Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: comewhatmay    02/07/2017    4 recensioni
Firenze, 1510.
Levi Ackerman è cittadino fiorentino, innamorato della propria città e di tutta l'arte in essa racchiusa. Contempla ogni chiesa, dipinto o scultura dinanzi ai suoi occhi.
Non sa però che quella stessa materia, da lui tanto elogiata, gli sconvolgerà irreversibilmente la vita ponendolo a contatto con un ragazzo dagli occhi rari e indescrivibili come mai nessuna opera che egli abbia mai vissuto.
[Ereri] [Storico]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo III
-Cielo limpido-
 
 I raggi solari picchiettavano con leggerezza sul corpo giovane di Eren. 
Steso sulla fresca erba verde, usufruiva dell'ombra proiettata dall'enorme albero accanto a lui per proteggersi il volto. Con un braccio posto al di sotto del capo, guardò il cielo: era limpido e non vi era nuvola ad opprimerlo. La rugiada gli inumidiva le mani e le cicale intonavano il loro canto campagnolo. 

Quello era il posto in cui amava crogiolarsi quando la testa si colmava di pensieri. Solo Leonardo era al corrente sul dove amasse rintanarsi in solitudine, lontano.  

Senza che fosse il suo cervello a dettarglielo, i suoi pensieri mirarono al soggetto principale della sua confusione. Non comprendeva: aver visto quell'uomo misterioso, dagli occhi glaciali, dopo un lungo lasso di tempo, lo aveva destabilizzato. Aveva avvertito le gambe farsi molli e lo stomaco contorcersi su se stesso in una sadica danza che metteva a dura prova il suo bisogno di vomitare.  Non aveva mai provato qualcosa di così strano, non riusciva a definirlo. Allo stesso modo non capiva il motivo di tali sensazioni. Era sotto quello stesso cielo che anch'egli, Levi, si trovava. 

Lentamente, sollevò il busto e scrutò l'orizzonte. Immensa era la distesa verde che correva sotto di lui e sotto quello squarcio di cielo stesso.  Piantati bene i piedi nel terreno, si alzò.  L'infondato pensiero che probabilmente sarebbe tornato in quello stesso posto presto gli balenò in testa, rapido.


-Palazzo Ackerman, Largo fratelli Alinari


Levi lasciò sfuggire un sospiro affaticato dalle sue labbra. 
Era un periodo discretamente stressante: pratiche da leggere e moduli da compilare. Il da farsi ed il lavoro, certamente, non mancavano. Come assistente di suo padre, gli toccava calcolare il guadagno di ogni azione e seguire ognuna per filo e per segno al fine di ritrovarsi preparato quando la professione di mercante sarebbe diventata del tutto sua.
Nonostante l'ingente quantità di mansioni da svolgere, il suo lavoro per quella giornata era appena terminato.  

Se c'era una cosa che Levi amava fare nel tempo libero, oltre che passeggiare, era recarsi in biblioteca ed accerchiarsi di libri colmi di informazioni che mano a mano avrebbe fatto sue. La curiosità era certamente qualcosa da cui non poteva scindersi ed egli sentiva l'impellente bisogno di appagarla. Nel suo immaginario presero forma i mosaici dorati visti settimane prima su un portone dalla forgia catalana e decise che era ora di documentarsene e metter a tacere il senso di curiosità che lo attanagliava da quando li aveva scorti. 
Ricollegò inconsciamente quello stesso giorno all'ultima volta in cui aveva messo piede in bottega. Scacciò velocemente quel luogo dalla sua mente, consapevole del fatto che se non l'avesse fatto, quel luogo si sarebbe infiltrato pericolosamente fra i suoi pensieri.

Di suo padre, nemmeno l'ombra: aveva via libera e si sentì in dovere di approfittarne.  Scese adagio le scale in marmo bianco con venature verdastre della sua dimora mentre il volto veniva illuminato dai tiepidi raggi solari attenuati dal grande finestrone variopinto posto in alto. I colori cangianti delle vetrate dallo stampo gotico si riflettevano con un contrasto netto sulla sua pelle candida. 
I suoi passi riecheggiavano nell'atrio, allo stesso modo vi rimbombò il tonfo del pesante portone ligneo quando l'uomo lo richiuse alle sue spalle.  
La luce tornò ad illuminargli i lineamenti, stavolta direttamente, senza esser filtrata da alcunché.

Si incamminò. Il Sole era alto per esser tardo pomeriggio ed illuminava anche i più solitamente bui vicoletti. Percorse quelle strade conosciute con più fretta del solito: prima sarebbe arrivato alla sua meta, più tempo avrebbe avuto per consultare ciò che gli interessava. 
Dopo poco più che una cinquantina di metri, girò a sinistra e tirò diritto fino alla traversata di Sant'Antonino, proseguendo. Giunse alla sua destinazione ed arrestò quindi i suoi passi.

Una serie di archi percorreva la facciata dell'edificio e l'uomo ammirò come ognuno di essi rispettasse i canoni classici di armonia e proporzione. Si ritrovò ad essere sopraffatto dalla bellezza nel vestibolo, appena vi mise piede. L'ambiente che precedeva la vera e propria biblioteca era una poesia di contrasti tra il nero ed il bianco in una battaglia fatta di contrapposizioni bilanciate. Colonne binate incassate nella muratura erano sormontate da paraste alle quali si alternavano immensi finestroni ciechi in un gioco che ipnotizzava lo sguardo di Levi. 
L'imponente scalinata realizzata da Michelangelo Buonarroti si riversava nello spazio rettangolare, alludendo a lava vulcanica colante sfociante in tre vie.
Con leggerezza l'uomo percorse ogni singolo gradino di quella centrale, beandosi del fatto che il chiacchierar di sottofondo andasse sempre più sfumando mano a mano che egli si avvicinava alla soglia della biblioteca. 
Osservò il pavimento caratterizzato da intarsi modulari ottenuti grazie al contrasto tra due diverse pietre srotolarsi sotto le sue scarpe lucide. Lesene e finestre ritmavano le pareti.
L'imponente soffitto in legno composto da lacunari rendeva l'ambiente serio ed allo stesso tempo intimo: la lettura era qualcosa che, secondo Levi, riguardava chi leggeva ed il libro stesso. Nessuno poteva frapporsi fra i due. 

L'ambiente rettangolare era riempito da banchi e sedili divisi in due file. I tavoli in legno erano dotati di una superficie sollevabile ed era in essi che i libri, classificati secondo l'ordine alfabetico, erano posti. Andò alla ricerca del banco al quale era stata assegnata la lettera M. Il luogo era quella sera discretamente affollato, la stanza avvolta dal consuetudinale silenzio bibliotecario. Leggendo le lettere incise sulla superficie di ciascun bancone, Levi arrestò i suoi passi in corrispondenza di ciò di cui aveva bisogno.
Era il bancone adibito alla lettera M.
L'uomo si sedette, facendo meno rumore possibile. Quasi sprofondò nel soffice rivestimento in pelle delle panche. Appoggiò una mano al di sotto della superficie lignea e tentò di sollevarla. Non ci provò a lungo: una leggera pressione glielo impediva. Solo allora si accorse che in fondo alla sua stessa seduta vi era una figura con i gomiti poggiati sgarbatamente sul bancone. 

Con una mano ella reggeva la sua testa, il peso del corpo spostato a destra. Levi non riusciva a vedere il suo volto, nascosto da un palmo. Fu per un attimo che quelle stesse mani gli apparvero tremendamente famigliari mentre la carnagione di quell'essere lo sfidava a tirar a indovinare. 
Levi osservò meglio i capelli di colui che gli sedeva più o meno vicino: anche quelli gli sembrarono pericolosamente famigliari. 
Una probabilità si pose nel subconscio dell'uomo ma egli fece finta che in esso non fosse mai apparsa. Fu allora che quella stessa figura, come a voler volutamente scacciare ogni ombra di dubbio dalla mente dell'uomo e a confermare quella probabilità silenziosa, raddrizzò la schiena e scostò la mano dal suo volto. In questo modo, Levi fu possibilitato nel studiare il profilo del ragazzo. Le vene sul collo che pulsavano vive, il pomo d'Adamo visibile, la mascella delicata ma al contempo virile, le labbra piene, il naso perfetto e le iridi color turchese appena visibili furono la conferma dei pensieri di Levi: il ragazzo accanto a lui non era un ragazzo qualunque.

L'uomo si prese qualche secondo per ammirarlo e fu la prima volta che egli riconobbe, senza troppi convenevoli, la bellezza rara che risiedeva in Eren. Era una bellezza estremamente ingenua ma terribilmente accattivante.
Levi decise di avvicinarsi, silenzioso. 
Concentrato com'era, Eren non aveva neanche avuto modo di notare la sua presenza.  
L'uomo sbirciò ciò che il ragazzo stava facendo: ammaliato, egli osservava mani snodarsi nelle più svariate posizioni e disegnate con le più variegate matite. Eren voltò la pagina mirando a quella successiva.
Nel compiere l'azione, l'odore piacevole della carta delle pagine del libro misto a quello vellutato del ragazzo invase le narici di Levi, mandando in tilt i suoi fattori cognitivi. Si sentì leggero, durò un attimo. La razionalità prese il sopravvento. 

Eren”.
 
Il suo fu un sussurro leggero, ciononostante il ragazzo sobbalzò e spostò repentinamente il busto di lato. Le sue gote presero colore. 
“Se continua così, morirò giovane". Fu oltremodo divertito il suo tono. Un angolo delle labbra dell'uomo si sollevò.
“Forse oggi, a differenza dell'altra volta, era mia intenzione spaventarti". A quelle parole, Eren si lasciò sfuggire un sospiro fintamente scocciato. 
“Se lei si diverte a sbucare quando meno io me lo aspetti tra lunghi intervalli di tempo e a farmi agitare ogni volta, buon per lei”. 
Appena pronunciate quelle parole, il ragazzo si rese conto di essersene fatta scappare qualcuna di troppo. Da esse traspariva qualcosa che impietosiva persino Eren stesso. Suonava quasi patetico. Era un vero idiota. 
Levi non lasciò sfuggire l'occasione di cogliere ciò che l'altro voleva invece che non captasse.

Ciononostante, l'uomo rimase in silenzio, scrutando l'altro intento a cercare di focalizzarsi invano sul libro che aveva dinanzi. I suoi occhi correvano veloci guardando tutto senza mai davvero osservare qualcosa. Eren stava cercando di evitare qualsiasi discorso troppo imbarazzante che magari sarebbe potuto scaturire dalle sue parole. 

Levi osservò come le sue sopracciglia fossero corrugate e il suo volto fosse tirato, in un'espressione intrisa di disagio.  
“Mani?” 
Alla domanda posta, il ragazzo in cuor suo tirò un sospiro di sollievo.  “Sì”.
Era assurdo: Eren si stava sforzando di contenere quel fiume di parole che spingevano per esser pronunciate, nonostante si era ripromesso di non prender confidenza con Levi a cuor troppo leggero. 
Da moccioso qual era, voleva tener il muso per una ragione stupida. Levi non aveva di certo l'obbligo o il bisogno di giustificare la sua assenza dalla bottega. Non era mica un bambino. Eren voleva mantenere un atteggiamento non troppo confidenziale. 
E non ci riusciva.

“Non mi riescono molto bene nei disegni dal vero e devo rimediare: le mani possono rappresentare un elemento molto espressivo”.
Levi ascoltava, realmente interessato ed allo stesso tempo distratto dal bagliore che si era acceso in quelle iridi profonde.  
“Non posso che trovarmi d'accordo”; l'uomo pose una mano sotto il mento a reggere il capo mentre l'altra correva furtiva sulla superficie del bancone. Si ritrovò silenziosamente a pochi centimetri da quella abile di Eren, poggiata vicino al libro, pronta a sfogliarne le pagine. Il ragazzo non potè evitare che la sua attenzione ricadesse sul fatto che bastasse davvero poco per sfiorare la mano candida dell'altro, dopo aver avvertito un tepore confortante provenire dal corpo non troppo lontano del suo interlocutore. 
Dovette destare il suo cervello al fine di mantenere una qualsiasi forma di contegno.  

“Non posso affermare però che le mani siano per me la parte più espressiva degli esseri umani". Eren distolse lo sguardo dalle loro mani molto vicine ma al contempo troppo lontane e volse il suo sguardo in direzione di Levi. Trovò i suoi occhi magnetici ad attenderlo e si accorse di star trattenendo il respiro mentre un inaspettato calore lo attraversava nelle viscere. 
“Mi sentirei poco saggio nell'esser concorde alle tue parole la seconda volta di fila. Se non lo facessi però, mentirei”. 
Era un semi-complimento celato da un insulto, quello? È ciò che Eren, almeno, interpretò. 
Le iridi grigie lo attraversarono mentre un brivido percorse interamente la sua schiena. 

“Niente è per me paragonabile all'espressività che due paia di occhi possano avere". Nonostante avesse difronte quel viso impassibile, Eren potè giurare che con la fermezza con la quale quelle parole erano state pronunciate quelle stesse parole non potessero esser contraddette. Poteva udire tutta la convinzione con la quale erano intrise.
In un riflesso involontario condizionato dai suoi pensieri, gli occhi turchesi del ragazzo si spalancarono lentamente, mentre le sue pupille si dilatarono. Dinanzi a quel tripudio di colori ed emozioni chiaramente manifestate da Eren, Levi si concesse di sentirsi segretamente compiaciuto. Era quella l'espressività alla quale aveva fatto inconsciamente riferimento poco prima. 

“Ha ragione".
Il ragazzo si impose di non pronunciare una sola parola di più al momento in quanto correva il rischio che ne uscisse un verso indecifrabile e patetico. Sentì la gola farsi arida. Tornò a tentar invano di focalizzare la sua attenzione sulle pagine che correvano sotto i suoi occhi ma in realtà ciò che stava cercando di fare era ignorare quello spiacevole nodo allo stomaco e impedire alle proprie dita di tremare scioccamente. 
Per l'amor del Cielo, era un diciannovenne, non un ragazzetto. La sua mente gli stava ripetendo la stessa frase da qualcosa come una trentina di minuti. 
Riacquistato un certo contegno prese parola, tuttavia non riuscì a sollevare il suo sguardo dal libro. 

“Parliamo di lei, adesso: cosa ci fa qui?” Legittima fu la domanda che pronunciò. 
“Il solito sfacciato".
Passarono secondi prima che Levi riprendesse parola e per l'ennesima volta il ragazzo si domandò se avesse parlato troppo. "Cercavo informazioni su un mosaico in particolare”.

Il ragazzo sollevò i gomiti dalla superficie assieme al libro che poggiò cautamente sulle proprie gambe e finalmente l'uomo poté ricercare ciò che gli interessava. Stanato dopo poco il libro sui mosaici minori presenti a Firenze, Levi lo poggiò sul bancone e prese a sfogliarne le pagine sotto gli occhi poco discreti di Eren.  
Scorsa la via, trovò in seguito il mosaico che tanto lo incuriosiva raffigurato in uno schizzo veloce. Rimase leggermente interdetto dinanzi alle scarsità di informazioni che vi erano scritte al riguardo.
Allungando un poco lo sguardo, il ragazzo riuscì a leggere il nome della via ed allora non gli fu troppo difficile capire di quale mosaico si trattasse.

“È abbastanza insolito trovare mosaici del genere su portoni, soprattutto qui a Firenze, non le pare?” 
“Mi pare chiaro, moccioso. È per togliermi ogni dubbio che son venuto qui”.
“Ma a quanto pare, la ricerca sembra piuttosto insoddisfacente…” 
Sembrò che il ragazzo non avesse finito di pronunciare le parole che nella sua testa girovagavano. Dopo aver velocemente letto quelle due righe, Levi chiuse il manuale in un tonfo sordo.
“Spiegami dove vuoi andare a parare”.
Eren portò una mano sotto il mento mentre l'altra raggiunse un angolo della copertina del libro ancora posto sulle sue gambe e cominciò a torturarlo, sovrappensiero.  
“Sa, quando ero più piccolo, ero curioso. E quel mosaico mi incuriosì esattamente allo stesso modo in cui ha incuriosito anche lei”  I suoi occhi vagarono incerti. 
“Mia madre era ed è tutt'ora una donna curiosa almeno quanto lo sono io e non perse occasione per raccontarmi la storia di quel mosaico. Era indubbiamente un qualcosa fuori dal contesto del resto di Firenze”. 

Il suo sguardo si fece lontano mentre un dolce sorriso si faceva largo sul suo viso.
 
“Lei mi disse che il mosaico proviene da Venezia, la quale lo ottenne da Costantinopoli come bottino di guerra. È un’opera dalle lontane radici storiche e, indubbiamente, orientali. Non saprei esser capace di datarla con poco margine d'errore. Le stesse profonde radici le ha la famiglia che abita in quella dimora"; Levi lo ascoltò mentre il ragazzo godeva della sua completa attenzione. 
“Fu papa Urbano III a donarlo loro in seguito ad un significativo aiuto economico da parte di quella stessa famiglia nei confronti della Chiesa. Non sono sicuro di chi abiti nell’edificio ma questo potrebbe esser forse di sua competenza”. 
L’uomo non aveva fatto troppo caso alla famiglia che vi abitava e, quando lo fece, si accorse di sapere quale fosse. Un sol cognome prese posto nel suo cervello. 

Diamine se avrebbe voluto far a meno di ricordarlo. Quella stirpe aveva ricavato ingenti profitti da quella donazione e con gli anni aveva guadagnato il controllo di buona parte della vita politica della città. Sentì la testa farsi pesante ma quella sensazione spiacevole scomparve quando Levi incontrò due paia di occhi turchesi ad attenderlo con aspettativa.

  “Non male davvero, per un moccioso”.
La mano del ragazzo non sorresse più il suo mento per andar a grattare il retro della nuca con fare imbarazzato dopo aver interpretato le parole dell’altro come un complimento. 
“In gran parte è merito di mia madre”.
 
Levi vide tutto l’affetto che per la figura materna il ragazzo nutriva balenare nelle iridi dell’altro e se ne sentì segretamente partecipe. I ricordi più gioiosi della sua infanzia riaffiorarono, facendo sì che la sua mente corresse lontano a quei giorni spensierati in cui non vi era spazio per pensar a ciò che nel futuro sarebbe accaduto. 
“Anche mia madre era una donna curiosa. Amava l’arte ed è stata lei a trasmettermi questa sua passione. Quand’ero un bambino, le piaceva mostrarmi opere, dalle più rinomate a quelle meno conosciute e descrivermi ognuna di esse coi loro significati simbolici e le loro storie. Mi è stato chiaro con il tempo che senza l’arte noi uomini saremmo assoggettati solo al dovere o alle tristi passioni passeggere”.

L’uomo si rese conto che aveva parlato più a sé stesso che al ragazzo. Non aveva pensato troppo a ciò che aveva detto. Un’ovvietà si pose per la prima volta con fin troppa nitidezza dinanzi a lui, quella stessa ovvietà che aveva subdolamente negato fino a qualche settimana fa, quando ancora egli non ammetteva qualsiasi cosa che non riguardasse il lavoro nella sua esistenza. Non sapeva che un mese dopo quella stessa negazione egli avrebbe invece riflettuto sulle sue stesse verità.
Eren lo ascoltava, silenzioso, completamente rapito. L’esporre un suo ricordo aveva fatto sì che anche l’altro lo facesse ed è per questo che non si pentì di aver mostrato una sua parte delle più intime a Levi. Lo sentiva così inspiegabilmente vicino… 
Una delle sue mani aveva smesso di torturare la copertina del libro posto sulle sue gambe e si era poggiata sulla panca, in quel piccolo spazio che si era formato tra il suo corpo e quello dell’altro.

“L’arte è qualcosa di perpetuo, di inviolabile”.
Mentre Levi pronunciava queste parole, la sua mano si adagiò sulla seduta e per una frazione di secondo, la sua e quella di Eren si sfiorarono ed il più giovane avvertì una scossa all’impercettibile contatto. Avrebbe voluto bearsi di quella sensazione molto più a lungo e a fondo: in modo perpetuo ed inviolabile. 
Eren si accorse di star divagando decisamente troppo ma non si preoccupò di arrestare quel flusso incontenibile di pensieri, pensieri alquanto ridicoli.
Rimasero così, in religioso silenzio, il più giovane esaminava ancora quegli schizzi mentre l'altro analizzava un libro appena preso.
Le loro mani poggiate sul legno liscio, così vicine. Così vicine da potersi sentire, così troppo lontane per assicurarsi che fossero reali.


-


Levi guardò oltre il vetro della finestra nella sua camera: il cielo, da esser limpido, era stato invaso per gran parte da una nube grigia con una nota carminia dovuta al rifrangersi dei raggi solari. Coi gomiti poggiati sulle ginocchia, chinò il capo, osservando la punta lucida delle sue scarpe. 
Dopo un tempo indefinito, risollevò lo sguardo e l'immensa nuvola aveva ormai occupato per tre quarti la visuale che la finestra offriva. 
Si prevedevano precipitazioni.

Era da un po' di giorni che nella sua mente balenava una malsana idea; malsana era dir poco, un'idea più che azzardata. 
Di una cosa era certo però: avrebbe voluto veramente metterla in atto, non di certo per capricci che non era nemmeno abituato a fare. Si chiese se suo padre sarebbe stato d'accordo al suo volere e palese era la risposta a quella sua stessa domanda. 
Non si sarebbe lasciato condizionare troppo facilmente.
Era ormai adulto e quasi totalmente indipendente: con il matrimonio a breve, sarebbe stato capacitato nel prendere in mano le redini della sua vita. Quasi era felice di sposarsi ma non sopportó l'idea di mentirsi a lungo. 
I fondi per ciò che aveva intenzione di realizzare non mancavano, tantomeno i contatti di cui necessitava. La passione, forse, era anche troppa ma ció non poteva esser propriamente considerato un fattore negativo.
 
Dopo le imminenti nozze, sarebbe diventato un mecenate. Ormai, era deciso. Per il suo volere... e per quello di un paio di occhi luminosi.  




~~~~~~~
Chiedo scusa a chi aspettava questo capitolo per l'imbarazzante tempo d'attesa. 
Davvero, perdonatemi. Ci tenevo a fare alcune precisazioni: la Biblioteca Laurenziana, nel 1510, non esisteva ancora in quanto fu completata molto più tardi, nel 1571. 
La parte del mosaico è stata inventata di sana pianta da me, così come la sua storia, che penso però possa essere storicamente plausibile (lo spero, in realtà) 
Fatemi sapere come avete trovato questi primi contatti tra Eren e Levi! 
Non è un capitolo troppo movimentato ma la connessione tra questi due piccoli si fa sentire! (spero) 
Il prossimo capitolo arriverá prima, promesso!


comewhatmay
  
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