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Autore: Luana89    21/06/2017    2 recensioni
«Misha, sai cosa dicevano i navajo mentre camminavano in questo preciso luogo?» Sophia ci guardò come se si aspettasse una risposta, io scrollai semplicemente le spalle dando l’ennesimo tiro alla mia sigaretta. La sua voce divenne improvvisamente bassa, era l’eco di ogni mio battito. «Con la bellezza dinanzi a me avanzo. Con la bellezza dietro di me avanzo. Con la bellezza sotto di me avanzo. Con la bellezza sopra di me avanzo – l’aria si fermò improvvisamente, quasi ascoltasse anche lei – Finisce nella bellezza. Finisce nella bellezza» Sophia chiuse gli occhi come se cercasse di assaporarne meglio le parole. Misha corrugò la fronte probabilmente riflettendo sul senso di quel discorso. «E perché me lo stai dicendo?». Il silenzio ci assordò per qualche attimo.
«Sostituisci la parola ‘’bellezza’’ con ciò che ami di più, e avrai la risposta al quesito» gettai a terra la sigaretta allontanandomi da loro, mentre il mio riflesso diveniva simile ad un miraggio.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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ACT XIX

 
 
La fine sembrava sempre più vicina, vivevamo le nostre vite aspettandola e per ironia era questa a dare quel retrogusto dolciastro che ci permetteva di non schiantarci al suolo senza risollevarci.
Osservai l'uomo in piedi all'entrata, sembrava improvvisamente invecchiato di vent'anni. Sergej non disse nulla, si limitò a superarmi entrando nella stanza adesso vuota di Sophia, chiudendosi a chiave. Misha uscì dalla cucina, teneva con i denti un blinciki, ci guardammo con aria complice e io fui sicuro riuscisse a leggermi nella mente, era come se gli stessi dicendo: ‶E' giusto che soffra anche lui.‶
I secondi passarono, seguiti dai minuti che divennero ore. Quando uscì il suo viso era stravolto, gli occhi iniettati di sangue, e lo sguardo di chi non dormiva decentemente da giorni.
‶Adesso sai cosa si prova a perdere chi ami, benvenuto nel mio mondo‶, non lo dissi ma lo pensai.
«Disfatevi delle sue cose, bruciatele, datele ai poveri non me ne frega un cazzo, dovete disfarvene» finalmente parlò sedendosi su una delle sedie.
«Pensi che se ce ne disfiamo lei sparisce automaticamente? Questa si che è una brillante idea, Vor» il tono ironico di Misha rimbalzò tra noi come boomerang.
«Misha non ho il tempo materiale di giocare con te, lascia parlare i grandi» Sergej sapeva sempre come zittirlo e umiliarlo. Il silenzio piombò nella stanza. Fissai Misha, aveva lo sguardo dell'animale pronto ad attaccare.
«Cosa facciamo?» si schiarì ad arte la voce sedendosi sul piccolo divanetto.
«Ciò che è giusto» quella frase mi irritò.
«E' giusto per chi? Per te?». Lo fissai inarcando un sopracciglio.
«Shùra, non seguire le orme di tuo fratello, non sono in vena dei vostri giochetti infantili. E' entrata nel programma di protezione testimoni, io non sono perseguibile, ma voi si. Non ci metterà molto a fare i vostri nomi» li avrebbe fatti davvero? A questo punto iniziavo sul serio a dubitare di lei.
«Mi sto già occupando dell'agenzia» lo vidi sorridere senza gioia.
«Saggia scelta. Io provvederò a cercare qualcuno..» Sergej non finì la frase, era troppo anche per lui. ‶Provvederò a cercare qualcuno che si disfi di lei, proprio come le sue cose. Sparirà come fosse un ricordo, un sogno dalla quale ci siamo tutti svegliati.‶
«Non ne hai bisogno». Misha mi fissò interdetto senza capire dove volessi arrivare, il suo sguardo era simile a quello di Sergej. Continuai senza fermarmi, senza mostrare alcuna traccia di sentimento.
«La ucciderò io». Un silenzio pesante calò tra noi, come una cortina di dolore che impediva anche solo di respirare. Mikhail sputò il cibo per terrà avventandosi contro di me, afferrandomi per la maglia.
«Dì un po' sacco di merda, ti sei fottuto il cervello?» non mi scomposi scrollandomi semplicemente dalla sua presa per poi voltarmi verso un Sergej incredulo. Si riprese quasi subito, annuendo lentamente. «Occupatene tu allora ..non farla soffrire» era una frase così tipica di lui, la sua sconvolgente prevedibilità avrebbe dovuto annoiarmi, invece no mi accapponava la pelle.
«OH BEH CERTO. NON FARLA SOFFRIRE SHURA. UN COLPO IN TESTA E SBAM. MI RACCOMANDO SHURA. CONTIAMO SU DI TE SHURA. VAI A FARTI FOTTERE SHURA». Le ultime parole furono pronunciate con odio e rancore, Misha girò sui tacchi sbattendosi la porta alle spalle. Restammo soli e Sergej mi sorrise.
«Lo vedi? Cosa ti dissi al capannone mesi fa? Ti avrebbe masticato e poi sputato, e lo ha fatto davvero. Per distruggere me distruggerà anche voi, è una fortuna tu sia rinsavito. Occupati di Misha, tienilo buono prima che mandi a monte i nostri piani» immagini sfocate di quella notte trapassarono il mio cervello.
«Non lo farà. Andrà esattamente come ho pianificato». Peccato neppure Sergej sapesse fino a che punto si fosse spinto il mio piano adesso.
 
Indossai una vecchia tutta dirigendomi al parco vicino casa, corsi a perdifiato, corsi fino a sentirmi esplodere il fianco e infine i polmoni per poi gettarmi sudato e ansante sul prato umidiccio. Cercai nella tasca il cellulare, composi un numero e attesi:
 
– Dove sei, Misha?
– All'inferno. E tu Shura?
– Accanto a te, probabilmente.
– Non ci credo. Non ci voglio credere.
– Non farlo allora, e abbi fiducia in me.
– Quante volte me lo ripeterai?
– Va tutto secondo i piani.
– E perché non sembri felice?
– Perché non sono felice e questi non erano i miei piani.
 
La caccia a Sophia era ufficialmente iniziata, e io mi ero arrogato il diritto di divenire il suo cacciatore.
I miei piani non erano cambiati, non del tutto almeno, diciamo che avevo dovuto apportare ovvie modifiche per correre ai ripari. Osservai il cielo pieno di stelle, mi chiesi se anche lei guardasse la medesima cosa ovunque si trovasse.
 
***
 
Arrivarono due giorni dopo simili a belve affamate.
Sentii il brusio della gente attorno a me, lo capii in quel preciso momento: erano arrivati anche da me alla fine. Osservai i poliziotti irrompere nell'agenzia, Misha accanto a me si irrigidì afferrandomi il braccio quasi volesse darsi alla fuga trascinandomi con se, mi voltai a guardarlo sillabando a mezza voce: «Sparisci da qui».
Cercavano un certo Aleksandr Belov. ‶Sei tu Aleksandr Belov?‶ avrei volentieri risposto ‶No, sono Aleksandr Petrov, avete sbagliato persona, ed io ho sbagliato vita‶. Avevo due possibilità concrete, o fuggivo da lì indicandomi implicitamente come colpevole di qualsiasi cosa fosse nelle loro menti, o restavo e mettevo in pratica ciò che mi riusciva meglio nella vita oltre a uccidere: mentire.
Restai.
«Abbiamo delle domande da farle, la prego di seguirci in commissariato». Poco prima di entrare nella loro auto vidi Anastasia osservarmi dalle vetrate, aveva lo stesso sguardo di Misha e forse anche il mio; tutti loro erano letteralmente terrorizzati dall'idea di finire in galera.  Continuai a guardarli sorridendo beffardo prima di entrare nel mio inferno personale.
Quante ore erano passate? Forse due, forse dieci, o forse una manciata di minuti. Guardai l'uomo slanciato seduto di fronte a me, non avevano alcuna prova per inchiodarmi e questo li innervosiva.
«Sergej Mikhailov è risultato essere il suo tutore legale fino alla maggiore età, è corretto?» sorrisi.
«Si» confondere bugie e verità era l’arma migliore.
«Non ha mai saputo nulla dei suoi traffici? Piuttosto strano non le sembra?» accennai una risata.
«Il fatto che sia strano lo rende automaticamente falso, commissario?» ci fissammo.
«Conosce Sophia Mikhailova?» il suo nome era una coltellata nel mio petto.
«Suppongo sappia già la mia risposta» cercai di non far vacillare il mio tono. Lei era il mio punto debole.
«In che rapporti è con lei?» non mi sarebbe bastata una vita per spiegargli i nostri rapporti.
«.. Amici, nulla di più. Abbiamo stili di vita diversi, lei è una viziata mondana con idee stupide nella testa, o almeno lo era». Rinnegare. Rinnegare e provare soddisfazione. Lei aveva schiacciato me, e io esorcizzavo il suo ricordo. Le domande divennero serrate e incalzanti, capi che volevano trovare tracce della mia colpevolezza.
«E' interessante sa?» lo vidi guardarmi furbo.
«Cosa esattamente» non mi scomposi fissandomi le mani.
«Il fatto che la suddetta Sophia Mikhailova sporga denuncia contro suo padre, che a quanto risulta è un socio della sua agenzia, e lei ne annuncia la chiusura. Sa, credo poco alle coincidenze» stavolta sorrisi sinceramente.
«E io credo sia il momento di chiamare i miei avvocati, o sbaglio?» mi fissò truce.
«La signorina Mikhailova, pensa abbia fatto anche il suo nome?» no, o avrei avuto già le manette ai polsi da ore.
«Se lo ha fatto dovreste arrestarla per falsa testimonianza, non so nulla e non c'entro nulla». ‶Falsa testimonianza‶. Dio era lì, sorrideva e aspettava di punirmi.
«Bei tatuaggi, hanno un qualche significato?» eccola la domanda che attendevo. Tutti sapevano quanto fossero importanti i tatuaggi nelle organizzazioni criminali russe.
«Nessuno, sono un vanitoso che ama sfoggiare tatuaggi per attirare l'attenzione» mi sporsi appena.
«Tempo fa vidi ad un carcerato russo la stessa cattedrale nella mano, sa cosa voleva dire?» lo sapevo bene.
«Si che lo so, vuol dire: dovrò stare più attento ai tatuaggi che scelgo in futuro» mi fissò astioso, aveva perso.
«Non si allontani troppo da San Francisco» mi alzai.
«Tornerò presto a Mosca, se vuole trattenermi qui mi porti un mandato, altrimenti dovremo salutarci»
 
Il corridoio era troppo stretto per tre persone, eppure i due poliziotti si ostinavano a ''scortarmi'' all'uscita. Fu lì che la vidi, era passato quanto? Una settimana? Dieci giorni? Sembrava sciupata e dimagrita, e io? Come apparivo io ai suoi occhi?
‶Sophia guardami negli occhi, dimmi se vedi ancora la vita albergarvi dentro‶. La vidi sussultare appena mi vide, gli sorrisi scostandomi dai due uomini per avvicinarla. Non le tolsi gli occhi di dosso per tutto il tempo, c'erano tante cose che avrei voluto dirle, ma dovetti limitarmi ad un divertente indovinello tutto per lei.
«Per tutta la notte il povero demente, ovunque rivolgesse i passi, sempre sentiva dietro di lui galoppare il Cavaliere di bronzo col suo pesante calpestio». I poliziotti ci guardarono incuriositi, continuai a sorriderle prima di superarla e dirigermi verso l'uscita. Seppi di aver fatto c'entro non appena sentii le voci concitate degli uomini dietro di me: ‶Signorina si sente bene? Signorina?‶.
Adesso sapeva a chi era toccato correrle dietro per portare in dono, simile a un trofeo, la sua testa.
 
Tu mi hai messo nella fossa più profonda, in luoghi tenebrosi, negli abissi.
 
***
 
– Mikhail, smettila di seguirmi.
– Chi cazzo ti segue, io no di certo.
– Non so se hai notato che sono al cesso, posso pisciare senza di te?
– Perché? Quella roba lì che gli uomini pisciano sempre in coppia non è valida per noi?
– Erano le donne. Levati dalle palle.
– Fammi capire, se voglio pisciare quando lo fai tu significa che ti seguo? Come sei egocentrico, bambino mio.
– Mi segui da quando sono tornato a casa, sei attaccato al mio culo ..dimmi quello che devi e poi lasciami pisciare.
– Non devo dire niente..
– ....
– NON TI STO SEGUENDO CAZZO.
– Mi è passato lo stimoIo.. LA PIANTI DI SEGUIRMI?
– E' passato anche a me, è un problema? Com'è andata in centrale?
– E' questo che ti preoccupa? E' andata bene, non hanno prove e non hanno neppure fatto il tuo nome.
– Figo. Hai scoperto dove abita Sophia vero?
– Perché, vuoi andare a trovarla e piangerle addosso?
– Oh ti prego, mi stai guardando? Io sono MISHA. E Misha fa piangere gli altri.
– ''Figo''.
– Vai a farti fottere, non ti seguo più.
– Allora mi seguivi davvero.
– NO. VAFFANCULO, TI RIGIRI SEMPRE LE COSE E MI CONFONDI.
– Ecco perché non posso ancora morire, uno stronzo come te a questo mondo non riuscirebbe a campare da solo.
– Ben detto. No aspetta ..Vai a farti fottere.
– Seriamente, sei un coglione. Appena scopro dove vive sarai il primo a saperlo.
 
Provammo a sopravvivere in un modo o nell’altro, adesso soli dovevamo bastarci e provare ad andare avanti. Ma come potevi quando una parte del tuo cuore sembrava ormai essere esplosa nel nulla? Eppure in qualche modo riuscii a fingere, fui ancora una volta il suo perno lasciandomi andare solo quando lo sapevo dormiente nel proprio letto. Mi sedevo accanto a lui, e lo fissavo. Quando Misha dormiva assumeva tutta un’altra espressione dalle solite, come se le difese calassero.
In quelle settimane continuai a vedere mio padre, e Yuri e Andrej, alla fine lo capii: Quando le persone compaiono nei tuoi sogni, non è perché vogliono qualcosa da te, è perché tu vuoi qualcosa da loro.
Avevo mentito a Misha, gli avevo detto di non sapere dove fosse Sophia quando in realtà era la prima cosa che avevo scoperto dopo essere uscito dalla centrale di polizia.
 
Presi la mia pistola e mi diressi da lei.
 
Gli occhi di Sophia sembravano perseguitarmi, continuavo a vederla di fronte a me alla stazione di polizia, così stoicamente ferma nei suoi ideali, nei suoi principi.
''Ti aspetto al varco'', era quello il varco? L'avevo pedinata per giorni, sapevo dove abitava, cosa faceva durante il giorno, sapevo tutto e ancora non trovavo la forza di affrontarla; affrontarla poi per dire cosa? Dovevo dirle di aver promesso a suo padre di ucciderla? Dovevo anche dirle del mio piano? No, quello era fuori discussione, ormai tra me e Sophia sembrava esserci un profondo abisso di disperazione a dividerci. Scesi dall'auto salendo i gradini a due a due, incapace persino di respirare, ritto di fronte la sua porta con il dito alzato pronto a suonare il campanello. Non lo feci. Respirai. Respirai ancora. Fumai una sigaretta, poi due. Passarono i minuti. Suonai. Non era udibile alcun suono dall'altro lato eppure ne percepii ugualmente la presenza mentre poggiavo la fronte contro la porta.
«Aprimi». Un rantolo ed un respiro strozzato furono l'unica risposta. Non vi era nulla di più terrificante di un uomo disperato, proprio come me. Sbattei il pugno contro la porta ripetutamente, una volta, poi due, lasciai perdere iniziando a calciarla e l'unica risposta che ricevetti fu un semplice e freddo ''Sparisci''. Afferrai l'arma caricandola con un colpo secco, sapevo ciò che stavo per fare eppure non mi fermai. Puntai la pistola contro la serratura sparando due volte, vedendola saltare; sfondai la porta con un calcio ritrovandomi finalmente all'interno del misero appartamento. Sonech'ka era a terra tremante, osservava me e l'arma in maniera compulsiva, ogni fibra del suo essere sembrava urlarmi ''ASSASSINO. MOSTRO''. Tra di noi si era formato un abisso di diffidenza e astio, riuscivo a percepirlo con ogni cellula del mio corpo, mi sarebbe bastato un semplice passo verso di lei per sprofondarvi dentro.
«Aleksandr, vattene.. Vattene o chiamo la polizia! VATTENE ORA» mi fissò spaventata. Adesso accanto a noi, anzi no, in mezzo a noi vi era solo la paura folle. Sophia aveva paura di me. E io avevo paura di perderla e di perdermi. Strinsi l'arma serrando la mascella, sentivo il rancore come un manto a sovrastarmi, coprendomi  fino a rendermi disumano. Dov'era finito l'uomo che riusciva a respirare solo sentendola accanto a se? Sophia lo aveva portato via con se. Guardai nei suoi occhi, ne percepii la paura e provai ancora una volta disgusto per me stesso. Avevo contaminato l'unica cosa bella della mia vita.
«Chiami la polizia? Erano qui sotto, una macchina sostava per tenerti d'occhio, puoi chiamare chi vuoi ..non verranno». Feci  una pausa significativa, volevo indurla a credere che li avessi davvero uccisi.
«Non emettere più neppure un suono, devi stare zitta. Tuo padr.. Sergej è ripartito poche ore fa per Mosca, è stato qui. Ho richiesto espressamente di poterti uccidere, e lui ha acconsentito credendomi. C'è ormai una taglia sulla tua testa. Quando ci rivedremo potrebbe essere tardi, quindi ti chiedo ..vuoi sul serio continuare con questa farsa? O vuoi afferrare la mia mano? Ti posso far sparire in due giorni, neppure Sergej saprà dove sei. Prendere o lasciare» tesi la mano verso di lei, nei miei occhi albergava un'emozione indefinibile; Sophia la osservò, quella mano tesa era la sua casa, lo era stata per anni: cosa era successo a quei due ragazzini spensierati? O meglio, io lo era mai stato?
Allungò la mano tremante verso di me afferrandola per un istante. Arrivò la pace. Ma durò poco, come se fosse stata colpita da una scarica di elettricità mi respinse sollevandosi quasi a fatica, schiaffeggiandomi con ferocia e rabbia.
«ESCI SUBITO DA QUI» Respinto. Ecco come mi sentii,  ero ancora un piccolo uomo per l'ennesima volta nella mia vita; gli occhi iniettati di sangue, faticavo persino a respirare talmente era la rabbia. Strinsi con forza la pistola senza emettere alcun suono, Sophia mi diede le spalle percorrendo pochi passi.
«Ti manca il coraggio per uccidermi, adesso vai». Fu questione di pochi secondi, sollevai l'arma puntandola contro di lei, Sophia sentì il rumore e il respiro le si bloccò nella gola. Sembrava tutto così surreale, simile a uno dei miei tanti incubi. Sparai deviando il colpo di pochi centimetri, il proiettile trapassò il muro mancando lei. La sentii riprendere a respirare osservando il foro a pochi centimetri con occhi increduli.
«La prossima volta potrei non sbagliare». Uscii da lì cercando di raccogliere gli ennesimi cocci del mio cuore, cercando di non lasciarmi andare a quella mostruosità che per ironia adesso, senza di lei, sembrava quasi confortante. L’ultima volta in cui mi voltai la vidi accasciarsi in terra tremante. Il varco era appena arrivato, ed era stato pure oltrepassato.
 
Darling, I forgive you after all.
Anything is better than to be alone.
And in the end I guess I had to fall.
Always find my place among the ashes.

 
Mikhail  POV

 
Passai molte delle mie notti con Nadja, che inevitabilmente venne a conoscenza di tutto. Ormai per lei ero  diventato una sorta di carta scoperta e per quanto mi riguardava risultava impossibile a quel punto omettere anche la situazione di Irina – che nonostante tutto continuavo a cercare ogni giorno. Ai miei occhi Nadja  era come un calmante, nonostante la pazzesca gelosia che travolgeva entrambi e la passione che ci portava quasi sempre a letto, aveva una buona influenza su di me e sul mio spirito e sicuramente era molto più razionale. Mi consigliò di parlare con Aleksandr  e magari di non infuriarmi come al solito prima di sentire le ragioni o spiegazioni dell’altro. Eppure io non ci riuscivo. Mi aveva detto di aver fiducia, ma come potevo star tranquillo sapendo che sarebbe toccato a lui premere quel grilletto contro la nostra Sophia? Iniziava a diventare tutto un fottuto casino, non vedevo la luce e non sapevo più dove sbattere la mia merdosissima testa in quelle fasi acute di disperazione.
Sapevo solo che non potevo permetter di veder morire Sophia, o Shùra. Semplicemente non potevo.
L’agenzia decise di chiudere i battenti, quella sera attesi Aleksandr nel parcheggio sotterraneo, volevo rilassami un po’ con lui, volevo ridere come un tempo. Ma quando la lama del coltello brillò di fronte ai miei occhi io giuro di aver visto le fauci dell’inferno spalancarsi sotto i miei piedi.
 

Sophia POV

 
Ho aperto gli occhi all’alba, incapace di ritornare al mio sonno. Fissavo le spoglie mura del soffitto mentre una sola immagine continuava a ripetersi all’infinito. Vedevo il corpo di mia madre fluttuare sul volga. Un corpo privo di vita e volontà. Un corpo senza volto, senza identità. Un corpo che non meritava una sepoltura, un fiore sulla tomba, una preghiera. Un corpo che non avrei mai potuto piangere. Il corpo di una madre che mi era stata portata via e che, allo stesso tempo, non era mai stata mia. Ecco cosa continuavo a ripetermi incessantemente. Ogni volta che chiudevo gli occhi la rivedevo, elegante come un cigno, ondeggiare sulle acque invernali. E accanto a quell’immagina calma e silenziosa vedevo in lontananza il volto di mio padre. Mi rivedevo tra le sue braccia, le sue labbra sulla mia fronte. E rivedevo Aleksandr e Mikhail, complici silenziosi. Per la testa non avevo altro. L’unico desiderio che sorse in me era quello della vendetta misto ad una strana forma di vergogna.
Rimasi sul divano che da diversi giorni mi ospitava durante la notte fino a mezzogiorno, inerme, fissando il foro sul muro che Shùra aveva lasciato in ricordo del nostro amore incastrato tra le grinfie del dolore. Poi qualche meccanismo decise di rompere quella staticità: mi alzai, fissai la porta della cucina con uno sguardo che di vivo aveva poco e nulla e varcai la soglia della porta. Sul tavolo un coltello di piccole dimensioni richiamava la mia attenzione. Lo afferrai, sentii la lama fredda tra le mie mani e uscii di casa riscaldata dal rancore e dalla sete di vendetta. Mi chiedevo se fossi più furiosa per mia madre o per la verità nascosta, dalla fiducia mandata a quel paese, da un amore che non sapevo più come gestire. Aleksandr aveva provato la stessa cosa? E Misha? Era quel sentimento a mantenerli in vita? Allora perché mi sentivo morire?
Arrivai di fronte alla sede dell’agenzia, sapevo dove tenevano di solito le auto e fu li che mi diressi aspettando. Aspettai in silenzio ed infine li vidi uscire. Sorridevano, entrambi. Vedevo i loro volti e non leggevo neanche un minimo di dispiacere, non un solo pizzico di rammarico, neanche l’ombra dei sensi di colpa. Era come se non fosse mai successo niente. Si spalleggiavano, camminavano spensierati, quasi contenti. Li guardavo e la rabbia saliva, la speranza lasciava spazio alla disperazione, l’amore diventava odio covato che mi spinse a fare l’impensabile. Si accorsero della mia presenza; si finsero stupiti e preoccupati. Già, preoccupati. Solo ora hanno cominciato a preoccuparsi. Insomma, Sophia non è mai stata un pericolo. Lei non sa niente, perché preoccuparsi? Ma ora che le carte in tavole erano cambiate, stranamente, ero diventata una preoccupazione. Chi mi aveva ferito, mi chiesero. Strinsi il coltello nel pugno della mano, tremante, e smisi di riflettere del tutto. Nelle mie orecchie risuonavano solamente rumori poco chiari ed i miei occhi avevano come obiettivo una sola persona.
   
Non volevo ferirli.
   
Non volevo avessero paura di me.
   
Desideravo sbarazzarmi di questo dolore.
   
Volevo provassero un briciolo della paura che ho provato io.
   
Volevo provare ad essere come loro: senza pietà, senza rimorsi, coraggiosa, impavida, crudele.

   
Il sangue chiama sangue! Occhio per occhio, dente per dente. Una vita viene vendicata solo con un’altra vita. Solo in questo modo mi sarei liberata dei mostri che la notte uscivano dall’armadio, o almeno così credevo.
Le mie mani si tinsero d’un rosso cremisi. M’immersi nel circolo vizioso e diventai una di loro. Sophia, come ti senti ora? Morta. Mi sento morta.
Avevo paura di me stessa, di quel che sarei diventata e quindi fuggii. Vigliaccamente scappai lontana da tutti e da me stessa. Poi chiamai Nadja e piansi. Ricordo d’aver detto solo una cosa: non volevo fargli del male.
 

 

Aleksandr POV

 
Le luci del sotterraneo erano cupe, una risata rimbombò tra le mura rischiarando quasi quei giorni di torpore: era Mikhail. Accanto a me continuava a ridere camminando allegramente, lo fissai con un cipiglio ironico, era bello vedere che riuscivo ancora a rasserenarlo.
«Potresti mostrare almeno un po' di tristezza, è il nostro ultimo giorno in agenzia questo». Misha aggrottò la fronte dandomi una spinta.
«E' proprio questo il motivo della mia allegria. Non dovrò più posare e mettermi addosso quei vestiti di merda, questo è un grande giorno, cazzo. Ti dovrei invitare a bere, ''Presidente''?» ci guardammo divertiti scoppiando poi a ridere, fu in quel momento che la percepii. Mi bloccai cercando di ascoltare attentamente da dove provenisse quel suono, sembrava un ..rantolo? O era un lamento? Aveva qualcosa di familiare, ma cosa? Afferrai Misha per la giacca strattonandolo appena, sentivo addosso un senso strisciante di disagio. I passi si avvicinarono, sembravano insicuri. Mi voltai e la vidi. Il mio corpo divenne come pietra, non un muscolo si mosse; Misha seguì la direzione del mio sguardo trattenendo un ansimo di sorpresa: Sophia era lì e ci guardava. C'era qualcosa di sbagliato però nei suoi occhi, la luce divenne appena più forte lasciando scintillare qualcosa nella sua mano, era un coltellino. Spostai Misha senza neppure rendermene conto, facendo un passo nella direzione della donna.
«NON AVVICINARTI, BASTARDO». Il tono rabbioso con cui lo disse ebbe il potere di farmi indietreggiare non di un passo, non di due, ma di un intero continente. O almeno era ciò che avrei desiderato. Misha fece un passo avanti.
«Sophì che cazzo fai? Posa quel coltello, ti ha fatto male qualcuno? Qualcuno ..ti ha aggredita?» la vidi guardarlo quasi divertita tirando su col naso, le lacrime non volevano smettere di scendere.
«Voi. Voi mi avete fatto del male, ho costruito castelli di carta vedendoli bruciare di fronte ai miei occhi ..mi sono detta ''posso sopportarlo, posso perdonare le due persone che amo di più al mondo'' – quelle parole le sputò fuori quasi con veleno, proseguendo senza neppure respirare – ma  ciò che non posso perdonarvi è la complicità. Da quanto lo sapevate? Da quanto sapevate che quel cane di Sergej ha ammazzato i miei genitori? DITEMELO, SIETE DEGLI ASSASSINI. TUTTI QUANTI». Urlò talmente forte da far rimbombare la propria voce, l'eco della disperazione colpì tutti e tre con potenza. Misha restò in silenzio quasi confuso guardandomi alla ricerca di una soluzione. Feci un passo verso di lei che a sua volta si avvicinò sollevando il coltello. La mano tremava.
«Misha non sapeva nulla. E neppure io fino a poco tempo fa, Sergej me lo ha detto quando ha saputo del tuo tradimento, sono io ad averti mentito quindi» vidi Misha fissarmi come se avessi delle antenne e una coda. Sophia alzò lo sguardo carico di rancore e debolezza inchiodandolo su di me,  sul viso del ''suo'' Shura.
«Voglio ucciderti...» sorrisi.
«Fallo, sono qui non mi vedi?» Misha si irrigidì afferrandomi il braccio con forza, cercando di spostarmi, la macchina era solo a pochi passi. Lo strattonai facendogli mollare la presa prima che tutto si consumasse in pochi secondi, Sophia urlò correndo verso di noi, il coltello stretto nella mano e gli occhi chiusi. Non voleva colpirci davvero, voleva solo sfogare il suo dolore. Spinsi Misha talmente forte da farlo cadere al suolo, mettendomi direttamente nella sua traiettoria.
«NO, SOPHIA NO. NON FARLO». Misha urlò e la lama mi colpì il fianco, solo in quel momento la vidi sbarrare gli occhi osservando il sangue uscire copioso dalla ferita. Scosse la testa come in trance.
«No.. Shùra..». Non disse altro barcollando indietro. Estrassi la lama senza emettere alcun suono, storcendo le labbra in un'espressione di dolore e amarezza.
«Il sangue chiama sangue, hai lavato il sangue dei tuoi genitori con altro sangue. Sei contenta adesso? Hai anche tu le mani sporche, come me. Come lui».Temetti che Misha potesse avere una crisi respiratoria da lì a poco, si alzò quasi barcollante aggrappandosi al mio braccio cercando di trascinarmi con se, si trovava anche lui ad un bivio. Che fare? Non poteva lasciare la sua Sophia lì. Ma fu lei stessa a risolvere il problema scappando, fuggendo via da noi e da quella realtà, dalla parte opposta lasciando noi e il sangue con la quale aveva contaminato la sua vita.
 
L'auto sfrecciava veloce, nell'abitacolo era udibile solo il mio respiro ansante e i continui pugni sul cruscotto di Misha. Quei colpi sembravano scandire quasi il tempo, come una sorta di orologio mentale; chiusi gli occhi cercando di mantenere la calma, mentre il sangue sporcava i sedili e la mia mano premuta contro l'addome.
«Dobbiamo andare da Nadja» Misha interruppe i miei pensieri con quell'esclamazione, non diceva altro da quando avevamo lasciato l'edificio.
 «Non ci andrò, te l'ho detto. Fermala da qualche parte..mi curerò da solo». Non volevo sprecare fiato, sentivo di non averne abbastanza; ero stato ferito molte volte e ormai ero in grado di riconoscere ferite gravi e non, fortunatamente (lo era davvero??) per me e sfortunatamente per Sophia quella non sembrava esserlo, il peso della donna era minimo nonostante mi avesse colpito con forza, il colpo era stato deviato all'ultimo e malgrado la ferita sembrasse profonda in realtà era più scena che altro. Continuavo a sudare, Misha parlava a ruota cercando di tenermi sveglio, o forse lo immaginai soltanto.
Osservai la superficie luminosa dell’acqua, avrei volentieri lasciato tutto per immergermi in quelle pozze oscure, senza più riemergere. La voce alterata di Misha attirò ancora la mia attenzione, avrei voluto chiedergli di non urlare ma non ne ebbi la forza.
''Mi credi un'idiota'', la pensava sul serio così? Mi sollevai cercando di tamponare l'emorragia storcendo le labbra in una smorfia.
«Non è così. Se perdo anche te è finita» Shùra e Misha, due opposti, due rette parallele che sembravano destinate a non incrociarsi mai eppure in linea perfettamente sullo stesso percorso.
«Non posso credere lo abbia fatto sul serio, questo è un incubo e domani mi sveglierò, troverò te sul bordo del letto che mi calci con quei fottuti piedi urlando ''Misha parassita di merda alzati, devi venire a lavorare'' e Sophia che dalla cucina urla ''Shùra smettila di infastidire Misha o dovrai vedertela con me'' per poi aggiungere ''RAZZA DI PARASSITA ALZATI SUBITO''». Ridemmo entrambi in maniera dolorosa, Misha strinse le mani contro il volante.
«PERCHE' LO HA FATTO. PERCHE'. NON RIESCO A CAPIRE, SONO TROPPO STUPIDO DAVVERO PER FARLO». Si interruppe, odiava sentire la sua voce incrinarsi a causa delle lacrime. Sospirai ritrovandomi a ridere a mezza voce, che cazzo avevo da ridere in effetti?
«Misha, ricordi quando quell'uomo mesi fa entrò in casa nostra?». Lo sentii sbuffare.
«Che cazzo c'entra questo?» proseguii come se non lo avessi neppure sentito.
«Quando fermai l'uomo, mi ferii alla spalla cristo se faceva male ..litigai con Sophia, sai che non ricordo neppure perché? Oh ma fu una litigata epica, mi piaceva litigare con lei ..comunque, scappò da casa e io la ritrovai, sai cosa fece? Mi colpì con cattiveria alla spalla, con il tacco della scarpa. Lei sapeva che ero ferito, eppure lo fece consapevolmente». Il silenzio calò di nuovo nell'auto, Misha riuscì solo a dire debolmente ''Smettila, non continuare'', ma io non lo ascoltai.
«Sai cosa avvenne poi? Si sentì in colpa, mi chiese scusa e tornò da me». Smisi improvvisamente di parlare, persino respirare sembrava farmi male. Mikhail mi strappò quasi la camicia di dosso gettandomi alcune cose sul sedile.
«Ti aspetto fuori, disinfetta la ferita». Non gridai stringendo il bavaglio con i denti. Avevo conosciuto da sempre solo un modo per sopravvivere: la violenza. L'unica persona che mi aveva insegnato a vivere da essere umano sembrava avermi abbandonato, e quindi dovetti ricorrere all'unico modo che conoscevo per riportarla accanto a me: la violenza. Ironico no? Il coltello aveva squarciato il mio fianco, ma in qualche modo avrebbe dovuto essere un collante per riunire le nostre anime ferite. O almeno questo era ciò che mi auguravo. Consumai il resto dell'alcool nella fiaschetta bevendo, bevendo ancora, e bevendo di nuovo. Mentre la radio suonava debolmente accompagnando quella serata.
 
 
Blurring and stirring the truth and the lies
so I don't know what's real and what's not
always confusing the thoughts in my head
so I can't trust myself anymore
I'm dying again
 

 

Mikhail POV

 
 Credetti di non aver mai visto così tanto sangue in vita mia e sopratutto uscire dal corpo della persona che più amavo al mondo e che più conoscevo. Sentivo gli arti paralizzati, eppure avevo tolto tante vite, avevo visto così tanto sangue, così tanto strazio, dolore e sofferenza. Mi risultava impossibile pensare che qualcuno potesse togliermi via la mia in quel modo tanto veloce e sofferente.
Provai a muovere le gambe, alzarmi da lì ma non ci riuscivo, lo feci troppo tardi forse. Pressai la mano contro il fianco ferito di Shùra, ma il sangue continuava a sgorgare tra le mie dita, finiva a terra sul pavimento lucido e lercio di quel fottuto garage. Un conato di vomito mi pervase completamente, riuscii a trattenermi a stento.
«Andiamo via di qui» Shùra sembrò supplicarmi mentre lo facevo aggrappare al mio corpo. Raggiungemmo l’auto, misi in moto dirigendomi chissà dove con la mente completamente in bianco. I tentavi di persuaderlo ad andare da Nadja furono vani ed inutili.
Non seppi dire quante volte picchiai quello sterzo mentre sfrecciavo tra le auto di quella metropoli troppo chiassosa per i miei standard, non sentii il dolore alle nocche, anzi, sembrò trasferirsi direttamente al petto - si concentrò nella vena principale e sembrò far pulsare dolorosamente quel cuore malandato, ma in modo più lento rispetto alla consuetudine. Avevo appena perso un battito che nessuno mi avrebbe mai più restituito.
«Scendi Misha». Quella piccola frase arrivò dopo quasi un minuto di silenzio, riusciva a trattenere così bene il dolore? Spensi le luci della macchina, il fiume da quel ponte sembrava persino più bello - nessuno dei due però ci fece caso. A quell'ora il posto era completamente desolato.
 «Quante cazzo di volte devo dirti che non sono un idiota. QUANTE SHURA? DEVI SMETTERLA DI PARARE I COLPI PER ME. NON SONO UN CAZZO DI BAMBINO STUPIDO». La mia voce si alzò gradualmente, avevo l'espressione infuriata e la rabbia si sostituì al dolore. Per Sophia, per Sergej, per Aleksandr.
«Non ti ho spinto via perché ti considero un bambino stupido - aveva la voce ansimante, non l'avevo mai visto così pallido - ....l'ho fatto perché senza di te non sarei riuscito a fare più nulla. E perché in fondo, ero io quello che voleva colpire». Ebbe il coraggio e la forza di sorridermi. Lo guardai per qualche secondo di troppo, la mia rabbia non sembrò scemare. Ciò che disse dopo sarebbe morto dentro quell’auto, avente me come unico testimone. Mi chinai su di lui e strappai quella camicia per facilitargli il lavoro. Dal cruscotto tirai fuori il disinfettante e con quello gli pulii le mani. Gli diedi l'ago ed il filo per cucire la ferita, l'accendino glielo lasciai sul sedile.
 «Brucia i punti quando hai finito». Gli ficcai un fazzoletto in bocca, e sperai che stringendo i denti avrebbe sentito meno dolore. Scesi dall'auto e non riuscii a godermi il panorama che San Francisco mi offriva. Era come se le luci notturne si fossero trasformate improvvisamente in piccole gocce di sangue, sparse un po' ovunque nella città. Come delle tracce che volevano essere trovare, rimesse insieme in qualche modo.
Riuscivo a vederlo. Riuscivo a vedere il sangue di Shùra, di Sophia, di Irina, di Nadja, riuscivo a vedere anche il mio - un po' più a destra, verso il punto più buio e lontano.  Faceva male, come se stessi ricucendo la mia pelle decadente in una cazzo di auto con un panorama da urlo, che non potevo osservare.

 

Sophia POV


Sciacquai le mani sul lavandino che si tinse di un rosso cremisi, portavo addosso il sangue del mio Shùra. Come c’eravamo arrivati? Com’ero arrivata a tutto quello? Ricordavo la mia rabbia, ma ricordavo perfettamente la mia intenzione a non far loro del male. Avevo chiuso gli occhi iniziando a correre con la certezza che di lì a poco mi sarei sentita afferrare da braccia forti che mi avrebbero scrollata fino a farmi rinsavire, urlandomi tutto il loro amore. E invece no. Quelle braccia si erano allargate mettendosi dritte sulla traiettoria della mia violenza. Avevo capito troppo tardi forse, troppo accecata dal mio dolore per poter comprendere quello di Shùra e Misha. Mi aveva dato una lezione eccessiva come suo solito, Aleksandr aveva un modo tutto suo per farti capire gli errori, per farti tornare sui tuoi passi, per farti vedere ciò che stavi diventando.
Mi ero chiusa in me stessa, ero divenuta il riflesso odioso della donna che ero sempre stata. Lo avevo rigettato, avevo confermato le parole di Sergej e tutte le sue convinzioni su quanto fossi una piccola e meschina donna attaccata solo a se stessa. Provavo una vergogna e un rifiuto tali per la mia persona che pensai di morire lì all’istante. Afferrai il cellulare componendo con dita tremanti un numero, sbagliai tre volte ma alla fine lo sentii squillare.

 
– Pronto.
 
Non riuscivo a parlare, sentire la sua voce mi tranquillizzava. Era ferito, ma non morto.
 
– Sophia, parlami.

Strinsi i denti per non scoppiare a piangere, mi sentivo così umiliata da me stessa.
 
– Troveremo il modo di uscirne, te lo prometto. Non morirai per mano sua, né per mano di nessun’altro.. avrai la vita che meriti, te lo giuro.
 
Sentii il bisogno di bere, io da sempre astemia, presi il portafoglio vuoto dirigendomi al primo bancomat disponibile, possedevo ancora decine di carte con la quale sopravvivere egregiamente per mesi. Mezzora e parecchie urla dopo, mi resi conto di essere una povera idiota. Tutte le mie carte erano bloccate, mi aveva tolto tutto, mi aveva cancellata rendendomi simile ad una barbona. Sentii le mie pallide speranze frantumarsi.

‘’Porta con te il mio libro, e leggilo quando penserai non ci sia più speranza’’
‘’Non lo sai? Mai giudicare un libro dalla copertina. Alle volte i libri salvano la vita’’

 
Corsi a perdifiato verso casa, volando sui gradini come se nelle suole avessi delle molle, iniziando a rovistare tra gli scatoloni impolverati che non mi ero ancora decisa a disfare. Perché in fondo io speravo lui tornasse a prendermi. E quando lo aveva fatto avevo rifiutato la sua mano tesa. Idiota. Stupida. Maledetta idiota.
Lo trovai sotto i miei vecchi libri, uno strato di polvere copriva la copertina consunta, era la terza volta che lo aprivo dopo averlo ricevuto in dono per i miei diciotto anni. Lo sfogliai febbrilmente senza notare nulla di strano, lasciandomi prendere dallo sconforto, finché le mie dita non tastarono la copertina interna notando un rigonfiamento sospetto. Passai i venti minuti successivi a staccare con cura e perizia la carta ingiallita e malconcia, alla fine li vidi: posizionati ordinatamente giacevano da chissà quanti anni diecimila dollari. Piansi, piansi con tutte le mie forze mentre stringevo quel libro che mi era stato regalato una vita fa. Una vita fatta di bugie, dove l’unica verità probabilmente era stata il nostro amore.
Quella notte la passai a fare bilanci, mentre il suo volto mi sorrideva seduto di fronte a me. 

 
  
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