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Autore: Koa__    13/07/2017    11 recensioni
John Watson, un medico reduce di guerra finito nelle Indie Occidentali, cerca di sopravvivere a una vita di solitudine e senza un briciolo di avventura. Un giorno, John fa però un incontro straordinario e del tutto inaspettato. Nella sua monotona esistenza, entrano così Sherlock Holmes, pirata della peggior specie, e la sua stramba ciurma.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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Cronaca di una morte annunciata
 




 
Tu per me sei la porta del paradiso.
Per te rinuncerei alla fama, al genio. A ogni cosa.
[Chopin]

 
 



Acquattato dietro a un folto cespuglio di mangrovie, John Watson ci rimase per appena una manciata di minuti. Preso com’era dai propri pensieri gli parve fossero trascorse delle ore. Pochi istanti dal vago sapore di eternità, durante i quali tutte le sue attenzioni si districarono in una minuziosa opera di osservazione. Di fronte a lui, pacifico e sereno, un campo di battaglia ancora inviolato si stagliava in una spianata di erba, tinta di un verde lussureggiante. Guardando avanti a dove stava ebbe la sciocca sensazione che il terreno stesso sapesse fremere della medesima tensione di chi lo occupava, come se bruciasse anch’esso di aspettativa. Quasi ogni granello di terra e sabbia non attendesse altro che il sangue versato di uno storico nemico. Capitan Holmes, notò John mentre era assolutamente perso ad ammirare la bellezza del panorama, aveva scelto un punto alquanto spettacolare. Oltre la linea della foresta, infatti, si apriva una radura che culminava in uno scoglio a picco sul mare. Ricordava di esserci già stato, in passato perché proprio in quel punto gli indigeni lo avevano condotto dopo aver chiesto di Joe, facendosi capire malamente a gesti. Certo, non erano stati in grado di dirgli poi un granché, perché nessuno parlava la sua lingua, ma con non poca fatica avevano lasciato a intendere che fosse caduto di sotto. Come avesse fatto o per quale ragione fosse salito fin lassù, quando erano alla semplice ricerca di un tesoro sepolto, mai era riuscito davvero a comprenderlo. Fu mentre ci rimuginava ancora che si ricordò delle parole che Sherlock aveva pronunciato il giorno precedente, subito dopo lo sbarco. Si trattava di un mezzo discorso, confusionario e malamente espresso durante il quale aveva accennato al fatto che Moriarty si trovasse lì la notte in cui era morto Joe. Tuttavia, distratto come lo era stato e fin troppo preoccupato per quell’incontro, aveva smesso di pensarci. Ora, invece, ogni dubbio o incertezza riaffiorarono sulla punta della lingua, affollandogli la mente. Come accidenti era possibile che Moriarty sapesse che Joe sarebbe stato lì quella notte? Ma più di ogni altra cosa, come poteva il pirata bianco essere a conoscenza di simili dettagli? John parlava con fatica di quel periodo. Il senso di desolazione che aveva provato dopo aver scoperto di essere rimasto solo su un’isola senza civiltà, era stato immenso. Grande solamente quanto il suo sentirsi abbandonato. Da un attimo a quell’altro si era ritrovato preda degli eventi e costretto ad affidarsi alla buona sorte, con un’unica piccola barca a remi come mezzo per la fuga e una mappa disegnata sul petto. Se avesse anche solo potuto sperare nella salvezza sarebbe stato costretto a racimolare tutto il coraggio che gli era rimasto, dato che l’unica persona che sapeva come andarsene da quel posto sperduto di Dio, era morta. Ne aveva parlato a malapena con Sherlock, raccontandogli quel tanto che poteva dirsi sufficiente a far comprendere il disagio e la rabbia provati. Gli aveva anche accennato di esser rimasto per un giorno intero lì sopra a guardare il mare, intento a dare l’estremo saluto a una delle persone più affascinanti che gli era capitato d’incontrare. Di Joe non aveva mai saputo nemmeno il cognome, a stento ne conosceva la storia. Eppure lo aveva sentito molto più vicino di quanto non lo fosse stato ai suoi genitori o a sua sorella Harrieth; e Sherlock sapeva di quei sentimenti. Quindi dove stava il senso di tacere un qualcosa di tanto importante? C’era un motivo, come diceva sempre Victor? Stando a chiunque su la Norbury, capitan Holmes ne aveva uno per qualsiasi cosa facesse. Persino per restarsene chiuso in cabina per giorni senza mangiare. A John era sempre sembrata una sciocchezza e un comportamento alquanto infantile, ma ora non poteva non pensare a quale oscura giustificazione si sarebbe votato. Doveva esserci un perché, questo era certo ma per quanto si sforzasse di concepire una qualche idea decentemente logica, proprio non lo sapeva.

Sì, John Watson conosceva la scogliera. Ricordava di aver fissato per delle ore l’infrangersi delle onde sulla parete di roccia nuda, guardando le acque scure dell’oceano radunarsi in una delicata spuma bianca. Rammentava di non aver visto scogli al di sotto, né massi appuntiti sbucare dal mare. Nonostante questo, certamente non era il posto migliore dove inscenare un duello. Quindi per quale diavolo di ragione quell’idiota di un pirata aveva scelto quello per il suo appuntamento? A meno che il suo piano non fosse molto più articolato di quanto credeva di aver capito. Probabilmente non desiderava semplicemente uccidere James Moriarty, ma aveva in mente un qualcosa di diverso. Già e cosa? Che diavolo aveva intenzione fare? Scansò subito l’ipotesi di un’alleanza, l’aveva rifiutata almeno una volta (da quanto gli era parso di capire da certi discorsi di Victor) e poi, capitan Holmes detestava i corsari e il loro essersi venduti al miglior offerente. Eppure non c’era altro che gli venisse in mente e per quanto si impegnasse, non sapeva come fare per dare un senso a un’idea del genere. Perché non ucciderlo e basta? Sherlock Holmes era pur sempre un criminale, un feroce pirata. La gente già credeva che fosse un assassino, nonostante la realtà fosse ben diversa. Per quale motivo non comportarsi come tale, anche se per una volta soltanto? In fondo non si trattava di togliere la vita a un uomo innocente, ma quella di un nemico. Di un qualcuno che, sebbene portasse la divisa della marina britannica, era un bastardo figlio di un cane. Perché non si limitava a ucciderlo a gettarne il corpo in mare? Magari perché non voleva macchiare la Norbury e i suoi uomini (o se stesso) di un delitto a sangue freddo? Possibile, però, che l’etica e la morale del pirata bianco fossero nobili sino a quel punto? Tanto da mettere a rischio la propria vita? Mentre se lo chiedeva, rimuginando su mille mezze idee, di nuovo la sensazione che ci fosse dell’altro tornò a vorticargli nella mente. Un qualcosa di segreto e nascosto, un ennesimo mistero che circondava capitan Holmes. Indubbiamente c’erano particolari riferiti al passato che Sherlock era restio a confessare, le volte in cui ci aveva provato aveva saggiato in prima persona il suo cambiare rapidamente argomento. Troppe supposizioni, aveva e nessuna risposta certa. Tutto ciò di cui era sicuro riguardava quell’ondata di paura che gli stava divorando lo stomaco. Era un terrore viscido che non ne voleva sapere di lasciarlo andare. Un malessere che lo nauseava e gli faceva vertere i pensieri su di un unico, drammatico dilemma ovvero ciò che da giorni andava domandandosi. Quell’idea folle che più e più volte aveva tentato di scacciare, gli si ripropose assieme alle parole che Victor Trevor gli aveva rivolto qualche giorno addietro. Gli aveva parlato di suicidio e sacrificio, di un piano sconsiderato e rischioso. Sì, doveva essere proprio come il suo istinto gli stava gridando ormai da troppo tempo: Sherlock voleva gettarsi di sotto con James Moriarty stretto a sé. Nell’esatto istante in cui realizzò che era davvero così che sarebbero andate le cose, il cuore iniziò a battergli furioso nel petto e il panico divampò come in un incendio. In un gesto rapido e appassionato, John sollevò lo sguardo sino a portarlo alla figura slanciata di capitan Holmes, il quale stava impugnando con vigore l’elsa della sciabola e la puntava in direzione di Moriarty. Eccoli, il pirata bianco e il suo nemico più terribile. Se ne stavano a una discreta distanza uno dall’altro e si studiavano con attenzione, avvolti in un chiassoso silenzio. Mai John ricordava di aver visto tanta determinazione nello sguardo di qualcuno ed era incredibile che il suo dolce e timido amante, avesse il volto trasfigurato da un disprezzo tanto grande da divenir palpabile. Aveva occhi piccoli, chiusi in una fessura, la bocca contratta in un ghigno storto e la figura del corpo tesa così come i muscoli guizzanti e pronti alla lotta. Non aveva idea che cosa stessero rimuginando o chi dei due avrebbe fatto la prima mossa, ma era chiaro che entrambi fremessero dal desiderio d’ingaggiare una lotta vera e propria. Ciononostante, ancora erano immobili e zitti. Sino a quando, a un certo punto, uno dei due non spezzò gli indugi e prese parola.

«Hai apprezzato il mio regalo?» esordì Sherlock con fare criptico. Di cosa stava parlando? Si domandò, confuso. Che si riferisse all’invito scritto che gli aveva mandato tramite Anderson? Dubitava davvero che potesse essere considerato da qualcuno come un regalo.
«Sei stato un vero amore e se tu non avessi già due mogli crederei che mi stai corteggiando, sicuro che il tuo adorato Vic o quell’altro animaletto da compagnia che ti sei trovato, non siano gelosi? Voglio dire, io lo sarei. E da morire» concluse con un sibilo inquietante mentre un ghigno gli deformava le espressioni del viso. Era il diavolo, si disse John ritraendosi appena e sedando l’impulso di farsi il segno della croce. Se si fosse figurato il demonio al pari di una persona, avrebbe senz’altro avuto quell’aspetto e la stessa identica espressione che vedeva in quel momento sul viso di Moriarty. Tutti sbagliavano ad avere scrupoli, neanche Dio avrebbe esitato a ucciderlo.
«Non dire sciocchezze» replicò il pirata bianco «la mia è stata una scelta sensata.» A fronte di simili parole, però, quella maschera di finto divertimento s’illuminò di una sincera giovialità mentre una risata si levava, riecheggiando sino a svanire in un soffio che si confuse con il rumoreggiare dell’oceano. Era spaventoso e terrificante, al punto che John si ritrovò ad afferrare la pistola e ad estrarla dalla cintola senza quasi accorgersene. Poteva sparargli, anche se la distanza era molta lo avrebbe certamente colpito da dove stava.
«Ah, giusto, non gliel’hai detto. Sì, ti posso capire. I sentimenti e tutte quelle cose lì…» proseguì, gesticolando vistosamente «o magari temevi che se lo avesse saputo, il tuo grande amore avrebbe perso quell’aria adorante che ha quando ti guarda. Sai, io so tutto di te. Philip mi ha detto anche di quell’altro, il dottorino. Dove diavolo lo hai pescato quello? Ma soprattutto per cosa lo usi? Per fornicare, scommetto e dimmi… a letto com’è?» Una rabbia incontrollata prese possesso di John, che si ritrovò a stringer con forza i pugni e a serrar la mascella. Sedare il desiderio di ucciderlo con le sue stesse mani, diventava ogni stante un po’ più difficile; come si permetteva quel bastardo? Svilire a quel modo un legame meraviglioso e bellissimo, a sminuire il loro amore in quella maniera? D’istinto portò lo sguardo su Sherlock, aveva irrigidito la postura e adesso tremava di rabbia. Probabilmente un paio di settimane prima avrebbe giudicato quel silenzio come indifferenza e magari si sarebbe persino infuriato. Oggi, però, lo conosceva molto meglio e di lui riusciva a ormai a distinguere ogni espressione del volto. Era come gli aveva detto Victor il primo giorno su la Norbury, capitan Holmes era sospiri trattenuti e battiti di ciglia, era fremiti leggeri dai quali fuoriuscivano sentimenti forse troppo grandi da esprimere a parole. In quel momento, di fronte a tanta sfrontatezza e volgarità, l’odio che il suo amato provava e il dolore che sentiva, erano tanto grandi da esser palpabili. E John la vedeva tutta, l’ira che diveniva furia e mutava in amarezza e sete di giustizia. Forse in Sherlock Holmes c’era anche un vago desiderio di mettere a tacere il proprio nemico e solo per vendicare la maniera immonda con cui aveva parlato di quel loro amore. Sì, John si sentì orgoglioso e fu proprio allora che le parole di Victor gli tornarono alla mente: “Imparerai a conoscerlo” gli aveva detto con un vago tono divertito e che ancora adesso ben ricordava. Almeno questo era riuscito a farlo, si disse appena un poco soddisfatto di se stesso.

«Non vedo l’ora di divertirmi con lui come ho fatto con quell’altro.» John tornò bruscamente alla realtà e lo fece sedando un brivido che gli corse giù lungo la schiena. Quelle parole e il tono con cui le aveva pronunciate lo spaventarono quasi. Si stava certamente riferendo al periodo di prigionia che Victor aveva subito e al ricatto che aveva riguardato Vivian Norbury e la sua testa. Ignorava cosa fosse accaduto e a quali terrificanti torture era stato sottoposto, ma sapeva che si trattava di un’angoscia ancora viva e mai del tutto superata. Quell’ombra amara che fuoriusciva di tanto in tanto tra uno scherzo e un gioco e che oscurava lo sguardo dell’amato padre Trevor, capitava spesso di riuscire a scorgerla. Fu in quel momento che capì. Che comprese che in gioco c’era molto più che il liberarsi di un nemico o di un qualsiasi ufficiale della marina di Sua Maestà. L’odio che Sherlock Holmes nutriva per James Moriarty era un qualcosa di così radicato nel suo cuore, da esser disposto a rischiare la vita pur di vederlo distrutto. E lui? John amava Sherlock e Victor, e tutti quanti gli altri de la Norbury, con così tanta forza?
«Cosa ti ha fatto?» mormorò fra sé, in un sussurro spezzato unicamente da quel nodo alla gola che gli impediva di parlare adeguatamente. Non voleva nemmeno pensarci e in un attimo, il desiderio di proteggerli entrambi gli salì con prepotenza al petto. Poi, per fortuna e sedando un brivido, tornò a concentrarsi su quello strano dialogo.
«Ho mandato Anderson» replicò immediatamente il pirata bianco, ignorando provocazioni e minacce, ma parlando a denti stretti e con rabbia «perché sapevo che se avessi incaricato uno qualsiasi dei miei ragazzi, tu lo avresti sgozzato senza neanche starlo a sentire. Cosa che credo proprio hai fatto oppure no, ma ho rischiato la vita di un traditore o forse pensavi davvero che ti avrei offerto due dei miei su un piatto d’argento? No, Anderson non meritava di morire e neanche lui che ha tradito me e i miei uomini e che mi ha venduto per qualche soldo. E sai perché? Perché anima viva su questa terra merita di morire per mano tua, tuttavia ho scelto coscientemente di mandare lui. Ho deciso per il male minore e per il bene di tutti.» John rimase in silenzio ad ascoltarlo. Lo sguardo vagamente sbigottito e la bocca spalancata in uno stupore non domo, mentre le dita si torcevano attorno alla pistola. Anderson era stato ucciso, dunque e il capitano lo aveva cacciato e spedito sulla nave di Moran il Corsaro, ben sapendo che avrebbe fatto una fine del genere. Il male minore, lo aveva definito. Aveva agito a cuor leggero o ancora portava con sé il peso di una simile decisione? John non ne aveva idea, ma pensò che non era nemmeno quello il tempo per rifletterci. Sollevato nuovamente il volto, quindi, riprese ad ascoltare.
«Oh, Sherly, il male minore… il male peggiore… ne parli come se fosse colpa mia! Voglio dire, è pur sempre un pirata, no?» ribatté, come se si trattasse di un ragionamento ovvio. «Tu mandi un criminale con malvagie intenzioni a colpirmi sulla mia nave e ti aspetti che non mi difenda? E dici di avere una logica. Ah, sono molto deluso da te, molto. Insomma, che ne direbbe Mycroft se sapesse? Ti toglierebbe tutti i tuoi privilegi, ne sono certo.» Privilegi? Di che accidenti andava blaterando? Sherlock aveva dei vantaggi rispetto ad altri della filibusta? Ed era Mycroft, questo famigerato fratello, a offrirglieli? Gli pareva impossibile. In fin dei conti era un pirata, il cui volto tappezzava i muri delle case di Antigua e il cui “valore” cresceva di giorno in giorno, lo stesso la cui cattura valeva una nomina di prestigio o un incarico a corte. Ebbene un uomo del genere aveva dei benefici? Per quanto desiderasse sapere la verità, non ebbe poi maniera di fermarsi a rifletterci sopra. Moriarty, infatti, aveva smesso di palare e ora sembrava indugiare appena, come se stesse riflettendo sul da farsi. Poi, in un attimo afferrò la pistola che teneva alla cintola e la estrasse, puntandola avanti a sé. «Forse è meglio metter fine alle tue sofferenze, pirata bianco. A proposito, che nome ridicolo. Bianco come cosa? Come la tua anima? Il tuo cuore è nero quanto il mio, Sherlock, non sei l’angelo buono e gentile che le tue mogli credono tu sia, e quando lo capiranno ti lasceranno entrambi.»

Sì, successe allora. Fu a quel punto che John uscì fuori dal proprio nascondiglio, lo fece senza pensar troppo alle conseguenze delle proprie azioni e non dando modo al proprio amato capitano di ribattere all’ennesima provocazione. Semplicemente si levò da dove stava e, impugnata per bene la propria pistola, saltò oltre i cespugli. Non vide affatto Sherlock voltarsi in sua direzione e mettersi fissarlo, incredulo e in parte arrabbiato dal suo avergli disobbedito. Nemmeno badò alle domande che gli piovvero contro e non diede una giustificazione riguardo a cosa ci facesse realmente lì, e perché non stesse andando a fortino con gli altri. No, lui, il buon dottor Watson, ex soldato ora in congedo, fuggito ad Antigua poiché in cerca di avventure e con un ridicolo senso di giustizia a dimoragli nei sensi, non aveva occhi che per James Moriarty. E con stoica determinazione, con militaresca fermezza tenne l’arma puntata in sua direzione.
«Abbassi la pistola» disse, mimando un gesto, facendogli così capire che avrebbe dovuto buttarla in mare «e la getti giù dalla scogliera» Inaspettatamente, questi gli obbedì.
 


 
oOoOo


 
Victor Trevor era un uomo stupendamente imprevedibile, ogni volta che si trovava in sua compagnia, John aveva la chiara sensazione che al suo fianco la vita assumesse i contorni di una continua e meravigliosa sorpresa. Se non si fosse profondamente innamorato di Sherlock e lui e padre Trevor si fossero conosciuti altrove, con ogni probabilità si sarebbe potuto anche prendere una bella infatuazione. Ma lì e ora, John si era detto e ripetuto che fosse l’amico migliore che potesse trovare al mondo. Principalmente erano i loro discorsi a essere fuori da un qualsiasi schema di civile sensatezza, parlando con lui si aveva sempre il sentore che da un attimo all’altro le loro chiacchiere potessero virare su un qualsiasi argomento. Tuttavia quando questi balzò fuori dalla giungla con due pistole sguainate e in volto un’espressione dura e incattivita da un ghigno che lo rendeva quasi irriconoscibile, comprese che Victor non avrebbe mai smesso davvero di sorprenderlo. O di piacergli. E infatti non appena lo vide stirò un sorriso, un divertimento sincero che s’infranse contro la durezza delle parole del pirata bianco.
«Che diavolo fate voi due qui?» tuonò capitan Holmes, severo e distogliendo per un qualche istante le attenzioni da un Moriarty stranamente silenzioso e il cui viso si era corrucciato appena di quello che pareva fastidio.
«Vengo per evitare che succeda un disastro» spiegò il prete, estraendo dalla tasca della camicia una catenella d’argento che prese a brillare sotto ai raggi del sole. Nessuno di loro ebbe davvero bisogno di osservarla con attenzione o di domandarsi che cosa fosse, John l’aveva riconosciuta subito e mentre guardava lo sberluccichio che il roteare del ciondolo produceva, si diede mortalmente dell’idiota. Aveva stupidamente creduto che Victor avrebbe proseguito con gli altri in direzione del fortino e che mai lo avrebbe seguito. Pensava che fosse un uomo fin troppo fiducioso nei confronti del proprio capitano, troppo per disobbedirgli a quel modo e mettersi a correre nella foresta in direzione della scogliera. Eppure eccolo lì, a pochi passi da dove stava. Appena un poco avanti rispetto al limitare della fitta boscaglia. Arrabbiato, anzi peggio: profondamente furioso. Victor che portava lo sguardo da John a capitan Holmes e viceversa, studiando le reazioni di ognuno di loro come se ne dipendesse la vita di tutti. Probabilmente, pensò in un barlume di amarezza, era davvero così.
«A un certo momento, Fortebraccio arriva e mi dà questa» riprese, agitando la catenella che lanciò immediatamente in direzione del capitano, il quale l’afferrò al volo. «È la collana di tua madre, Sherl. Non sarò intelligente quanto te, ma capisco come vanno certe cose. Perché diavolo me l’hai data? Ci hai messo una tua ciocca di capelli e me l’hai data, Cristo santo, che significa?» gridò, rivolgendosi direttamente a John. Aveva alzato drasticamente la voce, probabilmente senza voler urlare ma più che altro per l’impeto, per il desiderio di capire. O preso dalla foga del momento. Victor pareva un uomo più passionale rispetto a Sherlock, mostrava i propri sentimenti con più semplicità. Adesso, infatti, era sufficiente guardarlo per capire a che cosa stesse pensando. Il suo corpo si era proteso in avanti e le dita si erano strette con maggior forza alle pistole. Per quanto minaccioso potesse sembrargli, John non si fece intimidire e afferrata con ancor più determinazione la propria arma, si ritrovò a rispondere a tono. Sapeva di aver torto, ma non gli interessava.
«Perché quella collana è importante, rappresenta la nostra unione. Quella mia e di Sherlock. Se dovesse succedermi qualcosa voglio che sia al sicuro. Per questo te l’ho data e sai che c’è, Vic? Che è vero: sei migliore di me. Perché tu ti fidi talmente tanto di lui che non gli avresti mai disobbedito, anche se ti struggi per l’angoscia. Io invece sono corso qui perché so cosa vuol fare e non mi fido a lasciarlo solo.»
«Smettetela subito» intervenne a quel punto capitan Holmes, frapponendosi fisicamente fra di loro. Anche lui passava lo sguardo da uno all’altro come se non sapesse da quale parte girarsi, ma al contrario di Victor emanava una certa imperiosità. Il suo carisma innato si faceva vedere spesso e soprattutto quando impartiva ordini alla ciurma. A John era sempre piaciuto da matti osservarlo in quello stato. E gli piacque persino allora, nonostante tutto. «Mi avete disobbedito tutti e due e questo è intollerabile, avete rotto una promessa e ora entrambi rischiate la vita. Se vi ho detto di rimanere lontani è perché lui può usarvi contro di me, e lo sa perfettamente. Quindi ora vi girate e ve ne andate, procedendo di buon passo raggiungerete Fortebraccio e gli altri in una decina di minuti.»
«E io ti lascerei qui da solo a rischiare la pelle per quel figlio di puttana?» ribatté John mai così deciso e indicando James con un gestaccio della mano, un James che ancora se la rideva (e piuttosto sguaiatamente). Pareva una belva che aveva avvisato la propria preda, ma invece che catturarla e mangiarsela, vi giocava e la stuzzicava. Moriarty doveva trovarli piuttosto divertenti. «Scordatelo! Io da qua non me ne vado, non se prima non mi dici la verità. Lui era qui la notte in cui è morto Joe, io voglio sapere perché e che cosa c'entra con me e Joe. E tu me lo dirai adesso.»

Ora, Sherlock non era quel tipo d’uomo che permetteva tanto facilmente di farsi dare ordini. Per questa ragione, John si era stupito parecchio della sua remissività a letto e del suo diventare incredibilmente docile in talune occasioni. E, sebbene non gliel’avesse mai strettamente domandato, aveva anche la sensazione che gli piacesse persino il farsi comandare. Naturalmente non si permetteva mai di ordinargli alcunché, né di tirar fuori il suo grado di capitano dell’esercito e specialmente quando si trovavano sul ponte di comando o le volte in cui dava all’equipaggio le specifiche del giorno. Il suo stare sul cassero o al timone era una di quelle cose che lo rendevano intoccabile e persino per lui che ne era l’amante o per Victor, amante platonico. Tanti pudori derivavano dal fatto che sentiva che sarebbe stato meschino il far pesare la loro relazione a quel modo, perché era certo che sarebbe stato sufficiente l’indurire il tono per avere la meglio. Il pirata bianco era un capitano che non disdegnava di ascoltare le opinioni dei propri ufficiali, ma alla fine era sempre e lui a prendere le decisioni e raramente tornava sui propri passi. Tuttavia, in quei frangenti di concitazione non rifletté affatto su quelli che dovevano essere i rispettivi ruoli. Senza pensare a nulla se non al bruciante desiderio di conoscere tutto quanto, prese coraggio e gli intimò di restar fermo. Come da previsione, Sherlock chinò appena un poco la testa e dopo qualche attimo di indugio, prese a spiegare.
«Ti avevo già detto che il Corsaro Nero era interessato a quest’isola e in maniera particolare al tesoro che qui è stato seppellito più di un secolo fa, approssimativamente e secondo le mie deduzioni dovrebbe risalire dei primi decenni del ‘500. Morgan ha cercato per tutta la vita la mappa e quando l’ha trovata, Joe gliel’ha rubata e si è ammutinato.»
«Questo già lo sapevo, ma non capisco che cosa c’entri tutto questo con lui» tuonò, agitando le braccia mentre Moriarty esplodeva in una risata fragorosa.
«Questa tua nuova moglie è più lenta dell’altra, Sherly.»
«Perché voleva il tesoro» annuì capitan Holmes. «Questo tesoro. Quello che è seppellito qui. Jim ha fatto carte false pur di ottenerlo. Ha persino promesso a Morgan la carica di governatore della Giamaica, tutto pur di avere la mappa. Quando il Corsaro Nero gli ha detto che il vecchio si era volatilizzato, Moriarty ha fatto l’impossibile per ritrovarlo e c’è riuscito. Ma forse credi che su quella nave spagnola tu e Joe non siate state scoperti per grazia divina?»
«Intendi dire che quel bastardo era d’accordo con un comandante spagnolo?» domandò John, allibito. Ricordava di averlo sentito parlare di cose del genere. Accordi segreti col nemico giurato dell’Inghilterra, trattative che comprendevano traffici illeciti con Spagna e Francia, e ancora giustizialismo alquanto discutibile e vendette personali. E poi assassini, omicidi, pirateria del tutto illecite e fuori dalle sacre leggi reali. Sì, James Moriarty era una sciagura e andava fermato in un modo o nell’altro. Così gli aveva detto Sherlock e proprio così sarebbe stato.
«Credo fossero degli anni che cercava Joe, ma deve averlo intercettato in Inghilterra e da lì vi ha fatti seguire. Quando siete arrivati nelle Indie avete trovato una caracca spagnola su cui viaggiare, il capitano vi ha lasciato persino fuggire con una delle sue scialuppe. Ma qui qualcuno aveva fatto male i suoi conti, non è vero Jimmy?» sogghignò Sherlock mentre il volto di Moriarty mutava sino a divenire di una fiammeggiante ira. James doveva aver compreso di aver commesso un drastico errore e non doveva esser di quegli uomini che amavano particolarmente quando qualcuno gli faceva notare i propri sbagli. Aveva infatti smesso di ridere e teneva i pugni serrati, quasi si sentisse pronto per ingaggiare una lotta.
«Quel vecchiaccio maledetto ha fregato tutti, sapeva che senza le indicazioni era impossibile arrivare al tesoro» gridò, furente. «Quando ha capito che la volevo, ha ingoiato la mappa e si è gettato di sotto. Dannato figlio di un cane» borbottò, incrociando le braccia al petto. Fu in quel momento, mentre capitan Moriarty inveiva contro il caro ricordo del vecchio Joe, che qualcosa in quell'atmosfera tesa prese a cambiare. Già nella sua testa, uno dopo l’altro, ogni tassello di quel grande disegno stava iniziando ad andare al rispettivo posto. Ecco come avevano fatto a giunger fin lì indisturbati, perché Joe era morto e come mai aveva scelto di uccidersi a un passo dall'avere un tesoro. Il dramma, giunto a quel punto, furono quelle mezze idee che già si andavano a formare nella mente di John Watson. Una goccia, piccola e appena percettibile. Fu lei a dare il via alla tempesta. Cominciò con Sherlock che stirava un ghigno furbo ed esplodeva in una sonora e fragorosa risata. Dopo fu un turbinio di eventi e fatti che mai, mai il dottor Watson avrebbe dimenticato.
«E se ti dicessi che la mappa del tesoro è sempre stata sotto al tuo naso e senza che tu lo sapessi?» ne rise capitan Holmes e questa volta era lui a sembrar divertito. Non lo era, notò subito John. Lo aveva davvero capito dagli occhi duri e dall’espressione fredda che si portava addosso. Per assurdo, nel contempo sorrise. Sherlock non era davvero più capace di ingannarlo.
«Che intendi?» tuonò James, ringhiando al pari di una belva furiosa.
«John, per favore, slacciati la camicia.»
«Sherlock…» balbettò, spaventato perché no, non poteva credere alle proprie orecchie. Non pensava che gli avrebbe mai domandato di fare una cosa del genere e proprio lui che sapeva quale peso era stato il portare una mappa tatuata sul petto, e cos’avesse significato il doversi nascondere. Per mesi aveva celato se stesso dagli occhi indiscreti del mondo, per lunghe notti era rimasto solo, rifiutando persino al compagnia di una qualche puttana o di un amico con cui bere. In quei frangenti, per lunghi istanti rimase immobile. Fermo a guardarlo, indeciso sul da farsi o meno e profondamente spaccato a metà. Poi quella parola, piccola e appena sussurrata. Un “fidati” pronunciato a mezza bocca, detto dalle splendide labbra di Sherlock che subito si stirarono in un accenno di sorriso che andò a increspargli le guance. Per giorni e giorni si era torturato su quella parola, sentendosi alle volte persino inferiore rispetto agli altri membri dell’equipaggio. Si era quasi convinto di amarlo meno rispetto a Victor e tutto perché faticava a dargli credito. Si fidava di lui? Dell’uomo che amava e che gli aveva cambiato la vita? Più volte si era ripetuto che se lo aveva seguito sin lì significava che no, non si fidava affatto. Eppure in quel momento scelse di non pensarci e mise da parte ogni domanda e dubbio. Un laccio alla volta e la sua camicia fu tolta. Il suo segreto era stato svelato.

Il primo a uscire da quell’oblio di silenzio fu Victor, che si lasciò andare a un’esternazione delle sue. Un commento alquanto volgare e a cui Sherlock rispose con un impercettibile sorrisino, che subito andò a morire dietro a una maschera di modesto dolore.
«John Watson, come saprai» esordì rivolgendosi Moriarty, il quale con ira funesta fissava quel petto disegnato, tremando al contempo «è stato ingaggiato da Joe a Londra e poi loro due, insieme, sono venuti qui. Joe doveva aver capito di esser seguito e quindi si è procurato una sicurezza. Nella zona a nord dell’isola c’è una tribù di indigeni, sono molto bravi a fare tatuaggi. Questo dev’essere stato parecchio complicato per loro, che di solito si limitano a figure semplici, ma contiene tutte le informazioni necessarie per trovare il tesoro. E io le ho decifrate tutte.»
«Dannato vecchiaccio» sbraitò Moriarty.
«E sai, Jim» soffiò Sherlock, con disprezzo «qual è la cosa più ridicola? Che John ha vissuto ad Antigua per tutto questo tempo, sotto al tuo naso. Nessuno ne avrebbe mai saputo niente se quel giorno lui non avesse deciso di seguirmi. La vita a volte gioca strani scherzi» concluse sorridendo. Il suo divertimento tuttavia scemò subito. Fu allora che successe, accadde in un attimo e tanto che nessuno riuscì a capire come avesse fatto a esser tanto veloce. Con uno scatto, Moriarty si scaraventò contro John, saltandogli al collo. La prima a cadere fu la pistola che finì a terra, lontana da loro ed esattamente dopo che un primo pugno gli arrivasse dritto in pancia, facendo piegare John su se stesso. Sentiva grida lontane, le urla furiose di capitan Holmes giungere alle sue orecchie e subito scivolar via. Il suo istinto agì per lui, rapido e svelto. In un frangente si ricordò del coltello donatogli da Angelo e che aveva portato con sé, lo estrasse e con forza, dopo averlo cinto da dietro, lo premette al collo di Moriarty il quale si lasciò andare a gridolini di compiacimento.
«Allontanati da lui, John» lo pregò Sherlock «adesso ci penso io, tu però adesso butti il coltello e vai via con Vic, d’accordo?» Ma John non lo ascoltò e, un passo alla volta, indietreggiò sino al margine del precipizio. «Ti prego torna indietro» ripeté capitan Holmes mentre padre Trevor gli si avvicinava e gli stringeva il braccio, quasi avesse capito già tutto. Si guardarono, John e Victor. Per un lunghissimo istante i loro occhi furono drasticamente incatenati. Il prete aveva compreso che cosa stava per succedere e alla stessa maniera Sherlock, le cui lacrime già gli bagnavano gli occhi.
«Vic, la nostra promessa è ancora valida, giusto?»
«Sempre, dolcezza» mormorò, facendogli l’occhiolino e prima di rabbuiarsi. Soddisfatto, John annuì e quindi fece un altro passo indietro.

Le ultime parole furono sussurrate su lacrime salate, gli bagnarono le labbra e infine ricaddero giù sul terreno umido della prima pioggia. Pianse mentre il sole stava tramontando e quando lo disse, un tripudio di rosa e arancio colorava quel cielo all’imbrunire: «Sherlock Holmes, ti amo così tanto...» Poi, John Watson si gettò di sotto con capitan Moriarty stretto a sé. L’urlo di Sherlock fece tremare la terra e sanguinargli il cuore. Poi non sentì più niente.
 
 


Continua
 



Vorrei dirvi che un po’ mi dispiace per il “cliffangherone da galera”, ma la verità è che non è così! XD Prima di tentare la fuga, vi lascio con due note sulle citazioni.

-Il capitanato di Sherlock: mentre scrivevo mi sono resa conto che assomigliava vagamente alla filosofia di James Kirk (Star Trek) ovvero un capitano che ascolta molto il parere dei propri ufficiali, ma che alla fine è sempre lui a prendere le decisioni. Ero tentata di togliere le frasi in cui la somiglianza era più evidente, ma alla fine ho tenuto tutto e questo perché mi piaceva l’idea di mettere una citazione da una serie che amo.
-Cronaca di una morte annunciata, è il titolo di un romanzo di Gabriel Garcia Marquez.

Grazie a tutti coloro che sono giunti sin qui.
Koa
   
 
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