghilterra, la sua ombra scivolò attraverso la nebbiolina di gas e lo inghiottì nel nero. La figura girò il torso forando il fumo con la canna del suo fucile, voltò il capo e soffiò un respiro pesante e metallico attraverso i fori della maschera antigas che gli avvolgeva la faccia.

Le lenti di vetro, vuote e nere come baratri, si posarono sul viso di Inghilterra e gli strapparono un ansito di terrore che lo fece sbiancare, gelandogli il sangue.  

“Wha!” Inghilterra saltò di un passo all’indietro e fece rimbalzare il fucile contro il petto per non lasciarlo cadere a terra.

Il soldato appena comparso saltò a sua volta, “Ah!”, cacciando un piccolo gemito ovattato dai fori della maschera. Riaggiustò la posizione del suo fucile fra le mani, lo strinse sottobraccio, e lo tornò a puntare contro Inghilterra. “Non muoverti!” La sua voce – aveva un che di familiare – tuonò secca e autoritaria, ma ancora tentennante per lo spavento di prima.

Inghilterra strinse i denti, fece scivolare un piede all’indietro, sollevò il fucile e mirò alla testa del soldato. Le braccia tremavano ancora, l’indice sudato scivolò sul grilletto, senza schiacciarlo. “Cazzo,” grugnì.

Una seconda sagoma saltò fuori dal piccolo corridoio laterale e si aggrappò al braccio del primo soldato. “Fermo! Non...” Si girò, sottilissimi riccioli di fumo si sciolsero attorno ai fori della sua maschera, e le due lenti ovali che gli tappavano gli occhi riflessero l’immagine paralizzata di Inghilterra. Il secondo soldato esitò, abbassò il suo fucile sul fianco, sollevò la mano e raggiunse l’attaccatura della maschera dietro la nuca. Se la sfilò. Ciocche color grano gli ricaddero sulle guance sudate e sulla fronte, incorniciarono lo sguardo attonito di Romania. “Inghilterra?”

Inghilterra gemette rimanendo a bocca aperta e a palpebre sgranate. Cosa? La morsa di panico finì sciacquata via dal senso di confusione e da un briciolo di sollievo nell’essersi ritrovato davanti ai caldi occhi color ambra di Romania invece che a quelli di ghiaccio di Germania. Romania qui?

“Tu?” sbottò Inghilterra.

Il secondo soldato imitò il gesto di Romania e si sfilò anche lui la maschera. “Noi, vorrai dire.” Nervosi ed elettrici occhi verdi animarono lo sguardo di Bulgaria appena emerso dal fumo, spettinati capelli neri si incollarono alla sua fronte sudata e aggrottata in un broncio di rabbia.

Inghilterra rimase a bocca aperta. Anche Bulgaria? Si accorse solo in quel momento che Bulgaria indossava un’uniforme diversa. Non è possibile, quanti... “Ma cosa...” Mostrò di nuovo a tutti e due la bocca di fuoco del suo fucile. “Cosa fate voi due qui?”

Anche il viso di Romania si contrasse in un’espressione tesa. “Ti tendiamo una trappola.” Schiacciò il suo fucile sul fianco, fece passare la canna sotto il braccio di Bulgaria e puntò la mira contro il petto di Inghilterra. “Non muoverti, hai due fucili carichi puntati addosso.”

Il gomitolo d’ansia si snodò, disciolse un forte senso di sollievo che gli torse un ghigno di scherno sulle labbra. Inghilterra gracchiò una soffice risata che gli scosse le spalle. “Pensate di spaventarmi?” Altre esplosioni scoppiarono da dietro la parete alla fine del corridoio. Inghilterra buttò un’occhiata alle sue spalle, l’eco degli scoppi si ritirò, rumori di passi in corsa attraversarono il forte e svanirono. Sbuffò e tornò con lo sguardo su Romania e Bulgaria. “Cos’è?” sbottò. “Germania e Prussia hanno prima mandato avanti i cagnolini per tastare terreno e aprirsi una strada fino a noi?”

Bulgaria sollevò un sopracciglio e la sua espressione cadde in una smorfia di confusione. “Prussia?” mormorò. “E che c’entra Prussia?” Nessuno lo sentì.

“Germania si sta già occupando dell’altro lato del forte,” intervenne Romania, “di questo puoi starne certo.”

Inghilterra allargò le palpebre, il senso di realizzazione gli fece brillare gli occhi in una scintilla di allarme. “Allora avevo ragione,” disse con un sospiro. “È la Linea Metaxas il vostro obiettivo principale, è qui che Prussia e Germania stanno concentrando i corpi d’armata.”

Romania e Bulgaria incrociarono gli sguardi, entrambi aggrottarono un sopracciglio, rilassarono la tensione dei muscoli attorno ai fucili.

Bulgaria si rivolse di nuovo a Inghilterra con tono più annoiato. “Guarda che Prussia non è qua con noi,” ripeté.

Inghilterra sbatté le palpebre. “Cosa?”

Romania annuì e indicò un punto alle sue spalle. “Solo Germania si sta occupando della Metaxas,” gli disse. “Prussia sta scendendo in Dalmazia, dove avete piazzato la seconda linea difensiva. Pensavamo che anche tu fossi in Albania.”

“I... in Albania?” Inghilterra rivolse lo sguardo a terra, senza badare al fatto di avere ancora le loro armi puntate addosso. “Ma allora...” Rivide mentalmente il percorso delle divisioni tedesche che attraversavano il confine bulgaro, che deviavano il percorso a ovest della Linea Metaxas e che proseguivano lungo il territorio albanese. “È Prussia che sta avanzando su Skoplje.”

La conversazione scambiata con Grecia quando erano ancora ad Atene gli rimbalzò nei pensieri e gli riempì la testa.

“Io e te rimarremo sulla Linea Metaxas, perché probabilmente è lì che Germania concentrerà le forze maggiori.”, “Sarà presente fisicamente anche lui?”, “Mi auguro di sì. E spero lo sia anche Prussia. Non lascio loro due ad affrontare i tedeschi da soli, sarebbe da pazzi.”

Un altro lampo di luce lo riportò davanti ad Australia e a Nuova Zelanda, a stringerli entrambi per le giacche e a guardarli negli occhi con un’espressione severa.

“Ascoltatemi attentamente. Non vi ho chiamati qua per rimandarvi indietro mezzi distrutti o per vedervi morire sotto i miei occhi.”, “Ooh. Anche noi ti vogliamo bene.”

Inghilterra ritornò con la mente all’interno del forte, con quel costante senso di straniamento a orbitargli attorno alla testa. Strinse i pugni, le braccia tremarono. Panico ghiacciato cominciò a fiorire all’altezza del cuore. Merda. E io che li ho lasciati da soli credendo che sarebbero stati al sicuro, credendo che i pericoli maggiori sarebbero stati quassù. Un pugno di paura gli centrò la bocca dello stomaco, gli fece salire la nausea. E invece si ritroveranno a combattere da soli contro Prussia.

Ritornò con il corpo sospeso fra le nuvole, i piedi a premere sopra la superficie del mare che si stendeva frastagliata da onde e dai pennacchi di fumo che evaporavano dalle navi. La mano trafitta dal lacero della coltellata, la pugnalata alla coscia e quella affondata sotto le costole, e il viso di Prussia imbrattato del sangue colato dalla ferita alla tempia che ghignava di cattiveria mentre rigirava la lama nelle sue carni.

Inghilterra scosse la testa. Non posso permetterlo. Li ammazzerà! Si girò e allungò una prima falcata di corsa. Devo andare via da qui! Devo trovare Grecia e dirgli di evacuare per permettermi di...

Una scarica di proiettili esplose accanto al suo piede, senza colpirlo, ma lo fece fermare come una statua.

Inghilterra girò lo sguardo di scatto. Sia Bulgaria che Romania lo tenevano sotto tiro con le loro armi, ma solo il fucile di Romania era avvolto dai gas di scarico della mitragliata.

Romania gli rivolse uno sguardo di minaccia. “Non muovere un passo,” gli ordinò, “e non provare a spararci. Anche se colpissi uno di noi, l’altro potrà sempre spararti di rimando, e sarebbe comunque più veloce di te. Resta immobile...” Pestò un passo in avanti, sollevò il mento, e l’ombra gettata attorno ai suoi occhi accese il colore ambrato delle iridi. Le punte dei canini scintillarono nell’oscurità donandogli un tetro aspetto demoniaco. “E portaci da Grecia.”

 

.

 

Il banco di fumo si assottigliò, la canna del fucile bucò lo strato di foschia, le luci che brillavano in doppia fila sul soffitto batterono sull’arma e la punta emise una forte scintilla metallica. Il gas si dissolse, discese l’aria di nuovo limpida, e scivolò lungo il pavimento di cemento del forte, sottile come un lieve strato di condensa. Una gamba emerse dalla nebbia di fumo, allungò un passo, e lo stivale schiacciò il suolo emettendo uno scricchiolio secco. Riccioli di fumo finirono stritolati dalla suola, si sciolsero come nastri sfilacciati, e il gas si disperse nell’aria. L’ombra della figura appena emersa dal fumo si allungò attraverso il pavimento, attraversò la nebbia appena divisa, e si erse fino al soffitto. Mani inguantate strinsero sui rilievi dell’arma premuta contro il fianco, le dita si contrassero e l’indice infilato nell’anello del grilletto fece cigolare la levetta. Il fumo calò attorno alla figura come un mantello di seta che scivola dalle spalle. Le luci incastrate sul soffitto batterono sul petto della sagoma, si concentrarono in un’unica scintilla che batté sulla croce di ferro puntata sulla giacca dell’uniforme.

Germania avanzò di un altro passo, abbassò la canna del fucile, girò la testa verso la parete, attirato da un eco di passi, e le due lenti trasparenti incastrate nella maschera antigas riflessero i boccoli di fumo che si stavano dissolvendo, sempre più rarefatti e sottili: una fine polverina d’argento che ondeggiava sotto i fiochi raggi di luce bianca e artificiale. Fuori dal forte, due esplosioni ovattate fecero tremare le pareti, un eco di passi in corsa attraversò una delle anticamere e gli fece di nuovo tendere le orecchie sotto la stoffa della maschera aderente alla sua testa. Germania si girò di scatto verso l’altra direzione, rialzò la canna del fucile, le mani tornarono a stringere, e soffiò un rauco respiro filtrato dai fori della maschera. Restrinse gli occhi dietro le lenti, sollevò il viso verso le luci del soffitto che bagnavano l’aria diventata più limpida, e irrigidì il corpo. Rimase immobile come una statua di granito.  

Sarà sicuro qui?   

Staccò una mano dal fucile, la portò dietro la nuca, infilò le dita sotto la chiusura della maschera, e la sfilò dal capo. Una prima zaffata di aria umida che sapeva di chiuso e di un sapore di ferro dolciastro gli penetrò le narici e gli appesantì i polmoni. Germania scosse la testa e si passò una mano fra i capelli madidi di sudore, scostò la frangia spettinata dalla fronte, e prese un altro respiro più breve. Rivoli di sudore gli corsero fra le dita ancora intrecciate alle ciocche.

Schiuse le palpebre, tenne gli occhi assottigliati per non essere accecato dalla luce improvvisa, e avanzò di un altro passo. Il suolo scricchiolò, raffiche di spari ed esplosioni provenienti dai cannoni continuavano a spargere echi tuonanti oltre le pareti. La struttura del forte vibrò una seconda volta, l’aria si infittì, il fumo sciolto galleggiò attorno alle caviglie di Germania, l’odore di erba marcia e di benzina stagnante gli penetrò la gola strozzandogli un nodo allo stomaco.

Altro passo. Germania strinse il fucile al fianco, girò lo sguardo, trattenne il fiato, e una scintilla di luce bianca gli attraversò gli occhi. Una carica elettrica impregnò l’aria di energia statica. Una scia di brividi scivolò lungo il suo corpo, gli percorse il profilo della schiena, penetrò i muscoli facendo irrigidire il petto e gli arti, pizzicò dietro la nuca e dietro le orecchie facendogli aguzzare l’udito.

Germania si fermò. Socchiuse gli occhi, trattenne il fiato, si morse leggermente il labbro inferiore per non emettere nemmeno un sospiro, e tese le orecchie in cerca di un minimo fruscio, di un leggero passo o di un singolo battito cardiaco percepito attraverso il silenzio che regnava nel corridoio del forte.

Di nuovo quella fredda e appiccicosa sensazione elettrica gli corse attraverso la pelle e accese un campanello di guardia nella sua testa. Una scarica di adrenalina bruciò attraverso il sangue, accelerò il battito, gli fece tremare le braccia strette attorno al fucile e si raccolse nelle gambe tese come corde.

Grecia è vicino.

Spostò di nuovo lo sguardo, avanzò di un passo più lento, e i nervi salirono a fior di pelle. Rami di elettricità gli corsero attraverso il corpo, bruciarono dietro la nuca e gli ingarbugliarono un nodo di respiro nel petto.

Lo sento.

Gli ultimi sbuffi di fumo disciolti sul pavimento si ritirarono dietro lo spigolo di una parete che proseguiva formando il piccolo corridoio che dava su una delle anticamere del forte. La foschia evaporò, le ultime particelle si sciolsero risalendo l’aria e volteggiando attorno a una sagoma appostata contro il muro, al riparo dall’ombra di Germania che avanzava lento e cauto, a orecchie dritte come un mastino che ha stanato la preda.

Grecia chiuse le mani attorno al fucile carico, perle di sudore fiorirono fra le nocche annerite dalle polveri di zolfo, le giunture delle falangi irrigidite di tensione emisero uno schiocco secco, come ramoscelli che si spezzano. Aspettò l’arrivo di un’esplosione esterna che coprisse i suoni all’interno del forte, prese un respiro profondo dal naso e trattenne l’aria nei polmoni. Rallentò il battito cardiaco, abbassò le palpebre, distese i tratti del viso, e scacciò quel moto di paura che lo aveva colto alla vista di Germania che si sfilava la maschera antigas e rivelava il suo volto.

Allora ci avevamo visto giusto.

Sollevò la punta di un piede, la fece scivolare lentamente lungo il pavimento, si spostò anche con la spalla senza sporgersi fuori dallo spigolo di parete che lo teneva protetto, e riaprì gli occhi. Ruotò lo sguardo scrutando in mezzo alla leggera foschia che odorava di marcio, e lo posò sul profilo di Germania che avanzò di un altro passo sotto le file di luci che rischiarivano l’anticamera.

Sapevo che ti avrei incontrato qui, Germania. Un bruciore gli attraversò il braccio ferito, gli morse il muscolo della spalla bendata, e un rivolo di sangue gocciolò dalla fasciatura, piovve a terra e aprì un disco rosso accanto al suo piede. E scommetto che sei stato tu a spararmi alla spalla.

Un tonfo secco risuonò in una delle camere. Germania scattò, si girò, tirò su il fucile e fece un passo all’indietro, rivolse la canna al punto da cui era provenuto il suono improvviso.

Grecia sobbalzò e tornò a schiacciare la schiena alla parete. Trattenne il respiro e si immaginò il suo cuore che smetteva di battere facendo calare un silenzio tombale nel suo petto.

Avrà già percepito la mia presenza?

Strinse le dita sul suo fucile, le unghie graffiarono il metallo, emisero un cigolio acuto. Le braccia tremarono e si caricarono di tensione. Grecia chiuse gli occhi, aggrottò la fronte, svuotò la mente e isolò i rumori attorno a lui, fino a udire solo il mormorio nella sua testa.

Una volta scoperto, la mia unica speranza sarà metterlo immediatamente fuori gioco, o scappare. Non devo dargli la possibilità di inseguirmi, perché sarà impossibile riuscire a nascondermi qua dentro.

Stese l’indice della mano destra, lo fece scivolare lungo il fianco del suo fucile, arrivò all’arco del grilletto, infilò la prima falange al suo interno e la posò sulla levetta ricurva. Inspirò, espirò. Il cuore batté profondo e regolare.

Il primo colpo...

Piegò le braccia ignorando il dolore alla spalla ferita, fece strisciare il piede lungo la parete, flesse il ginocchio, caricò la spinta sul polpaccio, pronto a girarsi di scatto, a tirare su il fucile, e a far piovere una scarica di spari contro Germania senza nemmeno preoccuparsi di prendere la mira.

Deve essere mio a tutti i costi.

Grecia indurì i muscoli, raccolse tutto il coraggio attorno al cuore che batté una pulsazione forte e calda. Gettò la gamba fuori dal nascondiglio, si girò di colpo, buttò la volata del fucile contro Germania, ma l’indice rimase paralizzato sul grilletto, senza abbassarsi.

Lo sguardo di Grecia si trovò davanti ai feroci occhi azzurri di Germania e all’occhio nero del fucile MP 41 già puntato contro la sua testa.

Una violenta ondata di panico gli ghiacciò il cervello. Grecia spalancò le palpebre, socchiuse le labbra dalle quali uscì solo un gemito strozzato, il cuore gli cadde sotto i tacchi con un tonfo sordo.

Mi ha stanato.

Il cigolio metallico dell’indice di Germania che schiacciava sul grilletto lo risvegliò come una sberla sul naso.

Grecia piegò le gambe, abbassò la testa, e si lasciò cadere sulle ginocchia. La mitragliata di proiettili gli volò sopra i capelli, tagliò l’aria in una raffica rovente e si schiantò addosso alla parete schizzando scintille bianche che illuminarono l’oscurità del corridoio. Grecia sollevò il fucile di colpo, rimanendo in ginocchio. Socchiuse un occhio, mirò al petto di Germania dove brillava la croce di ferro, e spostò tutto il peso del braccio sull’indice posato sul grilletto. Germania inclinò il suo fucile, gli colpì la canna con il calcio della sua arma, e gli spari di Grecia rimbalzarono sul pavimento, senza colpirlo.

Germania scivolò di un passo all’indietro, sollevò il piede scaricandogli una violenta tallonata sulla guancia, abbassò la gamba e gli calciò il petto, strappandogli un respiro dai polmoni.

Grecia cadde di schiena, strinse i denti per sopprimere il dolore, e strizzò gli occhi arricciando una smorfia. Passi schioccanti vibrarono attraverso il cemento sotto le sue costole, le gambe di Germania lo bloccarono schiacciandolo ai fianchi. Grecia riaprì gli occhi e si ritrovò di nuovo davanti a quegli occhi affilati come lame di ghiaccio che lo scrutavano da una maschera di buio nascosta dal profilo del fucile puntato sulla sua testa.

Di nuovo un rigetto di terrore gli paralizzò la mente, creò un vuoto nei suoi pensieri che lasciò posto solo all’immagine della bocca di fuoco del mitra che si allargava fino a inghiottirgli la vista. Grecia ebbe la visione della raffica di spari che esplodeva, che gli trapassava la testa facendogli saltare in aria la nuca, del lago di sangue che si allargava sotto di lui imbrattandogli i capelli, del suo corpo che giaceva immobile e senza vita, senza più respiro.

Lo schiocco di adrenalina gli infiammò il sangue e riattivò il cervello.

Grecia impennò il fucile con un braccio solo, sbatté la volata contro quella di Germania, e deviò la mitragliata appena rigurgitata dalla bocca di fuoco. Schiacciò di striscio il grilletto, riuscì anche lui a far partire un singhiozzo di spari che passò a sfioro della spalla di Germania.

Germania arretrò sfilando la pressione dei piedi dai fianchi di Grecia e torse la spalla d’istinto, anche se non lo aveva colpito. Grecia rotolò sullo stomaco, piegò il peso su un ginocchio, si diede lo slancio, e si rialzò in piedi con uno scatto. Puntò lo sbocco d’uscita del corridoio che dava a una delle anticamere del forte e corse via. I capelli al vento e la pressione sul petto che gli arrochiva il respiro.

 Non posso affrontarlo, non qui. Ho già perso un’occasione e non deve succedere più.

Gli spari lo inseguirono.

Grecia accelerò la corsa, percependo la rabbia di Germania crescere alle sue spalle come un’onda di fuoco, e svoltò la curva mettendosi al riparo dalla pioggia di proiettili. Continuò a correre, le gambe in fiamme e i piedi che volavano sul pavimento senza nemmeno appoggiare le suole.

Devo trovare Inghilterra e andarmene, si disse. Ora ho capito. Era questo che cercava di dirmi Italia.

Le parole di Italia gli ritornarono in mente accompagnate da quell’espressione incrinata dal timore e dall’insicurezza che si era ritrovato davanti solo un mese prima.

“L’unico modo che hai per salvarti la vita è accettare la sconfitta e impedire che Germania intervenga qua.”

Grecia trattenne il fiato percependo una fitta lacerargli il petto, come se avesse ricevuto la scarica di proiettili fra le costole.

Germania non è venuto qua per sconfiggermi.

Strinse la mano sulla giacca, sopra il cuore, e il battito accelerato gli premette sulle nocche. Quel profondo palpito gli apparve all’improvviso come la cosa più preziosa che avesse mai posseduto.

Lui è qua per uccidermi.

 

.

 

Germania abbassò il fucile che soffiò gli ultimi rigetti di gas dai fori sulla volata, calò il braccio lungo il fianco stringendosi la spalla sfiorata dalla mitragliata di Grecia che non lo aveva ferito, e riprese fiato a labbra socchiuse mentre l’ombra del suo nemico si allontanava sempre di più assieme all’eco dei suoi passi.

Germania digrignò i denti. Maledizione. Allungò un primo passo per inseguirlo, ma si fermò subito. Girò lo sguardo sopra la sua spalla, fissò la parete opposta che si allungava nel corridoio e che sfociava nella seconda uscita del forte. Rimase immobile, restrinse le palpebre, e un lampo di furbizia gli attraversò quello sguardo incattivito dalla rabbia appesantita nel cuore.

Un’idea brillò nella sua testa.

Germania allacciò il fucile sul fianco, si girò dando le spalle alla direzione dove era scappato Grecia, e corse anche lui.

 

.

 

Romania sollevò la canna del fucile, mirò la bocca di fuoco contro il petto di Inghilterra, flesse l’indice sul grilletto, e una maschera di buio increspata attorno alle palpebre accese i suoi ardenti e ostili occhi d’ambra. “Resta immobile e portaci da Grecia,” ripeté.

Bulgaria abbassò il suo fucile e sollevò un sopracciglio. L’espressione perplessa. “Ma se è immobile come fa a portarci da Grecia?”

“I-intendo...” Romania scosse la testa, si morse il labbro, e insistette premendo di nuovo la mira contro la schiena di Inghilterra che era ancora voltato di spalle. “Ora resterà immobile e, quando lo diremo noi, si muoverà per portarci da Grecia.”

Inghilterra scrollò le spalle, staccò una mano dal calcio del fucile e si strofinò la nuca. “Sprecate il vostro tempo, ora non so dove sia finito.” Tornò a girarsi calpestando i segni neri che la mitragliata aveva lasciato sul pavimento, e rivolse un aspro ghigno di sfida alle altre due nazioni. “Ci siamo separati apposta per non finire in un tranello meschino come questo.”

Romania aggrottò la fronte, non si scompose. “Be’, allora credo che non ti dispiacerà venire con noi, intanto che Germania prosegue con la caccia.”

Inghilterra stese le braccia lungo i fianchi, aprì i palmi verso l’interno senza toccare il fucile che ora ciondolava sulla scapola. “Non crederete davvero che io sia disposto a farmi catturare da voi due così facilmente?” Con un gesto impercettibile, avvicinò il fianco della mano alla cinta a cui erano agganciate le tasche con le munizioni e il fodero della semiautomatica. Sfiorò il calcio della pistola con il mignolo e nessuno se ne accorse.

Bulgaria strinse i denti e soppresse un ringhio che gli fece vibrare la mandibola. “Cosa stai insinuando?”

Lo sguardo di Romania cadde sulla mano di Inghilterra accostata al fodero della pistola, intercettò il movimento delle sue dita, e anche lui scattò sentendo il cuore stringersi. “Non ti muovere!”

Inghilterra fece roteare lo sguardo, sbuffò annoiato e contenne un’imprecazione in fondo alla gola.

Romania pestò un passo avanti, sollevò di più il fucile, i suoi occhi si accesero di ferocia, le punte affilate dei canini sbucarono dalle labbra. “Non provare a toccare il fucile o la pistola. Gettalo o –”

L’eco di una corsa si materializzò alle spalle di Romania e Bulgaria, un’ombra scivolò sulla parete e materializzò la sagoma di Grecia. “Inghilterra,” gli rivolse subito lo sguardo da dietro le spalle degli altri due, “dobbiamo andarcene da qui.”

Bulgaria saltò di paura. “Wha!” Sbatté contro la spalla di Romania e finì fra le sue braccia assieme al fucile.

Romania gli strinse le spalle, girò lo sguardo che tornò a sbiadire in un’espressione di sconcerto e lo posò su Grecia. Sbatté due volte le palpebre, dimenticandosi di Inghilterra. “Da dov’è sbucato?”

Grecia abbassò lo sguardo su entrambi reggendo il fucile con un braccio solo, sollevò un sopracciglio, e i capelli che si erano spettinati per la corsa gli calarono un’ombra di intontimento sul viso. “Che cosa fate voi due qua?”

Romania slacciò l’abbraccio dalle spalle di Bulgaria e lo fece voltare verso Inghilterra. “Svelto, svelto, tienilo sotto tiro!”

Bulgaria passò il fucile da un gomito all’altro, si morse il labbro sentendo le mani cominciare a prudere di agitazione, e puntò l’arma su Grecia. “No, io a lui.”

Romania gli diede una spallata che lo fece scansare. “Io a Grecia.”

Bulgaria gli spinse un gomito fra le scapole, gli diede un calcetto alla gamba e lo fece voltare verso Inghilterra. “No, tu su Inghilterra,” esclamò. “Io su Grecia!”

Inghilterra assottigliò le palpebre, affilò un ghigno di scherno, e riuscì a stento a trattenere una risatina di pietà che gli tinse le guance di rosso. Che patetica coppia di... Scosse il capo, si ricompose schiarendosi la voce, e fece un passetto avanti rivolgendosi a Grecia. “Perché sei qui?” Riprese il suo fucile fra le braccia, l’indice già nel grilletto. “Il piano era che rimanessimo separati.”

Grecia si strinse nelle spalle, espressione piatta e indifferente. “Piano annullato.” Spostò di nuovo gli occhi dall’espressione tesa di Romania che lo scrutava girato di spalle – il suo fucile puntato su Inghilterra – a quella più furente di Bulgaria che gli stava puntando l’arma al petto. Grecia tornò a rivolgersi a Inghilterra e stese l’indice su entrambi. “Mi spieghi cosa ci fanno qui loro due?”

Bulgaria scattò di un passo avanti. “Getta il fucile, subito.”  

Grecia lo ignorò, flesse il capo di lato e incrociò gli occhi di Romania. “Perché c’è anche Romania?”

Romania strinse un mezzo ringhio che fece brillare le punte dei canini. “Affari miei.”

“Ho detto di gettare il fucile!” insistette Bulgaria. Girò lo sguardo, premette la schiena a quella di Romania e gli urlò nell’orecchio. “E tu fallo gettare a Inghilterra!”

“Non lo vuole lasciare!” Romania tornò a schiacciare un passo verso Inghilterra e gli rivolse uno sguardo buio e minaccioso come la bocca del suo fucile. “Lascialo!”

Inghilterra ridacchiò e scosse il capo. “No.” Fece anche lui un passo avanti. Il suo sorriso cadde, un’ombra di minaccia gli avvolse lo sguardo facendo splendere gli occhi di una luce intimidatoria. “E non provare a spararmi. Muovi solo l’indice sul grilletto e ti buco la pancia come uno scolapasta.”

Grecia mantenne lo sguardo disteso, si scostò due ciocche di capelli dal viso e si strofinò la nuca. “Perché ti sei alleato con Germania, Bulgaria?”

Bulgaria sbuffò, acido, e lo squadrò con indifferenza. “Non prenderla sul personale, di certo non l’ho fatto per fare un dispetto a te.”

“Immagino.” Grecia aggrottò le punte delle sopracciglia, e il fumo che ancora gli aleggiava attorno al corpo gettò uno strato di ombra sul suo viso. “Ma mi ha molto infastidito.”

“Sai quanto m’importa,” abbaiò Bulgaria. “Poi...” Una goccia di sangue disegnò il profilo del braccio di Grecia, colò dal polso e aprì un disco rosso sul pavimento, accanto al suo piede. Bulgaria risalì la scia scarlatta con lo sguardo, e si soffermò sulla sua spalla bendata e nera per il sangue impregnato nella fasciatura. Esitò. “Sei...” Sciolse una mano dall’impugnatura del fucile e si strofinò la testa, confuso. “Sei già ferito. Ma allora...” Nella sua testa scoppiò di nuovo il lampo esploso dalla sua carabina posata sui sacchi di sabbia e mirata contro la finestrella del forte. La difesa greca che cedeva, i tedeschi che avanzavano, Bulgaria che si rialzava da terra, che correva in mezzo ai fumi, riparandosi accanto a Germania e a Romania, e quella frase azzardata alla quale nemmeno lui aveva creduto più di tanto. “Ehi, forse ho colpito Grecia!” Bulgaria ritornò con gli occhi all’interno del forte, li spalancò, e la bocca cadde aperta in un sospiro di incredulità. “Ti ho davvero colpito.”

Quella vena di scetticismo si riflesse anche sul volto di Grecia. “Sei stato tu a colpirmi alla spalla?”

Inghilterra si sporse di lato, aggrottò un sopracciglio e lanciò a Grecia un’occhiata sconcertata. “È stato Bulgaria a colpirti prima?”

Grecia scosse il capo. “Inghilterra, lascia perdere.” Sollevò il pollice sopra la spalla e indicò dietro di sé. “Io e te dobbiamo uscire subito dal forte.”

“Cosa?” Inghilterra fece lo stesso squadrando la parte di corridoio buia e immersa nella foschia che si stendeva dietro la sua schiena. “Ma pensavo che dovessimo prima...”

“Germania.” Sul volto di Grecia tornò quell’insonnolita espressione di indifferenza. Lui si massaggiò il braccio ferito e scrollò le spalle. “Mi sta seguendo, credo voglia uccidermi.”

Romania si girò a guardarlo, gli occhi spalancati e animati da un abbaglio di incredulità, la bocca socchiusa che non riusciva a emettere fiato. Ma come fa a essere così calmo?

“Ehi, non ignorateci.” Bulgaria tornò nero in viso, fece scattare la canna del suo fucile puntando il collo di Grecia e la scosse. “Vi stiamo puntando i fucili addosso!”

Inghilterra fece un passo di lato per incrociare lo sguardo di Grecia, ignorò sia la rabbia di Bulgaria che il fucile di Romania rivolto contro di lui. “Come fai a dire che vuole ucciderti?” domandò.

“L’ho già incrociato.” Grecia guardò alle sue spalle, un soffio di fumo gli scivolò dietro la schiena, una breve corrente d’aria gli agitò le punte dei capelli, e un primo brivido di freddo e disagio gli pizzicò la pelle facendogli tornare gli occhi tesi e attenti. “Avrei voluto affrontarlo subito, ma credo che mi avrebbe ucciso, quindi ho preferito scappare e avvertire te che il piano è cambiato.”

Anche Romania si dimenticò di Inghilterra, abbassò il suo fucile e si girò di profilo a rivolgere uno sguardo interrogativo a Grecia. “Hai già incrociato Germania?” Un fremito di tensione gli irrigidì il volto.

Bulgaria risucchiò un forte respiro fra i denti, levò lo sguardo al soffitto, e scosse il fucile lanciando un grido di impazienza. “Perché merda nessuno ci sta ascoltando?”

Grecia fece roteare lo sguardo. Che fastidioso. Abbassò la sua arma, mirò alla gamba di Bulgaria, e flesse la punta dell’indice sul grilletto, schiacciando leggermente. Una breve raffica di mitragliate vomitò una serie di lampi che produssero un suono secco e metallico. Due proiettili colpirono il pavimento, rimbalzarono sul piede di Bulgaria e schizzarono via. Altri tre gli perforarono il polpaccio, fiotti di sangue sbocciarono sopra lo stivale e gli macchiarono i pantaloni.

Bulgaria saltò addosso al muro, il viso sbiancò contraendosi in un’espressione di dolore. “Gha!” Sbatté le spalle sulla parete, crollò sulle ginocchia, lasciò andare il fucile e strinse le mani sopra il polpaccio. Gorgogliò un altro rantolio di sofferenza che lo fece diventare grigio in faccia.

Romania fece un balzo all’indietro e lasciò andare il fucile che ricadde sul fianco. “Ah!” I suoi occhi sgranati riflessero il rosso della macchia di sangue che si stava allargando sotto la gamba di Bulgaria.

Bulgaria si rotolò sulla schiena, sollevò lo sguardo rivolgendolo al muscolo tremante, le dita strinsero sotto il ginocchio fino a sbiancare. Sbatté due volte le palpebre, il labbro inferiore vibrò, torcendo un angolo della bocca verso il basso. “Mi ha sparato alla gamba,” sbiascicò. “Mi ha...” Mosse la punta del piede, e una scossa di dolore lo frustò all’altezza delle tre ferite nel polpaccio. Il viso impallidito di Bulgaria si infiammò di rabbia. “Mi ha sparato alla stramaledetta gamba, quel bastardo!”

Romania strinse i denti, anche lui sentì una fiammata d’ira risalire lo stomaco e bruciargli fra le mani. “Maledizione.” Sollevò il fucile, lo puntò su Grecia, l’indice spinse sul grilletto, ma uno schiocco metallico dietro di lui lo fece bloccare.

“Non ti muovere.”

Romania divenne di pietra, ruotò la coda dell’occhio alle sue spalle e intercettò il mezzo ghigno di Inghilterra che gli sorrideva da dietro il profilo del fucile carico e puntato alla sua schiena.

“Ora siete chiusi fra due fuochi,” disse Inghilterra. “Non avete più modo di scappare.”

Romania non abbassò la sua arma da Grecia, i suoi occhi magnetici rimasero incollati a quelli altrettanto accesi e brillanti di Inghilterra. “E cosa avete intenzione di farci?” Le sue mani formicolarono. Romania mosse le dita attorno al calcio del fucile e una sottile corona di luce scarlatta brillò evaporando dalla sua pelle.

Bulgaria si rotolò sull’altro fianco, raccolse il ginocchio al petto, e strinse la faccia in una maschera di dolore. “Figlio di... Ghnn!” Le mani allacciate sopra il polpaccio tremarono, uno spasmo attraversò la gamba e rigettò due brevi schizzi di sangue.

Inghilterra si strinse nelle spalle, continuando a rivolgersi a Romania. “Uccidendo voi non otterremmo nulla, ma potremmo sempre prendervi come ostaggi, che ne dici?”

Romania sbuffò e distolse lo sguardo dal suo per non far notare quella scintilla di esitazione che lo fece tentennare. “Sprecate il vostro tempo,” sbottò. “Germania ci lascerebbe volentieri in pasto a voi piuttosto che subire rallentamenti. Lui è perfettamente in grado di compiere certi sacrifici quando si tratta del bene della campagna. Noi per lui siamo pedine sacrificabili.”

“Ottimo.” Inghilterra tornò a labbra piatte, un panno d’ombra calò da sotto la frangia sudata e spettinata, gli rese gli occhi più scuri e ostili. “Vogliamo provarci comunque?” Contasse l’indice, la levetta del grilletto cigolò. Grecia lo imitò e anche lui tornò ad alzare il suo fucile, mirò al petto di Romania.

Bulgaria strinse i denti, si girò sul fianco e smise di lamentarsi, anche se la gamba continuava a pulsare di dolore e ad alimentare la macchia di sangue che si era aperta sul pavimento. Sbatacchiò le palpebre per scrollarsi le gocce di sudore dalle ciglia, e sollevò gli occhi verso Romania, gli rivolse uno sguardo disperato. Romania morse il labbro inferiore, le punte dei canini vibrarono facendo sbiancare la carne. Gettò il capo in mezzo alle spalle, in segno di sconfitta, e le ciocche di capelli gli coprirono lo sguardo che non aveva il coraggio di tenere alto sul nemico. Calò il fucile, rimase immobile.

Inghilterra ignorò una minuscola spina di pietà nei loro confronti che gli si era conficcata nel cuore. Rimase a spalle dritte, tono autoritario, espressione dura e inflessibile. “Grecia, usciamo da qui,” disse. “Tu prendi Bulgaria e io prendo Romania.” Fece un passo in avanti spostandosi dalla zona buia e ancora nebbiosa del corridoio, sollevò un piccolo sorriso di compassione. “Questi due cagnolini ci faranno compagnia fino a che il loro padrone non verrà a –”

Un braccio emerse dall’oscurità delle pareti, trapassò la nebbia formata dai residui di gas, si tese sopra la spalla di Inghilterra, aprì la mano inguantata, gliela schiacciò sulla bocca strappandogli un rauco gemito soffocato, e gli fece reclinare il collo. Inghilterra sbarrò gli occhi e raggelò. Il suo fiato trattenuto gonfiò la giugulare che pulsò attraverso la pelle rigata dal sudore. Non ebbe tempo di fare altro. Una scia di luce metallica corse sopra la sua altra spalla, si innalzò percorrendo il profilo seghettato della lama del pugnale, giunse all’impugnatura stretta da una mano estranea. La mano calò, la punta del pugnale perforò l’aria e si piantò dentro la clavicola di Inghilterra. Inghilterra gemette strizzando gli occhi e il suo corpo si contrasse in un violento spasmo di dolore. Un primo rigetto di sangue zampillò dalla ferita, macchiò la lama del pugnale, e gli sporcò la manica della giacca. La mano stretta all’impugnatura del coltello si strinse, flesse il polso, fece inclinare la lama, e diede un forte strappo verso l’alto, tranciandogli la carotide. Si udì un suono sordo e gutturale, quello di un coltello che affetta in due un’arancia, poi uno scricchiolio viscido – di un ramoscello verde che viene spezzato –, e un arco di sangue gli schizzò fuori dal collo, arrivando a bagnare la parete.

Grecia fu il primo a realizzare. Emise un sussulto, lo sguardo divenne di vetro, un lampo di sorpresa e paura gli attraversò il viso, una scossa penetrò il petto e gli fermò il battito del cuore. Romania si girò, scattò con le spalle al muro, urtò un piede di Bulgaria e si tappò la bocca con entrambe le mani. Gli occhi sbarrati riflessero l’arco di sangue che era spruzzato dalla ferita lacerata dal pugnale, affogarono in un’espressione di terrore. Bulgaria raggelò, lo sguardo piatto come una maschera, e si dimenticò del dolore al polpaccio.

La mano che aveva aggredito Inghilterra tornò a piegare la lama, diede un altro strattone in senso opposto e la sfilò dal suo collo facendo sbrodolare un altro fiotto di sangue. L’altra mano si staccò dalla sua bocca e lo lasciò andare.

Il corpo di Inghilterra precipitò sul pavimento, si accasciò sul fianco, le braccia crollarono davanti al petto con il fucile ancora raccolto fra i gomiti, e la ferita alla gola spurgò altri fiotti di sangue che allargarono una larga pozza rossa e oleosa sotto la sua faccia. Ebbe tre spasmi di seguito, il collo si torse, espose la ferita che si dilatò e si restrinse come una grande branchia, smettendo di assorbire aria. Gli occhi ancora spalancati divennero vitrei, la luce si spense lasciandogli le pupille opache e vuote. Dalle labbra socchiuse, diventate color cenere, colarono altri rivoli di sangue che gli attraversarono la guancia e si unirono alla chiazza spanta sotto di lui. Non si mosse più.

Davanti agli sguardi sgranati di tutti, un’ombra emerse dalla foschia che riempiva le pareti, una gamba scavalcò il corpo immobile di Inghilterra, la suola dello stivale schiacciò la pozza di sangue emettendo un sonoro splash!, schizzi rossi saltarono fino alla parete. La scia d’argento della lama calò dando un taglio netto all’aria, e un arco sangue scivolò dal metallo, ripulendo il pugnale. I freddi e feroci occhi di Germania ruotarono verso il corpo di Inghilterra ancora fra i suoi piedi, immerso nel lago di sangue alimentato dalla ferita sulla sua gola che aveva smesso di tremare. Occhi più crudeli e taglienti della lama che gli aveva trafitto la carne.

“Cos’è che avevi intenzione di fare ai miei alleati, Inghilterra?”

Grecia scivolò di un passo indietro, un breve respiro gli vibrò fra le labbra, il viso impallidito venne attraversato da un lampo di terrore. La situazione gli apparve all’improvviso più tragica e pericolosa di quello che tutti si aspettavano.

   
 
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