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Autore: Sarandom    27/06/2017    2 recensioni
[SPOILER SEASON 11] (Destiel e Saileen)
Timeline: Amara ha ucciso Lucifero e con Chuck sono andati via. Dio torna da Dean, Sam e Cas, gli toglie il lavoro da cacciatori, ma qualcosa li ha seguiti. Mentre si apprestano a formare una vita normale, c'è chi dovrà fare i conti con il passato.
E tutte quelle lettere a Dio sono scommesse
E tutte quelle lacrime oggi sono promesse
Io sono un cazzo di soldato senza una guerra
Ed esito, barcollo ma non mi ci vedi a terra
E rido perché so che tornerò ad amare ancora
E urlo a chi vorrà ascoltare
Che “solo” è solo una parola
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Castiel, Claire Novak, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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O.

 

Dean sentì nuovamente il sangue appiccicoso fra le dita, il sapore ferroso sulla lingua e l'odore forte che gli pizzicava le narici.

Era orribile, come se si trovasse ancora in quel luogo.

Il fuoco gli bruciava lembi di pelle, le urla delle anime lontane e vicine gli graffiavano violentemente le orecchie. Non si era mai chiesto come facessero le anime ad emettere suoni; la verità era che tutto l'orrore dell'inferno era capace di asportare quasi del tutto la sua razionalità, e di trasformarlo in un animale istintivo e rabbioso.

Per anni ed anni aveva resistito; aveva subito milioni di torture una dietro l'altra, fino al momento in cui non ce l'aveva più fatta - stava impazzendo e non voleva più soffrire. Sam non lo avrebbe mai saputo, Bobby neanche. Era sceso da quella dannata ruota ed aveva preso a martoriare anche lui quelle povere anime come la sua. Le strappava, le distruggeva, senza smettere un secondo, senza provare rimorso davanti a loro. Odiava ciò che era diventato ogni secondo che passava, ma non vedeva altra scelta. Sapeva di essere debole e l’Inferno gliene aveva dato prova.

Era riuscito a fuggire per un bene Divino in cui neanche credeva, le lacrime erano uscite davanti al fratello, ma non si sentiva meglio, non era mai stato lo stesso da quel momento.

Ed ora era un'altra volta lì, senza sapere perché, senza ricordare un minimo di niente. Era diverso, ma in modo orrendo.

Stava tormentando anime di nuovo e nel frattempo riceveva frustate alla schiena che gli toglievano il respiro e lo costringevano a cacciare gemiti di dolore. Non voleva stare lì, non voleva tornarci.

Si ricordò per alcuni istanti del film sulla Morte e Passione di Cristo che aveva sbirciato quando era molto piccolo, e pensò a quanto la scena in cui Gesù veniva frustato gli fosse rimasta impressa nella mente.

Era così che si sentiva in quel momento. Provò ad urlare, a chiedere aiuto fino ad avvertire i graffi alla gola, ed il colpo di grazia venne non appena un enorme cane infernale sbucò da chissà dove e gli morse il polpaccio destro.

Dean si divincolò; scoprì di non avere più voce per chiedere aiuto, ed entro pochi secondi si ritrovò totalmente paralizzato dalla testa ai piedi. Non poteva nemmeno chiudere gli occhi per evitarsi la scena tremenda che aveva davanti: un altro cane infernale stava sbranando un'anima che si contorceva e artigliava con le unghie quello che sembrava un pavimento.

Si mise a pregare mentalmente; si domandò il perché di tutto quello e si disse di mantenere la calma.

“Qualcuno verrà a salvarti. Mantieni la calma. Mantieni la calma. Mantieni la-“

 

"Un vecchio amico..."

Quella maledetta voce gli rimbombò in testa più volte, fece stranamente eco in quello spazio affollato di anime, continuò a ripetersi all'infinito, sempre più forte… finché Dean non si rialzò di scatto, occhi spalancati e corpo sudato.

La voce si ammutolì.

Le visioni sparirono.

Il dolore svanì lentamente.

Il cuore batteva veloce, come se volesse squarciargli la cassa toracica.

E la sua camera semi buia si materializzò di fronte a lui.

Era tutto esattamente come Dean l'aveva lasciato. La prima cosa che il cacciatore mise a fuoco fu l'orologio che segnava le sette e mezzo di mattina. Alcuni vestiti erano ancora ammassati sulla sua sedia, le coperte sfatte, i jeans ancora addosso a lui.

Era stato un incubo. Era stato solo un maledetto incubo.

Dean socchiuse le palpebre, e si passò un palmo umidiccio sulla fronte, sospirando in modo tremolante. “Dannazione.”

Afferrò il cellulare con la mano sinistra e cercò il nome di suo fratello nella rubrica dopo qualche minuto che si era concesso per smettere di ansimare.

«Hey... Sam.» mormorò, senza muoversi dalle coperte.

«Dean. Va tutto bene?» chiese subito la voce apprensiva del fratello.

Il maggiore ci mise del tempo per rispondere.

«Dean, sei ancora lì?»

«Sì, sì... sono qui. Va tutto bene. Ieri mi sono divertito... ho... giocato, bevuto.»

«Mi hai chiamato per raccontarmi di una sbronza?»

Dean ridacchiò appena.

 «Ti va se…andiamo a... prenderci un caffè oggi? Fra circa un'ora al solito chiosco, offro io.» gli propose, mentre il cuore e il respiro si calmavano.

Dall'altra parte, la risposta si fece un po' attendere. «Beh, perché no?» fece Sam. «Ci vediamo lì…»

«Perfetto.» lo interruppe il fratello maggiore con un sorriso nella voce. «Lì davanti alle otto e mezza circa, a dopo Sammy.»

Dean concluse la chiamata, e si preparò con un accenno di quegli spiacevoli pensieri ancora in testa.

Sapeva benissimo che anche il fratello aveva sopportato quelle pene; affrontare Lucifero non era stata certamente una passeggiata, ma ammetteva che era il più forte tra i due.

 

In poco tempo, il cacciatore si ritrovò davanti al fatidico posto in cui aveva dato appuntamento a Sam. Quando finalmente vide arrivare il fratello con dieci minuti di ritardo, gli diede una delle loro solite pacche sulla schiena.

«Tutto bene?» gli domandò il biondo, chiedendo al tizio del bancone di preparargli qualcosa.

«Sì, sì... tutto okay. Tu hai una pessima cera invece...» constatò Sam, fissandolo con gli occhi ridotti a fessura.

Dean sollevò gli occhi al cielo. «Lo so. Nottataccia.»

«Mh mh?»

Dean restituì lo sguardo che gli aveva lasciato addosso il fratello, lo aveva chiamato per quello, cosa aspettava?

Si sedettero ad un tavolo per due con le loro ordinazioni.

 «Ho-» Si morse un labbro. «Ho di nuovo gli incubi.»

«Quali?» La preoccupazione di Sam stava lentamente crescendo.

«Inferno.»

Il minore aggrottò le sopracciglia. «Come mai? E’ successo qualcosa?»

«No.» Dean si stropicciò gli occhi. «Avrò bevuto troppo.» rise senza un minimo di allegria.

«Sei sicuro?»

«Devo solo, capire delle cose. E per farlo…ho bisogno di partire.» rispose pronto. Lo guardò con negli occhi l’aria più bisognosa che potesse suscitare.

«Te ne vuoi andare?» domandò il fratello, il panico crescente nel tono.

«No. Starò via solo qualche giorno. Lontano da tutto…»

«E da tutti.» concluse Sam, cupo.

«Anche, ma non è per colpa vostra. Mi piace quel che abbiamo qui.» Sottolineò con una mano a palmo sul tavolino.

«Okay, dove andrai?»

«Ho bisogno di …vedere posti che conosco.»

«Non andrai alla nostra vecchia casa...»

«Era un’idea.» ammise il maggiore, il capo basso.

«Dean, non farti del male.»

«Non voglio.» gli confermò l'altro.

«Non vuoi compagnia, giusto?»

«Devi occuparti di tante cose qui, lascia stare, Sam.»

«Cas…?»

«Non posso aspettarlo, voglio andare subito e …lasciarmi questa sensazione alle spalle.»

Ci fu qualche istante di silenzio. Sam dava ancora l’impressione di essere poco convinto, ma allo stesso tempo sembrava voler capire suo fratello. «Sei sicuro che non ci sia stato un avvenimento in particolare che ti ha... come dire... smosso?» gli domandò, gli occhi curiosi ma rassicuranti.

«Non proprio.» mentì Dean, bevendo un sorso del suo caffè. «Ho visto l'inferno. Le anime... torturate. Ho sentito delle strane voci. Insomma… era inquietante.» rispose atono, stringendosi nelle spalle.

In quel momento, Sam rivide il fratello di tanti anni prima, quando riusciva ancora ad essere divertente con un vero sorriso sulle labbra e l'espressione spavalda da ragazzo nei suoi vent’anni, nonostante fosse spaventato a morte.

«Sì.» rispose Sam, comprensivo, ed appoggiò il gomito sul bancone, avvicinandosi a lui. «So cosa significa.» disse, cercando di creare un contatto.

«Scusa se sto… anche tu hai sofferto così.» mormorò Dean, scuotendo la testa.

«No, no no.» lo interruppe Sam. «Qui nessuno usa pesi e misure, ognuno soffre a modo suo. L’ho detto per ricordarti che io ci sono.»

Dean ammiccò appena. «Lo so. Altrimenti non te ne avrei parlato.» Finì il suo caffè.

«D'accordo, allora.» disse infine Sam e Dean annuì. «Se hai bisogno, di qualsiasi cosa, chiamami. A qualsiasi ora.»

«D'accordo.» confermò il maggiore e gli sorrise fraternamente.

 

Erano fuori il locale, il sole nascosto dalle nuvole; si stringevano nei loro cappotti mentre raggiungevano le auto vicine.

«Cosa diremo a Cas?»

«Gli dirai la verità.» disse Dean, mentre apriva l’Impala.

«Non vai da lui?» domandò Sam, stupito.

«No, meglio di no. Preparo il borsone e parto subito. Mi sarebbe più difficile se andassi da lui.»

«Sta’ attento.» si premurò Sam, avvicinandosi e abbracciandolo. Ma Dean reagì in modo comicamente indignato. «Cosa abbiamo detto? Niente scenate da ragazzine.»

«Ma sta’ zitto!» esclamò, Sam, ridendo sulla sua spalla.

 

*

 

 

Dean era già in viaggio, era partito non appena sistemato il borsone e per le dieci fu in macchina. Lo avrebbero aspettato parecchie ore di macchina. Accese lo stereo per distrarsi e le note di "Crazy in love" occuparono l'auto.

Il cacciatore seguì il ritmo con le mani sul volante e stonò il ritornello come suo solito. Davanti a lui c'erano solo strada asfaltata, distese di grano e a tratti paesaggio boschivo.

Le note cambiarono, delle bacchette battevano ripetutamente sulla batteria, alternandosi con le parole della nuova canzone:

"Don't test me

Second guess me

Protest me

You will disappear"

Dean spense la radio, la quale si riaccese da sola pochi secondi dopo; ogni luce della macchina si azionò.

Il cacciatore assunse un'espressione accigliata ed accostò sul ciglio della strada.

Non c'era nessuno oltre lui.

Pensò immediatamente ad un fantasma, ma non vedeva tratti specifici del caso. La strada era deserta, non vi erano né fiori, né ombre. Aspettò per uno spettro, occhieggiando attorno a sé, ma non vide niente a parte gli alberi e le collinette.

La radio si spense di colpo, come se tutto il suono fosse stato improvvisamente risucchiato da un vortice. E nell'auto calò il silenzio più assoluto.

Dean fece per aprire lo sportello; era chiuso dentro.

«Okay. Ho poca voglia di giocare per adesso, chi diavolo sei?!» domandò minacciosamente e chiuse gli occhi.

Qualcuno rise accanto a lui.

 

*

 

Venti minuti prima.

 

All'ospite piaceva fare finta di dormire, soprattutto quando era in compagnia. Adorava sentire cosa accadeva intorno a lui, udire anche più lontano di quanto fosse mai riuscito a fare.

Dora era già andata via, aveva sentito mentre frugava nei suoi pantaloni sgualciti a terra; Mick era rimasto un po' di più. Appena sveglio aveva sentito i suoi occhi addosso per qualche minuto, poi si era rivestito. Lo sentì sedersi sulla poltrona ed aprire qualcosa, poi usò una penna su un foglio. Si fermò anche lui accanto ai suoi vestiti, indugiò sulla porta ed uscì.

 

Finalmente l'ospite misterioso poté alzarsi, si fece una doccia nell'angusto bagno - che per fortuna, almeno sembrava pulito. Si vestì continuando a fissare il block notes per terra. Lo prese, sbuffò un sorriso guardando il numero di Mick e lo piegò riponendolo nel taschino.

Uscì dal posto, dopo aver salutato il proprietario. Restò fermo a guardare le persone mattiniere fare avanti e indietro per raggiungere i posti di lavoro, era come faceva lui un tempo.

Viso inespressivo, spostò l'attenzione al cielo ancora poco luminoso e con troppe nuvole ad oscurare il sole. Chiuse gli occhi annusando l'aria, alzò l'angolo della bocca e scomparve.

 

*

 

Dean si voltò in un lampo, qualcuno occupava il posto del passeggero alla sua destra.

E rideva accanto a lui.

«Rilassati, Dean.» fece quello, con un piede poggiato contro il cruscotto e una mano sul ginocchio.

«Chi. Diavolo. Sei.» mormorò il cacciatore, la rabbia crescente nel tono, cercando di prendere l'arma che nascondeva sempre sotto il sedile, di soppiatto.

«Se lo nomini troppo, guarda che arriva.» gli fece il verso l'altro, con un ghigno.

«Figlio di put-» stava per puntargli la lama del coltello di Ruby addosso, ma il tizio alzò una mano e lo immobilizzò. Gli fece dei versi di disapprovazione.

«Mmh mmh, non ci siamo proprio, Dean. È così difficile parlare, per voi cacciatori?»

Il biondo guardò il bel viso delicato del tizio, i capelli scuri aggrovigliati, ed il verde brillante degli occhi maligni. «Come fai a sapere chi sono?» gli chiese Dean.

Il moro gli fece un attraente sorriso sbilenco. «Oh, e tu come fai a... non capire chi io sia?»

Dean aggrottò le sopracciglia; lo fissò a lungo, si concentrò su di lui, ma non gli veniva nulla in mente.

«Non lo so.» rispose, secco, ma sincero.

«Oh, giusto.» L'altro si passò una mano sul viso, poggiando la testa sul finestrino. «Che sbadato sono. Così...» Indicò il suo corpo. «...non puoi riconoscermi.»

«...Sei un demone.» sibilò il cacciatore.

«Din din din, bingo.» disse il moro in una smorfia, per niente divertito, guadagnandosi un'occhiata truce da Dean.

«Senti, io, i demoni li uccido, non li creo. Vai da Crowley se questo non ti aggrada.» lo minacciò.

«Nah, sbagli su entrambe le cose.» Lo guardò con un'espressione furba che mutò all'istante. «Quindi conosci bene chi dovrebbe essere il mio capo.»

«Chi non conosce Crowley...» rispose ovvio, Dean.

«Mi sono sempre tenuto a debita distanza, facendo solo il mio lavoro. A quanto vedo ho perso molte cose.» Il moro lo squadrò da capo a piedi.

«Cosa vuoi da me?» chiese Dean, contraendo una mano.

«Chiederti scusa per ieri sera. Mi hai preso veramente in contropiede-»

«Di cosa parli?» lo interruppe Dean.

L'altro spostò la schiena sulla portiera per averlo di fronte, e lo fissò con aria di sfida. «Cosa ricordi dell'Inferno?»

Il biondo si rabbuiò ancora di più. «Tanto. Troppo... e tutto grazie a te, quindi.»

«Pardon.» Il demone alzò le mani. Si avvicinò a lui facendo leva con le ginocchia sul sedile.

I visi a neanche un centimetro di distanza. «Il mio nome è Dante».

Verde smeraldo e verde foresta dei loro occhi si incontrarono.

Dean cercò di fare mente locale su quel nome sussurrato. Rimase con la mascella serrata e gli occhi che continuarono a fissare l'altro, fino a che non arretrò bruscamente.

Una scintilla di ricordo lo fece sbiancare.

«Oh... adesso sì, che ricordi.» constatò Dante. «Ricordi cosa mi hai fatto.» iniziò, rabbioso. «Cosa continuasti a farmi, a cosa mi riducesti solo per salvarti quel briciolo d'anima che ti restava.» disse, labbra ed occhi tremanti dal dolore. «Non conoscevo niente di quello schifo, non ero come te. E questo ti divertì, giusto? Prima provavi del piacere nel picchiarmi, fino a rompermi la mascella, a vedere gli occhi così pesti da scambiarli per buchi neri. Poi a strapparmi la carne dalla pelle, più sangue usciva, più ridevi.»

«Questo non è vero.» disse Dean in un sussurro, teneva gli occhi chiusi, cercando di respirare, le nocche bianche per la forte stretta al volante. Il suo stomaco era in una morsa; mandò giù della saliva per controllarsi.

«Ah, no? Più urlavo, più tu andavi lentamente. Finito di togliermi la pelle, i muscoli, passavi togliermi le ossa.» sputò sprezzante Dante.

Dean non riuscì più a trattenersi, cercò di riaprire la portiera e questa volta ci riuscì, fece solo in tempo ad inginocchiarsi per strada e vomitare sull'asfalto.

Nella testa aveva immagini continue di quel racconto con centinaia di corpi diversi. Un altro conato.

Vide le scarpe di Dante, che si inginocchiò. «Fa schifo, vero?»

«Cosa... vuoi da me?» disse con il respiro affaticato e tremante. «Scuse? Vendetta? Non sono più così… lo ero lì. O cambi o quel posto ti uccide.»

Il demone lo prese per il colletto della giacca e lo stese sul fianco della macchina. «Tu eri già morto, come noi.» gli disse stridendo i denti. «Hai solo ceduto.»

Esatto, era tutto su quello che girava...

«Se anche tu sei qui, non l’ho fatto solo io.» ringhiò Dean.

Dante rise. «Se un pezzo di merda come te fa promesse che neanche un demone farebbe… come ti sentiresti?»

«Cosa avrei fatto?»

Dante si morse un labbro. «Perché spiegarti subito, se posso divertirmi, adesso?» Il moro lo lasciò all'improvviso. «Devo andare, ma tornerò. E ...tranquillo, non voglio ucciderti.» gli sorrise per poi sparire.

Dean restò frastornato, come la sera precedente; si sentiva esattamente uno schifo.

In che modo riusciva sempre a fare del male a tutti compreso sé stesso?

Sam aveva dovuto aspettare anni per crearsi una vita normale, Castiel era diventato umano per restare con loro, o per quanto gli sembrasse assurdo, proprio per lui. E adesso questo Dante che lo accusava, proprio quando perfino lui stava per abituarsi a quella vita calma, semplice e tranquilla; proprio quando stava iniziando a vivere come un essere umano.

 

*

 

25 Dicembre 2020 - Inferno

 

"Paradise" dei Coldplay iniziò a suonare nella radio dell'Impala, facendo increspare le labbra di Dean, e provocando un leggero movimento della sua testa a ritmo di musica. Cercava di distrarsi e di ignorare almeno al momento il problema.

«And dream of para-para-paradise

Para-para-paradise

Para-para-paradise oh oh oh oh oh ohhh.»

Canticchiò il cacciatore, sbirciando appena fuori dal finestrino. Ormai Dean aveva viaggiato per quasi sette ore, con alcune pause; stare da solo lo gratificava parecchio, anche se avrebbe dovuto aspettare queste nuove visite da Dante. 

Proprio alla fine della canzone, Dean giunse a Lawrence, la loro città natale.

Parcheggiò l'auto in un luogo pieno di alberi, accostando vicino ad un pino. Sospirò uscendo dalla macchina con le chiavi che tintinnavano fra le dita.

Non ci vollero molti passi per arrivare davanti alla loro vecchia casa. Non appena l'edificio entrò nel raggio visivo del cacciatore, Dean si sentì le ginocchia molli. Vederla non fu traumatico come se lo era immaginato. Non fu neppure troppo triste, ma gli lasciò qualcosa di strano dentro, e di peggiore della semplice tristezza che Dean non seppe interpretare.

Nostalgia?

Non ne aveva idea al momento. 

Sapeva solo che ogni minuto in più passato ad osservare quelle mura costellate da minuscole crepe, quei mattoncini che componevano il vecchio camino, quel giardino incolto, gli faceva del male.

Forse era vero che era masochista. Era vero che non si voleva bene, come gli aveva detto Castiel. Ma nel motivo di quelle visite c'era dell'altro.

Dean chiuse gli occhi per qualche secondo, ascoltando il cinguettio dei passeri vicini e cercando di calmarsi per un momento. Ma una serie di immagini terrorizzanti si proiettò indisturbata nella sua mente, facendolo sobbalzare.

Il fuoco.

Le urla.

La casa in fiamme.

“Porta fuori tuo fratello più in fretta che puoi!” gli rimbombò in testa ripetutamente. Dean strinse le palpebre, ed una lacrima gli cadde giù per la guancia destra. La asciugò via in fretta, sforzandosi di indurire l'espressione del volto.

«Va tutto bene.» si disse. "Va tutto bene..."

Prese un gran respiro, ed andò a suonare il campanello. Attese per qualche secondo, un piede che batteva nervosamente a terra.

Una donna bionda e piacevolmente rotondetta gli aprì la porta, e lo fissò con gli occhi nocciola assottigliati.

«Salve.» fece Dean, a bassa voce.

«S-salve...» mormorò la signora, le labbra schiuse.

«Mamma! Mamma!» si mise a strillare un bimbo sui cinque anni, giungendo a tirarle i pantaloni troppo stretti.

«Arrivo, aspetta tesoro...»

«Ma Luke mi ha rubato la merenda! Si è mangiato i miei biscotti!»

«Non è vero!» urlò una voce minuscola dalla cucina, strappando un sorriso al cacciatore.

Lui e Sam da piccoli. Come del resto tutti i fratelli del mondo. Erano così ordinari prima... così normali.

«Chi è lei?» domandò la donna, incuriosita.

Dean si umettò le labbra. «Ecco... io un tempo abitavo questa casa con mio fratello, i miei genitori... insomma, con la mia famiglia. E volevo solo... vedere.»

«Oh.» rispose quella, leggermente scettica all'inizio. «Davvero?» Chiamò suo marito, il quale marciò subito accanto alla porta ed osservò il biondo. Sua moglie gli spiegò tutto, e lo invitarono ad entrare e prendere un tè.

Dean decise che ne avrebbe bevuto appena un sorso, dato che il suo stomaco non era nelle migliori condizioni, ma accettò volentieri per non offenderli.

La prima cosa che rivide fu la cucina; il luogo era totalmente cambiato. La credenza rossa e bianca occupava tutta la parete di fronte alla porta. I due bambini giocavano per terra con dei dinosauri di plastica.

Dean sorrise, e passò in tutte le stanze con un sorriso malinconico. Man mano che vedeva tutti i cambi, tutte le cose fuori posto, i colori diversi delle pareti, gli pizzicarono gli occhi. Il peggio fu quando giunse nella cameretta del bambino.

La culla era l'unico oggetto che stava proprio al centro della stanza, come quella di Sammy.

«Oh, sì... quella era la culla di Luke. Sta ancora lì...» disse la donna, ridendo allegramente.

Abbassò lo sguardo alla parte bassa del muro accanto la porta e …le loro iniziali non c’erano più.

Dean era rimasto ancora inespressivo, ma non vedere quelle incisioni fece ancora più male di tutto il resto. Era il loro marchio, erano nell’Impala, le avevano lasciate nel Bunker e lì erano sparite per sempre.

Le mani iniziarono a tremare e sudare. «Mi scusi...» fece.

«Che succede?» gli domandò la signora, preoccupata.

Ma il cacciatore scosse il capo e si passò una mano sugli occhi. «Mi scusi davvero, devo andare adesso. Scusi tanto per il disturbo e grazie per avermi fatto entrare.»

«Ma-sì, certo. Arrivederci.»

Salutò tutti frettolosamente, ringraziando per la visita e Dean girò i tacchi per uscire.

Rientrò nell'Impala, velocemente, mettendola in moto e schiacciando l’acceleratore.

Pensò che non sarebbe più tornato nelle vicinanze di quella casa, almeno per un bel po' di tempo.

 

 

*

 

«Se non sai fare il tuo lavoro, che diavolo ci fai lì?» la voce alterata del Re dell’Inferno rimbombò nella sala del trono.

«Mi ci ha messo lei…Sire…»

«E allora impara a farlo! Il prossimo! E cercate di non farmi perdere tempo.» disse mentre passava una pergamena ad un demone accanto a lui.

Entrambe le porte della sala vennero aperte e Dante apparì con le mani in tasca. «Quindi…tu conosci bene Dean Winchester.» disse sprezzante, a passo svelto e saltellando sui gradini fino ad arrivare faccia a faccia con lui.

Crowley dopo averlo fissato, guardò gli altri. «Siete ancora qui?» sparirono tutti, lasciandoli soli, Dante non aveva ancora tolto gli occhi dai suoi.

«Cosa vuoi?»

«Tu lo sapevi. E non me lo hai detto.»

«Cosa sapevo?»

«Di Dean.»

«Sei tu quello fuori dal coro, non sai niente di nessuno, solo di te stesso. Ho avuto il mio bel da fare con i Winchester, ma ora siamo apposto. Puoi andare a fare il tuo lavoro.» fece per alzarsi, ma Dante gli posò una mano sul petto per farlo restare dov’era.

«Ti sei salvato solo perché mi hanno chiamato.» e sparì.

 

 

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers:

 

Vi sveliamo un segreto: amiamo scrivere Dante. Aveva anche più spazio nei capitoli successivi, ma erano troppe scene e ci dispiace di averli tolti, ma speriamo lo apprezzerete anche così ^^

   
 
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