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Autore: TheSlavicShadow    13/07/2017    3 recensioni
Caso: Terra-3490.
Il 47esimo modello pacifico ha beneficiato principalmente dalla relazione tra Capitan America, Steve Rogers, e Iron Woman, Natasha Stark.
Agendo da deterrente per i comportamenti più aggressivi degli altri, ha consentito al Reed Richards di questa Terra di portare a termine con successo il programma di registrazione dei supereroi e di avviare l’Iniziativa dei 50 Stati.
{Il ponte - Capitolo due da Dark Reign: Fantastic Four n. 2 del giugno 2009}
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Aprile 2005

 

“Tasha, sei incredibile!” Natasha aveva alzato gli occhi al cielo subito dopo aver lanciato i dadi sul tavolo da gioco. “Mi avevano detto che ti saresti presentata se fossi stato io a consegnarti il premio.”

“E infatti sono qui.” Sorridendo si era voltata verso il proprio migliore amico. Rhodes era arrabbiato ed esasperato, e lo si vedeva chiaramente. “Puoi consegnarmelo ora. Oppure l’ha già preso Obie e finirà nella sua collezione? Soffia sui dadi.”

“Non soffio sui tuoi dadi. Prendi il premio e andiamo a casa.” Le aveva spinto la mano che lei aveva messo vicino alla sua bocca, e con un ghigno aveva lasciato cadere i dadi sul tavolo da gioco. Era divertente farlo esasperare. “E togli gli occhiali da sole. E’ notte.”

Aveva riso, spingendo di più gli occhiali sul naso, mentre salutava i due uomini con cui si era intrattenuta durante la serata. Aveva mandato Happy Hogan, suo autista e bodyguard, a ritirare i soldi vinti nel corso della serata e si era aggrappata al braccio di Rhodes dopo aver buttato la giacca oltre la spalla.

“Noto che hai abbinato scarpe e camicia.”

Natasha aveva abbassato lo sguardo sulle scarpe laccate. Erano dello stesso bordeaux della camicia.

“Pepper. Mi ha fatto trovare i vestiti pronti sul letto. Dovevo solo infilarli.”

“Spero ti abbia preparato anche il bagaglio per domani.” Rhodes aveva alzato gli occhi al cielo e Natasha gli aveva soltanto sorriso. Era preoccupato. Quello era il suo modo di esprimere la propria preoccupazione di fronte a cose di non vitale importanza.

“Presumo di sì. E’ sempre molto efficiente, dovresti saperlo. Magari potreste sposarvi e adottarmi così non vi preoccupereste più separatamente per me.”

Il militare aveva scosso la testa mentre uscivano dal casinò. Chiunque avesse deciso di organizzare quella serata al Caesars Palace di Las Vegas doveva essere proprio un genio. Era la cosa più ovvia del mondo che non si sarebbe mai presentata a recuperare il premio. Passare la serata a giocare d’azzardo sì. Quello era un ottimo modo di trascorrere la serata, piuttosto che stare ad ascoltare qualcuno che ripercorreva tutta la sua vita e tutti gli obiettivi che aveva raggiunto.

“Non fare tardi domani, ti prego.”

“Farò del mio meglio.” Aveva sorriso, sporgendosi per dargli un bacio sulla guancia e lasciargli così un bel segno di rossetto.

“Happy portala a casa, ti scongiuro! Cinque minuti e già non ti sopporto più.” Rhodes le aveva messo in mano la scultura di cristallo che avrebbe dovuto ritirare sul palco e si era allontanato dopo averla accompagnata alla macchina.

“Signorina Stark!”

Aveva alzato gli occhi al cielo quando si era sentita chiamare e Happy le stava giusto aprendo la portiera della Rolls Royce Phantom con cui erano arrivati. L’uomo si era subito mosso, mettendosi sull’attenti, mentre lei continuava a rimanere girata di schiena. Sicuramente gli altri due uomini che si erano occupati della sua sicurezza durante la serata avevano bloccato l’uomo che si era avvicinato.

“Signorina Stark, sono Christopher Everhart di Men’s Health. Posso farle qualche domanda?”

“E’ carino?” Aveva chiesto a Happy ancora senza voltarsi.

“E’ il suo tipo, capo.”

Si era allora voltata, con il suo migliore sorriso stampato in faccia. E sì, era davvero il suo tipo. Alto e biondo. Abbastanza muscoloso. Mancavano solo gli occhi azzurri.

“Signorina Stark, lei viene spesso definita come un Leonardo Da Vinci contemporaneo; cos’ha da dire al riguardo?”

“E’ una stronzata, al massimo so disegnare Mister Stick.” Aveva sorriso di più guardando la faccia per nulla convinta del suo interlocutore.

“E l’altro soprannome? Mercante di morte?”

“Tutto sommato non è male. Fa un po’ D&D o qualche gioco del genere.”

“Potrebbe dare una risposta seria?”

Lo aveva guardato e si era tolta gli occhiali. Dare una risposta seria a quell’ora le stava costando davvero molto. Voleva solo tornare a casa e passare un’altra nottata a lavorare. Aveva fin troppi progetti in corso. Anche sistemare il motore di quella vecchia macchina che aveva comprato da poco.

“Senta, questo è un mondo imperfetto, ma è l’unico che abbiamo. Quando la pace sarà mantenuta senza l’utilizzo di armi, allora magari aprirò una linea di sex toys molto tecnologici.”

“Prova spesso le battute?”

“Ogni sera prima di andare a letto.” Aveva sorriso di nuovo perché notava quanto stesse iniziando ad infastidirlo. Ecco perché raramente concedeva delle interviste a qualcuno. Facevano sempre le stesse domande e lei cercava sempre di trovare nuove risposte per farli spazientire.

“Vorrei soltanto una risposta seria, signorina Stark.” Continuava a tenere il piccolo registratore puntato verso di lei, e Natasha aveva alzato gli occhi al cielo prima di guardarlo di nuovo.

“Ok, sarò seria. Mio padre aveva una filosofia: Pace significa avere una mazza più grossa degli altri.”

“Una gran bella battuta da chi le vende le mazze.”

Ora iniziava a spazientirsi lei.

“Mio padre ha aiutato a sconfiggere i nazisti. Molti lo definirebbero un eroe per ciò che ha fatto.”

“E molti altri lo definirebbero un affarista della guerra.”

“Senta, è venuto qui per fare polemica sterile oppure vogliamo parlare anche di quante persone abbiamo salvato con la tecnologia medica avanzata? O di quante persone la nostra coltura intelligente ha sfamato? Vogliamo parlare dei progressi in campo tecnologico con smartphone o tablet? Tutto grazie ai finanziamenti militari che le Stark Industries ottengono dalla fine della guerra.”

“Fantastica. Ha mai perso un’ora di sonno in vita sua?”

“Magari ne perderei qualcuna con lei.” Aveva sorriso e sapeva di averlo preso in contropiede. Lo aveva visto mordersi un labbro e osservarla. L’aveva squadrata da capo a piedi. E poi l’aveva guardata negli occhi.

Forse avrebbe passato un paio di ore piacevoli.

 

✭✮✭

 

Aveva guardato il video della consegna del premio ad un certo punto della notte. Dicevano sempre le solite stronzate. Sempre le solite descrizioni. Visionaria. Genio. Patriota americana. Il ricordo del primo circuito elettrico che aveva costruito a quattro anni. Il primo motore a sei. Il primo robot a sedici. La sua magnifica laurea. E la posizione di amministratore delegato delle Stark Industries a ventun anni. Aveva in mano le chiavi di un regno multimiliardario ed era riuscita a superare suo padre.

In cinque anni erano cambiate molte cose. Aveva ripreso possesso della propria azienda. Aveva creato armi intelligenti, robotica all’avanguardia, target satellitari. Continuava a sfornare tecnologia di uso comune sempre migliore. Le piaceva creare. Questa era una cosa che non era mai cambiata.

Anche quando creava armi. Aveva ereditato una fabbrica di produzione di armi. Suo padre aveva fatto i soldi così. Ora toccava a lei. Doveva continuare lungo il percorso che lui aveva creato, cercando di migliorarlo. Questa era l’eredità che aveva ricevuto.

“Non ci siamo…” Aveva mormorato mentre toglieva il compressore di una vecchia macchina e lo scrutava. Le casse che aveva posizionato in diversi punti dell’officina sparavano musica rock a tutto volume, anche se lei non sembrava neppure sentirla da tanto era concentrata in quello che stava facendo. “J, analizzalo.”

“Subito, signorina. Anche se vorrei farle notare che dovrebbe anche dormire. O quanto meno prepararsi per la partenza.”

Aveva guardato in alto, verso l’altoparlante della sua intelligenza artificiale, desiderando per un istante di disinstallarlo.

“Dormirò sull’aereo. Il viaggio è lungo. Ora voglio capire cosa ha questo gioiellino che non va.”

“Sarà una vera gioia quando si occuperà dei suoi figli con la stessa cura che dedica alle macchine.”

Non era riuscita a non sorridere. A volte J.A.R.V.I.S. la stupiva per quanto fosse simile al Jarvis secondo cui era stato creato. C’erano momenti in cui le sembrava che il vecchio maggiordomo fosse ancora con lei.

“Non mi ricordavo di averti creato così sarcastico, sai?”

“Imparo da lei.”

Aveva scosso la testa iniziando a smontare altri pezzi. Aveva comprato quella macchina d’epoca per una vera miseria. E voleva metterla a posto per la sua collezione. Adorava le macchine. Le aveva sempre adorate. Si era appassionata alla meccanica così, chinata sotto un cofano quando probabilmente ancora non aveva neppure iniziato a camminare. Il garage di suo padre era pieno di macchine. La sua preferita era una vecchia Rolls Royce. Quando era bambina, adorava quando suo padre o Jarvis la portavano a fare un giro con quella permettendole di stare seduta sul sedile anteriore.

La musica si era spenta di colpo e senza neppure pensarci si era voltata verso la porta dalla quale stava entrando Virginia “Pepper” Potts. Aveva guardato l’ora e poi di nuovo la donna chiedendosi come potesse essere così impeccabile alle 7 del mattino.

“Lei dovrebbe già essere sull’aereo, signorina Stark.” Aveva osservato la donna appoggiare qualcosa su uno dei tavoli. Probabilmente posta o scartoffie da firmare. E le si era avvicinata con una tazza di caffelatte.

“Pepper, io potrei sposarti.” Aveva bevuto subito un lungo sorso, alzandosi e guardando la donna. Doveva alzare un po’ lo sguardo per guardarla negli occhi, visti i tacchi vertiginosi che indossava anche quella mattina. “L’hai mandato via?”

“Sì, ha un po’ protestato e voleva vederla, tutto nella norma. Anche se una volta ogni tanto magari dovrebbe farlo lei.”

Aveva fatto una smorfia nascondendo poi il viso dietro la tazza.

Non dormiva con nessuna delle persone con cui andava a letto. Non riusciva mai a rilassarsi del tutto. C’era sempre qualcosa che non andava. E lei sapeva benissimo cos’era che le mancava ma lo relegava in qualche parte del suo cervello ed evitava di pensarci.

La maggior parte della volte se ne andava subito dopo il sesso. Andava a farsi una doccia bollente e quando tornava nella stanza i suoi partner occasionali erano già fuori gioco. Si rivestiva allora e scendeva in officina, a lavorare o dormire, dipendeva dalle notti. Spesso lavorava tutta la notte o fino a quando non crollava con la testa sul tavolo da lavoro. Solo per evitare di pensare a chi realmente volesse nel suo letto.

“Ha chiamato il Colonnello Rhodes poco fa e gli ho detto che è per strada.”

Aveva ridacchiato, buttando giù il resto del caffè e appoggiando la tazza sul tavolo.

“Oh, quante pressioni mi state facendo per questo viaggio. Avrò bisogno di una vacanza appena torno. Faccio una doccia e sono pronta. E poi, che gusto c’è ad avere un aereo privato se continuate a dirmi che sono in ritardo?” Aveva guardato i fogli che Pepper aveva appoggiato sul tavolo quando era entrata. Nuovi progetti militari. Li avrebbe guardati al suo ritorno, anche se era curiosa di vedere cosa contenessero. Spesso erano lavori minori. Solo i miglioramenti di armamenti già esistenti. Nulla era come il gioiellino che sarebbe andata a presentare in Afghanistan alle truppe di istanza lì.

Ogni tanto riusciva anche a stupire sé stessa per le cose che uscivano dal suo cervello. Non sapeva come potesse sul serio inventare certe cose e farle anche funzionare. Spesso le sembravano fin troppo futuristiche e doveva darsi un pizzicotto per capire che non era un sogno, ma che aveva davvero costruito uno smartphone davvero perfetto o un arma che superava ogni immaginazione.

Rhodes l’aspettava davanti alla portiera dell’aereo. L’aveva guardata malissimo quando era scesa dalla macchina, ma lei aveva fatto tutto con nonchalance. Era scesa, aveva lanciato le chiavi ad Happy che le aveva prese al volo, aveva aggirato il veicolo per prendere il proprio borsone nel bagagliaio e poi aveva aperto una delle portiere posteriori e recuperare il completo che avrebbe indossato alla presentazione. Con tutta la calma del mondo aveva fatto le scale e aveva sorriso a Rhodes.

“Tre ore, Tasha. Tre ore di ritardo! Potevamo già essere arrivati!”

“Un genio non è mai in ritardo, James Rhodes. Né in anticipo. Arriva precisamente quando intende farlo.” Aveva sorriso, anche perché Rhodes era mortalmente serio. “Coraggio, orsacchiotto. Non è successo nulla di grave.”

“Se hai passato la notte a guardare Il signore degli anelli ancora una volta, giuro che stavolta te la faccio pagare.”

“No, decisamente no.” Aveva fatto un sorriso malizioso mentre lo superava per entrare in aereo. “Penso che ci sarà un bruttissimo articolo su di me nel prossimo numero di Men’s Health.”

“Dovresti smetterla di portarti a letto i giornalisti. Sai che è sempre una pessima idea.” Rhodes l’aveva seguita. togliendosi il cappello militare, e stringendolo in mano. Natasha era sicura che ora le sarebbe partita un’altra paternale. “Non rispetti nessuno; né chi ti porti a letto, né me e nemmeno te stessa. Io sono il tuo babysitter personale. Ti riscaldo il biberon, ti cambio il pannolino, ti salvo il culo ad ogni occasione. E tu che fai? Ti porti a letto un altro stronzo che ora parlerà male di te, e questo riporterà a galla anche la tua storia con Stone, le vecchie foto di te ubriaca da ragazzina e solo Dio sa cos’altro. Tu non pensi mai alle conseguenze delle tue azioni. Com’è possibile che tu sia così geniale e allo stesso tempo sembra tu sia geneticamente programmata ad essere irresponsabile? E non ordinare sakè a quest’ora! Ma mi stai ascoltando almeno?”

“Era da un po’ che non nominavi Tiberius.” Lo aveva guardato, versando del sakè caldo ad entrambi mentre le hostess servivano una colazione in perfetto stile giapponese. “E’ ritornato dall’Europa, ho saputo. Magari potrei telefonargli.”

“Ecco, questo è proprio ciò di cui ti stavo parlando. Non puoi telefonargli. Cercherà di rovinarti in ogni modo. Perché mi stai versando del sakè? Ti ho detto che non bevo, non mentre sono in servizio.”

“Tu dovresti goderti la vita un po’ di più, orsacchiotto mio adorato. Magari potresti passare qualche ora piacevole con una delle ragazze. Il viaggio è ancora lungo.” Gli aveva sorriso ed era sicura, dall’espressione che Rhodes le stava riservando, che volesse soltanto buttarla da quell’aereo. E tutto sommato non riusciva a dargli torto.

“Non so neppure perché sono ancora tuo amico.”

Natasha aveva solo riso di gusto, buttando subito giù un bicchierino di sakè.

 

✭✮✭

 

Se ne stava in piedi di fronte ad un pubblico composto solo da militari. Sapeva che la stavano giudicando. Lo facevano ogni volta che doveva presentare un’arma nuova. Per questo aveva indossato il suo miglior tailleur e aveva cambiato le scarpe col tacco per un comodo paio di scarpe da ginnastica. Aveva anche deciso di legare i capelli in una morbida treccia giusto prima di iniziare a parlare.

Era scesa dall’aereo impeccabile, nonostante avesse passato una buona parte del viaggio con del vino in mano. Non si poteva dire lo stesso di Rhodes, che aveva seguito il suo consiglio e aveva passato qualche ora in compagnia di una bellissima ragazza, e al risveglio sembrava essere stato sputato da una tempesta. La divertiva vederlo stare in piedi, con l’espressione più seria che potesse avere, quando in realtà voleva solo morire da qualche parte dopo essersi imbottito di pastiglie per il mal di testa. Rhodes non aveva mai saputo sopportare bene i postumi delle sbronze, neanche quando erano all’università.

“E’ meglio essere temuti o rispettati? Io dico: è troppo chiedere entrambe le cose? Dicono che la migliore arma sia quella che non si deve usare mai. Con rispetto io non concordo. Io preferisco l'arma che si deve usare solo una volta. E’ così che faceva mio padre. E’ così che fa l'America. E finora ha funzionato piuttosto bene. Trovate una scusa per lanciare uno di questi e vi posso assicurare che i cattivi non vorranno neppure uscire dalle loro caverne.” Aveva fatto una pausa e aveva sorriso. Era orgogliosa dell’arma che stava per presentare. “Signori, vi presento la punta di diamante della Freedom Line delle Stark Industries: il missile Jericho.”

Teatralmente aveva alzato le braccia mentre sentiva partire il missile. Una volta in aria si sarebbe aperto, e 16 missili più piccoli si sarebbero abbattuti sulla montagna. Non riusciva a smettere di sorridere perché sapeva di aver superato sé stessa costruendo quel gioiellino.

Si era sentito un boato quando i missili avevano colpito la montagna e lei aspettava soltanto che lo spostamento d’aria arrivasse fino a loro.

L’onda d’urto era stata anche più potente del previsto. Aveva fatto un passo in avanti per evitare di cadere ed era soddisfatta di vedere volare via tutti i copricapi dei militari.

Si sentiva un po’ come Giosuè quando aveva raso al suolo Gerico. E si era ispirata proprio a questo quando aveva iniziato ad assemblare il missile. Un’arma che bastava usare una volta. Come monito. Come prova di supremazia bellica.

“Con un ordine di 500 milioni di dollari, questa cassa è in regalo.” Si era versata del whisky in un bicchiere dall’enorme cassa che aveva costruito apposta. I bicchieri di cristallo non si erano crepati da nessuna parte. Il whisky aveva una temperatura perfetta nonostante fossero nel deserto. E il ghiaccio non si era sciolto nemmeno un po’.

Ora voleva soltanto tornare alla base. E non voleva assolutamente rispondere a Obadiah Stane che le stava telefonando giusto in quel momento. Ma sapeva di dover rispondere. Sapeva essere molto professionale. Anche se era abbastanza schifata dal veder comparire sullo schermo Obadiah a petto nudo. Era ben consapevole che quell’uomo avesse ancora delle mire su di lei. Non era così stupida come spesso faceva credere agli altri. Era solo più facile la maggior parte delle volte.

Le aveva dato un po’ di fastidio che Obadiah le avesse telefonato per chiederle come fosse andata la presentazione. Era come se non avesse alcuna fiducia in lei per questo tipo di affari. Come se fosse brava solo a restarsene chiusa in laboratori e officine. Certo, lo preferiva di gran lunga che avere a che fare con dei militari che la vedevano solo come una donna che non doveva stare in una base militare. Sapeva bene come era vista. Ed era per tale motivo che queste presentazioni le faceva lei.

Era salita sul furgone che l’avrebbe riportata alla base non appena aveva chiuso la telefonata con Obadiah. Aveva sorseggiato altro whisky notando con la coda dell’occhio Rhodes che si avvicina.

“Orsacchiotto, questa è la Spassomobile. La Depressomobile è dall’altra parte.” Aveva ghignato mentre l’uomo la guardava male.

“Volevo solo dirti che hai fatto una splendida presentazione. Ti prego, non dare fastidio a questi soldati e ci vediamo alla base.”

Gli aveva mandato un bacio con la mano e gli aveva fatto l’occhiolino, mentre il suo furgone partiva. Aveva fatto subito mettere su musica da un vecchio lettore cd. Almeno quei tre avevano buon gusto in fatto di musica e gli AC/DC riempivano il veicolo.

Anche se per il resto c’era troppo silenzio. E lei odiava il silenzio. Doveva sempre cercare di riempirlo con le parole.

“Sono indecisa se mi state portando verso un plotone d’esecuzione o se mi state giudicando per questi tacchi che ho deciso di indossare. Sì, lo ammetto, un tacco 12 non è mai la scelta migliore su un terreno così imperfetto.”

Aveva notato il soldato seduto accanto a lei sorridere. A occhio e croce avrà avuto vent’anni.

“Lei ci intimidisce.” Il soldato alla guida aveva rotto il silenzio assordante che si stava creando.

“Oh, non mi dica. Anche lei è una donna? Non l’avrei mai detto sotto quella uniforme, però devo dire che ha davvero una voce stupenda. Mai pensato di mollare tutto questo e diventare una cantante?” Aveva sorriso, sorseggiando altro whisky. “Quanto è difficile farsi rispettare da questi qui?”

“Abbastanza.” Aveva ammesso la donna. “Ma questi due sono ottimi compagni di squadra, quindi va bene.”

Aveva allora notato il ragazzo seduto in parte a lei alzare la mano e non ci stava credendo.

“Mi stai prendendo per il culo, ragazzo? Hai sul serio alzato la mano per prendere parola?” Aveva scosso la testa quando questi aveva bofonchiato un scusi piccolo piccolo. “Coraggio, cosa vuoi chiedermi? Non ti mangio. Forse.”

“Non è che potrei farmi una foto con lei? Se poi la mostro agli altri saranno invidiosi.”

Natasha aveva ridacchiato, togliendosi gli occhiali da sole onnipresenti, mentre il soldato passava la macchina fotografica al suo compagno seduto davanti e si mettevano in posa.

“Certo che puoi. Caricala anche su internet per quel mi riguarda.” Aveva sorriso di più quando aveva visto il ragazzo fare il segno della pace. Era tutto così ironico. “Oh, sì, pace. Adoro la pace. Sarei disoccupata con la pace.”

E quello era stato il momento in cui per la prima volta si era resa conto che non sapeva in realtà nulla della guerra. Non sapeva nulla in realtà di cosa succedeva quando un convoglio veniva colpito. Non sapeva nulla di cosa fossero dei veri spari.

Lei costruiva. Lei testava. Leggeva i risultati.

Non sapeva nulla di come fossero le armi in azione.

Un attimo ridevano, scherzavano, si facevano foto.

L’attimo dopo li vedeva uscire uno dopo l’altro dal furgone, imbracciando i loro fucili. Il furgone che li precedeva aveva colpito una mina. Era esploso davanti ai suoi occhi. I soldati che erano con lei erano stati crivellati di colpi e lei non aveva potuto fare assolutamente nulla. Aveva guardato. Aveva osservato. E non sapeva cosa fare.

Nessuno ti prepara ad una cosa simile. Se sei un soldato probabilmente sai cosa fare. Se sei un civile no. Assolutamente no. Fai anche la stupida scelta di uscire dal veicolo, cercando un riparo da qualche parte.  Preghi tutte le divinità che ti vengono in mente anche se non credi in nessuna di farti uscire da quell’inferno. Quella doveva essere solo una presentazione. Quella doveva essere soltanto una toccata e fuga e tra poche ore sarebbe di nuovo stata sul proprio aereo e sarebbe tornata a casa. Sarebbe rimasta chiusa di nuovo in officina con Dum-E e U e J.A.R.V.I.S. Avrebbe di nuovo minacciato Dum-E. Avrebbe disattivato J.A.R.V.I.S. dopo l’ennesima paternale. Avrebbe lavorato. Avrebbe dormito. Avrebbe probabilmente fatto sesso con l’ennesimo sconosciuto.

Doveva tornare a casa tra poche ore.

Doveva avvertire Rhodes. Rhodes era con l’altro convoglio. Quello partito subito dopo il loro. Doveva avvisarlo. Doveva fargli sapere dove fosse. Le sue mani si erano mosse in automatico sul cellulare dopo aver trovato un riparo. Stava scrivendo un messaggio più velocemente che poteva. E le era tornato in mente Steve. Il mondo telegrafico in cui componeva le frasi quando le mandava messaggi. E odiava il fatto che Steve le fosse tornato in mente proprio in una situazione simile.

Ma non aveva mai inviato il messaggio.

Aveva alzato gli occhi quando un ronzio e successivo tonfo aveva attirato la sua attenzione. Lo conosceva. Lo conosceva perché lo aveva progettato lei.

Lo conosceva perché sul missile c’era scritto il suo nome e si era alzata più velocemente che poteva perché doveva scappare e mettersi in salvo. Perché quei missili non risparmiavano nessuno.

“Merda…” Aveva mormorato sapendo di non averne il tempo.

L’ordigno era esploso, facendola cadere sulla schiena. Le era mancato il respiro per il colpo, ma le sue mani si erano mosse in automatico.

Il kevlar non aveva avuto effetto. E sentiva la pelle del petto che bruciava sotto i tagli di un missile che aveva il suo nome stampato sopra.

 
   
 
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