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Autore: Koa__    29/06/2017    9 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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Amantes amentes
 


 
 
Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia
che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura.
E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo,
 e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo.
Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba.
 Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te.
È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu.
Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto,
e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia.

[Haruki Murakami]
 
 


 
Lo aveva ignorato. Per ore e ore. Non ne conosceva di preciso la ragione, ma per tutto il tempo che John Watson aveva trascorso assieme ai pirati de la Norbury, a bere e mangiare ma non disdegnando di unirsi alle chiacchiere di tanto in tanto, capitan Holmes era rimasto in disparte. Aveva rimandato indietro la ciotola col pasto e si era rifiutato di mandar giù qualche sorso di rum, giustificandosi col fatto che ingurgitare vino e cibo gli rallentava i pensieri. Certamente non c’erano dubbi sul vino, ma per quanto riguardava la cena, non credeva che una scodella di fagioli potesse essere tanto deleteria o che avesse poteri del genere. Per quanto la prospettiva di ribattere fosse allettante e, da medico sarebbe stato anche corretto il fargli presente che quelle non erano che sciocchezze, rimase stoicamente zitto e preferì quel silenzio che al capitano pareva essere tanto caro. Dalle espressioni che aveva in viso era evidente che la radice dei suoi problemi non fosse la fame, né la digestione. Da tutto il giorno era intrattabile e ancor prima che si sedesse da una parte, tutto solo e con l’intenzione di fissare il nulla, era stato di cattivo umore. John non si era mai davvero chiesto che cosa nascondesse dietro alle parole taglienti, pronunciate con rude maleducazione o quali sentimenti gli divorassero il cuore. Si era convinto che dovesse essere il brivido della caccia al tesoro e la sfida contro Moriarty, ad agitarlo. Ora invece che lo vedeva silente e rannicchiato in un angolo, quasi triste, con gli occhi sgranati e le dita che tamburellavano con insistenza sulle ginocchia, cominciava davvero a convincersi che c’era qualcosa in più. Che non si trattasse di semplice preoccupazione. Magari si era pentito di avergli dato retta e di essersi imbarcato alla ricerca di un tesoro che pareva impossibile da trovare. Perché Sherlock Holmes era pur sempre un pirata e per quanto misterioso e affascinante, per quanto straordinariamente passivo fosse in talune occasioni, restava un feroce filibustiere a capo di una grande e imponente nave battente bandiera nera. Era vero che non aveva mai mostrato un sincero interesse per delle ricchezze da accumulare e che si era molto più eccitato per l’enigma da risolvere, che per l’oro in sé. E John ne sapeva abbastanza del mondo da sapere che non era un comportamento usuale tra militanti della filibusta. Non solo non lo aveva minacciato di morte, come chiunque altro avrebbe fatto dopo aver visto la mappa, non soltanto non ci aveva pensato due volte a invitarlo a bordo, ma gli aveva persino proposto un accordo che comprendeva tutto il suo equipaggio. Per prima cosa aveva pensato al loro benessere e a quello di un banale Watson ovvero a uno sconosciuto (potenzialmente una spia al soldo di capitan Moriarty). In quei primi accordi, fatti in una piccola casetta di Antigua, Sherlock non aveva mai parlato di se stesso. Non una volta si era mostrato avido o smanioso di accumulare del denaro e col passare dei giorni, John si era lentamente convinto che non gl’importasse di nulla se non di distrarre la mente. D’altronde ogni monile che si portava addosso aveva un suo scopo specifico e per quanto potesse essere anche un po’ vanesio, non lo era mai in maniera eccessiva. In questo caso, decifrare una mappa imprecisa e scarna di riferimenti doveva essere ben più emozionante che la prospettiva di una cassa stracolma di tesori. Questo voleva dire fare il pirata, per capitan Holmes? Per molti dei corsari e dei malfattori che solcavano il mar dei Caraibi, non significava nulla se non depredare navi e uccidere i nemici e quasi esclusivamente per farsi una fama, affinché il proprio nome diventasse celebre e temuto da tutti. Eppure, Sherlock sembrava diverso già in quelle famose novelle che i pescatori di Antigua tanto spesso narravano. E a conoscerlo più approfonditamente, si scoprivano di lui delle sfumature sempre più affascinanti. Leggeva e suonava il violino, tanto per cominciare. Sapeva combattere meglio di un ufficiale dell’esercito o di un maestro di spada, era forte e rispettato da tutti e le sue radici nobili erano tanto evidenti, che il più delle volte pareva un Re che, seduto su un trono, trascorre le proprie giornate a impartire ordini con aria svogliata. Sherlock era di un’intelligenza sopraffina, considerava le persone come degli idioti incompetenti e si credeva più furbo di chiunque altro. Certamente era molto più acculturato rispetto a dignitari e ammiragli della stessa marina britannica. Pensava davvero di essere il migliore e il suo ego era talmente grande, che nemmeno evitava di sottolinearlo e di tanto in tanto lo rimbrottava con frasi come: “Ovvio, John” o “Perché io ho sempre ragione, John” e via discorrendo. Un uomo del genere, con un gigantesco talento sarebbe potuto diventare qualsiasi cosa. Eppure aveva scelto di solcare i mari a bordo di un veliero rubato a un Re spagnolo, e con un branco di canaglie a fargli da ciurma. C’era una ragione specifica oppure era puro e semplice desiderio di un’altra vita? John conosceva molti dei risvolti del carattere di Sherlock, li aveva sviscerati uno a uno durante quelle notti trascorse a prua. Insieme. Ma mai si era domandato che cosa avesse spinto quel ragazzo a fare il pirata. Che si trattasse unicamente del brivido dell’avventura? Anche lui aveva provato qualcosa del genere e specialmente da giovane, d’altronde era per queste stesse ragioni si era spinto sino alle Indie, poiché in cerca di esperienze emozionanti. Per sentirsi un po’ meno schiavo di se stesso. Possibile che per Sherlock non fosse andata diversamente? In questo caso, si disse a un certo punto e senza mai aver distolto lo sguardo dall’uomo che aveva già ammesso di amare pazzamente, si convinse che il rango c’entrasse ben poco. Non importava quanto colto capitan Holmes dimostrasse di essere, quanto ricca la sua famiglia fosse, entrambi avevano lo stesso spirito a bruciargli nelle vene. Che fosse questo il motivo del loro andare d’accordo? Non poteva dirsene sicuro, ma un qualcosa c’era fra loro e che dell’altro, oltre alla carnalità e al di là della passione, fosse scoppiata fin dai primi istanti. La loro era una profonda comunione di idee, un’unione di menti ben prima che di corpi. Un trovarsi di anime perdute. Era stupendo stare assieme a Sherlock, raccontarsi delle favole, di miti e leggende o anche più semplicemente rimanere in silenzio a guardare il mare di notte. La realtà risiedeva esattamente lì, in un fatto conclamato e palpabile. L’animo irrequieto di John Watson si celava vigliaccamente dietro un volto dai tratti comuni e apparentemente pacifici, un cuore selvaggio e nel quale dimorava un’inestinguibile sete di “qualcosa d’altro” che per tutta la vita era andato cercando e che lo aveva spinto ad arruolarsi, nonostante il diniego di suo padre. A esser incredibile era che, quando stava con Sherlock, tutto si placava. Sembrava nulla contasse e che il resto del mondo fosse del tutto inutile. Che l’amore fosse questo? Ciò che andava cercando era un semplice sentimento? No, era qualcosa di più. John era sempre stato avido d’emozioni ed egoista. Fin da bambino lui aveva sempre desiderato d’avere ogni cosa, voleva una travolgente passione, un amore profondo e al contempo di rischiare la morte e spingersi oltre i limiti umanamente possibili. Voleva che una sola persona fosse in grado di dargli tutto questo e che l’avesse trovata, che avesse qualcuno per cui valesse la pena rischiar di morire, a oggi, gli pareva incredibile. Vergognosamente doveva ammettere che per anni si era convinto che l’amore c’entrasse unicamente con la brama della carne, ma conoscere della fama di Sherlock e innamorarsene ancor prima d’incontrarlo, gli avevano fatto capire che c’era molto di più. Dopo solo due settimane erano già diventati inseparabili, come amici di vecchia data o compagni d’arme, legati perché salvatisi a vicenda. O, almeno, John credeva fosse così. Sì, perché fin da quel mattino il capitano era rimasto sulle sue e non gli aveva praticamente mai rivolto la parola, a stento lo aveva guardato e le volte in cui era stato costretto a spiegarsi, era stato piuttosto freddo. Che già la passione fosse scemata e l’interesse svanito? Per quanto doloroso potesse essere anche il semplice pensarlo, dovette cominciare a crederlo.

«Dolcezza, deciditi una buona volta.» Era stato Victor Trevor a parlare. Al termine di un’arrangiata cena preparata da Angelo, annaffiata da vino e rum, si erano messi a giocare a carte e a scommettere. L’ambiente non ci aveva messo molto a scaldarsi e ben presto erano iniziati dei canti e delle grida festose, ma adesso che era tutto finito e molti di loro erano già crollati per la stanchezza, un silenzio strano aleggiava nella radura che li ospitava. John doveva confessare che non aveva troppo seguito poi un granché, non in maniera seria. Si era invece ritrovato a pensare così intensamente al capitano da faticare persino a capire dove si trovasse, tanto che il tempo era trascorso senza che lui se ne fosse reso propriamente conto. Mentre adesso che era arrivato Victor e gli si era seduto accanto, sempre troppo vicino e al solito vagamente invadente, la realtà iniziava nuovamente ad assumere contorni tangibili. Per sua fortuna, padre Trevor era un catalizzatore di attenzioni e aveva la bizzarra capacità di affascinarlo al punto da fargli smettere di rimuginare. Un po’ come riusciva a fare Sherlock. Dopo aver mantenuto fede alla propria promessa, Victor aveva palesato la propria presenza con una poderosa gomitata nel fianco che aveva fatto drizzare John su se stesso come il fuso di un arcolaio. Adesso, invece, gli sorrideva appena e nel contempo lo studiava da dietro quel suo consueto ghigno da figlio di un cane, che andava come di consueto a tingere un volto dai colori falsamente angelici. Padre Trevor, insomma, che non sembrava malizioso come suo solito ma stranamente spazientito.
«Non capisco cosa vorresti dire.»
«Che devi tirar fuori il pise…» urlò, salvo poi abbassare la voce e farsi ancora più vicino e al punto che adesso, John poteva percepire il suo fiato solleticargli la pelle del viso. «Oh, per tutti i santi del paradiso! Lo stai fissando da così tanto che mi chiedo come sia possibile che tu non gli sia già sopra, o dentro, o dove Cristo gli vuoi stare.»
«No, è che…» balbettò confusamente, gesticolando anche con una certa teatralità. Era naturalmente imbarazzato, come sempre quando affrontava simili discussioni, ma allo stesso tempo era sicuro che Victor fosse l’unico a poterlo aiutare. Lui certamente sapeva che cosa passava per la testa di Sherlock e come mai si stesse comportando in quel modo odioso. «Stavo riflettendo su alcune cose. E poi non penso proprio che voglia stare con me, non vedi che non ha fatto altro che evitarmi per tutto il giorno? Sono sicuro che si sia già stancato.»
«Oh, John caro! Ma ti devo sempre spiegare tutto io? Fortuna che a copulare sei già piuttosto abile di tuo, perché non è che mi andasse di farti vedere come si deve fare per...»
«Per piacere» lo interruppe in maniera secca e, questa volta, era ben deciso a non scadere in discorsi inopportuni. «Potresti evitare di scendere nei dettagli? E poi che diavolo stai facendo adesso?» Infatti gli si era fatto più vicino, aveva iniziato a sussurrargli all’orecchio e per una strana ragione lo aveva afferrato per un braccio, prima tirarselo contro. John si ritrovò così, stretto in un abbraccio malfatto e con labbra altrui troppo vicine. Era insolito persino per Victor, il comportarsi a quel modo perché non aveva motivo di tanta vicinanza, se non quella di stargli addosso e dargli fastidio. I pirati erano troppo ubriachi per capire una qualsiasi cosa e specialmente un discorso di quella portata. Anche se, in effetti, la poca creanza che Victor e Sherlock mostravano nel parlare di simili argomenti lo aveva sempre lasciato basito. Non avevano mai dato prova di voler nascondere che il capitano avesse una relazione romantica col nuovo venuto. Per loro era un dettaglio di poco conto, un qualcosa da non sfoggiare a tutti i costi sul ponte principale, ma che nemmeno si sforzavano di tener segreto. Come se fosse scontato che li avrebbero accettati, quasi la loro fosse una relazione sana e benedetta da Dio. Non aveva mai osato domandare il motivo, però più ci pensava e più quella scarsa cura lo incuriosiva e fu quasi tentato di intraprendere una o due domande, tuttavia neanche quello parve essere il momento meno opportuno. Subito, infatti, padre Trevor riprese con la propria predica.
«Ascolta, tesoro» proseguì con fare condiscendente e con quel tono che, quasi quasi, lo faceva sembrare per davvero un prete. Circa. Se poi si andava ad ascoltare bene le amenità e sconcezze che era in grado di pronunciare… Beh, ma questo era tutt’altro discorso. «Sherly vive i sentimenti come farebbe un bambino e non è assolutamente capace di gestire un rapporto, specie uno di questo tipo. La cosa più vicina a una relazione che abbia mai avuto ce l’hai davanti e sappiamo entrambi quanto io sia la persona meno adatta alla stabilità di qualcuno. Te lo posso assicurare, per lui sei molto importante ma Sherly è fatto alla sua maniera e ha finito col convincersi che era meglio allontanarti, soltanto perché teme quello che potrà succedere con Moriarty. In pratica, ti ama, ma dato che non sa come andranno le cose ti caccia via e finge d’ignorarti.»
«Ma è una cosa da idioti!» sbottò, forse con voce eccessivamente elevata e attirando a quel modo anche una qualche attenzione. Grazie al cielo quei poveri uomini erano troppo sbronzi per capirci qualcosa e, infatti, quel grido smosse appena il sonno di uno o due. Il suo urlo ruppe soltanto il silenzio della radura, facendo cessare d’improvviso il rumoreggiare insistente degli animai notturni. Stoicamente, però e scatenando in John una certa irritazione, Sherlock Holmes non si era voltato. Naturalmente aveva sentito, ma invece che mostrare una reazione era rimasto immobile, limitandosi a sussultare appena. Si chiese a cosa stesse pensando e quali ragionamenti stesse facendo, se gli si fosse avvicinato lo avrebbe cacciato? Non lo avrebbe mai reputato capace di tanto, ma alla luce dei suoi comportamenti recenti, la prospettiva diventava sempre più probabile.
«Sai, averci a che fare è molto più facile di quanto credi» riprese Victor. «Lui è molto sensibile e ha la tendenza al martirio e, fidati, è l’unico lato del suo carattere che cambierei. Detesto quando si mette in mente certe strampalate idee, si farebbe impiccare per salvare qualcuno a cui vuole bene. Vedi, dolcezza, lui è come se non conoscesse mezze misure, o ti odia o ti ama. E quando ti ama, ti ama troppo e al punto da distruggersi da sé, se necessario.»
«Secondo te cosa dovrei fare?»
«Se è a Moriarty che ti riferisci, non devi fare niente se non fidarti. Ricordati che non stiamo parlando di un bel ragazzone qualsiasi che ti porti a letto, dolcezza, ma di un capitano. Del pirata bianco, le cui avventurose ruberie vengono narrate sino in oriente. Per quanto idiota, folle e sconsiderato sia l’obiettivo che si è messo in testa, ti posso assicurare che non ha istinti suicidi. Sherlock sa di star rischiando la vita, ma sa perfettamente che se qualcosa dovesse andare per il verso sbagliato potrebbe anche morirci. Però non è un pazzo. Se vuoi sapere cosa devi fare la risposta è una: obbedire agli ordini, metterti da parte quando necessario e non pensare nemmeno per un minuto che a me non pesi e che non voglia prenderlo e portarlo via, lontano da Moriarty.»
«So che hai ragione, sul serio. Ma non è facile» ammise John che sull’argomento si era torturato a sufficienza. Victor aveva toccato un punto su cui ancora aveva dei dubbi e che lo lasciava profondamente diviso. Era certo che avesse ragione, perché esistevano valide motivazioni dietro la remissività degli uomini de la Norbury e c’era un valido motivo per cui questi si rimettevano incondizionatamente al proprio capitano, avendone un assoluto rispetto. Ma John era sicuro anche del fatto che solamente il pirata bianco sarebbe stato in grado di cavarsela in una situazione del genere. Poiché era già sopravvissuto a un impiccagione, perché aveva fatto ribaltare un veliero gigantesco e grande quasi il doppio rispetto a un galeone e perché Sherlock Holmes era l’uomo impossibile e con la pelle più dura del guscio di una tartaruga. Ci credeva davvero, certo. Sapeva che se la sarebbe cavata contro Moriarty. John, però, sapeva anche di amarlo. E l’amore, si sa, rende ciechi e testardi.
«Mi rendo conto del fatto che tu lo sappia, dolcezza, ma le tue espressioni parlano chiaro e spesso è troppo facile capire a cosa stai pensando. È per questo che lo so, che ci credi veramente. Così come so che stanotte avete bisogno uno dell’altro. Solo… Ti raccomando di essere delicato perché il cuore di Sherlock è assurdamente fragile.» A quello, John non rispose e la conversazione finì allora. Una parte di lui avrebbe desiderato davvero rassicurarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che il capitano non avrebbe rischiato la vita. Nonostante le parole gli si fossero già annidate sulla punta della lingua, tacque. Fu perfettamente chiaro da come questi si era steso a terra e aveva chiuso gli occhi, che desiderasse soltanto dormire. Si era addirittura voltato dalla parte opposta alla sua, dandogli la schiena e gli aveva fatto un cenno con la mano, come a volergli dire di andare e che non li avrebbe disturbati oltre. D’istinto e senza azzardare una parola, John lo strinse per un braccio e si chinò su di lui, baciandogli una guancia. Lo fece con forse eccessivo vigore, ma ricevendo in risposta un mugolio appena accennato che s’infranse in una risatina leggera. Non era mai stato capace di dire quanto teneva alle persone, al contrario era da sempre troppo chiuso in se stesso. Lì e in quel momento, però, aveva sentito di dovere a quel libertino di un prete molto più di quanto non avesse ammesso fino a quel momento. Victor, a cui era bastata la parola di Sherlock per convincersi che quel dottorino sbucato dal nulla nel momento peggiore, non avesse cattive intenzioni. Lo stesso uomo che lo accoglieva tutti i giorni col sorriso e che aveva fatto quanto in suo potere per farlo star bene a bordo de la Norbury. Lo aveva persino spinto a farsi avanti col capitano, anche se si era mostrato piuttosto protettivo e forse anche un po’ geloso. Victor che in quei frangenti era rimasto stranamente in silenzio e che, dopo che John gli ebbe sussurrato un “grazie” all’orecchio, chiuse gli occhi e si lasciò andare alle maglie del sonno.



 
oOoOo
 


John aveva il vago sentore che Sherlock avesse capito quanto stava per succedere e quali fossero le sue reali intenzioni. Ciononostante non aveva dato segno di volersi muovere da dove stava o anche più semplicemente di rivolgergli uno sguardo. Se le premesse erano queste, iniziavano davvero maluccio. Tanto per cominciare avrebbe dovuto scusarsi per essersi comportato male e per un istante sperò davvero che lo facesse, che si alzasse in piedi e lo abbracciasse, magari mentre ammetteva di esser stato sgarbato. Lo desiderò davvero, anche se non pensava sarebbe mai accaduta una cosa del genere perché capitan Holmes non era proprio uomo da domandare perdono. Come troppo spesso succedeva sarebbe toccato a John l’onere il cominciare una conversazione. Gli si avvicinò un passettino alla volta, lentamente e cercando dentro di sé le frasi migliori con le quali rompere gli indugi. Ci provò davvero a raffazzonare un mezzo discorso, ma nessuno tra quelli che aveva cominciato e mai pronunciato, parve essere appena un pizzico decente. Qualsiasi cosa tentasse gli pareva inopportuna e fuori luogo, spesso persino sgarbata. L’ironia faceva sembrare le sue parole prive di significato (in questo non era bravo quanto Victor) e ogni altro ragionamento che abbozzava era sempre troppo sdolcinato. In fin dei conti, Sherlock rimaneva comunque un pirata, non una donzella dall’animo romantico. Il che stava a significare che accorate dichiarazioni o, peggio, poesie o sonetti, fossero assolutamente fuori discussione. Fu principalmente a causa di questo che rimase zitto, nonostante avesse fin troppe frasi a vorticargli nella mente e tante cose da dire, a danzargli sulla lingua, John tacque. Si fermò a un certo punto del tragitto e lì rimase immobile. Sebbene la luce fosse assai scarsa, guardarlo pareva la sola cosa sensata da fare. Guardarlo e notare con una certa gioia le guance colorate appena di rosso, le labbra strette in un sorrisino delicato baciate a stento dalle fiamme del focolare che stava poco lontano. Guardarlo era meraviglioso e in special modo lo era il bearsi della linea del suo corpo, ora raggomitolata in un intreccio malforme. Fu allora e mentre di lui si prendeva tutto ciò che luci e ombre gli consentivano di catturare, che si rese conto che dell’imbarazzo di Sherlock. Una confusione deliziosa. Perfettamente evidente dal suo mordicchiare di poco le labbra o ancora dallo sguardo, che teneva testardamente puntato altrove, così come dal respiro che si faceva sempre più accelerato. Come mai si sentiva così a disagio? Avevano già fatto l’amore e da settimane ormai non facevano che baciarsi, proprio non capiva… a meno che non fosse sufficiente a sua presenza per scatenare tanto rossore. Probabilmente era come aveva detto Victor, Sherlock aveva indossato come una maschera per tutto il giorno, spingendolo via e tenendolo lontano. Adesso, però, la situazione era ben diversa. Ora erano soli. In un posto magnifico in cui il tempo pareva aver concesso loro la grazia di fermarsi. E con i pensieri di John che vertevano unicamente su un punto, anche Sherlock doveva aver dato adito a qualche fantasia.

Il silenzio non dava di sé l’idea di volerli lasciare, specialmente non in quel momento e nemmeno dopo che i loro sguardi si furono incrociati. Un sospiro più rumoroso dei precedenti s’infranse nel gorgoglio della cascata, ma fu cosa da poco se paragonata a quell’insistente sorridersi e al guardarsi tanto spudoratamente. Sherlock aveva occhi bellissimi, grandi e di un colore che John non aveva mai del tutto capito dove andasse a sfumare. Si ritrovò a dover ringraziare la prepotente oscurità che lo avvolgeva e la scarsa illuminazione che i fuochi sparsi qua e là per la radura, erano in grado di emettere, altrimenti era sicuro che sul suo volto si sarebbe avrebbe notata un’espressione da completo idiota. Perciò tacque, non si fidava affatto della propria voce. Sapeva che gli sarebbe mancata tanto quanto gli stava mancando il fiato adesso. Quindi si limitò a guardarlo, perché posare gli occhi su di lui gli riusciva particolarmente bene. Anzi, era una delle poche attività in cui eccelleva. E quindi lo guardò, e guardò ancora studiandone con attenzione ogni espressione e ruga del viso, la postura delle mani, le cui dita erano ora intrecciate e si torcevano con insistenza. Fino a quando non trovò il coraggio di allungarsi in sua direzione. Solo una mano e nessuna parola, in una muta domanda che gli chiedeva tutto ciò che a voce mai avrebbe avuto il coraggio di dire. Già sapevano di fidarsi uno dell’altro, già sapevano di amarsi e che cosa fossero per loro carnalità e desiderio. Ma in quei momenti nuove paure serpeggiavano nello stretto spazio che li divideva e parevano voler irretire entrambi. Perché John lo stava implorando e Sherlock lo aveva capito perfettamente. Gli chiedeva di seguirlo, di baciarlo ancora, di stare con lui forse un’ultima volta. Lo implorava d’abbracciarlo e stringerlo, di sorridere. Gli domandava di mettere da parte qualsiasi altro pensiero e donarsi a lui. Fu ciò che successe. Fecero l’amore proprio lì. Dopo essersi spogliati vicendevolmente. Si amarono sotto la cascata, tra le risa di un piacere mal trattenuto. Baciandosi con l’ardore disperato di chi sa di non avere vie d’uscita. Toccandosi così come si sfiora un qualcuno che non si è ancora imparato ad amare per bene. Sherlock lo desiderava con la passione di un qualcuno che ha scoperto da poco d’avere un corpo, eppure e contro ogni aspettativa, c’era qualcosa di selvaggio in lui. Un’indomita ribellione a se stesso che celava dietro strati di freddezza. Aveva una lussuria dentro di sé, che avrebbe fatto arrossire la più navigata delle puttane. Sì, John lo capì allora. Comprese dalla maniera che aveva di baciarlo, che un qualcosa di terrificante stava per accadere e che a uno di loro sarebbe successo l’irreparabile. Lo sentiva e nonostante la voce di Victor che ormai aveva assunto l’aspetto della parte di sé più lucida e che gli ripeteva che doveva fidarsi del capitano. John sapeva che gli stava dicendo addio e che si faceva prendere come se quella fosse la loro ultima volta.
«A cosa pensi?» si sentì domandare a un certo momento. Erano ancora in acqua, abbracciati. Danzavano sotto gli schizzi dell’acqua e, amaramente, sorridevano a ricordi che avevano ancora a venire. “A cosa pensi”, gli aveva chiesto e in tutta risposta, John si era lasciato andare a una risatina leggera. Forse perché il peso di quanto andava effettivamente pensando, era persino eccessivo da tollerare.
«È troppo indecente, non posso risponderti.» Di nuovo risate, questa volta di entrambi. Un divertimento spensierato e fanciullesco, forse addirittura sciocco ma che faceva decisamente bene al cuore.
«Sherlock, so cosa sta per succedere. Anche se non dici nulla e mi tratti male, io l’ho capito.»
«Lo so» ammise questi distogliendo il viso, quasi vergognandosi di aver creduto che invece fosse il contrario e che John non avesse capito poi molto.
«Non ti chiedo niente, ma non fingere che tra noi non sia successo nulla perché ogni volta che mi guardi come se fossi uno sconosciuto, io mi sento morire. Non lo posso sopportare, non dopo quello che abbiamo fatto e le notti che abbiamo condiviso. Non voglio essere uno qualunque, me lo prometti?»
«Sì» annuì quasi timidamente e prima di suggellare il tutto con un bacio. Un bacio lento, prima. Ma poi appassionato e focoso. Un bacio dalle mille e più speranze, che lasciò John senza fiato. Un bacio che, poco più tardi, li trovò distesi sull’erba fresca dove si addormentarono. Nudi. Uno tra le braccia dell’altro. Forse persino felici. Di certo dimentichi di tutto, anche se per poco.

L’alba arrivò dopo poche ore e li vide ancora lì, a baciarsi. Ancora nudi e amanti. Ancora con un vago sorriso a dipinger le labbra. Il fato, però, aveva posato la propria mano guantata sulle loro teste e già non dava tregua a chi, come loro, non desiderava altro che più tempo. Il destino giunse coi giunse coi primi raggi del sole e si fece sentire a suon di colpi cannone e grida lontane. Le stesse che dal mare riecheggiavano in un vento soffiato appena. La guerra, infine, era cominciata.
 



Continua
 

 
 
*Amantes amentes, significa più o meno “pazzi amanti”

Siamo in dirittura d’arrivo. Meno 3 e siamo all’epilogo. (Poi parlerò più approfonditamente di alcune cose). Il prossimo sarà un capitolo delicato, lungo e complesso. Potrebbe portarmi via più del necessario, spero di riuscire a rispettare il tempo massimo di 7 giorni, ma se sgarro saprete il perché.

Infine devo fare una comunicazione perché so che qualcuno ha scritto nel topic “fanfiction” (sezione Sherlock BBC) parlando con me e taggandomi (mi riferisco al forum di ITASA). Il fatto è che non sono più iscritta a quel forum, quindi chiunque sia stato taggato non sono io. Chiunque volesse palare con me, mi scriva qui o su AO3.
   
 
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