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Autore: Ghost Writer TNCS    01/07/2017    9 recensioni
Raémia è un mondo ricco di magia, dove i contadini vivono del lavoro nei campi, i soldati in armatura girano da un villaggio all’altro per garantire pace e sicurezza, e i saggi maghi offrono i propri servigi in cambio di cibo e rispetto.
I numerosi Reami, popolati da altrettante specie diverse, sono posti sotto il controllo di sei Re: persone illuminate che garantiscono pace e prosperità al mondo intero. O almeno così era un tempo. Oggigiorno i Re si preoccupano più che altro di godersi le proprie ricchezze, e i nobili cercano sempre nuovi espedienti per guadagnare maggiore potere.
In questa precaria situazione, Giako – un Gendarme solitario cresciuto da una strega – verrà a conoscenza di una grande macchinazione volta a ribaltare gli equilibri del mondo. Da solo non potrebbe fare nulla, ma questa volta non sarà solo: quante persone servono per salvare il mondo?
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '2° arco narrativo'
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2. Do ut des

L’elfo serrò la presa sull’elsa della sua spada, sforzandosi di non perdere la calma. Quando aveva sentito di un Gendarme solitario nella zona, aveva subito pensato che sarebbe stata una vittima relativamente facile. Certo, i solitari erano generalmente più capaci dei colleghi che giravano in gruppi, ma contro sei avversari non avrebbe avuto speranze. Se solo quella biondina non si fosse messa in mezzo…

La rabbia esplose come un urlo nella sua testa e lui si avventò sul mezzelfo, tempestandolo di attacchi senza sosta.

Giako dovette dare fondo a tutta la sua tecnica per riuscire a difendersi, cercando al contempo di non farsi ipnotizzare dallo sguardo del suo avversario: glaciale e furente al tempo stesso. Il ritmo degli attacchi del ribelle era impressionante, sembrava instancabile. Come alimentata dalla sua furia, l’intera lama venne avvolta dalla luce arancione, e gli strani simboli neri si moltiplicarono, salendo fino alla spalla per poi diramarsi nel resto del corpo.

Il Gendarme sapeva che, a quel ritmo, era solo questione di tempo prima che il suo avversario riuscisse ad avere la meglio. Con un repentino incantesimo creò uno scudo di energia, sicuro di riuscire ad attaccare nell’apertura immediatamente successiva. Ma così non fu: la spada del nemico mandò in pezzi la sua difesa e proseguì la sua corsa, investendo il mezzelfo. Giako abbozzò una difesa con Balmung, ma il suo movimento istintivo non fu sufficiente e l’impeto del nemico lo scaraventò a terra. Come in precedenza, il flusso di magia proiettato dalla spada nemica riuscì a tagliare la sua armatura, graffiandogli la pelle.

Fece per rialzarsi, ma l’elfo gli era già addosso. Non ebbe il tempo di sollevare la sua arma che un’ombra piombò su di lui. Un fragore metallico fece vibrare le sue orecchie a punta, seguito da uno sbuffo di polvere.

Ci mise qualche istante per capire che la sagoma sopra di lui era Jehanne, mentre gli bastò un attimo per imprecare alla vista del solco nel terreno scavato a meno di un metro dalla sua testa.

La ragazza, dopo aver deviato il fendente dell’elfo, passò al contrattacco, investendolo con una micidiale raffica di colpi. Era incredibile come riuscisse a muoversi rapidamente nonostante l’armatura.

Il ribelle, colto di sorpresa dall’intervento della giovane, ci mise qualche secondo per reagire, e tanto bastò a farlo arretrare di diversi metri. Giako, ancora stordito, scosse con decisione il capo e si rimise in piedi. Non intendeva restarsene a guardare mentre Jehanne lo salvava.

Lanciò un rapido sguardo agli altri fuorilegge per assicurarsi che fossero tutti morti, ma con sua profonda sorpresa scoprì che tutti e tre erano ancora vivi. Malconci, certo, ma respiravano, e avevano ancora la forza di gemere a terra.

 Si sarebbe occupato dopo di loro, ora doveva aiutare Jehanne a sistemare l’elfo e quella sua micidiale spada.

Corse in aiuto della ragazza – che in realtà non sembrava averne un gran bisogno –, e si preparò allo scontro.

Ora quasi tutto il corpo dell’elfo era coperto dagli strani tatuaggi tribali e il suo sguardo sembrava quello di una belva feroce. Appena il fuorilegge incrociò lo sguardo del mezzelfo, il suo viso venne deformato in un ringhio ferino. Poi cominciò a tremare e indietreggiò di alcuni passi.

Cosa gli stava succedendo?

L’elfo barcollò per qualche altro istante e poi cadde a terra, esanime. Il suo cuore batteva ancora, ma la luce nei suoi occhi argentei si era spenta. Non c’era più niente da fare per lui.

Giako e Jehanne rimasero immobili per qualche istante, poi si scambiarono uno sguardo. Nessuno dei due parlò, ma entrambi stavano pensando la stessa cosa: “è stata la spada”.

Dei gemiti a poca distanza ricordarono loro che c’erano altri tre ribelli ancora in vita.

«Perché non li hai uccisi?» chiese il mezzelfo.

«È contrario alla mia religione» rispose Jehanne. «Anzi, dovrei chiedere anche a te di tenere a freno la spada.»

Il Gendarme, che non si sentiva particolarmente in colpa per aver decapitato il myketis, si limitò a un mugugno d’assenso. Non provava piacere nell’uccidere, ma sapeva perfettamente che con certa gente le parole sarebbero state inutili.

La ragazza però non sembrava dello stesso parere, infatti si chinò vicino ai giovani che aveva appena sconfitto per parlare con loro.

Giako era un po’ curioso di sentire ciò che lei aveva da dire a quei criminali, ma preferì prepararsi per partire: l’arrivo dei ribelli non gli aveva fatto dimenticare la missione affidatagli da Alisha.

Rinfoderò Balmung e andò dal suo ippolafo. I pochi bagagli erano ancora assicurati alla sella, quindi si limitò a controllare rapidamente che fosse tutto a posto.

«Ehi, aspetta!» lo chiamò Jehanne.

Giako esalò un sospiro di rassegnazione. Non amava la compagnia, ma se c’era qualcosa che proprio detestava, erano le persone insistenti. «Senti, mi spiace, ma non posso aiutarti.»

«No, ascoltami! Quella spada è proprio il tipo di arma di cui ti parlavo! E l’alchimista che sto cercando è l’unica persona in grado di fare una cosa simile. Se non lo fermiamo, moriranno centinaia, migliaia di innocenti!»

Giako esitò. Non aveva pensato a un simile collegamento, e nel sentire le parole dell’umana avvertì un brivido gelido lungo la schiena. Se davvero i ribelli fossero riusciti a ottenere un numero considerevole di quelle armi, allora niente avrebbe potuto impedire loro di rovesciare i Re e prendere il potere. In quanto Gendarme si sentiva in dovere di indagare su una minaccia di tale entità, allo stesso tempo però non voleva abbandonare la missione affidatagli da Alisha.

L’umana lo trafisse con i suoi occhi azzurri e Giako si sentì come se lei riuscisse a leggergli l’anima. «Beh?! Non hai niente da dire?!»

Il mezzelfo strinse i pugni. «Che cazzo, ti ho già detto che ho una cosa importante da fare! Se vuoi che ti aiuti, allora prima tu devi aiutare me.» Le parole erano uscite da sole dalla sua bocca, e in cuor suo se ne pentì. Ma ormai era tardi per i ripensamenti.

Jehanne, che pure era più bassa di lui di quasi tutta la testa, in quel momento sembrava sovrastarlo. «Tu hai capito che sto cercando di salvare il mondo, vero

Il Gendarme serrò le labbra. «Sì. Ma non posso rinunciare alla mia missione. Alisha… Non tradirò la promessa che le ho fatto.»

La giovane gli voltò le spalle, forse per impedire al suo pugno di urtare con violenza contro il naso del mezzelfo. Dopo alcuni lunghi istanti di lotta interiore, si voltò. «D’accordo, come vuoi. Ma voglio la tua parola.»

«Hai la mia parola» le assicurò Giako. Si sentiva un po’ in colpa per la situazione che era venuta a crearsi, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo.

«Ok, cosa dobbiamo fare?»

«Uccidere un mostro di tre metri molto incazzato.»

Il mezzelfo aveva parlato tutto d’un fiato, si aspettava di vedere l’incredulità sul viso di Jehanne, ma non fu così.

«E sai dove possiamo trovarlo?» si limitò a chiedere lei.

Dopo un attimo di stupore, il Gendarme prese la cordicella che portava al collo e da sotto la giubba tirò fuori una bussola. Era stata Alisha a dargliela e puntava in direzione del mostro.

«Di là.»

«Ottimo, muoviamoci» sentenziò Jehanne con il piglio di chi è abituato a comandare. «Aiutami a raccogliere le armi di quei tizi e poi andiamo. Il mondo non si salverà da solo.»

Giako non poté che annuire e si mise al lavoro.

Qualcosa gli diceva che non sarebbe stato lui a dare gli ordini da lì in avanti.

***

La casa di Alisha si trovava ai margini della foresta, a poca distanza da un villaggio di medie dimensioni di cui si vedeva la palizzata in legno. Con gli anni l’edificio si era allargato, chiedendo più spazio alla selva per permettere alla donna di offrire ai malati le cure adatte in maniera più comoda ed efficace, ma anche di svolgere esperimenti di magia sempre più complessi. Alisha era infatti una strega – una strega piuttosto capace – e nel tempo libero era solita approfondire i suoi studi.

In quel momento la donna era seduta su un semplice letto fatto di legno e ricoperto di calde pellicce. La sua pelle era molto chiara, di una sfumatura che si avvicinava al giallo più che al rosa, in totale contrasto con i capelli nero-bluastri. Gli occhi completamente blu erano messi in risalto dal trucco, e allo stesso modo il vestito semplice e funzionale sottolineava le forme esili ma eleganti del suo corpo. Il suo sguardo era triste, ed entrare in quella stanza non aveva fatto altro che accentuare la sofferenza che provava dentro di sé. Quella era stata la camera di Giako quando era piccolo, e quando tornava da lei era solito dormire proprio sul letto dove ora era seduta.

Accarezzò con delicatezza le pellicce morbide, ricordando gli anni in cui si era presa cura del bambino mezzelfo trovato per caso nella foresta. Ben presto le sue dita cominciarono a tremare e i suoi occhi si fecero lucidi.

Come aveva potuto? Come aveva potuto chiedere a Giako di andare a uccidere il mostro? Si sentiva lei stessa un mostro ancora peggiore, e non aveva idea di come rimediare ai suoi errori.

Come a volerla punire, ogni volta che chiudeva gli occhi la sua mente tornava al momento in cui lo aveva incontrato per la prima volta, solo, ferito e spaventato…

Il carretto trainato da un robusto ippolafo sobbalzava leggermente a causa delle irregolarità nel terreno, la giovane seduta vicino al cocchiere però non ci faceva caso: era troppo concentrata sul libro che stava leggendo. Aveva appena finito il suo apprendistato di strega e finalmente era tornata nella sua terra d’origine, eppure nemmeno la prospettiva di rivedere il luogo dove era nata riusciva a distrarla dai suoi studi. La sua maestra le aveva insegnato moltissimo, dalle basi fino alle tecniche per gli incantesimi più complessi, ciononostante sentiva di avere ancora molto da imparare, da sperimentare, da scoprire.

La magia era meravigliosa.

Arrivata in fondo alla pagina, si concesse qualche istante per ammirare il paesaggio. In quel momento si trovavano sul confine tra Donkernacht[7] – popolato da elfi oscuri – e Grandeforêt – il suo Reame d’origine, popolato da myketis come lei –, e l’ambiente era già quello a cui era abituata da bambina: le grandi conifere dalle chiome rigogliose gettavano ombre praticamente ovunque, regalando a tutta la zona un’atmosfera cupa e familiare. In passato aveva sentito diversi stranieri che si lamentavano di quella peculiarità, preferendo territori più aperti e luminosi, lei però aveva sempre associato quella perenne penombra all’idea di casa.

D’un tratto i suoi occhi senza pupilla né sclera vennero attirati da una figura minuta seduta su una grossa radice: un bambino elfo oscuro a giudicare dalle lunghe orecchie a punta e dalla pelle grigia. Aveva i capelli nerissimi e i vestiti rovinati: forse aveva corso a lungo nella foresta. Sembrava stesse piangendo.

«Aspetta.»

Il cocchiere, un uomo dallo sguardo vuoto e il corpo pieno di suture, tirò le redini dell’ippolafo.

La giovane scese dal carretto e si avvicinò al piccolo. «Ehi, va tutto bene?»

Lui sollevò il capo. Gli occhi neri e a mandorla erano lucidi di lacrime, così come le guance, mentre le braccia e le gambe erano piene di graffi. Tirò su col naso. «Mi sono perso.»

Parlava un dialetto elfico, Alisha però non aveva problemi a capirlo e a farsi capire grazie a un utile sigillo magico insegnatole dalla sua maestra. «Vieni da un villaggio? Mi sai dire come si chiama?»

Lui scosse il capo e riprese a piangere sommessamente, lo sguardo basso per cercare di nascondere le lacrime.

La myketis decise di non arrendersi: per lei era impossibile restare indifferente davanti alle sofferenze di un bambino. Era evidente che il piccolo elfo aveva appena vissuto un’esperienza terribile, non voleva forzarlo a parlare, però doveva sapere cosa gli fosse successo per poterlo aiutare. Magari proprio in quel momento i suoi genitori lo stavano cercando colmi di preoccupazione.

Si sedette accanto a lui per farlo sentire al sicuro, nel frattempo ampliò la sua mente e, in maniera così delicata da risultare impercettibile, si connetté con quella del piccolo elfo oscuro.

Ciò che vide le causò una stretta al cuore. Non era la prima volta che incontrava la vittima di un gruppo di briganti. Farabutti del genere erano presenti in ogni Reame, quindi non era raro che i villaggi più isolati venissero razziati di ogni cosa: viveri, bestiame e persone.

Quel bambino era riuscito a salvarsi, ma le probabilità di ricongiungersi con sua madre e suo fratello erano pressoché nulle. Anche ammettendo che non fossero stati uccisi sul posto, sarebbe stato praticamente impossibile ritrovarli e salvarli dalla schiavitù.

Quando Alisha interruppe la connessione, aveva a sua volta gli occhi lucidi. Con un gesto materno lo cinse con un braccio e lo strinse a sé. «Va tutto bene, ci sono io adesso. Ti aiuterò, te lo prometto. Ecco, bevi un po’.»

Il piccolo mezzelfo sollevò lo sguardo e, con suo grande stupore, vide un otre pieno d’acqua che si avvicinava a lui fluttuando a mezz’aria. Quasi con riverenza allungò le mani per prenderlo. La magia era una pratica abbastanza diffusa e quasi ogni villaggio poteva vantare la presenza di un mago, tuttavia la maggior parte sapeva fare solo incantesimi basilari come purificare modeste quantità d’acqua o favorire la guarigione di una ferita. Non ne aveva mai visto uno in grado di far levitare gli oggetti.

«Io sono Alisha, Alisha Bellecœur» si presentò la myketis con un dolce sorriso. Passò una mano sul corpo del bambino e in pochi secondi quasi tutti i graffi si rimarginarono completamente. «Tu come ti chiami?»

Il piccolo mezzelfo, finalmente dissetato e colmo di ammirazione, tirò su col naso. Si asciugò una guancia con la manica. «Mi chiamo Giako.»

«Bene, Giako, vuoi venire con me?»

Lui la guardò e si sentì come ipnotizzato da quegli occhi completamente blu, con una specie di leggera corona viola a circondare il corrispettivo dell’iride. Aveva troppa paura per tornare al suo villaggio, e di certo non voleva restare da solo nella foresta.

Le prese delicatamente la mano, come se si vergognasse di toccare quella pelle liscia e pulita con le sue dita sporche. Annuì.

Per Alisha, Giako era una via di mezzo tra un figlio e un fratello minore, gli voleva bene come a un membro della sua famiglia, e questo non faceva che moltiplicare i suoi sensi di colpa: con che diritto gli aveva chiesto di porre rimedio al terribile errore che lei stessa aveva commesso?

Certo, il mezzelfo era intelligente e capace, aveva un’esperienza di anni alle spalle e brandiva una spada in grado di tagliare quasi ogni cosa, ma che speranze poteva avere da solo contro il mostro?

Quello che lei non poteva sapere era che il mezzelfo non era più solo.



Note dell’autore

Di nuovo ciao a tutti!

Per chi ha letto già L’ascesa delle Bestie (ma anche per chi non l’ha letto), ammetto di aver faticato a trovare un titolo che fosse diverso da 2. Accordo come nell’altra storia XD


Sono molto contento di questa revisione soprattutto per essere riuscito ad introdurre subito Jehanne, che così sarà al fianco di Giako fin dall’inizio. Trattandosi di un personaggio storico, cercherò di attenermi il più possibile alle notizie reali che ho trovato (tipo il fatto che si chiami Romée e non Darc), ma mi concederò qualche piccola “licenza poetica” perché comunque non sto scrivendo una biografia :P

Ed ecco qua il disegno della “mia” Pucelle d’Orléans:

Jehanne Romée (AoD-1)


In questo capitolo è comparsa anche Alisha, in particolare ho recuperato il pezzo che apparteneva al precedente capitolo 1 (ma che lì aveva poco senso dato che era presentato come un ricordo di Giako, ma vissuto dal punto di vista di Alisha :S).


Bene, per il momento è tutto, appuntamento come sempre tra un paio di settimane (e questa volta si spera senza revisioni nel mezzo ^.^").

Ciao! :D


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[7] “Notte oscura” in olandese.

   
 
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