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Autore: marea_lunare    04/07/2017    1 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(10)  Just shut up

Spesso è difficile prevedere quando si raggiunge il limite.

Capire quando giunge il momento di tacere, lasciare che le cose proseguano lungo il loro corso, così come il destino ha già predisposto.

Ma Sherlock Holmes non credeva nel destino.

La sua razionalità lo aveva sempre spinto a credere che il futuro una persona se lo crea da sé, che nulla è già scritto, che la vita è solamente un enorme libro dalle pagine bianche ancora tutte da scrivere.

Sherlock Holmes era un uomo molto intelligente.

La sua mente sembrava una sorta di enciclopedia tascabile, conosceva tutto sopra gli argomenti più disparati e strani, tematiche che una persona normale non si sarebbe sognata nemmeno di nominare.

Nonostante si definisse un sociopatico iperattivo e la sua natura umana fosse nascosta al mondo intero tranne che a John Watson e pochi altri fortunati, come tutti anche lui aveva pregi e difetti.

E il più grave di questi difetti, era la sua incapacità di capire l’animo umano, i sentimenti… e comprendere quando giungeva il momento di stare in silenzio.

Adorava mettersi in mostra.

Adorava provocare i criminali con i suoi interminabili discorsi da far venire il mal di testa.

Non sprecava mai occasione per dimostrare quanto lui fosse sveglio, intelligente, furbo, perspicace.

Era un maniaco del perfezionismo e dell’esibizionismo.

E fu proprio il suo esibizionismo a portarlo sull’orlo del baratro, gettandogli addosso un’ombra nera di colpa.

A causa del suo voler continuamente mettersi in mostra, spremere la mente delle persone fino all’ultima goccia, Mary morì.
 
 
 
Successe tutto in un attimo, senza che lui potesse fare nulla.

Il colpo partì, il bossolo scivolò a terra, la polvere da sparo sulle dita della donna, Mary gli si gettò davanti, il petto le si macchiò di sangue.

Il detective le si affiancò immediatamente, lei gemente al suolo dalla paura e dal dolore.

La rassicurò, dicendole che tutto sarebbe andato per il meglio, ma nemmeno lui ne era certo.

Vide gli occhi di quella donna che piangevano, vide le lacrime bagnarle il volto, le iridi consapevoli che non avrebbe mai più guardato il volto della sua adorata bambina, che non avrebbe mai più abbracciato con lo sguardo il viso di suo marito.

“Mycroft, chiama un’ambulanza” si appellò al fratello, il panico che gli fece tremare la voce.

Stava morendo, sapeva che i soccorsi non sarebbero mai arrivati in tempo.

“MARY!”

Un nome pronunciato con disperazione, incredulità e una silenziosa preghiera dentro di esso.

Quando il detective vide John raggiungere sua moglie, sentì il suo mondo andare completamente in pezzi.

Aveva promesso di proteggerla, di tenere al sicuro la famiglia Watson, perché in fondo erano tutto ciò che aveva.

Voleva bene a Mary nonostante tutto. Nonostante fosse la moglie di John, nonostante gli avesse sparato, nonostante avesse sempre mentito al suo migliore amico.

Quel piccolo nucleo familiare era la luce delle sue giornate e per mantenere almeno in parte quella sua personale felicità, si era assunto la responsabilità della vita di tutti e tre, insieme a Rachel. Ma non era riuscito a mantenere quella promessa fatta con
sincerità, una di quelle poche volte in cui aveva permesso alla sua umanità di fare capolino dietro la sua fredda indifferenza quotidiana.

“Mary, Mary, sono qui” disse il dottore, cercando lo sguardo della moglie ormai fin troppo debole.

“Mary, non te ne andare, ti prego” implorò con gli occhi lucidi.

La donna lo guardò con tristezza, facendogli capire con una sola occhiata che non ci sarebbe stato un domani, né per lei né per il loro matrimonio.

Lo ringraziò a cuore aperto, dimostrandogli tutto l’amore che non aveva mai espresso a parole, piangendo amare lacrime di rimpianto per una così breve felicità, sapendo però di aver fatto la scelta giusta lasciando John in buone mani. Accanto a Sherlock.

Pianse anche per la sua bambina, consapevole di non poterla veder crescere, ma sicura che John sarebbe stato un ottimo padre. Pianse per il terrore e la sofferenza, ma sentì il peso delle responsabilità scivolarle di dosso, andandosene insieme alla sua linfa vitale.

Quando chiuse gli occhi per l’ultima volta, una parte di John Watson si spense insieme a lei.
 
 
John non era arrabbiato. Era furioso, iracondo.

Guardò Sherlock con occhi gelidi, sentendo montare un disprezzo che mai aveva provato prima.

Quell’uomo gli aveva portato via due anni della sua vita, lasciandolo con una voragine vuota in mezzo al petto.

Gli aveva dato la possibilità di ricominciare da capo, poi aveva fatto finta di uccidersi.

Una volta tornato sua moglie muore, sacrificandosi pur di salvare quella faccia da schiaffi.

Nemmeno il rammarico nell’espressione detective riuscì a smuoverlo, sentì il cuore gelarglisi, i muscoli intirizzirsi come dopo una secchiata d’acqua fredda.

“Tu. Tu avevi fatto un voto”

Non urlò, non sbraitò, non disse nulla oltre a quella frase.

Guardò Mary un’ultima volta, sentendo le sirene dell’ambulanza accompagnare quella sera così buia.

Si alzò senza nemmeno guardare in faccia il consulente, decidendo in quel momento che l’uomo era ormai un capitolo chiuso della sua vita.

Non lo avrebbe rivisto mai più, lo avrebbe semplicemente evitato come si evita la peste.
 
 
Rachel quella sera era rimasta a casa a guardare un po' di TV, beandosi del camino che rendeva caldo e confortevole il salotto, avvolgendosi in un pile e spalmandosi sul divano in un dolce far niente, sicura e felice.

Poco dopo sentì il portone di Baker Street aprirsi, seguito dai passi pesanti del detective.

Probabilmente Sherlock non aveva avuto un caso decente per le mani, il che preannunciava un fine serata con i fiocchi, costellato da continue lamentele e scenate da crisi d’astinenza da casi e sigarette.

La ragazza fece un profondo respiro, invocando ogni santo del paradiso per darle la forza necessaria di sopportarlo ancora una volta, evitando di prenderlo a sediate sulla schiena per farlo tacere.

Quando vide il consulente sull’arco della porta, i suoi sensi andarono immediatamente in allerta.

“Sherlock, cos’è successo?” chiese alzandosi in piedi di scatto, seguendo con lo sguardo il detective che si mise seduto sulla sua poltrona nera, senza nemmeno togliersi il cappotto.

Non ricevette risposta, perciò seppe che qualcosa di irreparabile era appena accaduto.

La prima idea che le balenò nella mente fu la droga, perciò corse a controllare che le pupille di Sherlock non fossero dilatate, constatando con sollievo che si adeguavano perfettamente alla fioca luce della stanza.

Gli mise una mano sul polso e si accorse che aveva il battito accelerato, perciò doveva essere in stato di shock.

“Sherlock. È successo qualcosa a John?” chiese con preoccupazione, implorando il consulente con lo sguardo.

Quest’ultimo non le rispose di nuovo, ma tirò fuori dalla tasca del cappotto una collana.

La catenina con il cuore d’argento che Rachel aveva regalato a Mary per il matrimonio.

La appoggiò con delicatezza nelle mani della ragazza, che la guardò con gli occhi sbarrati e un’enorme paura crescente che le assaliva il cuore.

Quando alzò gli occhi sul detective, lui la fissava con sguardo vacuo, vuoto.

“Cristo” imprecò lei stringendo la collana tra le dita “Tu stai bene? Sei ferito?”

Per l’ennesima volta non ottenne risposta.

Accarezzò piano una guancia di Sherlock, il quale chiuse gli occhi con rassegnazione.

Non l’aveva mai visto così e tremò al solo pensiero di come avrebbe potuto trovare John.

“Mi dispiace” riuscì solo a dire il detective, aprendo le sue iridi chiare sul volto della ragazza, tanto teso quanto dolce.

Lei lo abbracciò senza dire una parola, stringendolo piano e correndo poi nella sua stanza.

Si cambiò in un attimo, pronta ad uscire.

“Forza, Sherlock, alzati” disse tornando in salotto ed infilandosi il cappotto.

“Cosa? Dove andiamo?”

“Tu vai da Mycroft”

“Perché?”

“Perché non posso portarti da Molly, vedere Rosie sarebbe una carica emotiva eccessiva persino per te. Se ti lasciassi dalla signora Hudson tenterebbe di sollevarti il morale ed inizierebbe a parlare a ruota libera di qualsiasi cosa, il che ti porterebbe a risponderle male o solo Dio sa cos’altro. Perciò ti porto da Mycroft, l’unico capace di darti conforto con il suo solo silenzio” concluse lei spingendolo fuori dall’appartamento e scendendo le scale.

“Beh… Direi che hai appreso bene le mie tecniche” assentì lui con un piccolo sorriso tirato.

Lei non disse nulla, chiamando un taxi e dando le indicazioni per la villetta di Mycroft.

“Tu sai dov’è John?” gli chiese Rachel dopo qualche minuto di viaggio.

“Probabilmente sarebbe voluto tornare a casa, ma aveva paura di essere assalito dai ricordi di Mary. Sa che Rosie è da Molly, perciò è tranquillo che lei sia al sicuro. Tu… Sa che lo raggiungerai non appena ne avrai la possibilità, mentre io non sono più un suo problema” disse recuperando il suo naturale stato di freddezza grazie alle deduzioni, nonostante i suoi occhi tradissero una profonda tristezza “Perciò sarà andato al solito pub a bere una birra per riuscire ad affogare una parte di tutta la sofferenza nell’alcol. Quel pub però è lo stesso dove va con Lestrade ogni giovedì e, dato che oggi è giovedì, probabilmente avrà incontrato l’ispettore. Raccontandogli tutto, Goomer lo avrà invitato a stare da lui per la notte, oppure avrà ricevuto una chiamata per un caso improvviso e lo ha portato con sé. Perciò o è a casa di George, oppure a New Scotland Yard”.

“D’accordo, grazie Sherlock” gli sorrise lei con affetto.

Quando giunsero a casa di Mycroft videro la luce del salotto accesa, fortunatamente il maggiore degli Holmes era ancora sveglio.

“Ti mando un messaggio più tardi, va bene? E per favore, Sherlock, non fare idiozie” gli disse ancora con apprensione.

Lui le sorrise solamente e scese dalla vettura dirigendosi verso la porta color bianco panna, mentre lei lo osservava dal taxi per assicurarsi che entrasse davvero in casa, salutandolo con un cenno della mano.
 
 
Si fece portare al pub che Sherlock le aveva indicato e pagò la corsa, cercando con lo sguardo John o Lestrade.

Non vedendo nessuno prese il cellulare e compose il numero dell’ispettore.

“Greg, ciao, sono io”

“Oh, Rachel, ciao” rispose l’ispettore con voce flebile “Ho saputo di Mary, mi dispiace tanto”

“Anche a me, Greg, anche a me…” disse la ragazza, chinando il capo e guardandosi le scarpe “Ad ogni modo, John è con te?”

“Si, è qui con me a Scotland Yard. L’ho incontrato al pub e ho visto la sua faccia da funerale. Mi ha raccontato tutto e non me la sono sentita di lasciarlo da solo. Ho ricevuto una chiamata improvvisa e l’ho convinto a venire qui con me “

“Che Dio ti benedica, Lestrade. Arrivo subito”
 
Cinque minuti dopo Rachel entrò correndo nella stazione di polizia di NSY.

“Rachel, dove stai andando?” le chiese Anderson parandolesi davanti per fermarla.

“Phil, per piacere, spostati devo trovare Gregory” disse lei riprendendo fiato.

“Il capo al momento è occupato” disse acidamente una voce spiacevolmente familiare alle loro spalle.

“Donovan… Devo dire che non è affatto un piacere vederti” rispose Rachel con tono altrettanto acido.

“La cosa è reciproca. Come ti ho già detto, l’ispettore al momento non è disponibile, perciò sei pregata di levarti dai piedi”

“Non è vero, Sally. Greg è con mio padre e io sono venuta qui apposta per lui. Perciò fammi il favore di stare in silenzio e tornare a fare il tuo lavoro” continuò la ragazza con insolita durezza.

“Hey mocciosetta, datti una calmata. Se John è qui, come mai non c’è il freak?”

“Smettila di chiamarlo freak. Sherlock non è un freak. Non permetterti di parlare così di lui”

“Oh va bene. Comunque dicevo che è strano che il freak” continuò Donovan incalzando sull’ultima parola “non sia qui. Dove se ne va senza il suo cagnolino?”

Le mani le fremevano dalla rabbia, il respiro si fece più pesante nell’invano tentativo di calmarsi.

“Il nome del cagnolino, come lo chiami tu, è John. E John è qui con Lestrade perché Mary è appena morta e Greg non se l’è sentita di lasciarlo da solo!” sbraitò la ragazza facendo diversi passi verso Sally, fino ad arrivarle a pochi centimetri di distanza dal volto.

Nonostante Rachel fosse qualche centimetro più bassa della donna, lo sguardo furente che le deformava il volto servì a farla finalmente tacere.

“I-io non-“

“Stai zitta. Hai già fatto una figura da schifo, perciò meglio che tu te ne vada prima di peggiorare la situazione. Oh, un piccolo appunto. Visto che ti credi tanto intelligente, qualche volta cerca di farlo funzionare quel cervello, ti risparmierà tante grane. Ciao,
Donovan” concluse l’altra dandole le spalle e superando Anderson che la guardava allibita.

Sentendo la ragazza gridare, tutti i poliziotti che in quel momento si trovavano in stazione avevano interrotto le loro attività ascoltando l’incredibile figuraccia di Sally, la quale se ne era andata a capo chino e livida di rabbia.

John aveva riconosciuto la voce di Rachel non appena aveva parlato con Anderson, così lui e Lestrade si erano affacciati dalla caffetteria per vedere cosa stesse succedendo, sorridendo entrambi con soddisfazione alle risposte pronte di lei.

Non appena la ragazza li riconobbe corse incontro a John per abbracciarlo, così che lui potesse nascondere il volto nei morbidi ricci di sua figlia adottiva, lasciandosi scivolare addosso il dolore come un’enorme ondata che lo travolse pienamente, facendogli tremare le gambe.

Non singhiozzò, ma si lasciò cullare dal calore di Rachel e dalle sue parole rassicuranti, mentre Lestrade si sedeva per finire con calma il suo caffè, chiedendosi se sua figlia, una volta cresciuta, lo avrebbe mai abbracciato in quel modo.  
 
 
 
Note dell'autrice: Ciao a tutti! Finalmente sono tornata con la mia long! Sono emozionata *^* Perdonatemi il lungo periodo di assenza, ma per cause di forza maggiore ho smesso di pubblicare per un pò e ho anche avuto modo di rimettere mano ai capitoli già scritti ma ancora non pubblicati. Ho fatto molte modifiche, vedo il mio stile molto cambiato, quasi più maturo e di questo sono molto felice. I capitoli 5 e 6 li ho praticamente riscritti da capo perché non mi piacevano, erano troppo simili alla serie TV, perciò chi ha letto la versione precedente, penso che probabilmente preferirà quella di adesso! Quindi eccovi il capitolo 10 <3 Non vi garantisco la pubblicazione regolare di ogni lunedì come facevo prima, però cercherò di fare il possibile, promesso. Detto questo, come sempre critiche e/o recensioni sono ben accette. Buona lettura e alla prossima! <3 
 

 
 
 
 
 
 
   
 
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