Disclaimer: I personaggi citati non
mi appartengono, ma sono proprietà di Hiromu Arakawa; questa fanfiction non è
stata scritta a scopo di lucro.
La biblioteca
RoyAi
Day 2009
Ancora una volta alle ragazze
del RoyAi Fan Forum.
Perché siete semplicemente
mitiche; non c’è altra parola per descrivervi.
Scusate se vi dedico ‘sta roba,
ma non sono capace di sfornare altro. Perdonate questa Scrittrice Fallita xD
Vi voglio bene, mie Muse <3
Le biblioteche sono forse alcuni
dei posti più magici del mondo.
Custodiscono gelosamente pagine e
pagine di sapere umano, sapientemente scritte anno dopo anno, secolo dopo
secolo, millennio dopo millennio da uomini che, nonostante le tante differenze
di costume, razza o posizione sociale, decidono di trasmettere al mondo le
proprie scoperte e la propria arte nello stesso modo: tramite l’eterna magia
dell’inchiostro su carta, l’asso vincente di molti studiosi e di altrettante
stelle nascenti.
Anche se nell’immaginazione
popolare le biblioteche sono sempre enormi, labirintiche e buie come la notte
più nera, quella di casa Hawkeye non era una di queste. Anzi, si poteva dire
che si presentava esattamente all’opposto.
Questa si presentava come una
piccola stanza con un’enorme finestra che si affacciava sull’aperta campagna,
adiacente allo studio del padrone di casa, il quale, affamato di conoscenza,
aveva col tempo collezionato una colossale quantità di libri sui più vari
argomenti, primo tra tutti l’alchimia. Non riuscendo poi a ben sistemare la
miriade di tomi acquistati come lui desiderava nella camera in questione - era molto esigente sull’ordine - aveva
deciso di relegare la camera di fianco a “deposito libri”. Col tempo,
l’insignificante nomignolo si era perso insieme alle numerose scartoffie
presenti sulla sua scrivania, e la stanza era stata finalmente chiamata col
nome più adatto e altisonante di biblioteca di casa Hawkeye.
La piccola Riza, unigenita dei
proprietari dell’abitazione, era sempre stata affascinata da quella stanza.
Nonostante i volumi polverosi e l’imponente altezza degli scaffali, che
incutevano timore solo a vederli, amava osservare i giochi di luce che il sole
disegnava sul pavimento e aiutare suo padre a mettere in ordine i libri
presenti nella stanza, spesso ammonticchiati in un angolo per la fretta di
tornare nell’altra camera e continuare gli esperimenti alchemici in atto.
Quando poi sua madre era morta,
con tutto il dolore, le lacrime e la tristezza che erano seguite, suo padre si
era metaforicamente chiuso in sé stesso e praticamente rinchiuso nel suo
studio. In quel periodo, la biblioteca era stata l’unica ancora di salvezza
della ragazzina: non avendo amici con cui giocare, poiché vivevano in un luogo
isolato, e studiando da privatista, l’unico modo per imbrogliare il tempo, non
annoiarsi e allo stesso tempo sentirsi fisicamente vicina a suo padre era
entrare nella famosa stanza e perdersi fra le centinaia di volumi presenti. Tra
i tanti, adorava leggere quelli che si trovavano sul lato sinistro del terzo
scaffale, che aveva chiamato “lo scaffale della mamma” perché vi si
trovavano i libri con cui la signora si dilettava nei pomeriggi uggiosi. Tra le
vellutate pagine che accarezzava con le dita erano cadute, e a volte
continuavano a cadere, molteplici e più lacrime salate.
Fino a quando non aveva compiuto
undici anni, era rimasta in completa solitudine, sempre nella “sua” biblioteca,
con una mela in mano e un libro nell’altra, a sfogliare le polverose pagine dei
grossi e voluminosi tomi e sognando di vivere numerose avventure come quelle di
cui leggeva: immaginava di viaggiare per terre sconosciute al fianco di
valorosi compagni, o di essere una potente maga pronta a risolvere qualsiasi
imbroglio, o, anche se più raramente, anche la principessa in pericolo di
turno.
Ma, persa tra le sue fantasie, c’era
sempre quella fastidiosa vocina - che col tempo avrebbe imparato a chiamare coscienza
- che la riportava alla realtà ricordandole costantemente che purtroppo a lei
non erano stati riservati né compagni fedeli, né abilità particolari,
né un principe da cui farsi salvare.
Poi, però, come un raggio di sole
fa capolino all’alba dopo una lunga notte di veglia solitaria, nella sua vita
aveva fatto irruzione Roy Mustang.
Quest’ultimo era il figlio
adottivo di una facoltosa signora di dubbia reputazione, la quale aveva deciso
di assecondare il desiderio del suo unico erede di studiare l’alchimia. Scovato
dopo molto tempo il signor Hawkeye, o, come lo chiamavano loro, il “Maestro”,
la signora Mustang si era subito accordata con lui affinché prendesse suo figlio
come studente presso di sé. Dopo vari tira e molla, il giovane Mustang era
approdato a casa Hawkeye, portando con sé una fresca ventata di novità per la
piccola Riza.
In un misto di diffidenza e curiosità, la ragazzina aveva dato il benvenuto nella casa al misterioso Roy, che contrariamente alle sue aspettative - si era aspettata un fragile ragazzetto sempre dedito allo studio - si era rivelato un vero e proprio scavezzacollo.
Dopo la sua rapida ambientazione nella nova sistemazione, non esitava ad approfittare della posizione della villa per andare a divertirsi all’aperto. Riza lo vedeva dalla finestra della biblioteca correre fuori per andare a giocare all’esterno, cosa che invece lei faceva di rado; e per parecchio tempo spariva, facendo agitare suo padre che, al ritorno del monello, urlava qualcosa che suonava come «Piccolo impudente, cosa credevi di fare?! Non sei un apprendista alchimista, sei solo una scapestrato!»
A quel punto Riza pensava che quel
Mustang doveva essere proprio scemo. Insomma, sapeva benissimo che suo
padre si sarebbe arrabbiato non vedendolo applicarsi al lavoro che gli
assegnava e sapendolo fuori, tra il pericolo di cadere vittima di qualche
serpente… o peggio. Sicuramente era solo un ragazzino viziato, tipo di persona
con la quale lei non voleva avere nulla a che fare.
Per molto tempo quindi lei e “lo scavezzacollo” si erano ignorati.
Ma poi, era arrivato quel giorno.
«Ciao»
Riza si era voltata come un
fulmine al solo sentire quella voce. Ovviamente sapeva a chi apparteneva, dato
che incontrava il suo possessore ogni giorno a pranzo e a cena e che spesso lo
sentiva complottare con suo padre nella stanza affianco, ma non si erano mai
rivolti altro che saluti formali.
«Buongiorno, signor Mustang»
esordì, facendo uso di tutta la buona educazione che gli era stata inculcata e
contemporaneamente chiedendosi cosa mai ci facesse lì l’allievo di suo padre.
«Leggevi?» chiese Roy avanzando
verso di lei, girando intanto lo sguardo da uno scaffale all’altro per poi
tornare a posare i suoi occhi scuri su di lei e sul libro che teneva tra le
mani.
«Sì» rispose Riza con tono
sicuro. Poi alzò un sopracciglio.
«Ma lei… cosa ci fa qui?»
aggiunse forse con tono troppo accusatorio.
Non sapeva perché, ma sentiva
uno strano senso di fastidio vedendo avanzare nella biblioteca, nella sua biblioteca, quel… quel Mustang, ecco.
Il ragazzo rise, una risata
pulita e chiara che aleggiò per qualche secondo nell’aria.
«Non c’è bisogno di essere così
ostile… è solo che mi annoiavo»
«E allora?»
«Volevo chiederti se ti andava di unirti a me» ribattè lui sorridendo, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Riza lo fissò sbalordita per
qualche minuto.
«Ti ho vista molte volte alla
finestra» spiegò il ragazzo vedendo l’espressione di lei e arrossendo impercettibilmente
«e da quel che mi racconta tuo padre, stai sempre qui ad immergerti nei libri,
da sola. Io non mi diverto molto in solitario, quindi…» lasciò la frase in
sospeso, con una punta d’incertezza nell’ultima frase.
Riza non aveva smesso per un
secondo di fissare basita il ragazzino che le stava di fronte, cercando di
ricordare l’ultima volta che qualcuno
l’aveva invitata a giocare insieme.
«Beh…» cominciò, ponderando
bene le due possibilità che le si presentavano davanti. Da un lato, sapeva che
suo padre si sarebbe arrabbiato, vedendo il suo allievo e sua figlia uscire e
addentrarsi da soli nella campagna circostante; lei poteva restare
tranquillamente lì a leggere nel suo rifugio, tuttavia… c’era qualcosa che la tentava terribilmente in quella richiesta.
E non seppe nemmeno lei perché,
forse la delusione che sapeva si sarebbe disegnata sul suo viso se avesse
rifiutato, o forse era soltanto impazzita, ma accettò.
Note finali
Ebbene sì, ci sono riuscita. Ho prodotto qualcosa per il RoyAi Day *-*
Questa è una raccolta davvero piccolissima, tre capitoli circa (forse aggiungerò un piccolo epilogo)
Era nata come One-shot. Tuttavia era troppo slegata e ho deciso di dividerla. Spero che questa prima shot vi sia piaciuta ^^
Ringrazio chiunque mi lascerà un commentino ^^ E un bacione enorme alle ragazze del RoyAi Fan Forum, le mie adorate Muse (ho deciso che d’ora in poi vi chiamerò così) xD
Scusate se non mi dilungo, ma sono distrutta ç_ç è tutto il giorno che lavoro alla fiction e ancora mi sembra che sia orribile ç_ç Beh, io ci ho provato.
Sayonara! Vostra affezionata Syra44