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Autore: _Frame_    18/06/2017    5 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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130. Istinto omicida e Istinto paterno

 

 

La mano di Germania che impugnava il coltello d’assalto insanguinato, appena estratto dalla gola tranciata in due di Inghilterra, calò disegnando un arco scarlatto nell’aria stagnante e polverosa del forte assediato. Lo strato di sangue schizzò via dal profilo seghettato della lama, perle rosse volarono contro la parete, macchiandola per lungo. Germania distese il braccio lungo il fianco, contrasse la mano inguantata stretta all’impugnatura del coltello, e le nocche rigonfie sfiorarono il fucile che aveva lasciato allacciato alla spalla. Scavalcò il corpo immobile di Inghilterra con un passo, la suola dello stivale schiacciò la pozza di sangue che si stava allargando attorno al suo corpo – splash! – e rivolse verso il basso quegli spietati occhi gelidi che brillavano nella penombra come schegge di ghiaccio.

“Cos’è che avevi intenzione di fare ai miei alleati, Inghilterra?”

Il suono profondo e cavernoso della sua voce riempì il silenzio tombale che aveva invaso l’intero corridoio del forte.

Romania arretrò di un passo, urtò il muro con le spalle e sovrappose le mani alla bocca tremante. Contrasse la fronte, gli occhi si riempirono di una paura che li rese lucidi e liquidi. Quel getto improvviso di panico gli accoltellò il petto e discese fino al ventre, gli fece ballare le ginocchia e rese i muscoli pesanti come sacchi di sabbia appesi alle gambe. Bulgaria tenne le palpebre sgranate, torse verso il basso un angolo delle labbra che furono attraversate da un sussulto, la sua espressione si macchiò di sconcerto, e tirò le spalle all’indietro, spingendosi al riparo con la gamba sana.

Il corpo di Inghilterra emise uno spasmo che gli contrasse il torso e gli spinse il petto all’infuori. Le ginocchia si piegarono di colpo rimbalzando nel lago di sangue, e le braccia sbatterono contro il fucile che gli era caduto fra i gomiti. Un risucchio d’aria scivolò fra le labbra grigie, gli gonfiò il collo lacerato. La ferita si dilatò spruzzando due getti di sangue dalla carotide strappata in due e tornò a restringersi. La tensione si rilassò e la testa tornò a sbattere sul pavimento, giacque in mezzo al sangue. Le punte dei capelli si tinsero di un forte color rame, gli occhi spensero, come se le iridi si fossero sporcate di cenere, e il viso divenne bianco come cera. Lo sguardo perso nel vuoto. Lo sguardo di una bambola rotta.

Germania completò il passo, schiacciò anche l’altro piede dentro la pozza di sangue, e avanzò verso Grecia tatuando due impronte cremisi sul cemento. Sollevò lo sguardo. La frangia spettinata, sporca di polvere da sparo, di terra e di sudore, oscillò davanti agli occhi ristretti che si posarono sul viso di Grecia. Gli trasmisero quello stesso freddo brivido di allarme che lo aveva colto quando si erano scontrati, quando lui si era trovato davanti allo sguardo di Germania che prendeva la mira in mezzo alla sua fronte da dietro il fucile.

Grecia fece scivolare un piede all’indietro, si irrigidì, di nuovo stritolato dalla sensazione di finire con la testa trapassata da una raffica di proiettili, e gettò un’occhiata alle sue spalle. La foschia si era abbassata. Lo spazio buio del corridoio dal quale era arrivato si stendeva deserto e silenzioso, illuminato solo dallo sfarfallio delle lampadine azzurrine. Rivide se stesso fuggire da Germania, correre fra le pareti del forte inseguito dall’eco degli spari, e circondarsi della sensazione di star abbandonando la sua presenza.

Ha preso la direzione opposta.

Ruotò di nuovo gli occhi su Germania. Germania rinfoderò il pugnale d’assalto nella cinta e imbracciò il fucile che aveva lasciato scivolare dietro la spalla.

Grecia fece un altro passo all’indietro e gli mostrò uno sguardo ostile, ma una scossa di paura e di realizzazione rimase a pizzicargli il cuore.

Invece che inseguirmi e catturarmi alle spalle, con il rischio che scappassi di nuovo, ha preferito uscire dal forte, rientrare dalla parte opposta, e arrivare davanti a me.

La superficie oleosa della pozza di sangue si increspò, infrangendo le onde di luce gettate dalle lampadine artificiali affisse sul soffitto. Inghilterra contrasse il viso in una ruga di dolore. Una scossa di vita gli attraversò gli occhi, le labbra si schiusero e assorbirono un altro risucchio d’aria. La fronte tornò a sbattere nel sangue. Inghilterra strinse i denti e gemette. Un gemito breve e strozzato. Una gamba si stese, sbatté il piede sulla parete, e tornò a scattare verso il petto. Ruotò di poco il busto togliendo il peso dalla spalla, le braccia si contrassero in uno spasmo e avvicinarono le mani tremanti e gocciolanti di sangue alla gola. Le dita sfiorarono la ferita aperta, rivoli di sangue lacrimarono dalle unghie e si unirono ai fiotti spurgati dalle due estremità slabbrate di pelle tagliata. La testa ricadde dall’altro lato, la guancia si immerse nella pozza sangue alimentata dal lacero alla gola e da un filo rosso che gli colò dalla bocca. Gli occhi tornarono a smarrirsi in una fitta nebbia, grigia come la foschia che gli appannava la mente.

Grecia sentì il cuore stringersi in una morsa di compassione. Il sapore amaro della colpevolezza fu un pugno allo stomaco.

Germania ha ferito Inghilterra perché sa che non lo abbandonerei mai per scappare, e allo stesso tempo non posso nemmeno andargli addosso per precipitarmi a salvarlo perché sarebbe come gettarsi in un cerchio di fuoco con i vestiti imbevuti di benzina.

Strinse i pugni facendo stridere le unghie sul calcio del fucile che reggeva ancora con una mano, e il braccio tremò. Un forte senso di sconfitta lo assalì come una bastonata sulle costole, facendogli venire voglia di buttarsi anche lui in ginocchio e arrendersi.

Grecia sospirò, chinò la fronte senza abbassare gli occhi.

Sono in trappola.

Un altro schiocco dei passi di Germania gli fece ruotare gli occhi sulla sua ombra. Germania si impose davanti a Grecia ergendosi nella sua stazza nobile e solenne, occhi spietati ma sereni raggelarono l’aria attorno a lui, addensando la maschera di buio calata sul suo volto.

Grecia non riuscì a impedire che sbocciasse in lui un sincero sentimento di ammirazione e rispetto.  

Sei proprio un calcolatore nato, Germania.

Germania si fermò accanto alla gamba ferita di Bulgaria, immobile sopra la piccola pozza di sangue che aveva annerito il pavimento e che si stava lentamente unendo a quella fiorita sotto il corpo immobile di Inghilterra. Gli rivolse lo sguardo. “Dove ti ha ferito?” gli chiese. “Solo alla gamba?”

Bulgaria scosse la testa come se Germania gli avesse tirato uno schiaffo e staccò gli occhi da Inghilterra. Spostò una mano indietro, tirando le spalle fino alla parete e urtando un ginocchio di Romania, e annuì con un gesto meccanico. “S-sì,” rispose. Spostò il piede della gamba colpita e un’altra scossa di dolore gli morse il muscolo, gli fece arricciare una smorfia ancora ingrigita dalla paura e dal disgusto di aver udito il suono viscido e gutturale del collo di Inghilterra che veniva pugnalato. “Al polpaccio. Io non...” Deglutì. “Non credo abbia preso l’osso o il ginocchio.”

Germania spostò gli occhi sulla sua gamba ferita. Aveva smesso di gocciolare sangue e di allargare la pozza. “Riesci a rialzarti?”

“Uh.” Bulgaria portò indietro anche l’altra mano, scivolò sul sangue e batté la spalla alla parete. Strinse i denti. “Forse.”

Germania gettò lo sguardo su Romania che era ancora inchiodato al muro, con gli occhi sbarrati, lucidi di paura, premuti sul corpo steso di Inghilterra che si specchiava nelle sue pupille dilatate. Aggrottò la fronte e lo chiamò. “Romania.”

Romania rimbalzò sul posto, come punto da un ago in mezzo alle natiche, e il suo piede saltò nella pozza di sangue di Bulgaria, schizzando gocce rosse sulla parete. Guardò Germania con occhi persi e vitrei, come se si fosse ricordato solo in quel momento della sua presenza.

Germania inclinò il capo su Bulgaria. Viso di pietra. “Aiutalo.”

Romania prese due respiri profondi. Le gambe smisero di tremare, le guance ripresero colore, e lui annuì. “S-sì.” Scivolò di un passo di lato, tenendo le spalle premute al muro, e si chinò verso Bulgaria che gli aveva già teso un braccio. Romania lo raccolse, se lo mise attorno al collo, gli strinse l’altro braccio attorno ai fianchi e lo tirò su di peso. Voltò la guancia, parlò con le labbra a sfioro della spalla dell’altro. “Ma cosa facciamo di Inghilterra?” mormorò.

Germania ruotò la coda dell’occhio senza abbassare il fucile da Grecia.

Inghilterra ebbe un altro spasmo che lo fece girare di nuovo con il peso premuto sulla spalla, una mano accostata al lacero sulla gola si contrasse toccando il viso, ricadde nel lago di sangue lasciando tre strisce rosse sulla sua guancia. Fra le sue labbra soffiò un respiro spezzato, un gemito di sofferenza, e il viso si strinse in una maschera di dolore sporca del rosso che colava dai capelli fradici di sangue.

Germania si sentì trafitto da un freddo sentimento di indifferenza e odio. “Lascia pure che anneghi nel suo stesso sangue.” Il rosso del sangue di Inghilterra si trasformò nel rosso degli incendi di Taranto che avevano bruciato nei suoi occhi quando si era affacciato sul porto dato alle fiamme dai bombardamenti. Divenne il rosso che era spurgato dalle ferite di Prussia, sulla tempia e sulla spalla colpite dai suoi spari durante l’Operazione Excess e che si era ricucito e bendato davanti a suo fratello. “Avrà tutto il tempo di riflettere sulla condotta che ha mantenuto durante il corso di questa guerra.”

Inghilterra strinse i denti, digrignò i molari in un latrato di rabbia e dolore. Soffiò un forte respiro da toro inferocito che increspò la pozza di sangue sotto la sua faccia, e gettò due occhi feroci e pregni di odio addosso a Germania. Il sangue gocciolò dai capelli, gli attraversò le palpebre, iniettò le iridi di un forte color cremisi. Inghilterra rannicchiò le braccia al petto, accostò le mani contratte sotto la gola. Le dita tremanti sfiorarono la ferita che pulsava a ritmo dei suoi spasmi, dilatandosi e restringendosi, e si appesero alla stoffa bagnata della giacca. Altri tre affanni di seguito, e le forze lo abbandonarono di nuovo. Tornò ad accasciarsi con il viso affogato nel suo sangue.

Grecia spostò la punta di un piede all’indietro, il suo braccio scattò e urtò il profilo del fucile allacciato alla spalla.

Germania contrasse la punta dell’indice sul grilletto, i suoi occhi presero la mira. “Non muoverti.” Pestò un altro passo, e lo stivale schiacciò un rivolo rosso proveniente dalla macchia di sangue sgorgata dalla gamba di Bulgaria. “Hai già capito da solo la situazione, vero?” disse rivolto a Grecia. “Non occorre che te la spieghi.”

Grecia irrigidì, strinse i pugni, sostenne lo sguardo di Germania ricambiando la fine occhiata di minaccia, e un altro movimento di Inghilterra catturò di nuovo la sua attenzione. Inghilterra sbatté un piede sul cemento, si diede uno slancio con il ginocchio, tornò a rotolare sulla schiena, strinse un lamento fra i denti, a occhi strizzati, e gettò un braccio attorno al busto. La mano bagnata di sangue ricadde sopra la cinta, le dita lasciarono quattro impronte rosse sopra il fodero della pistola.

Grecia allargò le palpebre, e un lampo di realizzazione gli attraversò gli occhi. Ha ancora abbastanza forze. Spostò lo sguardo su Romania e Bulgaria – Romania strinse le braccia attorno alle spalle di Bulgaria e lo aiutò a tenersi in piede mentre l’altro zoppicava sulla gamba sana. E loro non sono di certo nelle condizioni di poter intervenire.

Un sottile bruciore nato in fondo al petto tornò a trasmettere a Grecia quella carica di coraggio e di forza che si era spenta nel momento in cui aveva visto il pugnale di Germania tranciare in due la gola di Inghilterra. Grecia tornò ad abbassare lo sguardo e incrociò il suo, iniettato di sangue, furente di rabbia e di frustrazione, ma vivo. E di nuovo quella mano insanguinata che si contraeva, si aggrappava all’aria per darsi la spinta, e tornava a cadere sul fodero della pistola. 

Te la senti davvero di tentare una cosa del genere, Inghilterra? Perché se fosse così...

Grecia gli annuì. Abbassò di poco il mento e tornò a tirarlo su – un movimento impercettibile.

Allora ti asseconderò finché posso.

“In realtà sono un po’ confuso, Germania,” disse Grecia con naturalezza, la voce distesa e lo sguardo di nuovo calmo.

L’espressione di Germania venne attraversata da una crepa di scetticismo che ruppe il ghiaccio cristallizzato nei suoi occhi. Romania e Bulgaria incrociarono due occhiate sbilenche e rimasero in silenzio, le braccia di Bulgaria allacciate al collo di Romania e la sua gamba ferita a toccare il pavimento con la punta del piede.

Grecia flesse il capo di lato, facendolo ciondolare verso la spalla, e le ciocche di capelli gli scivolarono davanti agli occhi annebbiati. “Perché non mi spari e basta?” domandò. “Pensavo che, arrivati a questo punto, non ti interessasse un confronto, ma solo la mia morte.” Rievocò il brivido trasmesso dal ricordo del fucile di Germania puntato contro la sua testa, della mitragliata che gli sfiorava l’orecchio per poi schiantarsi contro il pavimento e pizzicarlo con un bagno di scintille. Scosse le spalle, lo sguardo ancora più indifferente. “Prima hai davvero cercato di uccidermi.”

L’espressione di Germania si stropicciò nel buio, tornò dura e severa. “Non dire assurdità.” Fece un passo in avanti, e dietro di lui lasciò un’altra impronta di sangue. “Ucciderti?” disse. “Pensi davvero che sarebbe così facile anche per me?”

Grecia sollevò un sopracciglio e indicò Inghilterra con un’alzata di mento. “Con lui non ti sei decisamente trattenuto.” Inghilterra emise un altro rantolo, boccheggiò con le labbra che sfioravano la superficie della pozza di sangue, altri densi rigetti rossi sgorgarono dalla ferita sul collo e dalla bocca tremante che non poteva chiudere per non soffocare. Sollevò un braccio, il gomito ricadde al pavimento, schizzò il sangue sulla giacca, e accostò la manica alla ferita, per fermare l’emorragia. Il braccio tornò a scivolare, la mano giacque socchiusa, tremante, e di nuovo una grigia maschera di sofferenza si impossessò del suo volto. Il respiro rallentò, gli occhi tinti di sangue luccicarono fra le palpebre socchiuse, e le gambe si stesero, abbandonate dalle energie. Grecia flesse le punte delle sopracciglia in una sincera e addolorata espressione di compassione che gli fece luccicare gli occhi. “Povero Inghilterra,” mormorò.

Anche Germania ruotò la coda dell’occhio per squadrarlo da sopra la spalla. Nel suo sguardo si dipinse lo stesso odio che lo aveva colto quando si era ritrovato a piantargli la lama seghettata nella carotide. “Inghilterra costituisce una forte minaccia ai miei piani.” Tornò su Grecia. “Dovevo per forza renderlo inoffensivo.”

Grecia sbuffò. “Immagino.”

Inghilterra schiuse le palpebre, sbatacchiò le ciglia scrollando via le gemme di sangue, aggrottò la fronte e intercettò lo sguardo di Grecia. Sollevò di nuovo la mano insanguinata che aveva accostato alla gola, mosse l’anulare, il medio e l’indice, e fece ricadere le dita sul fodero della pistola. Sollevò le sopracciglia per due volte. Rivoli di sangue e di sudore gocciolarono dentro agli occhi, riempiendoli di una luce disperata. Inghilterra batté le unghie sull’apertura del fodero, scalciò l’aria con un piede, e di nuovo scoccò quell’occhiata fulminea e implorante in direzione di Grecia. Grecia ricevette quello sguardo che gli trapassò il cranio come una saetta. Capì, e tornò a occuparsi di Germania.

“E come pensi di rendere me inoffensivo, invece, se il tuo scopo non è quello di uccidermi?” gli chiese, continuando a guadagnare tempo.

Germania scosse il capo. “Se non opporrai resistenza, non ho intenzione di farti del male.”

Grecia fece roteare lo sguardo e arricciò il naso in una smorfia da offeso. “Prima che arrivi il giorno dell’armistizio.” Mosse la spalla colpita dal proiettile sparato da Bulgaria, e inclinò il capo dalla parte opposta per far schioccare una vertebra irrigidita.

Germania aggrottò un sopracciglio, gli occhi cauti e freddi dietro il profilo del fucile. “Cosa intendi dire?”

Grecia rilassò la spalla, mantenne quell’espressione buia e scocciata. “Ti servo vivo solo fino all’armistizio, vero? Poi potrai anche disfarti di me, così occupare il mio paese senza resistenza da parte mia sarà più facile, come avete fatto con Polonia.”

“Ma non con Francia,” ribatté Germania. Compì un altro passo avanti che scricchiolò sul cemento, pesante e minaccioso come l’eco di un tuono che crepita in lontananza. “Non sarà il mio giudizio a pesare sulla tua sorte. Questa non è la mia battaglia, è la battaglia che ha cominciato Italia, e sarà lui a decidere il destino del suo nemico.”

“Già.” Grecia allontanò gli occhi, e i ricordi picchiettarono sulla sua schiena, freddi e pungenti come la pioggia che lo aveva accompagnato durante l’inizio della campagna, la pioggia sotto la quale si era battuto contro Italia, contro Romano, quella pioggia che aveva allagato i cuori di entrambi i fratelli spurgando colpe e bugie. Sospirò. “Italia.”

Qualcosa emise un tonfo sordo, uno squillo metallico. Grecia rizzò l’udito sentendo un formicolio attraversargli le orecchie, e gettò di nuovo gli occhi su Inghilterra. Le dita laccate di sangue si erano aggrappate al fodero della pistola, le unghie schiacciate sotto il bottone d’acciaio slacciato, e le nocche che vibravano per la tensione sfiorando il calcio liberato della semiautomatica. Inghilterra torse il collo slabbrato e ghignò di soddisfazione. Un arco bianco e affilato in quella maschera di sangue che gocciolava dai capelli ramati. Romania si girò verso di lui, catturato da quello squillo, continuando a sorreggere Bulgaria per le spalle, e gli lanciò addosso un’occhiata incerta, ancora un po’ appannata e stordita.

Grecia si accorse dell’esitazione di Romania e sentì una scossa di timore ghiacciato attraversargli la spina dorsale. Doveva insistere ancora.

“Ho combattuto contro Italia solo qualche settimana fa, lo sapevi?” disse a Germania.

Germania annuì. “Sì.” Le sue mani strinsero sull’impugnatura del fucile e la pelle dei guanti scricchiolò sul calcio.

“Ovviamente mi ha detto che saresti arrivato e che avresti provato a uccidermi,” gli disse Grecia. “Ha cercato di convincermi a capitolare subito, sai? Ma io non ci ho dato molto peso.”

Germania abbassò leggermente la punta del fucile, in modo da incrociare lo sguardo di Grecia senza avere il profilo dell’arma in mezzo a loro, e gli rivolse un’occhiata scettica, scossa però da una punta di allarme. “Italia ti ha detto di arrenderti?”

“Sì.” Grecia assottigliò lo sguardo, incurvò un fine sorriso da furbo incorniciato dalla luce degli occhi ancora sbavati da quella sua aria estraniata e insonnolita. “Lui ha molta paura di te, sai?” Un brivido di scaltrezza gli corse attraverso il petto, punse il cuore facendo accelerare il battito, scaldò il flusso del sangue facendolo correre lungo le gambe che iniziarono a bruciare di impazienza. Grecia dovette conficcarsi le unghie nei palmi per costringersi a rimanere immobile dov’era e a non gettarsi contro le difese abbassate di Germania. Non ancora, si disse. Non ancora, ma Inghilterra deve sbrigarsi, o... “Ha dato il via all’offensiva di primavera perché non voleva che tu perdessi la testa durante l’invasione.”

Negli occhi di Germania si accese una fiammata d’ira che riuscì a sciogliere la maschera di freddezza dietro la quale si nascondeva. “Tu non hai diritto di porti in mezzo a noi due,” tuonò. “Non hai diritto di immaginare ciò che lui pensa di me.”

Grecia sollevò le sopracciglia in una profonda espressione offesa. “Immaginare?” fece. “Perché dovrei immaginarmelo?” Si posò la mano sul petto con un gesto lento. “Io e Italia portiamo avanti questa guerra da ottobre. Credo di avere iniziato a capire piuttosto bene perché ha deciso di compiere certe scelte.” Fece scivolare le dita dal petto, e mantenne quella placida espressione assonnata che donava ai suoi occhi un’aria estraniata e risucchiante allo stesso tempo. “E tu, Germania?”

Germania esitò. La vampata d’odio e rabbia si ritirò.

“Qual è il tuo scopo in questa campagna?”

Germania rilassò la tensione sulle mani che reggevano il fucile, abbassò la punta della volata, e l’ombra si sciolse attorno a lui, lo fece di nuovo sfiorare dalla luce delle lampadine, lontano dalla foschia di fumo. “Il mio scopo è salvare Italia e riparare ai suoi errori.” Scosse il capo. “Nient’altro.

“E allora perché non sei in Albania?” Grecia scrollò le spalle. “Perché hai deciso di venire qua dove sapevi che avresti trovato me e non Italia?”

Di nuovo Germania lanciò addosso a Grecia un’occhiata scura e tagliente pregna di tutto il suo desiderio di trafiggerlo fino al cuore.

Grecia guardò Germania negli occhi, senza paura, senza esitazione. “So che ti piacerebbe uccidermi, Germania, anche se tu dici il contrario. Noi nazioni percepiamo bene questo genere di sensazioni nei nostri simili.”

Inghilterra chiuse le dita attorno al calcio della pistola, vi fece stridere le unghie, tirò verso l’alto, ma i polpastrelli laccati di sangue fecero sgusciare via la presa.

Quel bruciore di aspettativa formicolò attraverso il corpo di Grecia, lui tolse subito lo sguardo da Inghilterra, spinse il peso sulla punta di un piede, pronto a scattare, e catturò gli occhi di Germania nella luce dei suoi. “Mi chiedo solo...” Si strinse nelle spalle, e il suo timbro di voce assunse un sincero tono interrogativo. “Perché?”

Germania non ebbe tempo di rispondere.

La mano di Inghilterra si contrasse sul calcio della pistola, le unghie graffiarono il metallo, le ossa schioccarono, il gomito si piegò di scatto e il braccio diede un forte strattone sfilando l’arma dal fodero. Lo colse un giramento di testa, la vista si tinse di rosso, il viso imbrattato di sangue formicolò creando una forte pressione alla radice del naso. Inghilterra si sentì risucchiato delle forze e il braccio crollò a terra, in mezzo al sangue. Crack! La pistola sbatté sul cemento, ma rimase fra le sue dita. Inghilterra tirò l’altra mano accanto alla gola, trattenne il fiato, e si premette il palmo contro la ferita molle e viscida. Una scossa di energia bollente defluì lungo il braccio e si racchiuse all’interno della mano stretta alla pistola. Inghilterra spinse l’indice sul grilletto, trapassò l’anello con il dito e avvolse la curva della levetta. Gettò il braccio contro Germania, la pistola inclinata e la sua vista sbavata di sangue, e l’altra mano aggrappata alle vertebre lacerate del collo che continuavano a lacrimare fra le sue dita.

Romania finì travolto da un’ondata di fuoco che lo fece gemere, “Ah”, staccò le mani da Bulgaria, buttò un braccio verso Inghilterra, e i suoi denti affilati brillarono come la scintilla di paura che gli era esplosa in testa. “Germania!”

Germania girò lo sguardo.

Inghilterra scaricò le sue ultime forze solo sull’indice, lo schiacciò di prepotenza sul grilletto, facendo gonfiare le vene della mano in un guanto di radici blu, e il colpo esplose in una bolla di luce e fumo. Romania incrociò le braccia davanti al viso per ripararsi e tornò a scattare indietro, sbatté contro Bulgaria. Germania sgranò gli occhi nei quali si riflesse il lampo dello sparo, spinse un piede all’indietro e torse una spalla per schivare la scia di fuoco graffiata dalla pallottola.

Grecia si piegò sulle ginocchia, chinò le spalle, strinse un polso per tenere il braccio piegato davanti al petto, e volò di una falcata contro Germania. Lo colpì con una gomitata fra le costole. Germania incrociò i piedi e sbandò, senza cadere. Grecia lo superò e si gettò correndo su Inghilterra.

Germania riagguantò il suo fucile, lo puntò contro Grecia, e schiacciò l’indice sul grilletto. Partì una raffica che produsse il suono di una secchiata di sassi rovesciata su una lastra d’acciaio.

Tre proiettili si conficcarono nella schiena di Grecia, pochi schizzi di sangue guizzarono dai fori della giacca e volarono attraverso l’aria. Grecia scivolò sulle punte dei piedi, strinse i denti per morsicare un gemito fra i molari, torse le spalle all’indietro per ammortizzare i tre colpi, e avanzò in una falcata più molle. Il dolore lo aggredì come se lo avessero infilzato con tre lance in mezzo alle costole. Non cadde. Allungò la gamba che aveva trascinato, tornò a schiacciarla a terra, completò il passo nella pozza di sangue – splash! –, e si piegò buttandosi a raccogliere Inghilterra. Gli infilò un braccio attorno alle gambe, uno attorno al busto, diede un forte slancio nonostante il dolore alla spalla e quello alla schiena che tornò a colpirlo come due secche frustate, e se lo caricò contro il petto.

Un’altra serie di spari schizzò perforando l’aria. Due proiettili gli volarono sopra la spalla, uno gli sfiorò il busto, altri si schiantarono vicino ai suoi piedi investendolo con spruzzi di scintille bianche. Grecia strinse la presa sul corpo di Inghilterra lasciando che lui si accucciasse con le ginocchia accostate al petto, le mani aggrappate alla ferita alla gola, e la faccia contratta di dolore affogata nella sua giacca. Abbassò la testa contro la sua per non finire colpito dai proiettili volanti, il suo viso gli sfiorò i capelli imbrattati di sangue, e allungò altre due falcate attraverso il lago di sangue che si era espanso lungo il pavimento. Splash, splash, splash!

Altri spari esplosero contro di lui. Altre frecciate di dolore gli trafissero la carne, i proiettili scoppiarono dentro la schiena sollevando lo scricchiolio delle costole spezzate e il suono più viscido dei getti di sangue schizzati via dalle ferite. Grecia tenne i denti stretti, strizzò gli occhi e ingollò il fiato, concentrandosi solo sulla forza accumulata nelle braccia che tenevano protetto Inghilterra contro il suo torso. Scappò via inseguito dalle mitragliate che si schiantavano sulle pareti e sul pavimento, dietro i suoi piedi.

Germania abbassò il fucile, il viso nero di rabbia, gli occhi ardenti di frustrazione. “Verdammt.” Mise la sua arma sottobraccio e partì all’inseguimento, correndo anche lui in mezzo al sangue spanto dalla ferita di Inghilterra che aveva allagato il pavimento.

Romania saltò di un passo lontano dal muro e tese un braccio verso di lui, aprì la mano come per afferrare la sua immagine rimpicciolita. “Germania, Germania, fermo, aspetta!” gridò. “E noi?”

Germania girò lo sguardo senza smettere di correre. “Prendete l’altro corridoio laterale e uscite! Io non posso lasciarlo scappare!”

Bulgaria spalancò gli occhi e ingoiò un ansito di panico e indignazione. “Ma io non posso correre!” Si aggrappò al muro con entrambe le mani e avanzò di un passo saltando su una gamba sola. “Nemmeno camminare! Non...”

“Sbrigatevi!”

La figura di Germania scomparve oltre la curva del corridoio assieme all’eco dei suoi passi dispersi fra le pareti. Nell’ambiente del forte piombò di nuovo quel pesante silenzio infittito dall’aria pregna dell’odore dei gas, delle polveri da sparo, del cemento sbriciolato e dell’umidità che stagnava in una sottile nebbiolina grigia attraversata dalla luce delle lampadine incastrate sul soffitto. L’eco della battaglia tuonò fuori dalle mura. Le pareti tremarono, le lampadine emisero uno sfarfallio, un ronzio metallico, e tornarono a brillare fra le pareti scosse dagli spari provenienti dall’esterno, dal ruzzolare di passi che correvano attorno alla struttura, e dalle cannonate che attraversavano l’aria facendo scoppiare crateri al suolo.

Bulgaria rimase a bocca socchiusa, le palpebre sgranate e lo sguardo sconvolto, grigio in faccia per il dolore che riprese a pulsare nella gamba ferita e infossato di nero attorno agli occhi. Strinse le dita contro il cemento ruvido della parete per non sentirsi mancare crollare a terra. Nel lucido delle sue pupille si specchiava ancora il fantasma di Grecia che si precipitava a raccogliere Inghilterra, che scappava inseguito dagli spari che gli avevano trafitto la schiena e dalla corsa di Germania, sparito anche lui dietro l’angolo del corridoio.

Bulgaria boccheggiò. “C-ci ha lasciati soli.”

Romania deglutì. Sbiancò a sua volta, brividi di terrore scivolarono lungo la schiena e gli fecero tremare le gambe.

“Ci ha lasciati soli,” ripeté Bulgaria, la voce più forte e aspra. “Il bastardo ci ha lasciati soli! Come diavolo ha potuto lasciarci qua da soli?”

Romania scosse il capo, riacquistò un po’ di lucidità, e si girò tornando ad avvolgere un braccio di Bulgaria. “Riesci a camminare?” Incastrò il gomito nel suo.

Bulgaria fece un saltello e premette la spalla alla sua, si lasciò stringere la schiena. “Non lo so.” Tese la punta del piede, la poggiò a terra, tornò a sollevarla come se l’avesse immersa nell’acqua bollente. Piegò il ginocchio e riprovò ad appoggiare il piede. “Mi ha colpito proprio il polpac – ahi!” Scattò addosso a Romania, cadendo fra le sue braccia.

Romania lo tenne in piedi contro il suo petto. Le ginocchia tremarono, i muscoli delle gambe ebbero uno spasmo, indeboliti dal flusso di paura che era scivolato via lasciandoli molli e cedevoli, e uno strato di sudore gli inumidì le mani, rendendole scivolose. “Maledizione.” Barcollò di un passo indietro, sporse la vista dietro di sé, oltre l’angolo di corridoio dietro il quale gli altri erano fuggiti. “Se solo...”

Un forte rumore di passi in corsa crebbe fra le pareti del forte, superò l’eco degli spari proveniente dall’esterno, e si mescolò a un borbottio di voci che parlavano in greco.

“Ispezionate il corridoio ovest!”

“Ce ne sono ancora sbrigatevi! Dovete eliminarli fino all’ultimo!”

Romania sentì lo stomaco cadergli ai piedi e aprigli un vuoto nella pancia che lo fece impallidire. “Oh, no.”

Un’altra voce lo fece girare dalla parte opposta del corridoio. L’ennesima voce che parlava in greco. “Di qua, svelti!” Altri uomini gli parlarono sopra. Il suono dei passi sempre più vicino e rapido. “Chiudete le uscite da questa parte!”

Bulgaria strinse le mani contro le braccia di Romania, saltò sul piede sano, e nei suoi occhi sconcertati si riflesse un barlume di panico. “Non è possibile, è un incubo!”

Romania si morsicò il labbro pungendosi con le punte dei canini fino a sentire il sapore del sangue. Guardò a destra, a sinistra, di nuovo a destra. Spostò il peso da un piede all’altro cominciando a percepire un tappeto di braci formarsi sotto le suole, e continuò a rosicchiarsi la bocca e l’interno della guancia.

Che faccio? I passi estranei sempre più vicini, i fiati dei nemici sul collo, le loro armi puntate addosso, solo le braccia di Bulgaria a proteggerlo. Dobbiamo scappare, dobbiamo filarcela immediatamente, non possiamo fronteggiare un esercito in due, per di più con Bulgaria ridotto in queste condizioni. Ma come faccio a...

Un’idea gli fulminò la testa, trafisse il cranio da parte a parte e lo fece restare a bocca aperta.

Romania tornò serio in volto, sciolse la paura dagli occhi, il suo sguardo si irrigidì, forte e deciso, incorniciato dalle ciocche di capelli che calavano un’ombra di determinazione attorno alle palpebre.

“Reggiti.”

Bulgaria lo guardò in faccia mantenendo la stessa espressione sconvolta. “Eh?” Sbatté due volte le palpebre, inarcò un sopracciglio. “E a che cosa?”

Romania inspirò a fondo strizzando gli occhi, trattenne il fiato, e le braccia aggrappate a Bulgaria tremarono. Un fastidioso nodo di imbarazzo gli ingarbugliò la pancia. “A me.” Si chinò addosso a lui, gli allacciò un braccio dietro le spalle, uno attorno alle anche, e diede un forte slancio caricandosi il suo peso sulla spalla non occupata dal fucile.

Bulgaria diede due prime scalciate e sventolò un braccio. “Ehi, ehi, ehi, mettimi giù, maledizione, non sono...”

Romania gli diede una spintarella per sistemarlo meglio, gli fece premere la pancia contro l’osso della spalla e il braccio che lo reggeva attorno ai fianchi scese attorno alle cosce. “Dobbiamo andarcene di qui, subito!” esclamò. “E se Germania non ha intenzione di aiutarci...” Staccò un braccio da Bulgaria, agguantò il fucile, lo tirò su con una mano sola, e il muscolo già tremò di fatica, rivoli di sudore colarono dalle tempie e dalla fronte, scivolarono sul suo viso inferocito ma lucido di coraggio. “Dovremo cavarcela da soli.” Corse via con il peso di Bulgaria che gli rimbalzava sulla spalla, si diresse verso la direzione opposta presa da Germania e Grecia. Il fiatone ad arrochirgli la voce. “Da dove siamo entrati, prima?”

Bulgaria strinse una mano in mezzo alle scapole di Romania per tenere le spalle in equilibrio e puntò il braccio libero nella direzione opposta. “Di là.”

Romania scosse il capo, senza fermarsi. “No, quella è l’entrata laterale, è tutta occupata. Non hai sentito che tutte le voci venivano da là?” Raggiunse il primo bivio, si bloccò di colpo e dovette di nuovo afferrare Bulgaria con entrambe le braccia per non farlo scivolare dalla spalla. Si girò a destra, verso un’ala del corridoio nebbiosa, illuminata da poche lampadine ronzanti, e cambiò direzione saltando di due passi. “Forse di qua?” Si girò di scatto, il corpo di Bulgaria ruotò assieme a lui e la sua testa sbatté sullo spigolo del muro.

Ahu!” Bulgaria si strofinò la tempia, mugugnò un altro lamento più lungo e oscillante, e dagli occhi strizzati piovvero due lacrimucce di dolore. “Che male.”

Romania gli gettò un’occhiata distratta. “Oh, scusa.”

Bulgaria strinse un ringhio fra i denti, sollevò una gamba e gli rifilò una ginocchiata sulla pancia. “L’hai fatto apposta!”

“Urgh.” Romania si piegò a reggersi lo stomaco, rifilò un’occhiataccia a Bulgaria affilando le punte dei canini contro le labbra, e arretrò schiacciandolo fra la sua schiena e il muro. “Dammene un altro e ti faccio cadere.”

Bulgaria si spinse via dal muro con uno slancio delle braccia e tornò a picchiarlo con le punte dei piedi sulla cassa toracica. “Se solo non fossi ridotto in queste condizioni, io...”

Un altro ruzzolio di passi e l’eco della corsa che si avvicinava pericolosamente dall’ala destra del corridoio fecero scattare Romania nella direzione opposta. Il corpo di Bulgaria rovesciato sulla sua spalla si girò di nuovo assieme a lui e rischiò di dare un’altra testata al muro, sfiorò lo spigolo con la fronte e con la punta del naso.

Romania gli strinse forte il braccio attorno al bacino, scaricò le energie sulle dita della mano che reggeva il fucile, sentendole formicolare fino alle unghie e fino a farle diventare viola all’altezza delle nocche, e lasciò che la morsicata di paura gli infiammasse il sangue, riaccendendo il cervello. “Okay. Litigata rimandata a dopo.” Diede un colpetto al corpo di Bulgaria, sistemandoselo sulla spalla, e corse lontano dalle voci, prese l’ala sinistra. “Ora dobbiamo scappare.”

Bulgaria annuì mantenendo il sottile broncio di chi non vuole comunque darla vinta. Artigliò la giacca di Romania in mezzo alle scapole, irrigidì le gambe per rimanere in equilibrio, e sbiascicò un gorgoglio fra i denti. “Muoviti, allora.”

Romania annuì, flesse le spalle in avanti e allungò una falcata più ampia e schioccante. “Tieniti forte.” Lo slancio fece scivolare Bulgaria con le spalle in basso, le braccia crollarono fino alle sue cosce, la faccia schiacciata sulla schiena.

“Ah!” Bulgaria diede due scalciate all’aria e gli batté tre volte il pugno fra le costole. “Cado, cado, cado, fermo!”

Romania controbilanciò un passo all’indietro, riafferrò Bulgaria con entrambe le braccia lasciando cadere il fucile sul fianco, “Merda”, si fermò per ributtarlo con la pancia sulla sua spalla e riacchiappò il fucile puntandolo alle sue spalle, dove il boato della corsa estranea si stava ingigantendo.

Bulgaria gli diede altri tre pugni sulla scapola, e anche a lui ricominciò a salire il sangue alla testa, facendo fiorire una bolla di paura. “No, no, continua a correre!” Girò il tallone della gamba sana e gli speronò il fianco come si fa a un cavallo. “Non sparare dietro, corri e basta, corri!”

Romania obbedì. Si rimise a correre con Bulgaria che ballonzolava sulla sua spalla, puntò il fucile davanti a sé, gettò una spalla in avanti per riacchiapparlo quando l’arma gli scivolò dalla mano, e buttò uno sguardo allarmato dietro di sé. “Ma ci stanno raggiungendo!”

“Fidati!” Bulgaria indurì i muscoli addominali, trattenne il fiato ingoiando una boccata d’aria, slanciò un braccio all’indietro e la mano ricadde sul suo fianco, sbatté sul fodero della pistola sotto il lembo della giacca. Si aggrappò con le unghie al bottone della chiusura, lo staccò, agguantò il calcio della pistola e la sfilò. Rilassò i muscoli del ventre tornando a spingere le spalle in avanti, calò la mano libera lungo la schiena di Romania e tastò attorno alla sua vita. “Dove hai la pistola?”

Lo toccò poco più su della coscia e Romania scattò in avanti come se gli avesse dato una frustata sulla natica.

“Argh!” Si girò senza smettere di correre, fulminandolo, e gli diede una spinta di protesta. “Mi hai toccato il sedere!”

“Abbiamo problemi più gravi.” La mano di Bulgaria trovò un rigonfiamento, infilò la mano sotto la giacca di Romania, e le dita strinsero sulla consistenza del calcio della pistola. Il suo viso si illuminò, il cuore fece una capriola di gioia. “Aha, trovata.” La sfilò dal fodero e la portò davanti agli occhi che scintillarono riflettendo l’abbaglio metallico sbocciato sulla punta dell’arma.

Ombre nere sfilarono lungo la parete del corridoio, uomini in uniforme greca si materializzarono dietro di loro, accelerarono la corsa continuando l’inseguimento, e uno di loro gridò parole che Bulgaria non capì sopra il rombo dei passi e l’eco delle esplosioni esterne.

Bulgaria restrinse gli occhi per prendere la mira, raddrizzò le braccia, puntò le canne delle pistole addosso ai soldati, e spinse gli indici nei grilletti. “Non osate sfiorarci.” Schiacciò il grilletto destro, il colpo partì, e anche la pistola sinistra rigettò una pallottola fumante che seguì la stessa traiettoria. I due spari si conficcarono nella gamba di un soldato. L’uomo gemette, piegò il ginocchio insanguinato e crollò a terra. Bulgaria tornò a schiacciare il grilletto destro, il proiettile volò ed esplose nella spalla di un secondo soldato che si torse, cacciò un grido basso e rauco, e finì sfiorato da un quarto proiettile più basso che si conficcò nella pancia di un suo compagno.

Bulgaria sparò ancora due colpi. Uno si schiantò sul muro, fece esplodere una scintilla di luce, e l’altro trapassò la spalla del soldato emerso dietro i corpi crollati degli altri uomini. Anche lui si aggrappò alla sua ferita, mollò il suo fucile, e cadde contro la parete, accasciandosi al pavimento.

Romania buttò una sincera occhiata di ammirazione e stupore alle sue spalle. “Who, bravo!” Svoltò una curva e si trovò ad andare incontro a un altro gruppo di soldati che gli stava venendo addosso, fucili puntati su lui e Bulgaria. Romania prese la curva opposta con uno slancio, gettò il fucile sul fianco, sollevandolo verso il gruppo di uomini in avvicinamento. “Fermi dove siete!” E anche lui schiacciò il grilletto facendo partire una raffica di mitragliate che disegnò un arco di scoppi attraverso l’aria. Con la coda dell’occhio vide tre uomini cadere e schizzi di sangue volare addosso alle pareti. Diede la schiena ai soldati senza smettere di correre nella pancia del forte, in cerca dell’uscita.

Bulgaria tese le braccia, sparò altri due colpi – uno per pistola –, centrò un soldato nel petto, facendolo crollare a terra per il dolore, e un altro all’altezza del piede, facendolo sbattere contro il muro.

Romania rallentò la corsa, scappò verso l’uscita, e imboccò il corridoio libero dalle ombre dei soldati.

Bulgaria buttò entrambe le braccia al soffitto e scosse le pistole per la contentezza. “Grandiii!” Un bruciante e gonfio sentimento di fierezza gli riempì il cuore e accelerò il battito. “Nemmeno Germania sarebbe stato in grado di un’impresa simile.”

Romania rise. Strinse il braccio attorno al corpo di Bulgaria, gli diede una spinta per tenerlo in equilibrio, e si sentì così leggero che gli parve di star correndo su un tappeto di nuvole. Avevano vinto.

 

.

 

Grecia continuò a correre, abbassò il capo di colpo, strizzò gli occhi per resistere all’improvvisa botta della luce del sole che aveva riempito l’arcata di cemento, e finì con la fronte a sfiorare la testa di Inghilterra raccolta contro il suo petto. Buttò il piede fuori dall’entrata del forte, la gamba passò attraverso uno strato di fumo e polvere che galleggiava fra le pareti, e saltò battendo un tonfo sul suolo di terra ed erba secca. Strinse le braccia attorno al corpo di Inghilterra per non farlo cadere. Sgorghi di sangue scivolarono fra le mani che Inghilterra teneva aggrappate attorno alla gola, grondarono lungo le sue braccia e inzupparono la giacca di Grecia, rendendola nera e umida. Spasmi di dolore scossero il suo corpo ferito. Inghilterra stringeva i denti a ogni sobbalzo della corsa di Grecia, mugugnava contro il suo gomito, e altro sangue gocciolava dalle punte dei capelli, rigandogli il viso impallidito per il dolore.

Grecia distolse lo sguardo dalla distesa del campo di battaglia ancora gonfiato dalle nuvole di fumo attraverso cui brillavano i lampi delle esplosioni e delle cannonate, e lo gettò dietro la sua spalla, squadrando la sagoma del forte che si stava rimpicciolendo dietro di lui. Nella sua testa si materializzò l’immagine di Germania che correva fuori dal fumo e che li inseguiva accompagnato dalle crivellate dei proiettili esplose dal suo fucile.

Grecia scosse il capo per sciogliere quella visione e scrollarsi di dosso quel brivido che gli aveva risalito la schiena. Accelerò la corsa in mezzo al fumo.

Devo sbrigarmi.

Fitte lancinanti gli trafissero la schiena all’altezza delle ferite dentro le quali premevano ancora le consistenze dure delle pallottole infilate fra le costole. Grecia si torse in avanti arricciandosi contro il corpo di Inghilterra, lampi di dolore gli esplosero davanti agli occhi, un senso di nausea gli ribaltò lo stomaco, sciami di vertigini gli ovattarono l’udito e vorticarono attorno alla testa facendo barcollare la corsa. Fiotti di sangue continuarono a bagnargli la schiena, umidi e bollenti sulla pelle che tremava di freddo. Il fitto e stomachevole odore di ferro si unì a quello più bruciante del fumo e dell’esplosivo che gli grattava la gola.

Grecia prese un profondo respiro che gli rischiarì la testa, sciogliendo i brividi e le vertigini. Diede una spinta a Inghilterra, gli raccolse una gamba che stava per scivolargli dal gomito, e restrinse le palpebre scavando con lo sguardo in mezzo alla nebbia.

Devo approfittare del fumo e nascondere prima che Germania riesca a trovarmi, o non ce la faremo mai a salvarci.

Due ali di vapore e polvere si divisero, si spalancarono svelando la curva che la terra compiva a contatto con il grigio del cielo e lo spazio nero ritagliato fra le pareti della trincea che sprofondava nel suolo.

Grecia spalancò le palpebre, fili di capelli sudati sventolarono davanti agli occhi e si incollarono alle guance.

Trovata!

Tre scoppi di seguito esplosero dietro di lui. La spinta rovente delle alitate di fuoco lo scagliò contro il margine composto di assi della trincea, lo fece crollare sulle ginocchia e scivolare nella bocca di sassi e terriccio umido.

Grecia scivolò strusciando piedi e ginocchia fra le pareti, sbatté due volte la testa sullo spuntone di un sasso e sull’orlo di una tavola di legno, e cadde a sedere su una delle casse avvolte da teli che giacevano sul fondo della trincea. Il corpo di Inghilterra gli rimbalzò fra le braccia, Grecia arricciò le spalle in avanti per proteggerlo, e una pioggia di grani di terra e ghiaia gli mitragliò il collo e la schiena ferita.

Una bolla nera e tiepida lo inghiottì, facendolo svenire per cinque secondi.

Grecia riprese conoscenza. L’ondata di dolore si ritirò, lasciandolo rivestito di una sensazione di pesantezza e stordimento che gli sdoppiò la vista. Le pareti della trincea rotearono attorno a lui, e quella spirale di colori risollevò un senso di nausea che batté prima sulle pareti dello stomaco poi su quelle del cranio.

Grecia sfilò un braccio da sotto la schiena di Inghilterra e si sfregò la manica sul viso, asciugandosi da sudore, terra sciolta, polvere da sparo, e gocce di sangue che gli erano volate in faccia durante la corsa. Inspirò a fondo, chiuse gli occhi, espirò, e le orecchie si stapparono. Tornarono i rimbombi degli spari, gli scossoni del suolo che tremava contro la sua schiena, e il fitto e pungente odore di terriccio bagnato del sangue di entrambi.

Inghilterra tremò fra le braccia di Grecia. Contrasse le spalle all’indietro, girò la guancia ribaltando il capo dentro la curva del suo gomito, e mugugnò un lamento a denti stretti. Dalle palpebre strizzate e nere di dolore gocciolarono rivoletti di sangue e sudore colati dalle punte dei capelli.

Grecia raddrizzò la schiena e gli posò una mano sulla sua, quella più vicina alla ferita alla gola che continuava a spurgare sangue. “Inghilterra.” Gli toccò la guancia con due dita, sollevò le ciocche di capelli dalla fronte per scoprirgli le palpebre stropicciate da quella ragnatela di sofferenza che gli faceva tremare i tratti del volto. “Sei vivo?”

Inghilterra respirò forte dalle narici, fra i denti serrati scivolò un gorgoglio liquido, sputò un rigetto di sangue che gli macchiò le labbra, e una scia rossa colò all’angolo della bocca. Il corpo di nuovo si tese come una corda, tremò, dalla gola stretta fra le mani uscì un suono gutturale e soffocato, e di nuovo tornò a distendersi. Il respiro accelerò e gli spasmi febbrili lo scossero fino alle punte dei piedi. Era vivo.

Grecia soffiò un breve ma sincero sospiro di sollievo, piegò le spalle più avanti e gli spostò la mano dietro la nuca per tenergli la testa sollevata. “Come ti senti?” domandò con naturalezza.

Inghilterra tirò il capo all’indietro sollevando il mento, guaì flettendo le sopracciglia in una profonda espressione di dolore, le unghie sporche di sangue affondarono nella pelle attorno al lacero, le dita contratte tremarono, e altri rapidi affanni soffiarono fra i denti che si costringevano a rimanere chiusi.

Grecia piegò il capo di lato, gli sollevò delicatamente una mano, scoprì un’estremità della ferita slabbrata. Il lacero si gonfiò e sgonfiò a ritmo del respiro di Inghilterra. “Credo che Germania ti abbia lacerato la carotide.” Gli cercò lo sguardo, anche se Inghilterra teneva le palpebre serrate. “Ti fa male, vero?”

Inghilterra prese un forte risucchio d’aria fra i denti, il sangue rappreso fra le gengive gorgogliò, altre lacrime rosse colarono dalle labbra, dalla fronte e dalle guance. Schiuse gli occhi, si girò e scagliò addosso a Grecia uno sguardo di odio che avrebbe incenerito una roccia. Gli occhi verdi e fiammeggianti si iniettarono del rosso del sangue, furenti come quelli di un drago. Il respiro accelerò, le vene del collo nascoste dalle mani aggrappate alla gola si gonfiarono, pulsarono al ritmo di quei boccheggi che stridevano fra i denti torti in ringhio feroce. Aveva la gola piena di sangue, non riusciva a parlare, respirava a singhiozzi inghiottendo il viscido sapore di ferro a ogni boccata, le mani brucianti di rabbia si tenevano aggrappate al lacero come per impedire che si dilatasse e smembrasse la carne del collo fino all’osso. Se solo ne fosse stato in grado, avrebbe strangolato Grecia fino a far sgorgare sangue anche dalla sua gola.

Grecia ignorò quelle occhiatacce di disprezzo e gli sfilò la mano da dietro la nuca facendogli appoggiare il capo sul suo ginocchio. Gli toccò la fronte per calmarlo come faceva con i suoi gatti, e girò il busto per allungare il braccio verso le due casse fra la sua spalla e la parete della trincea. Sollevò un lembo della cerata di plastica. “Dobbiamo ricucire la gola, penso.” Sollevò il coperchio della prima cassa, spostò uno zaino vuoto, gli attrezzi per lo scavo appartenenti al battaglione genio, e ribaltò un altro telo di stoffa, svelando una cassetta di alluminio. “Altrimenti perderai troppo sangue, ti entrerà nei polmoni, e non riuscirai più a respirare.” Raccolse il manico della valigetta d’alluminio e la estrasse dalla cassa, posandola accanto a una sua gamba incrociata. Sganciò la chiusura del coperchio e aprì la valigetta.

Dentro trovò tre rotoli di garza leggermente ingiallita agli orli, una boccetta piena per tre quarti di tintura di iodio e con l’etichetta sbavata di liquido bruno, altre due boccette colme di pasticche bianche, un tubetto di pomata spremuto per metà, un rocchetto di filo per punti, una tasca di stoffa in cui erano infilate forbicine e due aghi per sutura, e un blocchetto di appunti per l’inventario della cassetta di pronto soccorso. Grecia aggrottò un sopracciglio in un’espressione di disapprovazione. Niente morfina.

Estrasse la boccetta di tintura di iodio, la tasca con aghi e forbici, il rocchetto di filo per sutura, e il taccuino di appunti. Mise tutto fra le cosce incrociate tranne il taccuino di appunti che accostò alle labbra di Inghilterra. “Stringi i denti su questo.”

Inghilterra soffiò un respiro dal naso e obbedì. Schiuse la bocca e Grecia gli infilò l’orlo di cartoncino fra gli incisivi. Una macchia si sangue si espanse lungo la superficie del libretto come un papavero che stiracchia i petali sotto un raggio di sole.

Grecia sfilò un ago dalla tasca, srotolò il filo e annodò un’estremità alla cruna, preparandolo. “Forse ti farà un po’ male, temo,” disse, “ma non ho tempo di portarti dal capitano medico e di anestetizzarti.” Raccolse la boccetta di tintura, ne svitò il tappo, e accostò la bocca di vetro alla ferita di Inghilterra, facendogli togliere le mani dal lacero. “Non svenire, per favore. Complicheresti le cose.”

Inghilterra trattenne il fiato, irrigidì il collo, e la ferita aperta smise di pulsare. Tremori di paura accelerarono il battito, gli incisivi premettero sul libretto e lasciarono l’impronta dentale sul cartoncino, lacrime di sudore gelato gli imperlarono il viso diventato bianco come un lenzuolo.

Grecia rovesciò la tintura sulla ferita, annaffiando la pelle di disinfettante.

Inghilterra gettò il capo all’indietro, gonfiò il collo facendo emergere le ramificazioni delle vene ancora intere, e gemette un grido che finì assorbito dalle pagine imbevute di sangue.

Grecia posò la boccetta e raccolse l’ago ricurvo. Accostò la punta alla pelle tremante bagnata di tintura, lo inclinò, lo affondò nella carne attraversando le due labbra della ferita, e cucì il primo punto.

 

.

 

Romania corse attraverso lo strato di fumo e gas che era scivolato all’interno dell’entrata laterale del forte, pestò un passo più pesante, strinse forte il braccio attorno al busto di Bulgaria schiacciato sulla sua spalla, e saltò fuori dalla struttura battendo le suole sul terriccio duro come roccia. Prese una profonda boccata di aria fredda e bruciante per l’odore di esplosivo che sostituì quella tiepida e dolciastra in cui ristagnavano i residui di gas. “Bwah!” Si riempì i polmoni. Romania diede due colpi di tosse facendo sobbalzare anche il corpo di Bulgaria, trotterellò di altri tre passi, e gettò il fucile sopra la testa in segno di vittoria. “Siamo vivi!”

Anche Bulgaria strinse la mano attorno alla pistola, accostò il pugno alla bocca e diede un forte colpo di tosse che gli ribaltò lo stomaco. “Vivi e coscienti.” Tossì un’altra volta, sollevò lo sguardo inquadrando l’uscita del forte che si rimpiccioliva alle spalle di Romania che aveva rallentato la corsa. Davanti ai suoi occhi ricomparvero i lampi esplosi dagli spari sputati dalle due pistole, le sagome dei soldati che cadevano dietro le curve del corridoio, i gesti di Romania che lo teneva saldo sulla spalla gettando il suo fucile addosso ai nemici apparsi dall’ala opposta. Un caldo e gonfio sentimento di soddisfazione fiorì attorno al suo cuore, risalì il volto arrossandogli le guance e piegandogli un fiero ghigno di orgoglio sulle labbra. Girò il torso sopra la spalla di Romania e gli porse la volata della sua pistola. “Squadra slava.”

Romania rallentò. Sorrise a sua volta, provando lo stesso ribollente sentimento di fierezza, e si girò a battere la canna del suo fucile contro quella della pistola. “Squadra slava.” Il metallo delle due armi trillò come il brindisi scambiato con due bicchieri di cristallo.

Romania rimbalzò di altri tre passetti lontano dal forte, sventolò il braccio che reggeva il fucile per dissolvere una nuvola di polvere e fumo, e la spalla che reggeva Bulgaria cominciò a tremare di fatica, il muscolo dell’avambraccio si indurì, la mano aggrappata alla sua giacca perse sensibilità, una fitta di dolore gli attraversò l’osso, discendendo l’arco della schiena. Si fermò, riprese due profonde boccate di fiato, e inclinò la spalla per farlo scendere. Bulgaria poggiò la punta del piede sano, spinse tutto il peso sulla gamba, fece un saltello per tenersi in equilibrio, e unì le mani che ancora reggevano le pistole sul braccio di Romania per non cadere.

Romania chinò il capo di lato e gli indicò il polpaccio con un’alzata di mento. “Com’è la gamba?”

Bulgaria fece un altro saltello sul piede, tenendosi aggrappato alla manica di Romania, e posò a terra anche la punta dell’altro stivale. Scrollò le spalle. “Passerà. Sono solo proiettili.” Appoggiò la suola, strinse gli occhi e gemette, tornò a sollevare la gamba. “Dopo me li faccio togliere e dovrebbe guarire presto.”

Romania annuì. Annodò il braccio che non reggeva il fucile al gomito di Bulgaria, per aiutarlo, e rivolse lo sguardo all’indietro, verso il forte che avevano appena abbandonato. Nel suo sguardo ricomparve la fuga di Grecia, le sue spalle che si chinavano a raccogliere il corpo insanguinato di Inghilterra, gli spari che lo inseguivano e che lo mordevano alla schiena, e la corsa di Germania che abbandonava lui e Bulgaria per inseguirli. Romania sbuffò. “Chissà se Germania ha già acchiappato Grecia?”

Un’ombra emerse dal fumo, passi pesanti scricchiolarono al suolo, si avvicinarono ai due. “No, mi è sfuggito.”

Romania e Bulgaria sobbalzarono, ingoiarono una sorsata di fiato, colti all’improvviso dalla voce di Germania emersa dalla nuvola di fumo. Si girarono entrambi. Le ali di fumo si schiusero, si sciolsero abbassandosi ai fianchi del corpo di Germania appena emerso dalla foschia, e i suoi passi schiacciarono i riccioli di nebbia sotto le suole degli stivali. Germania si passò una manica della giacca sulla fronte e sulle guance, asciugandosi dal sudore, e fece correre le dita fra i capelli per togliersi le ciocche da davanti gli occhi. Il suo sguardo, di nuovo freddo come la superficie di un lago ghiacciato, squadrò entrambi.

“State bene?”

Bulgaria strinse i pugni facendo stridere le unghie sui calci delle pistole. Una vampata di rabbia affondò nelle sue viscere. “No,” sbottò. Saltò di un passo in avanti tenendosi allacciato al gomito di Romania, e buttò verso Germania la gamba ferita. “Mi ha sparato.”

Romania fece roteare lo sguardo e gli diede una piccola gomitata fra le costole. Si portò di un passo davanti a lui e si rivolse a Germania con sguardo serio. “Il forte è assediato, non ci hanno catturati per miracolo.” Ed eviterò di lamentarmi del fatto che tu ci abbia lasciati da soli solamente perché comprendo le tue priorità, Germania. “Cosa facciamo?”

Germania socchiuse le palpebre. “Semplice.” Indossò la cinghia del fucile attorno alla spalla, lasciando ricadere la sua arma sul fianco, e li superò a passo pesante. “Continuiamo a seguire le truppe greche in ritirata. Ora che la Linea Metaxas è completamente assediata, sono certo che Grecia vorrà proteggere Salonicco.” Sollevò lo sguardo al cielo. Una bava di vento che odorava di zolfo gli scivolò sul viso lucido di sudore e macchiato dalla polvere da sparo. Agitò le punte dei capelli davanti agli occhi assottigliati. “È la mia occasione per imprigionarlo definitivamente nella sacca che lui stesso creerà per difendersi.”

“E Inghilterra?” ribatté Romania. Il ricordo del pugnale seghettato che affondava nella sua clavicola, tranciando in due la carotide e spruzzando un arco di sangue, gli fece salire di nuovo quel senso di nausea che lo aveva paralizzato contro la parete del forte. “Con lui come...”

“Inghilterra non è un problema,” si affrettò a rispondere Germania.

“Che sia morto?” Bulgaria si strinse nelle spalle. Sguardo vago e indifferente. “Dopo quella coltellata alla gola...”

Germania scosse il capo e una ruga di disappunto gli incrinò lo sguardo di granito. “Non è morto.” Abbassò gli occhi dal cielo e tornò a guardare l’orizzonte. Pennacchi di fumo si arrampicavano dalla linea della pianura fino a toccare le nuvole nere come soffi di carbone. “Ma si sarà sicuramente reso conto di essere inutile a Grecia. È solo questione di tempo prima che la loro resistenza cada, lo hanno capito entrambi.” Compì un paio di passi in avanti e strinse le mani dietro la schiena. “Grecia potrebbe risparmiare uomini e armi arrendendosi all’istante, ma a quanto pare anche una nazione come lui tiene all’onore.”

Negli occhi di Romania tornò a risplendere quel barlume di timore e scetticismo. “Cosa intendi fare, allora?”

“Semplice,” rispose Germania, “lo inseguirò fino a Salonicco. E lì lo costringerò a capitolare.”

Bulgaria scosse il capo, tolse una mano dalla spalla di Romania e girò il palmo verso l’alto continuando a reggere la pistola fra le dita. “Ma potrebbe comunque raggiungere Atene e decidere di non fermarsi a Salonicco.”

“Non lo farà. Grecia ha troppo a cuore quella città.” Germania voltò una guancia, lanciò a Bulgaria una sottile e appuntita occhiata d’intesa, affilata come la lama del pugnale che era affondato nella gola di Inghilterra. “E anche tu.”

Bulgaria aggrottò la fronte, tenne lo sguardo buio nonostante il pizzico di paura che lo aveva punto alla base della nuca. “Cos’è? Un ricatto?”

“No.” Germania scosse il capo e si allontanò da loro di un altro paio di passi. “È semplicemente il mantenimento del patto che ti ho proposto prima dell’inizio della campagna.”

Bulgaria levò gli occhi al cielo e sbuffò. Fece un piccolo saltello per tenersi in equilibrio e strinse il braccio attorno al gomito di Romania.

Romania tenne lo sguardo rigido, gli occhi ancora dubbiosi e tesi, e si avvicinò di un passo a Germania. “Germania.” Aspettò che si girasse, che lo guardasse negli occhi, e prese un piccolo respiro di incoraggiamento. “Non avrai...” Il vento gli soffiò in faccia, fumo bruciante gli pizzicò gli occhi e bruciò sulle guance lucide di sudore che divennero rosse. “Non avrai intenzione di ucciderlo davvero?” Un altro sbuffo di aria e fumo gli scosse i capelli davanti agli occhi e gli fece prudere la punta del naso. Il vento si ritirò con un sottile fischio, uno scricchiolio proveniente dal terreno, da un incendio scoppiato in lontananza, e un drappo di nuvola nera si addensò davanti alla luce del sole, fece calare un fitto silenzio che avvolse l’intero campo di battaglia attorno al forte.

Germania allontanò lo sguardo. Sospirò. “Non sono sicuro di essere in grado di uccidere Grecia in queste condizioni,” disse con voce profonda.

Romania inarcò un sopracciglio. “Ma lo faresti?” Aggrottò la fronte e non aspettò risposta. Pestò un passo avanti, portandosi dietro il peso di Bulgaria allacciato al suo gomito. “Che senso avrebbe farlo? Lui non...”

Germania si allontanò da loro, schivò la discussione lasciandosela alle spalle. “Cura la ferita di Bulgaria e riprendete il comando del corpo d’armata.” La nebbia di fumo tornò a circondarlo, lo inghiottì nel suo abbraccio, e lo isolò dagli altri. Germania camminò a passo lento e cadenzato in mezzo alla foschia, fece scricchiolare le mani strette dietro la schiena, il gomito a urtare il corpo del fucile, e chinò lo sguardo per concentrarsi sulle immagini che correvano nella sua mente.

Il suo fucile gettato contro la faccia di Grecia, davanti ai suoi occhi riempiti da quel lampo di terrore che lo aveva fatto reagire sparandogli contro a sua volta. La rabbia che aveva inghiottito il cuore di Germania quando Grecia gli era sfuggito da sotto lo sguardo, il bruciore che gli aveva aggredito le mani facendo ristagnare al loro interno la voglia di trafiggergli il cuore, di strapparglielo dal petto marchiandolo con la stessa cicatrice che aveva toccato sul corpo di Italia.

Questa volta ce l’hai fatta, Grecia.

Calpestò un pezzo di legno carbonizzato che si sbriciolò sotto la suola come un pezzo di pane secco.

Ma non puoi scappare lontano. La prossima volta...

Si fermò, rivolse lo sguardo al cielo lasciandosi avvolgere dalle spire di vento fuligginoso, e si impresse nel cuore quella cicatrice di rabbia che gocciolava sangue come una ferita aperta.

Terminerò quello che non sono riuscito a concludere oggi.

 

.

 

Grecia srotolò l’ultimo lembo di garza attorno alla gola di Inghilterra, sovrapponendolo agli altri strati che aveva già avvolto seguendo la curva del collo. La garza assorbì subito la mistura di sangue e tintura di iodio, allargando la macchia bruna che era fiorita sulla stoffa bianca. Gli sollevò il capo che gli aveva fatto appoggiare sopra la sua giacca appallottolata e nera del sangue ancora umido e caldo che non si era asciugato, gli passò il nastro di tessuto sotto la spalla, tornò a poggiare il suo viso girato sul fagotto di stoffa, e fissò la garza all’altezza della clavicola. Inghilterra strinse gli occhi chiusi, le ciglia bagnate di sangue rappreso vibrarono, un’espressione sofferta gli attraversò il volto su cui erano incollati i capelli sporchi, un flebile respiro scivolò fra le labbra secche e cineree, lo fece strozzare con un risucchio d’aria.

Grecia raccolse una delle garze sporche che aveva buttato fra le gambe incrociate e la passò sulla spalla nuda di Inghilterra raccogliendo un rivolo di tintura di iodio. Chinò lo sguardo, gli sollevò una ciocca di capelli diventata secca e dura per via del sangue, e gli punzecchiò la guancia con due dita. “Ti senti meglio?”

Inghilterra strinse le labbra ed emise un mugugno. Girò la testa, torse il collo arricciandolo dalla parte del lacero. Le vene della gola si gonfiarono sotto gli strati di benda, la punta del suo naso si mosse assorbendo un breve risucchio di aria che non arrivò fino in fondo. “Ghn.” Schiuse le palpebre, spicchi di occhi annebbiati dal dolore fissarono le pareti della trincea composte da assi e teli impermeabili. Sbatté due volte le ciglia. “Cos...” La vibrazione della sua voce arrivò come una seconda coltellata alla gola. Inghilterra gemette, gettò la testa dall’altra parte e spinse le mani sulle bende umide, trattenendo il fiato. Il viso sbiancò come latte, cerchi grigi si infossarono attorno agli occhi strizzati, dense gocce di sangue color fango colarono dalle punte dei capelli e rigarono le tempie fino al mento.

Grecia si girò, aprì una delle due sacche raccolte addosso alla parete, e vi tuffò le mani dentro, sollevando un clangore metallico. “È meglio se non parli troppo, o i punti rischiano di saltare. Dai tempo alla ferita di rimarginarsi.”

“D-dove...” Inghilterra premette un gomito nudo contro la giacca appallottolata sotto di lui, fece forza sulla spalla e tirò su la guancia dal fagotto di stoffa. Sbatté di nuovo le palpebre, riabituandosi alla luce, e ruotò lo sguardo verso il riverbero polveroso che proveniva dal foro della trincea. “Dove sia...” Un altro affondo di dolore all’altezza della gola gli fece ringoiare le parole. Inghilterra tornò con la testa sulla giacca, una mano sotto il collo e una a premere delicatamente sulla fasciatura. Guaì e rimase immobile.

Grecia stappò la borraccia che aveva estratto dalla tasca e rovesciò due dita di acqua sul fondo della gavetta in alluminio. “Bevi questo.” Gli fece correre una mano sotto la nuca, sollevandogli il capo come si fa a un neonato, e gli accostò l’orlo di metallo alle labbra. “Tranquillo, è solo acqua.”

Inghilterra protestò con una smorfia. Schiuse la bocca e toccò la gavetta con la punta della lingua, accettando poche gocce di acqua fredda e dal sapore di ferro e polvere, come pioggia. “Germania,” gorgogliò, “non...” Il breve sorso d’acqua scivolò nella gola, e una graffiata di spilli di ghiaccio gli addentò la ferita dall’interno. Inghilterra si strozzò, gettò la testa di lato e sputò acqua e sangue. Tossì per due volte, si morse la lingua fra i denti stretti. Violenti spasmi attraversarono il collo, tremori scossero la ferita ricucita, fiotti di sangue sgorgarono dai punti e allargarono la macchia di sangue e tintura di iodio sulla fascia. Inghilterra sollevò una mano tremante e spinse via la gavetta di alluminio. Si ripulì la bocca sbavata di sangue con il polso. “Cos’è successo?” Tossì di nuovo, trattenne l’aria per non sentire altre pugnalate di dolore trafiggergli la gola.

Grecia abbassò lo sguardo e ripose la gavetta fra le gambe incrociate. “Il forte è assediato.” Si girò, sollevò lo sguardo verso il foro della trincea, e tese una mano davanti alla fronte per farsi ombra. “E anche gli altri due corpi d’armata son riusciti ad attraversare la Linea Metaxas.”

“M...” Inghilterra scivolò sulla schiena, prese due brevi respiri dal naso. “Ma tu...” I suoi occhi si posarono sulla schiena nera di Grecia, sui fori sfilacciati che bucavano la stoffa della giacca. Ebbe un altro giramento di testa e si massaggiò la fronte. “Ti ha ferito?”

Grecia si guardò la spalla, quella che Bulgaria aveva ferito per primo, sollevò il braccio e osservò anche lui la sua schiena di sbieco. Sbuffò. Un velo di noia gli appannò l’espressione. “Mi ha colpito alla schiena, ma per ora posso resistere.” Abbassò il braccio e si massaggiò la spalla facendo pressione anche sulla scapola. “Mi farò estrarre i proiettili dopo.”

Inghilterra aprì entrambe le mani sul viso, tappandosi gli occhi. “Cosa... urgh...” Inspirò, espirò, attese che l’ondata di nausea e vertigini si ritirasse, e si stropicciò gli occhi sporchi di sangue. “Cosa hai intenzione di fare, ora?” mormorò.

Grecia si strinse nelle spalle e sospirò, un po’ abbattuto. “Dobbiamo arretrare e ritirarci, io devo difendere Salonicco.” Si massaggiò il collo e rivolse gli occhi alla bolla di cielo visibile da dentro il buco della trincea. “Devo resistere il più possibile per tenerli lontani da Atene.”

Inghilterra strinse i denti, scosse la testa strofinando la nuca sopra la giacca appallottolata, e spinse il peso sul braccio piegato. “N-no, io...” Restò in equilibrio sul braccio tremante. “Non pos...” Tornò a cadere e Grecia lo acchiappò al volo avvolgendogli le spalle. Inghilterra gli afferrò una mano, il suo tocco gelido gli trasmise un fremito di paura. “Devo scendere,” emise un gemito, “Dalmazia,” un altro affanno che lo spinse a piegarsi in due e a tenersi la gola, “Skoplje... Monastir...” Staccò la mano da quella di Grecia e gli agguantò la spallina della giacca, diede un piccolo strattone. “Australia e Nuova Zelanda.”

Grecia sollevò un sopracciglio. “Cosa?”

“Sono in pericolo.” Una profonda ombra di sofferenza si infossò attorno agli occhi lucidi di Inghilterra. La sua mano strinse sulla manica di Grecia, il braccio tremò, e di nuovo quel groppo di paura gli si annodò attorno al cuore. “Prussia non è qui, è in Dalmazia, sta...” Dovette chinarsi per sopprimere tre colpi di tosse dentro il palmo. Grecia gli diede due colpetti sulla spalla stando attento alla fasciatura. Inghilterra si scansò dalla sua mano, gli strinse il polso, e tornò scuro in volto. “Australia e Nuova Zelanda sono in pericolo, io sono...” Guadagnò un respiro, ricacciò in gola il sapore del sangue che gli riempiva le guance, e si posò la mano tremante sul petto nudo. “Responsabile,” sibilò. “Li avevo mandati là perché credevo che non...” Chinò la fronte, scosse la testa, si passò una mano fra i capelli. “Non posso. Mi... mi dispiace, ma tu...” Prese due rauchi e respiri affannati. Strinse il polso di Grecia, abbassò lo sguardo per nascondere una sfumatura di colpevolezza. Deglutì. “Devi farcela da solo.”

Grecia irrigidì sotto il suo tocco, e un soffio di timore gli attraversò il cuore, gli trasmise un brivido di freddo lungo la schiena.

Inghilterra scosse la testa. “Non posso venire con te a Salonicco, devo andare da loro...” Staccò la mano dal polso di Grecia e si massaggiò il collo sopra le bende, senza toccarle. “Devo fermare Prussia intanto che tu ti occupi di Germania a Salonicco.” Sospirò, amareggiato. Si girò a raccogliere la giacca che aveva appallottolato sotto la testa, e riuscì ad afferrarla dopo tre tentativi, la mano era troppo debole. Spiegò la giacca, e se la buttò sulle spalle, coprendosi la schiena nuda. “Mi dispiace.” Strinse il colletto davanti al petto senza abbottonarlo.

Grecia socchiuse le palpebre, sospirò a sua volta, di nuovo abbracciato da quel freddo senso di sconforto, e annuì. “Ce la farò.” Si massaggiò la spalla, tornò a guardare in alto, e un raggio di sole scivolato in mezzo alle nuvole di fumo gli sfiorò la punta del naso, gli fece il solletico e gli trasmise un tiepido tocco di sollievo. “Una volta a Salonicco distruggerò le riserve di petrolio e carburante. Se dovesse andare storto qualcosa, almeno i tedeschi non potranno impossessarsi anche delle nostre scorte e potremmo rallentare la loro marcia.” Spostò lo sguardo su Inghilterra, ripercorse il suo busto ancora sbavato dal sangue e dalla tintura di iodio gocciolati dalle bende attorno alla gola, la sua mano stretta sul colletto, le fasce macchiate di rosso, il pallore della sua pelle, e le ciocche di capelli che ricadevano davanti agli occhi cerchiati di dolore e tensione. Di nuovo sentì quella morsa di compassione stringergli il petto. “Ma tu come pensi di cavartela contro Prussia, ridotto in quelle condizioni?”

Inghilterra sbuffò, raccolse le gambe, incrociò le caviglie stringendo una mano sugli stivali, e si strofinò la nuca. “Cercherò di tenerlo occupato più che posso.” Nei suoi occhi si riaccese una fiammella di vita. “Poi ho anche un conto in sospeso con lui.”

“Ma lo sai che anche quel settore è destinato a soccombere presto, vero?” gli disse Grecia. “Ormai è solo questione di tempo.”

Inghilterra annuì. “Sì, lo so.” Strinse un pugno sul ginocchio. “Ma la mia priorità rimane tenere al sicuro Australia e Nuova Zelanda. Devo raggiungerli a Kozani e difendere il Passo di Vévi.”

Grecia sospirò. Chinò anche lui lo sguardo sulle gambe incrociate, e i suoi pensieri lo isolarono dai rumori esterni.

Continuare a combattere nonostante la sconfitta sia ormai prossima e nonostante non ci sia nulla da fare per impedirla. A questo punto mi chiedo...

Aprì la mano, la portò davanti al viso, mosse leggermente le dita.

Il mio è davvero coraggio? O è solo testardaggine? Se mi arrendessi ora, forse potrei limitare i danni.

Strinse il pugno facendo sbiancare le nocche. Una densa ed elettrica forza primordiale gli attraversò i muscoli, cancellando il dolore alla schiena e riscaldandogli il corpo.

Ma è questo che la mia nazione vuole? È questo che meritano di subire i discendenti del popolo di mia madre? È meglio una sconfitta d’onore ma macchiata di sangue, o una resa pulita ma umiliante?

Inspirò a lungo, si diede la risposta da solo.

“Conosci la strada per le Termopili?”

Inghilterra sollevò lo sguardo ancora sciupato e ingrigito attorno alle palpebre. Sbatacchiò gli occhi e inarcò un sopracciglio. “Cosa?”

Anche Grecia tornò a guardarlo in viso, si posò la punta dell’indice sul petto. “Io ora difenderò Salonicco e Germania mi inseguirà sicuramente.” Scosse il capo. “Non so se sarà in grado di uccidermi, ma potrebbe sempre farmi prigioniero, e a quel punto non potrò più guidarvi sul mio territorio e dovrete cavarvela da soli. Nel caso voi foste costretti a una ritirata verso Atene...” Trascinò le gambe incrociate più vicino a Inghilterra, gli urtò il ginocchio con il suo, abbassò le spalle, e lo fronteggiò riflettendosi nei suoi occhi. “Conosci la strada per attraversare le Termopili passando oltre il Monte Olimpo?”

Inghilterra tirò indietro lo sguardo. “L-le Termopili? Quelle...” Flesse il capo di lato e si strofinò la nuca, la sua espressione si stropicciò in un’aria scettica. “Quelle degli spartani?”

Grecia annuì. “Sì, proprio quelle.” Sollevò due dita e le posò sul petto di Inghilterra. “Ti lascio andare da solo a difendere il Passo di Vévi, ti lascio affrontare Prussia senza di me. Ma tu in cambio devi promettermi che, nel caso perdeste...” I suoi occhi assunsero una luce così profonda e intensa che Inghilterra si sentì annegare dentro. “Voi farete quello che dico io e che ti spiegherò ora.”

 

♦♦♦

 

8 aprile 1941,

Lago d’Ocrida, Albania

XIV Corpo d’Armata del Regio Esercito

  

Italia fece dondolare le gambe dal muretto che cingeva le porte della città. La sua ombra oscillava lungo la strada sterrata che si srotolava all’orizzonte come una grande lingua di sabbia, imboccando la sagoma del sole a mezzo disco che stava pian piano svanendo dietro il colle abbracciato dai raggi rossi come sangue. Una brezza d’aria soffiò su di lui, fece mulinare un vortice di terra attorno ai suoi piedi penzolanti, e gli scosse i capelli sul viso che aveva assunto lo stesso colore rossiccio del tramonto. Italia sollevò una mano dai mattoni, la tese e la poggiò davanti alla fronte. Restrinse le palpebre, si lasciò investire da quel bagno di luce tiepida, si lasciò travolgere da quel vento che odorava di ferro, di terra calpestata dai carri, di carburante, e dei vapori delle esplosioni.

È vicino. Italia inspirò profondamente, chiuse gli occhi, si lasciò pervadere da quella sensazione familiare, simile a un abbraccio. Lo sento. Abbassò la mano dalla fronte e se la posò sul petto. Allargò le dita, raggiunse la catenina della croce di ferro, la annodò attorno all’indice, e chiuse il ciondolo dentro il palmo. Chissà se ha già combattuto? Sentì il battito del suo cuore palpitare sotto la sua mano, rimbombare attraverso la vibrazione trasmessa alla croce di ferro. Se è ferito? Se qualcuno gli ha fatto del male? Se...

Emise un sospiro di sconforto, e un’ombra di tristezza e dolore gli rabbuiò il volto.

Se senza di me è di nuovo tornato a combattere in quella maniera?

Riaprì gli occhi. Il colore scarlatto del tramonto riempì il nero che si era scavato nel suo petto e nella sua testa. Italia strinse forte la croce di ferro. Le punte di metallo gli pizzicarono la mano, trasmisero piccole scosse fredde e doloranti che arrivarono a mordergli il cuore.

Ti prego...

Chiuse di nuovo gli occhi, abbassò la fronte, e posò le labbra sulle nocche.

Ti prego, arriva presto. Arriva presto da me e non farti travolgere da tutto questo.

“Vedi qualcosa?”

Italia tirò su la testa di scatto, sbatté due volte le palpebre. “Uh.” Si girò reggendosi con la mano libera ai mattoni del muretto, e Romano gli camminò incontro seguito dalla scia lasciata dalla sua stessa ombra allungata dai raggi del tramonto. Italia scosse la testa. “Uhm, n-no, non ancora.” Rivolse di nuovo gli occhi al sole che tramontava fuori dalla città, si rimise la mano davanti alla fronte, e i capelli sventolarono fra le dita. “Però ormai saranno vicini, potrebbero essere in città da un giorno all’altro.”

Romano trotterellò di due passi in discesa e raggiunse anche lui il muretto dov’era seduto Italia. “È appena arrivato il bollettino.” Premette le mani sui mattoni e fece un balzo per salire a sedere, Italia si spostò di un saltello per fargli più spazio. “Sono già arrivati a Monastir,” continuò Romano, dandosi una spolverata ai palmi, “quindi ci vorrà poco ora perché passino anche per Skoplje.” Incrociò le gambe, strinse le mani alle caviglie, e scosse il capo. Lo sguardo di colpo si fece più buio e preoccupato, nonostante il sole a illuminarlo. “Però i greci si stanno facendo più aggressivi ogni giorno che passa. Vorranno tenerli lontani da noi per evitare che ci rafforziamo a vicenda.” Rivolse lo sguardo a Italia. “Restiamo in allerta.”

Italia annuì. Strinse di più la croce di ferro, aggrappandosi a quella sensazione che gli aveva ingabbiato il cuore. “Sì.” Una carezza di vento gli avvolse la guancia e gli fece voltare lo sguardo, la visione del sole al tramonto gli riempì il cuore di speranza, lo fece battere più forte facendo salire un ansioso senso di attesa.

Germania.

Italia chiuse gli occhi e sentì di essere di nuovo vicino a lui, a stringergli la mano e a non lasciarla mai più andare. La voce nella sua testa era triste e malinconica come una preghiera affidata al vento.

Fai presto.

   
 
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