Capitolo Cinque: Non si tratta di giocare a fare Dio
I.
“Ricordati
che mi devi dei soldi, sorellina.” fece Stormy, allungando il
palmo
verso Darcy, che stava finendo di truccarsi. Quella prese un paio di
banconote e gliele schiaffò sulla mano, ma la strega delle
tempeste
non accennò a muoversi.
“Stai
scherzando, vero? Non te ne do altri, hai le mani bucate tu. Ieri hai
rubato un verdone dal portafoglio di Icy, ti ho vista. Come diavolo
hai fatto a spenderlo in un solo pomeriggio?” rispose la
strega
delle illusioni, rivolgendole qualche sguardo di disapprovazione. Non
avrebbe messo mano al suo portafoglio per fornire materia prima a
quella spendacciona di sua sorella. Ma la minore aveva le sue armi.
“Andiamo,
lo sai che me lo lascia fare anche se è una tirchia del
cazzo –
disse, accennando un ghigno che non prometteva nulla di buono
– E
poi non vuoi che sappia che esci con un coglione quando lei non
c'è,
giusto?”
“Riven
non è un coglione.”
“Tu
esci solo con i coglioni, Darcy.” puntualizzò la
strega delle
tempeste, incrociando le braccia al petto.
“Non
sarà contenta di sapere cosa fai alle sue spalle.”
la canzonò. La
mora sbuffò e posò il mascara solo per rivolgere
uno sguardo
infuocato alla sorella.
Era
di gran lunga la più paziente delle tre, ma Stormy non
doveva
permettersi di tirare troppo la corda. Perché quando si
fosse
spezzata, oh non mancava molto,
la sua cara sorellina avrebbe passato un brutto quarto d'ora.
Quest'ultima
la squadrò da capo a piedi, più per evitare il
suo sguardo ipnotico
che per altro, notando che la gonna lunga color prugna che portava
era uno di quei vestiti 'riservati ad occasioni particolari'.
“Ma
allora è qualcosa di serio.” si
affrettò ad aggiungere, facendo
sfumare il suo sogghigno in un'espressione leggermente più
controllata.
L'altra distolse
lo sguardo,
alzando
le spalle e mettendo
il rossetto in borsa.
“Più
o meno. E tu vedi di tenere la bocca chiusa.” cedette
infine Darcy, allungandole la tanto agognata banconota ed uscendo
dalla stanza, prima che la sorella prendesse a stuzzicarla di nuovo.
La
posizione in cui era al momento era troppo precaria per reggere un
litigio con la minore; l'ago della bilancia sarebbe potuto pendere a
suo sfavore. Non si lasciava ricattare spesso, ma non aveva nessuna
voglia di discutere di argomenti simili, non solo con Stormy, ma con
chiunque.
C'erano
cose più importanti di un giorno di svago che si era
concessa, dopo
parecchi studi ed approfondimenti. E poi aveva bisogno di uscire da
Torrenuvola ogni tanto.
Necessitava
di far chiarezza nella sua mente e dissolvere la foschia che si era
creata in modo innaturale; essendo la strega delle illusioni, sapeva
quando qualcuno tentava di manomettere il suo vigile inconscio.
Qualcosa
era fluito
attraverso la sua mente aperta offuscandola, possedendola, come se
lei stessa fosse stata ipnotizzata senza accorgersene.
E
la coscienza di tale eventualità gettava la sua esistenza in
balia
di infinite paranoie. Non poteva lasciare che chiunque prendesse il
controllo della sua psiche,
era abbastanza potente da
riacquistarne la padronanza, se
solo fosse stata in grado di identificare l'incantesimo che era stato
usato contro di lei.
Dopotutto
quasi nessuno poteva competere con i suoi poteri mentali.
Ma
c'era sempre qualche piccolo dettaglio a frenarla, che le impediva di
ricordare quale fosse la causa di tale confusione mentale in cui era
bloccata.
Si
sistemò gli occhiali arancioni, spingendoli verso l'alto
con
l'anulare della mano destra, mentre l'autobus si apprestava a
raggiungere la propria destinazione: la città di Magix. Era
partita una
buona mezz'ora
prima rispetto all'orario dell'appuntamento,
ma, siccome era fissata con l'essere puntuale e con i mezzi pubblici
letteralmente tutto
poteva accadere, aveva preso la decisione di partire con largo
anticipo. Le
vie erano ancora
stranamente tranquille,
poche anime vi si aggiravano, strette nei loro cappotti per
fronteggiare i primi attacchi del freddo che presto si sarebbe
trasformato nel vero e proprio inverno. L'inizio
di Across the Universe dei
Beatles sembrava colmare il gelido silenzio che opprimeva la grande
città, rallentando i suoi movimenti solitamente frenetici.
La
strega era l'unica che, nonostante il ritmo lento della canzone che
echeggiava nelle sue auricolari, camminava a passo sostenuto. Ma,
ovviamente, era troppo concentrata per accorgersene. Troppo
concentrata sul modo per liberare il suo encefalo da un blocco che la
rendeva incapace di portare a termine ragionamenti importanti e di
riflettere; eppure la causa che aveva scatenato tale fenomeno doveva
esserci, sarebbe stato irrazionale il contrario.
Si
sentiva come se le avessero strappato parte del suo passato.
Come
quando-
“Darcy.”
Sentì
appena il proprio nome, se paragonato allo strattone che la borsa,
trattenuta da mani sconosciute, – o forse conosciute
– aveva dato alla sua spalla sinistra. Le
sembrava un ottimo motivo per fermarsi e rivolgere uno sguardo non
del tutto amichevole all'individuo che la intralciava.
Tecna
la guardava con un'espressione seria, sostenendo il contatto visivo
quasi alla perfezione, prima di lasciar andare la borsa con un veloce
movimento della mano. Ed ottenne l'effetto sperato, dato che la
strega non le diede le spalle per riprendere a percorrere la sua
strada.
“Cosa
volete da me.” sibilò, facendo riferimento anche a
Flora che era
rimasta in posizione arretrata rispetto alla sua compagna. Non
sembravano volerla attaccare, le pareva un ennesimo imprevisto
inutile. Mantenne
i suoi
occhi ipnotici su di loro, come a leggere nelle loro menti, e poi
incrociò le braccia, lanciando un veloce guardo all'elegante
orologio che portava al polso.
Sperava
solo che non avessero intenzione di farla tardare, o la conseguenza a
tale sgarro sarebbe stata poco piacevole. Tecna sembrò
esitare un
attimo, pensando bene alle domanda che avrebbe dovuto porre alla
strega per cominciare ad escludere potenziali sospettati dalle sue
ipotesi.
I
suoi occhi azzurri tremarono appena, il potere contenuto nello
sguardo della strega dai capelli castani cominciava a farsi presente,
aumentando il peso dell'atmosfera che circondava il piccolo gruppo.
“Consegnaci
l'anello di Stella.”
disse
la fata della tecnologia, infine.
Al
primo impatto Darcy sembrò confusa: volse il viso in basso
per
qualche secondo, la bocca appena socchiusa in un'espressione
pensierosa e concentrata, come se stesse impiegando le sue energie a
ricordare tale oggetto; poi si lasciò scappare una risata
asciutta,
scuotendo la testa in segno di derisione.
“Non
vi conviene intromettervi su ciò che ci interessa, fatine.
Quel
potere sarà nostro comunque, anche se vi affannate
così tanto a
difendere la vostra nuova amica.”
rispose
sprezzante, e si
avviò, facendo per rimettersi le auricolari.
“… Darcy,
sei la strega delle illusioni.” disse Flora, quasi in un
sussurro,
interrompendo nuovamente la sua marcia.
“Okay?”
fece la mora senza girarsi, le cuffie ancora fra le sue dita
affusolate.
“Se
qualcuno elimina i tuoi ricordi dovresti accorgertene.”
II.
Non
era solita restare fuori con il brutto tempo, ma aveva un impellente
bisogno di silenzio. E nella sua camera, evidentemente, era chiedere
troppo. Inoltre era sabato e, come ogni fine settimana, non poteva
permettersi di non bere qualcosa di forte.
Un
paio di bottiglie di Jack Daniel's dondolavano in modo armonioso fra
le sue dita, toccandosi di tanto in tanto e producendo un lieve
rumore sordo, l'altra mano era impegnata a reggere la vodka in
verticale, di modo che, fino all'ultima goccia, il liquido
trasparente scivolasse nella gola della ragazza. La testa si era
fatta leggera da qualche minuto, data la massiccia quantità
di alcol
che aveva consumato prima di giungere a destinazione con il
rimanente; le labbra rosee abbandonarono il collo della bottiglia con
un movimento sgraziato, incurvandosi appena all'insù in
un'espressione di puro ed inconsapevole rilassamento. Sulla sua
liscia pelle chiara scivolavano silenziose piccole gocce di pioggia,
salate come lacrime e brucianti come acido.
Ma
era troppo brilla per farci caso, nel suo cervello tutto era tornato
al proprio posto; lo sforzo svolto a rimettere insieme i pezzi di
tutto, compresi quelli della sua vita, le era costato parecchia
magia, infine però aveva incassato la ricompensa che
l'aspettava. Ed
ora poteva fare uno strappo alla regola e permettersi una sana
sbronza.
Da
mezz'ora pioveva sulle sue ciglia, sul terreno sotto ai suoi piedi;
pioveva sul mondo fasullo che la circondava. Pioggia irreale su
immagini fittizie ed artificiali.
Le
venne da pensare che la pioggia non risparmiava nulla, nemmeno un
Dio.
Scorreva
su di lei come se fosse anch'essa parte del suo stesso caos, come se
non ne fosse completamente immune, nascondendola a chi avesse la
capacità di osservare con la mente bene aperta. Poteva
essere un
fatto curioso,
quasi da stupirsene: invece rise di sé stessa, di come la
propria
fantasia viaggiasse alla stessa velocità dell'alcol nelle
sue vene
in tale
attimo di scarsa
lucidità.
Non
aveva senso ragionare su cose inutili come quella; ma una breve
distrazione era esattamente ciò che cercava, ancora una
volta
dovette ringraziare la sua abitudine di alzare un po' troppo il
gomito ogni tanto.
Del
resto poteva concederselo: il mondo che lei stessa si era adoperata a
generare dai ricordi, riproducendo esattamente ogni attimo vissuto
nel passato, era di nuovo in piedi e più forte di prima.
Avrebbe
tenuto la guardia alta per assicurarsi che nessuno potesse attaccarne
la struttura di nuovo, fino a farlo vacillare pericolosamente.
Le
memorie non sarebbero sfuggite al suo controllo ancora una volta, era
dovuta ricorrere al celarle in profondità dentro di
sé per renderle
irraggiungibili a chiunque. Nessuno
escluso.
E
chi credeva
che un essere
finito non potesse caricarsi delle responsabilità di Dio e
cavarsela
comunque in modo egregio, era un povero illuso. Bastava solo
osservare la perfezione nella vendetta che aveva dato
alla luce,
per capire che lei
non fosse una comune creatura
magica, ma vi era estremamente superiore.
Tutto
quel potere nelle sue mani e nella sua testa, eppure non aveva
lasciato che nessun minimo dettaglio minacciasse la sua immortale ed
infinita figura, non aveva permesso a nessuna congiura di crearsi
sotto il proprio dominio. Aveva afferrato la situazione con calma e
compostezza e riportato l'ordine alla follia.
E,
non meno importante, nessuno sospettava di nulla, ora che ogni mente
di Magix era sotto il suo irremovibile controllo.
Stappò
una delle due bottiglie di Jack Daniel's e ne prese un lungo sorso:
il liquore bruciava almeno quanto la pioggia, in un muto sussulto lo
lasciò scendere lungo l'esofago. Si leccò piano
le labbra,
assaporando l'unico sapore capace di donarle emozioni che da sobria
rifiutava di liberare.
Il
silenzio tanto desiderato pareva ora più rumoroso della
pioggia,
batteva contro le mura che racchiudevano l'illusione del suo mondo
con tonfi sordi e talmente patetici – se paragonati alla
grandezza
e all'immobilità del tempo, ingabbiato e congelato senza
alcuno
scrupolo in ventun anni del suo flusso – che le venne da
deriderlo.
Ma
non lo fece.
Di
esseri pateticamente inferiori a lei, del resto, ne era piena la
Dimensione Magica; ad un Dio non importavano particolari
così infimi
ed inutili. Le
fate, in
primis, non ancora consapevoli di quante volte sarebbero tornate ad
essere nullità, a sbattere le loro ali invano per un
universo che
non sarebbe mai stato veramente salvo.
Avrebbe
riso all'infinito se avesse dovuto osservarli tutti, invece che
semplicemente piegarli al suo potere.
Si
passò una mano fra i capelli, ormai grondanti di acqua
piovana,
spostandoseli dal viso per alzare lo sguardo verso il cielo.
Nonostante la sua immortalità, quanto poteva essere
vulnerabile alla
morte, piantata a terra com'era?
Come
motore immobile* del Loop era ancora lontana dall'essere intoccabile
a chi pareva divergere dai suoi intenti, sempre che qualcuno ci fosse
riuscito. Contare sulla sua salute e sull'immensa magia della quale
disponeva, per un millesimo di secondo, le parve un'errore
imperdonabile; poi scosse la testa divertita, chiudendo la bottiglia
che ancora dondolava nella sua mano destra.
Basta
alcol per il momento.
*Teoria
aristotelica della figura di Dio, che lo figura come motore che
spinge il divenire delle cose; tuttavia, un motore deve essere a sua
volta azionato da qualcosa che ne trasmette il movimento. Ma Dio,
com'è capace di fornire energia al mondo per la propria
natura di
motore, è capace di fornire energia anche a sé
stesso, senza che
sia altro a muoverlo. Ciò implica la definizione di
“Motore
Immobile”.
III.
“Ma
dove cazzo sei?! Avevi detto che, al più tardi, rientravi
sta
mattina, stronza! E
mi chiami
solo adesso a dirmi dove sei finita?!
Avevi
pure il telefono spento, genio. Ti è venuto in mente solo
adesso,
per caso, che potevi fottutamente accenderlo ed avvisarmi?
Grande,
cazzo, così non potevo neanche rintracciarti in caso nostra
sorella
tornasse. E
infatti l'ha
fatto, non è che ogni sabato sera torna alle sei di mattina,
eh. Ora
spero tu sia contenta di sapere che sei nella merda, perché
ovviamente ti avrà beccato che te la fai con l'amichetto
delle
fatine e
ci esci di nascosto
solo per non prenderti il cazziatone.
E non l'avrebbe fatto se tu fossi rientrata in tempo, cogliona.
Ah,
e non credere che passi sopra al fatto che ieri fosse sabato,
perché
sai com'è la troia, lei può farsi di quello che
vuole e
restare fuori tutta la notte,
e noi se
sgarriamo di un
minuto e non le chiediamo il permesso siamo morte. Ci deve tenere al
guinzaglio, cazzo.
Ieri
è tornata stra marcia e mi ha detto subito di muovere il
culo ed
andare a cercarti, manco fossi il suo cazzo di cane.
Però
figa, si è accorta
subito che non c'eri,
quindi
trova qualche scusa credibile o torna con qualche cazzo di erba che
giustifichi la tua assenza.
Tipo
boh, la pianta della ricerca che dobbiamo fare per la settimana
prossima, almeno fra la sbornia e tutto non ti romperà i
coglioni.
Non mi ricordo neanche il nome di quella roba, ma trovala,
così non
devo nemmeno sbattermi per andare a cercarla.
E
poi voglio un cazzo di aumento, per averti parato il culo.
Se
non fossi uscita io l'avrebbe fatto lei e ti avrebbe ammazzata,
quindi sgancia un po' di verdoni, non voglio casini per le tue
minchiate.
E
smettila di respirare nel microfono, che sembri un maniaco.
…
Darcy?
Sei lì?
Di'
qualcosa, cazzo.”
“Hmpf.
Guarda che
sono Riven. Volevo
vedere quanto saresti andata avanti con il tuo inutile monologo.”
“Senti,
vaffanculo. Potevi anche fermarmi, stronzo. Cosa mi hai chiamata a
fare?”
“Volevo
sapere se Darcy fosse lì, ma qualcosa mi dice che non
è tornata.
Ieri
non si è presentata a Magix,
e non so che fine abbia fatto.”
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
in teoria questo capitolo non doveva uscire così presto (ho
paura
che faccia stra cagare, anche perché il paragrafo tre
è corto
apposta, ma magari graficamente fa schifo e paranoie, paranoie,
paranoie.) ma, dato che mi sono andati bene gli scritti ho deciso che
qualche minutino (mentre internet era morto e non potevo comunque
studiare Spencer) al capitolo cinque, che avevo cominciato tipo prima
delle tre prove. Allora, spero che questo chiarisca il capitolo
quattro, anche se ho preferito non essere troppo esplicita sulle
scoperte, tutto è lasciato abbastanza a metà, ma
qualche
informazione si può già dedurre, e stiamo
già arrivando verso la
fine. Più o meno.
Lo
disse anche Oda mentre scriveva One Piece, probabilmente. Ma non
preoccupatevi, non vi stresserò troppo con questa roba.
Spero solo
vi faccia piacere che non sia uscito fra sessant'anni. E
spero che non ci sia troppa attesa per il sesto, dato che per quello
ci sarà l'incognita università probabilmente. Yay.
Ringrazio
_LestrangeMills_
( che sarà probabilmente contenta della ship, approvo in
pieno) per aver recensito lo scorso capitolo e, come di consueto, tutti
i
lettori silenziosi che stanno seguendo sta robaccia.
Mary