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Autore: La_Moltitudine    20/06/2017    2 recensioni
In un futuro distopico in cui uomini dotati di abilità paranormali hanno posto fine alla Crisi in Medioriente e i supereroi fanno ormai parte della quotidianità, Giacomo Pagusa si mette in gioco per diventare il più grande vigilante della sua città. Nel mondo criminale di Sentinella delle Acque, però, una miccia è stata accesa e presto la bomba esploderà. Gli eroi di Sentinella saranno messi alla prova e questo battesimo del fuoco potrebbe richiedere il tributo delle loro vite e quelle di molti altri.
[Per una precisa scelta stilistica i capitoli saranno brevi, verranno pubblicati con una cadenza variabile da 2 a 3 giorni di stacco l'uno dall'altro. Per tutto il corso della storia si alternerano due POV.]
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Atto V

Illuminato dalle luci del centro, il tendone bianco se ne stava lì, con i lembi scompigliati dalla brezza leggera. Nel suo ventre di plastica un agglomerato di tavoli, sgabelli e sedie malferme ripiegabili. Sulla parete, proprio sopra l’ingresso, c’era l’insegna del locale: caratteri bianchi e corsivi, impressi su uno sfondo borgogna.
Si chiamava “Il Birrozzo”.
Ci sono posti nella propria città in cui si è spinti a ritornare, a cui ci si affeziona e ci si abitua come ad una seconda casa. Quella birreria, per il Pagusa e i suoi compari, era qualcosa del genere.
Non sapevano spiegarsi il perché, forse dipendeva dall’atmosfera calda e accogliente del locale, magari dai prezzi accessibili o dalla macchina delle freccette proprio di fronte al bancone; oppure, molto semplicemente, dipendeva dalla possibilità di poter fumare comodamente seduti al tavolo, giocando a carte e segnando i punti sulle tovagliette. Forse non c’era una ragione precisa, ma il Birrozzo era diventato il loro luogo di ritrovo, un rifugio in cui prendersi una pausa dal groviglio delle loro quotidianità.
Si conoscevano ormai da anni, si erano visti crescere e cambiare, ma la loro amicizia non si era mai sfaldata, nonostante il tempo passato insieme. Tutti e quattro erano eroi, anche se vivevano la cosa in modo differente l’uno dall’altro. Sumo-cho aveva intrapreso questa strada quasi per noia, desideroso di trovare finalmente uno scopo alla mole di muscoli nascosta sotto quel corpo all’apparenza flaccido e pesante. Broccolo l’aveva fatto per una sua naturale attitudine ad aiutare il prossimo, ma con il corpo esile ed emaciato che si ritrovava, si era limitato al volontariato, tenendosi fuori da un eroismo più violento e pericoloso, ormai in voga in tempi come quelli.
Mariachi, unica ragazza della combriccola, aveva iniziato un po’ per capire cosa ci trovassero i suoi amici di così stimolante, e un po’ per trovare la sua strada, cercando risposte alle centinaia di domande che può farsi una ragazzina di diciassette anni.
E poi c’era lui, il Pagusa, che a parte l’eroe non avrebbe saputo che altro fare nella sua vita. Qualsiasi alternativa gli destava solo noia, e alimentava quel sentimento di vuoto che riempiva le sue giornate. Se aveva scelto di essere un eroe, non era per nobili ideali, tutt’altro, negli ideali non ci aveva mai neanche creduto. Tutto ciò che lo motivava era la frenesia data da quella violenza socialmente accettata, quel superare le proprie paure, dimostrando a sé stesso di avere coraggio, di servire a qualcosa, anzi, di valere qualcosa.
Come sempre accade quando si tratta di ciò che riguarda noi stessi e ciò che ci guida, il Pagusa non aveva piena coscienza di tutto questo e la sua consapevolezza di sé era tanto mutevole da essere indefinita, come un cerchio disegnato nell’acqua o uno sbuffo di fumo in una giornata ventilata.

Giacomo tracannò l’ultimo sorso di coca, e piazzò il suo asso di picche fresco di pescata in cima alla scala, messa a terra qualche turno prima, dopodiché scartò quel tre di cuori che lo perseguitava ormai da cinque turni. Aveva appena chiuso la partita e l’ennesimo giro di burraco di quella sera.
Broccolo strabuzzò gli occhi verdognoli, ingigantiti dagli occhiali spessi, e lasciò le carte, senza neanche darsi la pena di contare i punti.
-Ogni tanto dovremmo cambiare le squadre. – Disse Sumo-cho, storcendo il naso a patata sul viso porcino.
-Cosa vorresti dire? – Reagì Broccolo, irritato. – Ho fatto tutto io! Dimmi, ti piace contemplare le carte che hai in mano, o semplicemente ti dimentichi di metterle a terra?
-Senti chi parla, quello che li ha fatti andare a pozzo.

Mariachi scoppiò a ridere, divertita da quell’ormai famigliare battibecco fra i due amici. Sulla sua pelle olivastra anche un comune sorriso appariva bianco e luminoso, come fosse animato di luce propria.
-Bel lavoro nanerottola. – Gli disse il Pagusa, scompigliandole i sottili capelli scuri.
-Ehi, non chiamarmi così! Sono alta per essere una ragazza. – Protestò lei, fingendosi offesa.
-Ma andiamo, - la provocò Sumo-cho – sei alta un metro e una merendina.
-Perché non te ne vai a quel paese?
-Solo se mi accompagni.


Gli scambi di battute erano una costante nella combriccola, e questo dava al Pagusa uno strano senso di pace. Da quando aveva raggiunto la maggiore età, le ansie per il futuro gli erano precipitate addosso come un acquazzone a ciel sereno. Doveva darsi da fare, farsi conoscere, ma come? Come? Non era mai stato bravo a piacere alla gente, lui era il tipo di persona che se ne sta per i fatti suoi e si comporta così come gli viene.

-Beh, diciottenne, l’hai scelto un nome da eroe? – Gli chiese Sumo-cho, dando una lisciata ai lunghi capelli neri.
-In realtà una mezza idea ce l’ho. – Giacomo si tirò indietro sullo schienale della sedia e aprì le braccia, come a voler mostrare una vistosa scritta incisa su un’insegna sopra di lui. – “La Sentinella di – fece una pausa per creare un po’ di suspense – Sentinella”!
Gli amici lo guardarono attoniti.
-Beh, wow… - disse Broccolo, dopo un imbarazzante silenzio.
-C’è di peggio, dai. – Si sforzò di dire Mariachi.
-Fa schifo. – Concluse Sumo-cho, che fra tutti era il più schietto.
-Andiamo, non è così brutto. – Sebbene il Pagusa cercasse di giustificarsi, sapeva bene anche lui di star solo mentendo a sé stesso.
-E poi il nome non è così importante per un eroe, conta quello che si fa. – Lo sostenne il ragazzo mingherlino, risistemandosi il colletto della camicia a quadri.
-Disse quello che si fa chiamare “Capitan Broccolo”. – Lo rimbeccò Sumo-cho.
-È un nome simpatico!
-No, non direi.
-Jack, -
intervenne la piccola Mariachi – secondo me dovresti trovare qualcosa che ti descriva, che sia più… ecco, personale.
La nanerottola aveva ragione, lei aveva scelto il nome “Mariachi” per via della sua passione per la musica e le sue origini messicane. Era qualcosa che, a pensarci bene, riusciva a descriverla in pieno. Ma non c’era nulla nella vita del Pagusa che potesse ispirarlo in tal modo: non aveva una storia particolare, non aveva una passione, niente a cui si sentisse particolarmente legato o che potesse rappresentarlo. “Pazienza” si giustificò “il nome è una questione di secondaria importanza”.
-Se vuoi un consiglio –
disse Sumo-cho, per una volta serio – fatti un giro in Periferia, che qualcosina da fare la trovi. Pensa a questo, e poi ti trovi un nome, chissà che non ti venga la giusta ispirazione.
-Grazie, Cho. –
Gli rispose il Pagusa, accennando un sorriso e spegnendo il mozzicone di sigaretta nel posacenere.
-Figurati, non voglio certo vederti finire alla mensa dei poveri come qualcun altro. – Disse, facendo un cenno verso Broccolo.
-Ora mi hai rotto, guarda che aiuto molta più gente di quanto non faccia tu. – Protestò il biondino occhialuto.
-Certo, dando broccoli e tofu ai barboni, secondo me ti odiano.
-Non chiamarli così, si chiamano clochard.
-Chiamali come ti pare. Sei l’eroe più palloso che abbia mai visto, lo sai?

Valeva la pena seguire i consigli di Cho, alla fine era quello con più esperienza lì in mezzo. Certo, non aveva raggiunto la fama, ma perlomeno riusciva a conservarsi un posto all’interno dell’Associazione.

Quando Jack tornò a casa quella sera, in lui si prefiguravano tutti i modi in cui sarebbe potuta andare. Si sentiva ansioso e al contempo eccitato, come un bimbo al suo primo giorno di scuola. Forse aveva paura, ma sapeva che non si trattava di altro che d’una preoccupazione passeggera. Presto sarebbe diventato tutto così semplice, forse fin troppo semplice…
Prese fra le mani il regalo che Magda gli aveva dato: lenti a contatto hi-tech, con comandi psico-neuronali, in parole povere poteva usarle tramite il pensiero e funzionavano come una sorta di mini computer.
Fra le numerose funzioni c’era il visore notturno, per orientarsi in ambienti bui e senza luce; visione a infrarossi, per captare il calore corporeo, e la preferita del Pagusa, più scenica che nei fatti utile: le lenti potevano colorarsi di rosso, emanando un bagliore scarlatto anche nella più pallida penombra. Magda sapeva che avrebbe apprezzato questo tocco di stile, e Jack sorrise, pensando a lei, mentre calava il cappuccio della felpa sul viso.
Allo scaldacollo quella sera sostituì una bandana di un rosso accesso, mentre alle sole mani nude aggiunse due monconi di legno, ricavati da un vecchio manico di scopa.
Con una cinghia se li agganciò dietro le spalle, e rimase un attimo a contemplare la sua figura riflessa nello specchio. Si trovava tanto differente da sé, conciato a quel modo, con un brivido che gli correva dietro la schiena al solo immaginare ciò che lo aspettava: sangue, ossa rotte e adrenalina. Quel volto nel vetro era la sua ombra, e la sua ombra rivendicava per i malfattori l’unica giustizia possibile: una giustizia violenta e spietata.
L’Ombra lo inquietava, ma al tempo stesso era la forza cui si richiamava quando le cose si mettevano male. Chi dei due era la maschera? Giacomo Pagusa, detto Jack, o l’Ombra, in piedi di fronte a lui?
“Gli eroi devono farsi pubblicità” la frase di Magda gli tornò alla mente come un vecchio spot della televisione e lo distolse da quei pensieri scuri alla Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Cavò dalla tasca dei jeans il cellulare, scattò una foto e la postò sul profilo Istangram fornitogli dall’Associazione Eroi, aggiungendovi una descrizione banale del tipo “Stanotte si va’ a caccia di criminali”, insomma, la prima cosa che gli era venuta in mente.
Era la prima volta che pubblicava qualcosa su un social network, ma prima o poi doveva capitare. In pochi secondi il cellulare, connesso al wi-fi di casa Pagusa, trasmise i dati e la foto fu in rete, sotto gli occhi di chiunque fosse passato dal suo profilo. Jack storse la bocca: quello non era il genere di cose per cui se ne andava pazzo, ma “La vita è fatta anche di sacrifici” o almeno fu questo ciò che si ripeté, mettendo via il cellulare.
Uscì di casa, dirigendosi di gran carriera verso la zona più malfamata di Sentinella delle Acque: la Periferia.


   
 
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