Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Laylath    29/06/2017    3 recensioni
[La storia segue anche la trama del manga quindi ci saranno spoiler per chi segue solo l'anime]
Hanji Zoe è un personaggio fuori dalle righe anche per chi la conosce.
Rumorosa, entusiasta, capace di eccessi, il suo contributo per la Legione Esplorativa e per l'umanità è fondamentale.
La sua vita è come la storia di un volo sfrontato e meraviglioso, come quello degli uccelli che volano al di fuori delle mura.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Irvin Smith, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 1. La bambina con gli occhiali.

 

Distretto di Karanes (Wall Rose), 828.
 
La bambina sbirciò con curiosità il dottore che, andato verso uno degli armadi presenti nel suo studio, iniziava a frugare in uno dei tanti cassetti. Istintivamente i suoi occhi si strinsero per mettere a fuoco quella figura distante alcuni metri, in modo da poter capire cosa stesse prendendo, ma il suo tentativo venne stroncato dalla mano di sua madre che le strinse la spalla con rimprovero.
“Non strizzare così gli occhi che ti vengono le rughe anzitempo, Hanji – le sussurrò la donna – ti mancavano soltanto gli occhiali, santa pazienza. L’ho sempre detto che il leggere troppo ti avrebbe provocato solo guai. Ne è certo, dottore – proseguì poi a voce più alta, riprendendo un tono tranquillo – insomma ha appena otto anni: magari i problemi alla vista le passano da soli”.
“Signora Zoe – rispose il medico, tornando verso loro con un paio di lenti in mano – il problema alla vista di sua figlia è destinato a peggiorare se non si pone rimedio. Molto bene, bambina, adesso chiudi l’occhio destro e guarda col sinistro attraverso questa lente che ti metto davanti. Come ti sembra?”
“Nitido!” esclamò Hanji con entusiasmo, vedendo i contorni prendere improvvisamente forma. Le sue piccole dita afferrarono quell’affascinante oggetto per portarselo ancora più vicino e poterlo esaminare con attenzione.
“Molto bene, proviamo anche con l’altro – annuì il medico con un sorriso soddisfatto – decisamente meglio anche in questo caso, vero?”
“Proprio! – il sorriso della bambina era estasiato – che cosa sono?”
“Lenti, mia cara. Se mi concedi qualche minuto ti prendo le misure e procederò a creare la montatura adatta”.
Hanji dovette trattenersi per stare ferma mentre il medico le misurava la testa con uno strano attrezzo. Aveva mille domande da fare su come funzionava e su quale fosse il principio che faceva in modo che tramite quei curiosi pezzi di vetro trasparenti ci vedesse molto meglio. Ma a pochi passi da lei sentiva la presenza di sua madre che la sorvegliava: le aveva promesso di comportarsi bene dal medico, di non disturbarlo con le sue domande insistenti e di fare la bambina educata.
Così dovette restare buona fino a quando l’uomo andò in un’altra stanza per procedere assemblare i suoi nuovi occhiali. A quel punto Hanji non si trattenne più.
“Mamma, hai visto che cosa fantastica? Ci vedo senza problemi con quelle lenti! Anzi, forse ora riuscirò a vedere meglio di qualsiasi altro bambino!”
“Povera me, che mi tocca a sentire – scosse il capo Agatha Zoe – invece di essere così entusiasta perché non pensi al fatto che ora sarai costretta a portare gli occhiali? Già immagino tutti i commenti del vicinato! Quando mai si è vista una bambina con gli occhiali. Sai chi li porta? Il vecchio maestro della scuola di tuo fratello!”
Hanji stava per ribattere che allora voleva dire che era intelligente come quel signore anziano che la salutava sempre, tuttavia intuì che non era il tipo di risposta che voleva sentire sua madre. D’istinto cercò di assumere una posizione più dritta e composta sull’alto sgabello dove stava seduta, immobilizzando immediatamente le gambe che non avevano smesso di ciondolare per tutto il tempo e posando le mani in grembo, nella posa da signorina che le era stata insegnata.
Tuttavia i suoi occhi continuavano a vagare per quel meraviglioso ambiente pieno di cose interessanti. Per quanto coi contorni sfocati, riusciva ad individuare tantissimi oggetti di cui non sapeva la funzione e nella sua mente si immaginava maneggiarli con perizia per fare cose strane e misteriose che riuscivano a guarire le persone.
“Ecco qua, scusate l’attesa – disse il medico dopo qualche minuto, rientrando nella stanza – molto bene, signorina: vediamo un po’ come ti stanno”.
“Speriamo solo che non siano… troppo evidenti!” commentò la signora Zoe.
 
La famiglia Zoe viveva in uno dei quartieri commerciali del distretto di Karanes.
Horace Zoe aveva ereditato dal padre un rinomato negozio di tessuti che egli gestiva con grande passione e abilità, tanto che la sua fama era giunta anche negli altri distretti del Wall Rose. Anni prima aveva consolidato la sua posizione sociale sposando una giovane di buona famiglia che, tra le altre cose, aveva portato con sé una ricca dote che aveva permesso di ampliare l’attività già ben avviata.
Hanji era la secondogenita della coppia e, ad essere sinceri, non era quello che si poteva definire il fiore all’occhiello della famiglia, come invece ci si aspettava da una figlia.
La madre, Agatha, aveva riposto in lei tutte le sue speranze: dopo aver messo alla luce un maschio aveva ardentemente desiderato una bambina per poter fare di lei una piccola principessa. Ed, effettivamente, considerato che entrambi i genitori erano di aspetto gradevole, così come il primo figlio, ci si aspettava che anche la bambina venisse su parecchio graziosa.
Tuttavia Hanji, all’età di otto anni, non sembrava soddisfare le grandi aspettative materne a partire dall’aspetto fisico. Era alta e slanciata per la sua età ma tremendamente scomposta: era come se in lei ci fosse una goffaggine innata che nessuna lezione di postura e comportamento riusciva a correggere.
Ogni suo gesto, discorso, modo di muoversi era esagerato, quasi fosse posseduta da un’energia troppo grande per il suo corpo da bambina. A questo si aggiungeva un viso dai tratti non certo delicati, a partire dal naso che prometteva giorno dopo giorno di diventare pronunciato, alla faccia dei nasini piccoli e all’insù delle altre bambine, e dal mento troppo generoso. I capelli castani risultavano particolarmente ribelli a qualsiasi pettine, tanto che la madre sin da piccola era stata costretta a legarli in due arruffate trecce.
L’unico tratto di rilievo in quel viso erano gli occhi: grandi, di un bel castano chiaro, avevano una luce e una vivacità fuori dal comune capaci di rendere accattivante il suo sguardo.
“Peccato che ora ci sono questi occhiali a rovinare tutto!” protestò Agatha quella sera, mentre la famiglia era intenta a cenare.
“L’importante è che la bambina ci veda bene e non abbia più quei mal di testa – disse con semplicità Horace – il resto è di secondaria importanza”.
“Adesso potrò riprendere a leggere i libri, papà?” chiese Hanji con grande aspettativa.
“Non vedo perché no”.
“Grandioso!”
“Invece di perdere troppo tempo coi libri dovresti pensare maggiormente al tuo modo di comportati, Hanji – scosse il capo la madre – adesso che hai gli occhiali è indispensabile che il tuo atteggiamento sia più consono ed educato: dobbiamo fare in modo che le persone vadano oltre questo dettaglio”.
“Sì? – la bambina si levò gli occhiali e li osservò con un sorriso – per me non sono così male, mi aiutano a vedere bene”.
Davanti a quell’affermazione così spontanea, Gerard, il figlio maggiore, non riuscì a trattenere una piccola risata divertita. Questo richiamò subito l’attenzione delle due femmine di casa; tuttavia, mentre la madre gli lanciò una lieve occhiata di rimprovero, Hanji rispose con un furbo sorriso.
Sicuramente lui vorrà sentire tutto quello che ho visto nello studio del dottore – pensò con gioia la piccola.
 
“… e quindi ho immaginato che prendevo quell’attrezzo e aprivo la bocca di una persona coooooosì – Hanji nella foga si mise in piedi sul letto del fratello e allargò le braccia più che poteva, come un pescatore che vanta una preda davvero esagerata – e vedevo tutto quanto, anche in fondo alla gola! Sarebbe davvero interessante, non pensi anche tu?”
“Spero che tu non abbia detto simili cose davanti alla mamma” ridacchiò Gerard, seduto alla sua scrivania intento a finire una composizione per la scuola.
“Proprio no! – scosse il capo la bambina, ricadendo seduta a gambe incrociate, totalmente incurante della camicia da notte abbottonata male. Coi capelli sciolti che le ricadevano disordinati sulle spalle era uno spettacolo davvero buffo – Però un giorno saprò come funzionano tutte quelle cose, vedrai! Nei tuoi libri di scuola non si dice niente?”
“La medicina non rientra tra le materie che studiamo a scuola, sorellina”.
“Voglio andare pure io a scuola – sbuffò lei, mettendosi a braccia conserte e gonfiando le guance – non capisco perché le femmine non possono”.
“Per voi basta un’istruzione più semplice che si può dare a casa. Ma tu hai sempre i libri della biblioteca di papà, no?”
“Scommetto che a scuola imparerei un sacco di cose in più – disse lei con aria sognante – e invece devo passare le mattine con la mamma che insiste a farmi imparare i nomi di vestiti, di punti di ricamo e tutte le stupide cose dell’educazione di una brava signorina di buona famiglia! Non sai che noia! Non vedo l’ora di essere più grande per poter aiutare papà in negozio”.
“Lì ci penserò io… da te penso che ci si aspetti solo che sia dolce e carina per poi trovarti un buon marito”.
“Perché? Non sono carina?” Hanji sorrise, forse in maniera troppo entusiasta, tanto che gli occhiali le scivolarono sul naso.
“Per me lo sei – ridacchiò Gerard, chiudendo il quaderno e andando a sedersi accanto a lei – ma conviene che vai a dormire prima che la mamma scopra che non sei a letto”.
“Domani mi compri un nuovo libro mentre rientri da scuola? Ti prego! Ti prego! Magari uno di medicina che spieghi tutti gli strani attrezzi che ha il dottore!”
“Per questo mese ti ho già preso il libro che ti compete, Hanji Zoe – scosse il capo il ragazzo, mettendole l’indice sulla fronte – adesso fila a letto”.
“Va bene – annuì la bambina, per nulla scoraggiata da quel rifiuto. Anzi si alzò dal letto per abbracciare con entusiasmo il fratello maggiore – Buonanotte!”
“Buonanotte”.
 
Hanji era una bambina felice.
Il suo carattere esuberante l’aveva protetta dalle pressanti aspettative materne e dunque non si portava dietro nessun complesso. Per quanto si rendesse conto di non essere simile alle sue coetanee non lo viveva come un problema: era troppo interessata al mondo in generale per preoccuparsi di cose da niente come il vestito da mettere o il modo di camminare. Quando sua madre le aveva insegnato a muoversi con un libro in testa l’unico suo interesse era stato scoprire di che cosa parlasse e se fosse interessante da leggere.
Aveva una mente rapida e sveglia, cosa che compiaceva parecchio il padre. Tuttavia quest’ultimo, per quieto vivere con la moglie, preferiva non intromettersi troppo nell’educazione della bambina: nelle buone famiglie erano le madri a preoccuparsi della prole femminile in quasi tutti gli aspetti.
Di conseguenza Hanji sentiva quasi esclusivamente la campana materna… ma tale suono le entrava da un orecchio e le usciva dall’altro: non che non volesse bene alla donna, ma semplicemente non parlava di cose interessanti. E della stessa pasta erano fatte le signore che a volte veniva a trovarla a casa e con le quali si metteva nel salottino buono a prendere il the.
“Comunque è proprio un vero peccato – sospirò una di queste signore in una di queste occasioni, la settimana successiva al giorno in cui Hanji aveva messo gli occhiali – la bambina ha davvero degli occhi notevoli. È necessario che li porti sempre?”
“Per adesso sì – annuì Agatha – spero che il problema si risolva col tempo. Il medico ha detto che non è escluso”.
“A me non danno fastidio – provò ad intromettersi Hanji – ci ved…”
“Hanji, cara – la interruppe subito la madre – perché non vai a prendere un po’ d’aria? C’è un così bel tempo questa mattina… è che tende a stare troppo col naso sui libri: dovrebbe stare più fuori”.
Senza nemmeno salutare, la bambina colse al volo l’occasione e si precipitò fuori da quella stanza troppo profumata per i suoi gusti. Senza riuscire a trattenere una risata felice corse lungo il corridoio e poi giù per le scale: l’entusiasmo era tale che allargò le braccia ad imitazione del volo degli uccelli, apparendo ben strana con il vestito con le maniche a sbuffo e la gonna larga.
“Ciao, papà! – esclamò gioiosa, entrando nel negozio proprio accanto alla casa – ti posso dare una mano a fare qualcosa?”
“Ciao, cara, non eri con tua madre e la signorina Harre?”
“Libera uscita!” sghignazzò lei con soddisfazione.
Horace la fissò per qualche secondo, probabilmente chiedendosi se il permesso era vero oppure si trattava di qualche fuga. Probabilmente l’espressione della figlia lo convinse perché si trovò ad annuire con calma.
“Se vuoi puoi controllare i conti che stanno sui fogli dietro il bancone”.
“Subito!” corse Hanji, lieta di venir coinvolta in qualche attività produttiva. Senza contare che era parecchio brava a fare di conto e niente le dava soddisfazione quanto dimostrare la propria abilità al genitore. Con tutta probabilità si trattava di un modo per compensare quel rapporto non proprio stretto, ma erano ragionamenti emotivi che la bambina non poteva comprendere se non a livello istintivo e quindi non ci faceva troppo caso. Per lei era semplicemente piacevole passare del tempo col padre piuttosto che con la madre.
Tuttavia quella lieta collaborazione durò solo una ventina di minuti. Nel negozio arrivarono dei clienti e con fare gentile Horace invitò la figlia ad andare a giocare fuori.
 
Negozio e casa si trovavano in una zona parecchio benestante.
Lo testimoniava la tipologia di persone che camminava per le strade, ma anche le abitazioni ed il fatto che non mancassero alcune zone verdi tra le costruzioni. Questo era un dettaglio che piaceva molto ad Hanji perché attirava gli animali, in particolare gli uccellini che spesso decidevano di fare i nidi sugli alberi che stavano vicino al negozio.
Lieta del momento all’aria aperta, corse in un piccolo spiazzo verde per venir subito attratta da una farfallina bianca che prese a volare davanti al suo viso. Con un gesto del tutto naturale, ma che avrebbe fatto inorridire sua madre, la bambina salì sul muretto che circondava quel minuscolo parchetto ed iniziò a camminare in equilibrio, seguendo il piccolo volatile.
“Farfallina bella e bianca,
vola vola e mai si stanca…” canticchiò a bassa voce, cercando di non spezzare quel momento così magico tra lei e quella creatura. La farfallina sembrò apprezzare perché dopo qualche secondo si posò
sul suo naso, provocando un ansito di meraviglia da parte della bambina.
“Ehi, quattrocchi!” chiamò una voce, spezzando l’incantesimo e facendo volare via la piccola creatura.
Hanji recuperò il contatto con la realtà e si girò verso la strada dove vi erano alcune delle altre bambine che abitavano nel vicinato. Con loro non aveva un buon rapporto: non le trovava per niente interessanti con tutte le loro arie da signorine…probabilmente sarebbero state delle figlie perfette per sua madre, con i capelli in ordine, i vestitini senza una piega e portati con eleganza.
“Dici a me?” chiese senza nemmeno scendere dal muretto.
“Ah, adesso sei ancora più strana con quegli occhiali – continuò la capogruppo, indicandola con aria irrisoria – non sai che li portano solo per persone vecchie?”
“Li porta il vecchio maestro di scuola – ribatté Hanji con un sorriso furbo – questo vuol dire che sono intelligente come lui e so un sacco di cose che voi non sapete. Dici che sono una quattrocchi? Beh con quattro occhi invece che due vedrò molto di più rispetto a voi!”
“Con quattro occhi sei un mostro!” ribatté la bambina, ovviamente seccata dal fatto che la teorica vittima non accusasse il colpo, anzi la prendesse meglio del previsto, portandosi in una posizione di vantaggio.
“Del resto non sei per niente educata – ribadì un’altra, spalleggiando l’amica – non si cammina sui muretti: è una cosa che fanno solo i maschi!”
Hanji stava per dire che non sapevano quello che si perdevano, ma poi un’idea le balenò in mente. Con un sogghigno fissò a turno ciascuna delle sue tormentatrici, in perfetto silenzio: poteva sentire il loro disagio che cresceva mano a mano che puntava il suo sguardo su di loro.
“Chissà cosa potrebbe fare un mostro – mormorò con calma – sapete… dal dottore c’erano un sacco di oggetti strani: potrei usarli per fare esperimenti su di voi…”
“Smettila!” disse una delle bambine, rifugiandosi dietro una delle più grandi.
“C’era una cosa che serviva ad aprire la pancia – continuò Hanji, estremamente divertita, curandosi di tenere un tono minaccioso – te la ficca qui, nell’ombelico, e poi te lo svita e la apre! Bluaaaagh! Esce tutto quanto!”
“Che schifo! Hanji Zoe, sei un mostro!” strillò un’altra ragazzina.
“E si tira fuori ogni cosa, e tu sei sveglio che osservi!”
Avrebbe continuato, ci stava davvero prendendo gusto ad immaginarsi fare tutte quelle cose, ma il suo pubblico era già fuggito via con delle grida tra lo spaventato e disgustato. Con un sospiro rammaricato scese dal muretto: sicuramente la notizia della sua esibizione sarebbe arrivata anche alle orecchie di sua madre e questo avrebbe significato una nuova ramanzina esasperata sul modo di comportarsi.
“Oh, beh – sospirò, mentre la farfallina tornava a svolazzarle davanti al viso prima di allontanarsi verso l’alto – fortunata te che hai le ali e puoi andare dove ti pare e piace”.
Alzando gli occhi e andando oltre le eleganti case della sua via, non poté fare a meno di scorgere le alte mura in lontananza.
Chissà quante cose meravigliose avrebbe potuto vedere una volta lassù: con quattro occhi invece che due avrebbe notato un sacco di cose che sfuggivano al resto del mondo, ne era certa.
Sarebbe fantastico avere delle ali! – pensò, aprendo istintivamente le braccia.





 
  
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