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Autore: Echocide    10/07/2017    5 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes e Miraculous Heroes 2]
La minaccia di Maus è stata sventata, ma non c'è pace per i nostri eroi: il mistero dell'uccisione degli uomini del loro nemico non è stato risolto e un nuovo nemico trama nell'ombra...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.311 (Fidipù)
Note: Buon pomeriggio! Eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e stavolta, dopo tanto tempo, ho un po' di informazioncine su Parigi. E si parte con L'Annexe du Petit Café, un carinissimo bistrot nei pressi del Collegé de Navarre (la scuola frequentata da Thomas, Jérèmie e Manon), di cui vi lascio il sito e...beh, fatemelo dire, penso proprio che se mai ci andrò un café gourmand me lo prenderò sicuramente.
Altro luogo che viene presentato nel capitolo è l'Arco di Trionfo, fatto costruire da Napoleone I in onore della Grande Armata. Ispirato agli archi dell’antichità, questo monumento emblematico porta addosso i nomi illustri della nazione e ospita la tomba del milite ignoto, la cui fiamma è rinnovata tutte le sere.
E adesso è il turno delle classiche informazioni di servizio: come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o leggere i miei scleri.
Vi ricordo, inoltre, che mercoledì ci sarà un nuovo capitolo di Inori, giovedì sarà il turno di Laki Maika'i, mentre venerdì sarà aggiornata nuovamente Miraculous Heroes 3; eccezionalmente, per questa settimana, Lemonish slitta alla domenica con una nuova AdrienMarinette.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti voi che leggete, commentate, inserite la storia in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Yi allungò la mano sulla pozza d’acqua, avvertendo il potere del Quantum e osservando il riflesso nell’acqua mutare: non più il soffitto della stanza principale dell’abitazione, ma il panorama di Parigi; si concentrò, arcuando appena le dita e, quasi fosse uno zoom, l’immagine si restrinse su un’abitazione in particolare.
La sua vita.
Ciò che era quando il Quantum non la inondava con la sua forza.
Strinse ancora le dita, lasciando che l’immagine scivolasse nell’interno della casa: il suo ufficio dalle pareti candide come la neve, una seconda casa per lei che aveva considerato il proprio lavoro come vita; non era mai stata una donna vezzosa, amante della vita mondana, e il suo luogo di lavoro rispecchiava tutto ciò.
Bianco. Anonimo. Spoglio.
Era così che gli altri la vedevano?
Una donna senza interesse, senza una vita, al di fuori del suo impiego?
Eppure lui aveva visto qualcosa, l’aveva liberata da quelle catene che lei stessa aveva chiuso attorno ai suoi polsi e alle sue caviglie, e le dispiaceva che l’altra parte di sé non fosse a conoscenza di tutto ciò: come l’avrebbe presa? Cosa avrebbe pensato di quell’entità che viveva dentro di lei e che aveva sempre scalpitato, cercato di liberarsi in un modo o nell’altro?
Strinse le dita, sentendo le unghie conficcarsi nel palmo e osservò incantata la piccola goccia cremisi che scivolò verso il basso, increspando le acque e scacciando l’immagine che aveva evocato: «Disturbo forse?» domandò la voce di Kwon, apparendo dalle ombre della stanza come se fosse stato una di quelle: il sorriso tenue che aveva in volto era rivolto completamente a lei, mentre si avvicinava e alzava la mano, toccandole la guancia e scostandole con gentilezza uno dei petali dell’enorme fiore che le copriva parte della faccia: «Che stavi facendo, mia diletta?»
«Osservavo» mormorò la donna, voltando lo sguardo verso la polla d’acqua senza aggiungere altre parole e senza azzardarsi a posare lo sguardo sull’uomo: «Ho trovato il mio obiettivo, presto attaccherò» decretò, portando l’attenzione di Kwon su qualcosa che premeva parecchio a entrambi: «Vi porterò i Miraculous.»
«Non mi deluderai?»
«Non io, mio signore.»
Kwon la fissò in silenzio, annuendo poi lentamente con la testa e chinandosi poi su di lei, sfiorandole le labbra con le proprie: «Tu non potresti mai…» le bisbigliò contro la bocca, lasciandola andare e osservandola mentre barcollava leggermente: «Non deludermi, Yi» sentenziò per un’ultima volta Kwon, prima di voltarsi e tornare nelle ombre a cui apparteneva.
Yi rimase immobile, osservando il punto in cui l’uomo sembrava essere scomparso, ignorando i rumori alle sue spalle: «Che cosa bella essere la favorita, non è vero?» le domandò la voce lenta di Qiongqi facendola voltare nella sua direzione: l’uomo era fermo a pochi passi da lei, il volto coperto dalla maschera di metallo grigio e le labbra piegate in un sorriso pigro, mentre si avvicinava a lei e le sfiorava la spalla con la punta delle dita: «Ma in fondo, essere vicina a uomini potenti è sempre stata una tua prerogativa. Non è vero?»
«Si direbbe che tu mi conosci bene…»
«Diciamo che siamo vicini. Nell’altra tua vita» Yi rimase in silenzio, stirando le labbra e voltandosi, senza commentare le parole dell’altro e ascoltando la risata che sgorgò dalla gola di Qiongqi: «Volevo chiederti un favore, cara la mia preferita del nostro signore» continuò l’altro, posandole entrambe le mani sulle spalle e avvicinandosi a lei: «Lascia andare me contro gli eroi» le sussurrò all’orecchio, facendola rabbrividire leggermente per quel contatto.
Era sempre stata una donna così lasciva?
Non ricordava.
«Perché vuoi andare tu?» domandò la donna, cercando di mantenere la voce neutra, continuando a fissare le ombre avanti a lei, quasi come se da queste potesse uscire da un momento all’altro Kwon: «Non mi sembra che hai riportato grandi successi l’ultima volta.»
«Voglio solo riscattarmi» commentò l’uomo, ridacchiando appena e aumentando la stretta per un poco, prima di lasciarla andare e allontanarsi da lei: subito Yi sentì la mancanza del calore umano che aveva percepito fino a quel momento, voltandosi e osservando la maschera di Qiongqi.
«Non è solo questo…» mormorò, scuotendo il capo e vedendo l’altro sorridere: «Che cosa hai in mente, Qiongqi?»
«Divertimento? Distruzione? Desolazione?»
«Il nostro compito non è questo.»
«Lo so, la nostra missione di vita è portare i Miraculous al nostro signore» decretò l’altro, alzando le spalle e scuotendo la testa: «Ma non credi che, in tutto questo, un po’ di divertimento possiamo concedercelo?»
Yi alzò il mento, fissandolo con l’unico occhio libero fino a quando il sorriso dell’uomo non scivolò via dalle labbra: «Ti concedo di andare, Qiongqi» dichiarò austera, incamminandosi e superandolo, fermandosi a pochi passi da lui: «Ma non fallire.»
«Non lo farò.»


L’entrata della Fondazione Vuitton era piena di luce a quell’ora del giorno, tanto che Bridgette fu tentata di tenere su gli occhiali da sole, per impedire al riverbero del sole di costringerla a tenere un’espressione corrugata per tutto il tempo, aumentando così la probabilità della nascita di nuove rughe: una donna doveva curarsi e stare attenta al proprio aspetto, soprattutto quando ritrovava il suo amato di due secoli prima, che la prendeva in giro per un capello bianco.
Felix sembrava aver trovato, come divertimento della giornata, prenderla in giro per il capello bianco che aveva visto quella mattina, mentre lei si preparava e da allora non aveva avuto un attimo di tregua: «Cosa ci avrò trovato in lui? Cosa?» bofonchiò fra sé, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro, quando il suono del suo cellulare l’avvisò di un nuovo messaggio in arrivo.
Felix era morto.
Avrebbe chiesto a Thomas di akumatizzarla e poi avrebbe chiesto al piccolo Marshmallow di giocare un po’ con lui.
Si fermò, aprendo la borsa e recuperando l’apparecchio, digrignando i denti quando lesse il mittente del messaggio: ovviamente Felix. Quell’uomo non capiva quel piccolo concetto che veniva riassunto in un modo di dire ‘il gioco è bello, quando dura poco’. No, il signorino sembrava del tutto ignaro di tale massima e lo confermava la foto di una tinta per capelli che le aveva mandato, correlata di domanda sull’efficacia.
Ma possibile che non avesse niente di meglio da fare?
Era un politico.
Era in corsa per il ruolo di sindaco di Parigi e iniziava a pensare che i parigini non avevano molto sale nella zucca, se volevano votare un tipo del genere.
Scrisse velocemente una risposta piccata, ricevendo subito in cambio un’emoji sorridente.
No, Felix non capiva proprio.
Infilò nuovamente il cellulare nella borsa, lasciando andare un lungo sospiro e spostando lo sguardo nell’androne, sorridendo alla donna che stava attraverso la stanza a passo di marcia: Nathalie Sancoeur era riconoscibile ovunque, con il tailleur serio e i capelli stretti nella stessa acconciatura di sempre: «Miss Sancoeur» trillò dando libertà al suo lato inglese, alzando un braccio per aria e attirando così l’attenzione della donna, osservandola fermarsi e sistemarsi la montatura degli occhiali, mentre lei la raggiungeva: «Buongiorno.»
«Madame Hart» la salutò l’altra, formale come sempre, e rimanendo in attesa mentre Bridgette sorrideva: «Vuole avere informazioni circa l’evento della linea Hart?»
«Sì, grazie» mormorò la donna, sistemandosi una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio e domandandosi mentalmente come facesse Gabriel a lavorare con quel robot: nessuna domanda di cortesia, nessun pettegolezzo, era semplicemente andata dritta al sodo; si fermò, lasciando andare un sospiro: Gabriel lavorava bene assieme a lei proprio perché era Gabriel: «Mi scuso ancora per l’incombenza, ma purtroppo il mio assistente mi ha lasciato…come dire? A piedi, proprio adesso» commentò, storcendo le labbra in una smorfia mentre augurava le torture peggiori a Maxime.
Lo avrebbe fatto lei stessa, ma le monsieur non le aveva lasciato nessun recapito dove raggiungerlo.
E ucciderlo.
Anzi no, torturarlo e poi ucciderlo.
Il trillo del suo cellulare le ricordò anche di un altro uomo che non aveva abbastanza istinto di sopravvivenza.
«Ho chiamato il catering e il dj, le modelle sono già state informate e anche lo staff è stato informato della scelta degli abiti da lei fatta» elencò velocemente Nathalie, recuperando una cartella, fra quelle che aveva in braccio, e passandogliela: «Ho abbozzato anche una lista di ospiti. Se vuole approvarla, manderò velocemente gli inviti.»
Bridgette annuì, osservando i fogli all’interno e sorridendo: «E’ incredibile, miss Sancoeur» dichiarò, alzando la testa e osservando la mano che si stava nuovamente sistemando gli occhiali: «Oh. Si è ferita?» domandò, prendendole le dita fra le sue e notando la piccola ferita all’interno del palmo: «Dovrebbe stare attenta al proprio corpo, miss Sancoeur.»
«E’ solo una ferita da nulla» commentò la donna, muovendo appena la mano e facendo intendere così che voleva essere lasciata andare: «Non ricordo nemmeno come l’ho fatta.»
«Stia attenta, ok?»
«Certamente» mormorò la donna, annuendo lieve con la testa e fissandola poi con il volto senza espressione: «Appena possibile mi faccia sapere se la lista degli ospiti va bene.»
«Oh. Sì, certamente.»
Nathalie annuì nuovamente con la testa, dandole poi le spalle e riprendendo la sua marcia: il fatto che l’aveva fermata era semplicemente un piccolo intoppo nella sua scaletta giornaliera, Bridgitte n’era certa.
Un piccolo intralcio in un ordine perfetto.
La donna sospirò, osservando la lista di nomi e rendendosi conto del lavoro impeccabile che Nathalie aveva svolto: quella donna sembrava quasi un automa, vista la perfezione con cui eseguiva ogni cosa, tanto che molto spesso Bridgette era stata tentata di chiedere a Gabriel su che catalogo l’avesse ordinata.
Maxime non era così.
Sebbene fosse un buon assistente, Maxime era anche sbadato e molto spesso faceva errori: Nathalie Sancoeur, da quanto sapeva, una volta sola aveva mostrato il suo lato umano, ed era stato l’anno precedente quando aveva fatto uno sbaglio per la sfilata di Gabriel per la settimana della moda.
L’unica pecca in quella perfezione totale.
L’unico punto di umanità che quella donna-robot aveva mostrato al mondo.
Il suono del suo cellulare la riscosse, trascinandola via dalle sue elucubrazioni su Nathalie: con lentezza fece scattare nuovamente la serratura della borsa, cercando poi all’interno il cellulare e sospirando quando, una volta trovato, vide sullo schermo le notifiche di due messaggi da parte di Felix.
Quell’uomo voleva decisamente morire…


Osservò l’appunto che aveva scritto a margine del libro, allungando la mano verso il quaderno abbandonato poco distante da lei, sentendo due dita calde sfiorarle il dorso della mano: Marinette alzò immediatamente la testa, osservando il giovane in piedi e che la fissava di rimando: «Nathaniel» mormorò, ritirando velocemente la mano e osservando le iridi color smeraldo che non abbandonavano un suo movimento: «T-ti serve qualcosa?»
«Da quando balbetti con me, Marinette?» le domandò il ragazzo, piegando la testa di lato e fissandola con un sorriso in volto: «Quest’onore era sempre e solo riservato ad Adrien. O sbaglio?»
«Balbetto ogni volta che sono confusa» bofonchiò la ragazza, alzando poi il mento e tenendo lo sguardo in quello del ragazzo, quasi a sfidarlo così: «Avevi bisogno di qualcosa?» domandò con tutta la freddezza che possedeva e notando una lieve espressione di meraviglia sul volto dell’amico: non pensava che lei potesse comportarsi così, lo leggeva chiaramente nelle sue iridi del colore dello smeraldo che adesso la fissavano più guardinghe.
«Hai tirato fuori gli artigli?»
«Non ti conosco più» Un sorriso comparve sulle labbra di Nathaniel, lo sguardo si posò su di lei un secondo prima di tornare a fissare il basso: «Cosa ti è successo? Questo non è il Nathaniel che ho sempre conosciuto dal collége.»
«E se questo fosse il vero Nathaniel? Che faresti, Marinette?» le domandò il ragazzo, inclinando la testa di lato e allargando le braccia: «Lo considereresti differente? Mi considereresti più di Adrien?»
«Lascia stare Adrien.»
«Il povero maritino…»
Marinette poggiò entrambi i palmi delle mani sul tavolo, facendo leva su questi e fissando l’altro astiosa: «Ti avviso, Nathaniel: osa anche solo minacciare Adrien e ti farò pentire di essere nato.»

«Sono proprio curioso di sapere come farai.»
«Non ti conviene sfidarmi. Tu non sai niente di me, Nathaniel.»
Nathaniel la fissò per un secondo annuendo con la testa e regalandole un sorriso senza vita, alzando poi le mani al cappuccio e tirandolo sopra i capelli: «Neanche tu, Marinette» mormorò, chinando poi il mento e andandosene in silenzio come era giunto.
Marinette si portò la mano al petto, inspirando e lasciando andare poi l’aria dopo averla trattenuta un poco dentro di sé, voltandosi poi verso la borsa: le mani le tremavano, mentre l’apriva e recuperava il cellulare all’interno, trovando difficoltoso mandare un veloce messaggio ad Adrien, scrivendo parole errate più e più volte, come se il suo balbettare confuso si fosse trasmesso alle dita.
Alla fine riuscì a scrivere un breve messaggio di senso compiuto e lo inviò, mettendosi poi seduta e tenendo il telefono fra le mani, con il cuore che batteva furioso nel petto mentre aspettava una risposta che, a ogni secondo, sembrava tardare ad arrivare.
Il trillo del cellulare la fece sobbalzare e un tenue sorriso le comparve in volto quando vide l’icona del messaggio comparire e il nome di Adrien a fianco.
Stava bene.
Nathaniel non gli aveva ancora fatto niente.
E mai gliene avrebbe fatto.


Alex osservò le sedie in legno dal telaio rosso che, a gruppi di quattro circondavano i piccoli tavoli neri e rotondi, cercando di ignorare lo sguardo penetrante della ragazza dietro al bancone, all’interno del locale, che sembrava quasi non avesse nient’altro da fare: non aveva gente da servire? Bicchieri da pulire? Qualcosa da fare che non fosse considerare lui che, come un ebete, stazionava davanti al locale in attesa di una ragazzina di undici anni.
Lasciò andare un sospiro, osservando il suo appuntamento arrivare di corsa, le mani che tenevano ferma la cinghia della borsa.
La vide fermarsi a pochi passi da lui, piegarsi in due e poggiare le mani sulle ginocchia, facendo poi lunghi respiri profondi in modo da calmarsi: «Scusami» mormorò con la voce affaticata: «Ma la professoressa non voleva lasciarmi andare.»
«Nessun problema» dichiarò Alex, indicando con la testa l’interno del locale e trattenendosi dal voltarsi verso la barista e relegarle un sorriso trionfante, quasi a dimostrarle che non era uno spostato che stazionava lì per caso; Manon lo seguì dentro il piccolo café composto da una stanza più lunga che larga e dominata in gran parte dall’enorme bancone: «Buonasera» li salutò la ragazza, sistemandosi una ciocca di capelli mossi e biondi dietro l’orecchio e fissandolo: «Desiderate?»
«Per me un café gourmand» ordinò Alex, adocchiando la foto del dessert su un menu lasciato aperto sul bancone: il caffè ricco e i dolcetti di accompagnamento lo invitavano «Mentre…» si fermò, voltandosi verso Manon e vedendola mentre faceva vagare lo sguardo attorno a sé «Che prendi?» le domandò, attirando su di sé lo sguardo e la completa attenzione della piccola.
«Un Mi-cuit au chocolat» ordinò Manon, sgambettando poi verso il fondo della stanza e accomodandosi a un tavolo basso, poggiando la borsa su una delle sedie e rimanendo in attesa; Alex pagò il tutto, aspettando poi che la ragazza facesse il loro ordine e osservandola mentre, dopo averlo riscaldato, mise su un piatto di ceramica bianca quello che sembrava essere un muffin al cioccolato e poi preparare il suo café, disponendo su un piccolo vassoio rettangolare un paio di macarons al burro salato, alcune gelatine di frutta, una mousse al cioccolato, una panna cotta e, infine, un espresso con la panna montata come aggiunta.
Una vera delizia.
Doveva assolutamente portare Xiang in quel locale.
E anche gli altri.
Era certo che miss ‘il caffè migliore lo fanno solo gli italiani’ non avrebbe avuto niente da ridire davanti a quel bendidio.
Afferrò i due piatti, raggiungendo veloce Manon e posando davanti a lei il suo muffin, osservandola mentre allungava il collo per osservare ciò che lui aveva ordinato: «Dovevo prendere quello anche io» commentò con le labbra imbronciate, mentre prendeva il cucchiaino e lo affondava nella pasta del dolce.
«Non sei un po’ piccola per il caffè?» commentò Alex, prendendo uno dei macarons e mettendoglielo nel piatto: «Ok, vorrei sapere perché hai voluto incontrarmi. Ero convinto che avresti voluto parlare con gli altri e...» Alex si fermò, aggrottando lo sguardo e osservando la ragazzina piegarsi verso la borsa e tirare fuori un bloc notes e l’astuccio ben carico di matite: «Che vuoi fare?»
«Prendere appunti» dichiarò Manon, aprendo la cerniera e recuperando una penna dalla busta rosa chiaro: «Mentre tu mi spiegherai la storia dei Miraculous.»
«Vuoi prendere appunti?»
«Certamente.»
«E se per caso qualcuno li legge?» Alex scosse il capo, prendendo una delle gelatine e addentandola: «Che succede se tua madre o una tua compagna di scuola legge gli appunti?»
«Dirò che sono per una fanfiction.»
«Prego?»
«Sei un nerd e non sai cosa sono le fanfiction?»
«So cosa sono le fanfiction» bofonchiò Alex, incrociando le braccia e assottigliando lo sguardo: «Ma prendere appunti…»
«Fidati, nessuno li leggerà e, se mai succederà, se dirò che sono per una fanfiction mi crederanno subito.»
«Tu le scrivi, eh?»
«Cosa? No. Non ancora» Manon socchiuse gli occhi, scuotendo la testa e, una volta aperte nuovamente le palpebre, puntò lo sguardo sul ragazzo: «La storia dei Miraculous.»
«Te la racconto perché così non romperai se mai parleremo di fatti che tu non sai. Ok?»
«Ok.»
«Allora...» Alex si fermò, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé e annuendo poi ai suoi stessi pensieri: «I kwami che hai conosciuto, molto ma molto tempo fa, erano esseri umani: vivevano su un’isola, il ricordo di un impero che ormai è andato perso nella memoria degli uomini ed è sfociato nel mito…»
«Atlantide?»
«Esattamente.»
«C’erano due isole: Daitya, quella in cui vivevano i kwami quando erano umani; e Routo, una sorta di isola gemella, i cui regnanti erano ossessionati dal potere di controllare il Quantum, tanto che crearono una specie di catalizzatore in modo da sfruttarlo.»
«Che cosa è il Quantum?»
«Un’energia che scorre nel nostro pianeta, Xiang l’ha paragonata al sangue. Senza Quantum non ci sarebbe vita.»
«E quelli di Routo lo volevano.»
«Esattamente.»
«E crearono questo catalizzatore.»
«Per fermare la minaccia di Routo, i sacerdoti di Daitya chiesero sette volontari dal popolo, in modo da eseguire un rituale e fermare Routo: questo rituale consisteva nell’infondere di Quantum i sette e…»
«E tramutarli in kwami?»
«Sì. Il risultato fu questo, anche se i sacerdoti non erano a conoscenza di cosa sarebbe successo e che tutto ciò avrebbe portato alla distruzione della loro isola; si salvò solo un uomo, Gyrro, e un bambino di nome Kang. Questi due, assieme ai sette kwami, viaggiarono fino ad arrivare a Nêdong, in Cina, e qui trovarono un tempio dove vennero ospitati e dove iniziò il culto dei Miraculous. I sette gioielli diventarono un qualcosa di mistico da adorare e presto Gyrro comprese il motivo per cui era stato salvato: era il primo Gran Guardiano dei Miraculous e il suo compito era quello di trovare persone adatte e donare a loro i Miraculous, in modo da fermare le forze del male» Alex si fermò, prendendo la panna cotta e giocherellando con il cucchiaino: «Ma non furono i soli a salvarsi, anche qualcuno di Routo ci è riuscito e adesso ha deciso di prendere i Miraculous.»
«Quindi il cattivo che gli eroi stanno affrontando viene da Routo?»
«In verità non sappiamo se è qualcuno che si è salvato di Routo o ha solo legami con esso.»
Manon annuì, socchiudendo gli occhi ed elencando nuovamente dentro di lei tutto ciò che aveva appreso: «E’ una storia incredibile» mormorò, scuotendo il capo: «E immagino che sia molto più complessa di come me l’hai raccontata.»
«Un poco. Ti ho fatto il riassunto veloce.»
La ragazzina annuì, osservando il foglio bianco intonso da ogni appunto che aveva avuto in mente di prendere: «Come posso aiutarvi io? Non so niente e…»
«Come hai fatto finora? Aiutato Thomas con le scuse? Magari potresti fornirne anche agli altri, se mai ne avessero bisogno.»
«Solo questo?»
«Il maestro Fu dice sempre che anche un piccolo sasso può smuovere le acque.»
«Filosofia cinese?»
«No, penso l’abbia sentito in tv.»


Qiongqi osservò ciò che lo circondava dall’alto dell’enorme monumento in marmo bianco che dominava le strade sottostanti: l’Arco di Trionfo, l’opera voluta da Napoleone Bonaparte per sancire la sua vittoria nella battaglia di Austerlitz e sarebbe stato anche teatro del suo trionfo.
Colpì la pietra candida con la lancia, osservando l’energia ocra modellarsi e dare forma a una creatura: «Vai, mia creatura, vai e distruggi i Portatori» ordinò, osservandola atterrare nel piazzale sottostante e urlare piena di rabbia.
Presto sarebbero arrivati, portando a lui i sette gioielli di Daitya.
Presto avrebbe vinto, dimostrando al suo signore chi era l’unico degno di fiducia.
Presto sarebbe stato il trionfatore.

   
 
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