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Autore: BlueParadise    24/07/2017    0 recensioni
"We can beat them, for ever and ever
Oh we can be Heroes,
just for one day"
Genere: Guerra, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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CAPITOLO 9



Erano stati una dura nottata e un brusco risveglio.
La sera precedente, dopo una lunga attesa, la Professoressa McGranitt si era presentata nel dormitorio Grifondoro a tarda notte portandoci le tanto attese brutte notizie.
La madre di Isabelle Flyn era rimasta uccisa nello scontro ed entrambi i genitori di Donald Moore e Jacob White erano stati portati al San Mungo in fin di vita.
Avevo assistito alle urla disperate di Isabelle, una bambina di appena dodici anni che probabilmente non avrebbe più guardato il mondo con gli stessi occhi spensierati e al panico di Donald e Jacob, i quali, un pochino più grandicelli, erano stati materializzati dai genitori ed esentati dalle lezioni.
Quella giornata di metà settembre sembrava destinata fin dall’inizio ad essere ricordata. Non era stata solo la casa di Grifondoro ad aver subito delle perdite, Hogwarts stessa era in lutto. Alcuni ragazzi erano stati portati via dalle famiglie in fretta e furia non appena la notizia era giunta alle orecchie di tutti. Non erano serviti a nulla i colloqui in cui il Professor Silente aveva ricevuto i tanto spaventati genitori, desideroso di far cambiare loro idea. Ritirare i figli da Hogwarts sarebbe stato come rinchiudersi in casa sperando che la guerra finisse, insomma, che senso aveva?
A colazione era stato difficile consumare il solito pasto perché la Sala Grande era stata invasa da centinaia gufi che avevano portato notizie dalle famiglie degli studenti di Hogwarts e viceversa.
Alice era stata rassicurata da una lunghissima ed esauriente lettera di suo padre in cui non solo assicurava le proprie condizioni, ma anche quelle del padre di Potter. Marlene e Mary avevano spedito alle proprie famiglie la loro lettera ieri sera, dopo le comunicazioni della McGranitt e anche loro, così come quasi tutti gli altri ragazzi, avevano ricevuto risposta in mattinata. Ma non stavamo bene, nessuno di noi stava bene.
Avevo visto pochissimi sorrisi e sentito altrettante parole. L’unica che sembrava aver delle gran cose da raccontare era Amanda Benson, ma nessuno stava veramente prestandole attenzione, a parte le sue solite amiche.
Era stato difficile anche per la Gazzetta del Profeta dissimulare quanto successo e aveva addirittura dedicato all’accaduto un trafiletto in prima pagina. Ironia a parte, ovviamente il Ministro Wilson aveva dichiarato che tutto era sotto controllo. Okay, anche questa era ironia.
Trasfigurazione, ultima lezione della giornata.
La McGranitt stava spiegando tutti gli esempi di trasfigurazione umana e normale grazie ai quali un mago poteva salvarsi la vita. Si era parecchio infervorata dopo che un Tassorosso del nostro stesso anno si era lamentato di come la Trasfigurazione fosse poco utile nella vita reale.
Il modo in cui l’aveva sistemato era stato a dir poco epico e, per ripetere le sue stesse parole, chiunque con un minimo di cervello saprebbe riconoscere l’importanza della sua materia.
Elementare, Watson. O nel caso della McGranitt, sì, Signora. Certe cose non sarebbero mai cambiate.
Mary, accanto a me, era tutta intenta a scribacchiare sul suo foglio bianco spiegazzato un elaborato disegno che sembrava rappresentare le radici e il tronco di un albero nodoso. Era sempre stata molto brava a disegnare.
La lezione finì, portando un po’ di sollievo tra tutti noi, che raccogliemmo le nostre cose sfiniti e sì, bisognava dirlo, anche leggermente stressati.
Era passata una settimana dalle selezioni di Quidditch, la squadra di Grifondoro si stava allenando duramente, perciò non mi stupii quando Mary mi piantò in asso per raggiungere James Potter, alias il Capitano, e parlare di nuovi schemi di gioco che aveva sognato durante la notte. Altro che sogno, il Quidditch era un incubo.
Hagrid aveva invitato noi ragazze a prendere un tè giù alla capanna, alle quattro, sapendo bene che per quell’ora saremmo state tutte libere, ma Mary aveva detto che aveva una valanga di compiti da finire e che nemmeno una giratempo avrebbe potuto aiutarla, in più dalle cinque e mezza avrebbe avuto l’allenamento di Quidditch ed Alice, invece, non si era neanche premurata di inventare una scusa decente, la sua spiegazione era stata che già il tempo che dedicava a se stessa era poco, ma quello che passava con il suo Franky era ancora meno. Morale della favola, solo io e Lene saremmo passate da Hagrid.
E grazie a Dio la sera scorsa ne io ne James avevamo fatto la ronda, dopo che un messaggio di Silente ci aveva informati che avremmo potuto meditare tranquilli.
Il punto era che ero esausta, nel senso letterale. Necessitavo di una doccia calda e di una dormita rigenerante. Ma gli impegni scolastici e non erano sempre più pressanti, tanto che avevo iniziato ad apprezzare le ore di solitudine in biblioteca.
Ed eravamo soltanto alla fine della terza settimana di scuola, non avevo idea di come sarei stata tra sei mesi, tanto per dirne una. Pazza, magari.
Se mio padre fosse stato qui con me, avrebbe risposto che ero già matta da legare esattamente così com’ero.
Amareggiata mi resi conto che pensare a mio padre e alla mia famiglia non avrebbe risollevato il mio umore nero come il carbone, ma non potei fare a meno di ricordare il viso cordiale e sempre dolce di mia madre, rievocando alla mente immagini di lei e papà seduti vicini sul divano nel soggiorno di casa nostra. Le gambe di lei piegate lateralmente, il viso appoggiato sulla spalla di lui mentre le accarezzava ripetutamente il braccio con movimenti delicati. Le immagini dei programmi serali alla televisione scorrevano sui loro occhi, probabilmente entrambi seduti dopo aver sistemato la cucina.
Casa. Casa loro, Lily, oramai è casa loro. Non era mia perché avevo deciso che non avrei più varcato la sua soglia, non li avrei più rivisti, per la loro sicurezza.
«Signorina Evans, va tutto bene?»
Voltando il capo mi accorsi di essere rimasta l’unica in classe, cosa che non era rimasta indifferente alla Professoressa McGranitt.
«Oh sì, tutto bene, grazie» risposi con un piccolo sorriso.
Lei mi sorrise a sua volta, con quel suo fare così tipico. Gli occhi azzurro ghiaccio mi seguirono per tutto il tempo in cui impiegai a raggiungere la porta e, prima di andarmene, le augurai una buona serata.
Non potevo dire di non voler bene alla Professoressa McGranitt, anzi, era forse l’insegnante che in assoluto preferivo, non l’avrei mai detto a Lumacorno però, già non sopportava l’idea che non fossi nella sua casa.
Una sporca mezzosangue a Serpeverde, come no! Poi ovviamente mi sarei uccisa piuttosto che finire come tutti quegli idioti presuntuosi e codardi. A Grifondoro stavo più che bene, avevo trovato la mia famiglia.
«Lily?»
Remus mi stava aspettando, appoggiato a braccia conserte contro il muro fuori dall’aula di Trasfigurazione.
Ultimamente stavamo passando molto tempo insieme, iniziando ad apprezzare la tranquillità che accumunava entrambi. Il viso pallido e tirato si distese in un sorriso d’intesa, e senza dire una parola, iniziammo a dirigerci in biblioteca, complici del silenzio tanto desiderato.
Sembrava stanco, come se non dormisse da giorni, e molto affaticato. A confutare questa mia osservazione bastò il fatto che camminava lentamente, sforzandosi di tenere un’andatura normale ma senza riuscirci. Sapevo bene quale fosse la causa di tutti quei sintomi.
«Hai sentito i tuoi genitori ultimamente?» gli domandai.
Lo vidi esitare, incespicando leggermente sui suoi stessi passi. «No, in realtà no. Papà lavora al ministero, ma solitamente si tiene lontano dai guai. Mia madre invece lavora per dei babbani, quindi non corre nessun pericolo, teoricamente.»
«Devono essere delle persone splendide» dissi di getto.
Remus mi sorrise addolcito. «Sì, lo sono.»
Nonostante la tenerezza di quest’ultima frase avevo avvertito una sfumatura di rimpianto in quelle parole e, conoscendo bene Remus, era abbastanza certa che il motivo fosse la sua poca stima di se stesso.
«Lo sei anche tu» risposi sincera.
Rem si limitò a guardarmi stupito, lasciandomi capire nel suo solito modo riservato che mi era grato.
Madama Pince ci rivolse un cenno affrettato del capo quando ci vide prendere posto in uno dei tavoli più vicini all’entrata. Borbottò qualcosa e poi sparì tra i vari scaffali con una pila di libri in mano alta molto più di lei.
Iniziai con Antiche Rune, sbuffando rassegnata non appena mi resi conto che il brano che avevamo da tradurre era lunghissimo.
Non è che non mi piacesse studiare, anzi, tutto il contrario. Non ne avevo mai basta di imparare cose nuove e spesso mi capitava di sapere più del necessario. L’unico problema era che a volte, come oggi ad esempio, desideravo di voler fare tutt’altro che stare sui libri.
Ma dovevo in qualche modo iniziare, perciò mi rimboccai le maniche e mi immersi nella complicata traduzione e grazie a Godric che esistevano i dizionari runici, perché altrimenti noi poveri stolti studenti che avevamo deciso di studiare la materia non saremmo sopravvissuti a neanche due misere righe.
Remus invece si stava occupando di Aritmazia. La professoressa Vector ci aveva assegnato una valanga di esercizi da svolgere per la prossima settimana, ma li avrei fatti domani. In più dovevo ancora sistemare gli appunti di Storia della Magia ed esercitarmi in Incantesimi, senza contare il programma super complicato che stavamo affrontando in Difesa contro le Arti Oscure.
Una lunga tortura, insomma.
Trascrissi la traduzione del paragrafo centrale e passai a quella finale del brano di Antiche Rune. La professoressa Babbling si divertiva molto a consegnarci saggi a sfondo storico con una trama complicatissima e un linguaggio piuttosto difficile.
«La traduzione com’è?» mi domandò Remus facendo una pausa.
«Hai presente quando non hai la più pallida idea di cosa stai scrivendo?»
Remus mi guardò scoraggiato. «Oddio.»
«Più che altro non capisco se dovrei essere in grado di farla senza dizionario oppure se sono io ritardata. Senza aiuti è impossibile.»
Lui scosse la testa ridendo. «Mi sa che un po’ ritardata lo sei.»
Lo colpii giocosamente sulla spalla con il libro di Incantesimi ma alla fine risi con lui. «In effetti.»
Mi accorsi solo in un secondo tempo che se non mi fossi data una mossa sarei arrivata in ritardo da Hagrid.
«Oh, cavolo! Scusa Rem, ma ho promesso ad Hagrid che sarei passata da lui con Lene e sono già in ritardo!»
«Anche Marlene verrà con te?»
Nonostante stessi radunando tutti i miei libri dentro la borsa a tracolla, colsi comunque il tentativo di dissimulare la morbosa curiosità. Avrei tanto voluto chiuderli entrambi dentro una stanza e vedere cosa fosse successo, ma ahimè, non potevo farlo.
«Sì. Ci vediamo dopo, okay?»
Lui sorrise in risposta, così mi avviai velocemente verso l’ingresso principale dove avevo appuntamento con Marlene. La trovai seduta sui gradini delle scale, avvolta nella sua solita sciarpa rossa e oro da vera Grifondoro.
«Sono in ritardo?» domandai notando il suo anticipo.
«No no.»
La guardai meglio, sembrava stanca, molto più stanca di quando l’avevo vista qualche ora fa.
«Lene, va tutto bene?»
I suoi grandi occhi si sgranarono alla domanda e riuscii a scorgervi un lampo di confusione.
«Sì, cioè, non lo so per la verità.»
Scossi la testa. «Non credo di aver capito.»
«Non mi sto capendo neppure io» sospirò.
Lasciai cadere per terra la borsa e mi sedetti sui gradini della scala accanto a lei.
«Me ne vuoi parlare?»
«Non so nemmeno come spiegarti cosa provo. Sono soltanto stufa di aspettare.»
«Aspettare cosa?»
Volevo davvero provare a capire cosa non andasse.
«Tutto» rispose con un’alzata di spalle. «Hai presente? Non faccio altro che aspettare. Aspetto il prossimo attacco, aspetto il domani, aspetto di finire gli studi, aspetto un sacco di cose.»
«E sei stufa» ritentai cercando un filo logico nel suo discorso. Non che non avessi capito, tutt’altro, comprendevo fin troppo bene ciò che stava cercando di dire.
«Penso di sì, vorrei solamente smettere di aspettare.»
Un piccolo sorriso amaro mi si formò sulle labbra non appena cercai risposta. «Non penso che possiamo realmente farci qualcosa, però capisco cosa intendi dire e hai ragione, anche io mi sento continuamente impotente.»
«E come fai a non impazzire?» domandò Lene.
«Ti sembra che io sia normale? Certo che no, faccio costantemente i conti con questo problema. Ultimamente, poi, do in numeri molto più spesso di prima.»
Il sorrisetto che riaffiorò sulle lebbra di Marlene mi sembrò spontaneo. «Già, abbiamo notato.»
Sorrisi anche io di riflesso. La loro amicizia era l’unica cosa che al momento faceva scorrere le mie giornate. Ci sostenevamo a vicenda quando debolezze e paure riempivano il nostro cuore con una densa e fitta nebbia.
«Lo so bene» risposi alzando gli occhi al cielo. «Ora andiamo, Hagrid ci starà aspettando.»
Ci incamminammo insieme dirette alla capanna. Il cielo era di un grigio pallido, come se anche lui fosse sfinito, esangue dagli ultimi avvenimenti. Rifletteva un po’ il mio umore, quella stanchezza che sembrava intrufolarsi in ogni parte del mio corpo.
Il camino della piccola dimora in cui Hagrid viveva era fumante, segno che un pentolone di qualche roba pericolosa stava bollendo indisturbato.
Marlene dovette bussare due volte sulla porta in legno massiccio prima che Hagrid finalmente ci aprisse.
«Oh, eccovi qui! Ci speravo che arrivaste!»
Rabbrividii quando una ventata di aria gelida ci seguì fin dentro la capanna. «Mary aveva gli allenamenti di Quidditch e Alice doveva portarsi avanti con lo studio. Si scusano per non essere venute.»
«Oh, non ci importa, non è vero Thor?» latrò Hagrid accarezzando rudemente il muso del cucciolo disteso accanto a lui. «Avete tanto da fare, lo so. Sedetevi ragazze, metto su un tè bello caldo.»
Per Hagrid significava che l’acqua sarebbe evaporata a furia di bollire. Mi lasciai sprofondare su una delle poltrone sgualcite mentre Marlene sorrise divertita. «Grazie mille.»
«Allora, come state ragazze?»
Alzai le spalle. «Considerando la nottataccia appena trascorsa, direi che non siamo esattamente in forma.»
«Ah, brutta storia. Non ci volevo credere quando mi ci hanno detto le vittime» borbottò sedendosi anche lui. La poltrona scricchiolò leggermente al contatto con l’imponente mole di Hagrid.
«Già, neanche noi. Eravamo tutti preoccupati.»
«Immagino! Dovevate vedere quanto era infervorato ieri sera Silente, ci è andato pure a parlare con il Ministro in persona!»
Lene assottigliò gli occhi interessata. «E che cosa si sono detti?»
Anche io mi sporsi leggermente, curiosa di conoscere la vicenda.
«Non lo so. Ieri sera si sono visti, però. E quando Silente è tornato, una bestia era.»
«E poi questa mattina in tanti hanno lasciato Hogwarts» aggiunsi.
«Pure quello! Come se non bastassero i problemi attuali adesso anche le famiglie si mettono a contestare. Matti! Non esiste posto più sicuro di Hogwarts.»
Sì, Hagrid aveva ragione. Finché saremmo stati sotto questo tetto, ero sicura che non ci sarebbe accaduto nulla di male.
«Il problema è che non tutti ne sono consapevoli, alcuni genitori ritengono di poter proteggere meglio i propri figli segregandoli in casa» disse Lene.
«E quindi Silente si è visto con Wilson?»
Hagrid annuì. «Non so altro.»
«Immagino sia una situazione difficile per tutti.»
Probabilmente Silente stava cercando di gestire la circostanza al meglio e questo lo aveva portato a discutere con Wilson su come far fronte all’emergenza.
«E quel barbuto del Ministro non vuole farci niente!»
«Sì, lo sappiamo» risposi. Hagrid si alzò con un impeto furioso e versò il tè bollente in due grosse tazze dai bordi sbeccati.
«Quello è un mentecatto, ve le lo dico io!» borbottò risedendosi.
La bevanda fumante mi scaldò le mani leggermente fredde. Si stava avvicinando l’autunno, riuscivo a percepirlo nell’aria.
«Stai bene, Hagrid?» domandò Marlene. Doveva aver notato anche lei il viso nervoso dell’uomo seduto accanto a noi. Raramente Hagrid era di pessimo umore, non accadeva quasi mai.
«Non ci dovete preoccupare per me.»
«Ma Hagrid, tranquillo. Con noi puoi parlare» lo rassicurai.
«È una sciocchezza» rispose. «Voi avete sicuramente altro a cui pensare …»
Sorrisi con dolcezza. «No invece, siamo qui per farti compagnia.»
«Oh, d’accordo. È stupido, ma ci vorrei fare qualcosa.»
Marlene posò intenerita una mano su quelle grandi e chiuse a pugno di Hagrid. «Anche noi lo vorremmo, assolutamente.»
Erano mesi, oramai, forse anni, che mi sentivo impotente. Non potevo fare nulla se non guardare il mondo cadere lentamente a pezzi, senza avere niente con cui difendermi. Brancolavo nel buio, sperando ingenuamente che non accadesse mai nulla di male alle persone che amavo.
«E non è affatto stupido» aggiunsi.
Non lo era perché testimoniava la speranza su cui ancora facevamo affidamento. Avrei tanto voluto poter fare qualcosa, schierare la mia mossa in questa partita a scacchi infinita.
Hagrid sorrise toccato e il suo viso ispido e paffuto si distese bonariamente.
«Ci sapete fare voi due, eh?»
«Vorremmo saper fare di più» rispose Lene.
«Ah, no. Basta tristezza!» vociò Hagrid. «Raccontatemi, come stanno andando le lezioni?»
«Un incubo, non abbiamo neanche più il tempo di respirare.»
Passarono diversi minuti, forse addirittura un’ora intera. Parlammo di svariati argomenti davanti ad una tazza di tè fumante, cercando di dimenticare le ombre che strisciavano malignamente nelle nostre giornate.
Fuori dalla finestra appannata dal vapore acqueo il tempo era scuro, buio ormai. Si era fatta sera e le stelle del cielo scozzese avevano incominciato ad illuminare l’aria notturna di questa giornata di fine settembre. Thor si era addormentato accanto al fuoco e Hagrid aveva preso ad osservarlo con divertimento.
Io e Lene lo salutammo con un sorriso e ritornammo al castello soddisfatte del pomeriggio. In Sala Comune il caos era meno evidente rispetto alle altre serate. Il clima teso e irrequieto della giornata non era ancora volato via. I più piccoli parlavano tra loro tranquilli e alcuni erano semplicemente seduti in silenzio, osservando il vuoto con occhi annebbiati.
Scorsi Peter Minus giocare a gobbiglie con un ragazzino del terzo anno. Mi chiesi dove fossero finiti i suoi tre compari, ma ricordai che Black e Potter dovevano essere ad allenarsi e Remus, con ogni probabilità, ancora chino su qualche tomo voluminoso.
Io e Marlene ci dirigemmo insieme verso la nostra stanza, salendo le scale della torre con famigliarità. Di Alice ancora nessuna traccia, anche se sapevo che il responsabile della sua scomparsa doveva essere Frank. Dove sparissero, però, sarebbe rimasto un mistero.
Martin celebrò il mio ritorno con gioia, facendosi coccolare beato, mentre Lene si chiuse in bagno. Dopo poco sentii le tubature dell’acqua sibilare, segno che era sotto la doccia. Con uno sbuffo mi distesi sul letto, chiudendo gli occhi.
Caddi in un pesante stato di dormiveglia, sentendo il mio corpo rilassarsi gradualmente.
Avevo bisogno di una pausa, desideravo soltanto un po’ di tranquillità per poter continuare la mia vita. Eppure, giorno dopo giorno, il pericolo sembrava farsi maggiore e la sofferenza divenire sempre più intensa. Volevo solamente vivere senza aver paura di farlo, ma forse era chiedere troppo.

****

Lasciammo il campo affaticati e più affamati che mai. L’allenamento era stato produttivo e stavamo lavorando duramente in previsione della prima partita del campionato, tra poco meno di un paio di mesi. Volevo impegnarmi al massimo, dato che sarebbe stato il mio ultimo torneo di Quidditch.
Elise e Oliver sembravano andare d’accordo con il resto del gruppo e stavano imparando piuttosto in fretta le dinamiche di gioco.
«Stiamo andando bene» dichiarai sulla strada verso il castello.
Sirius annuì in sintonia, sorridendo stanco. «Ci hai distrutto.»
«Forse dovremmo lavorare di più sulla velocità.»
«Secondo me non serve» replicò lui. «Altrimenti rischiamo di perdere la concentrazione.»
Il resto della squadra, poco più avanti, stava commentando l’esito dell’allenamento e mi sentii soddisfatto quando anche loro costatarono l’impegno che stavamo dimostrando.
«Ho bisogno immediato di cibo» mi lamentai.
«Io di una doccia.»
Finalmente il weekend tanto sospirato era arrivato e potevo permettermi un po’ di svago. Non che avessi chissà quanto tempo a disposizione, ma una bella dormita non sarebbe mancata, dopodiché avrei dovuto pensare all’enorme quantità di compiti per la prossima settimana e allo studio arretrato.
Quando arrivammo in camera trovammo Peter disteso sul letto.
«Era ora che arrivaste.»
«Ti sei annoiato senza di noi, Wormtail?»
«Remus è così noioso, è in biblioteca da questo pomeriggio.»
 «Puah» borbottò Sirius teatralmente.
«Tutto solo soletto?» domandai.
«Mi pare che la Evans gli abbia fatto compagnia per un po’» rispose noncurante. «Ma l’ho vista in Sala Comune con la McKinnon poco fa.»
Immediatamente drizzai le orecchie, interessato come sempre a tutto ciò che riguardasse Lily. Fu proprio in quel momento che Moony fece il suo ingresso nella stanza, portando con sé una quantità inimmaginabile di libri.
«Secchione» sghignazzò Padfoot.
Moony alzò gli occhi al cielo e raggiunse il suo letto con fatica. I sintomi di ciò che sarebbe successo di qui a pochi giorni erano ormai più che evidenti. Profonde occhiaie, affaticamento e spossatezza. Sapevo bene che camminare sarebbe diventato un dolore a malapena sopportabile e Remus avrebbe avuto bisogno di noi per arginare la stanchezza.
«Lily era con te?»
«Sì, poi è andata a trovare Hagrid con Marlene.»
Annuii e posai con attenzione la mia meravigliosa scopa nel suo prezioso angolino. Il mio interesse venne catturato nuovamente dalla lunga lettera tutta spiegazzata posata sul comodino accanto al letto. Mi era stata recapitata dal gufo di famiglia questa mattina e aveva rappresentato un briciolo di speranza in questa giornata senza apparente gratificazione. Mio padre e mia madre avevano assicurato che non era capitato loro nulla di male, considerato poi che papà, in quanto auror, si era precipitato immediatamente nel pieno epicentro della battaglia e aveva combattuto tenacemente.
Non aveva deciso di affrontare l’attacco soltanto perché il suo lavoro, in un certo qual modo, lo costringeva a farlo, ma perché mio padre era fatto così. Ed io ero fiero di poter ammettere di assomigliare a lui in questo, entrambi non ci saremmo mai tirati indietro di fronte ad una sfida. Mai, anche se questo voleva dire accettare di poter perdere, in questo caso addirittura la vita.
I miei genitori lottavano per uno scopo, si battevano con coraggio e non potevo biasimarli. Naturalmente mi ero dato pena fino a quando non avevo ricevuto loro notizie e ovviamente questo sarebbe sempre successo. Però ero cresciuto e avevo capito che le loro intenzioni erano nobili ed eroiche, anche se questo voleva dire rischiare giorno dopo giorno. Avrei voluto che non dovessero farlo, ma non potevo di certo chiedere loro di rinunciare a fare la differenza.
«Fissi quella lettera come se ci potessi trovare tutte le risposte del mondo.»
Sirius, aveva in parte ragione, ma lui non era stato da meno, aveva sofferto esattamente come me, anzi, l’assenza di informazioni lo aveva reso senz’altro più nervoso e irascibile. E quando la lettera era arrivata la gioia sul suo viso era stata intensa quanto la mia.
«Una risposta l’ho avuta, almeno» risposi. «Stanno bene, mi basta questo.»
Io e Padfoot avevamo impiegato l’intera mattinata per scrivere due righe che esprimessero tutto il nostro sollievo. Sir era mio fratello, parte integrante della famiglia, e voleva bene ai nostri genitori in maniera incredibilmente autentica.
«Quando Silente ha annunciato quello che era successo non ci volevo credere. Per pochi secondi ho sperato realmente che fosse tutto un grande, gigantesco errore» ammise Remus nel silenzio che si era creato.
«Io ho visto i loro visi, dei miei genitori, nitidi davanti a me.»
Parlare fu liberatorio.  
«So che volete saperlo» borbottò Padfoot. Sembrava eccezionalmente in difficoltà e subito ne capii il motivo. Stavamo mettendo in chiaro i nostri sentimenti e per Sirius questo era una difficoltà da sempre.
«E ce lo dirai?» domandò Remus
Mi tesi a disagio. Sirius Black e sfera affettiva non erano affatto due sostantivi che avrei accostato tra loro, tutt’altro.
Padfoot si sedette sul suo letto stringendo le mani con evidenti segni di nervosismo. Non volevo che si sentisse costretto ad ammettere ciò che aveva provato senza essere realmente sicuro di volerlo fare.
Sirius si schiarì la voce e poi alzò la testa con un’espressione atterrita che raramente gli avevo visto in volto. «Ho pensato che ne avevo abbastanza di tutta questa merda di situazione.»
Ne avevamo tutti abbastanza, su questo non avevo dubbi. Remus annuì d’accordo e Peter chiuse gli occhi in evidente stato di meditazione.
«E poi ho sperato con il cuore in gola che non succedesse nulla di male alle uniche due persone che hanno provato ad accettarmi per come sono, che mi hanno accolto come figlio loro senza riserve.»
Mi immobilizzai senza parole. Sirius aveva appena ammesso, non senza qualche difficoltà, ciò che realmente provava. E poteva sembrare poco, ma non lo era. Non per uno come lui, abituato ad ignorare tutto ciò che gli veniva suggerito dal cuore, sempre alla disperata ricerca di affetto e riconoscenza, ma per nulla convinto di meritarseli.
«Loro ti vogliono bene, dovresti saperlo» risposi esitante.
I miei genitori amavano Sirius con tutto il loro cuore. Non avevano esitato neanche un solo secondo quando Padfoot si era presentato a casa nostra con la dignità calpestata da anni di maltrattamenti malcelati. Avevano fatto il possibile per amarlo e accettarlo come meritava e io ne ero stato orgoglioso.
«Forse ti apprezzano molto più di me, tra l’altro» scherzai per alleggerire la tensione che si era creata.
Sirius stette al gioco senza problemi. «E come non potrebbero? Tutti sanno che sono migliore di te.»
«Ho detto forse, non che è così!»
«Nah, è Sirius il preferito» si intromise Moony.
«Remus Lupin!»
«Anche io voto per Padfoot» sghignazzò Peter. Sirius gli diede una pacca sulla spalla e poi si girò per dare un cinque a Remus, il quale si stava evidentemente divertendo tantissimo.
«Beh, io sono il figlio che ha regalato loro anni di gioie e soddisfazioni» piagnucolai peggio di un bambino.
«Ma smettila. Dorea mi adora, come tutte le donne del resto, e non sa negarmi nulla. Mentre Charlus probabilmente ritiene che io sia molto più maschio di te, sono il suo figlio prediletto, mi sembra ovvio.»
«Non è vero, mamma preferisce me!»
«Io patteggio ancora per Sirius» aggiunse Moony con un gran sorriso.
«Non puoi vincere, Jamie» cinguettò Sirius usando il fastidioso soprannome che mi aveva affibbiato mia madre fin da quando ero un bambino.
«Non chiamarmi in quel modo!»
«In quale, Jamie?»
«Smettila» protestai. «Quel nome è irritante.»
«Oh, il mio piccolo Jamie» continuò a sproloquiare Sirius. Si era alzato in piedi teatralmente e aveva iniziato ad imitare il tono di voce cantilenante che molto spesso usava mia madre nei rari momenti in cui si addolciva.
«Basta!»
Moony e Wormtail si stavano rotolando sui loro letti dal ridere, con addirittura le lacrime agli occhi.
«Soltanto se ammetti che io sono il preferito.»
«Tu, stronzo!» inveii.
«Sì, ma tanto resto comunque più bello di te.»
«Questo è da vedere» borbottai imbronciato.
Sirius mi rispose con una pernacchia divertita ed esibì in una posa da modello i suoi bicipiti più che evidenti. Ero io il più bello, in un caso o nell’altro.
Dopo poco tempo Padfoot si fiondò in bagno con l’intenzione di farsi una doccia, così io ne approfittai per cercare di riordinare il disordine che sembrava caratterizzare la nostra stanza. Remus mi diede una mano di sua spontanea volontà, probabilmente turbato da giorni dalla grande confusione, mentre Wormtail ci osservava con un gran sorriso, deciso a non alzare nemmeno un dito.
«Scansafatiche» lo rimbeccò Moony cercando di colpirlo con una vecchia pergamena appallottolata.
«Esistono gli elfi» rispose Peter.
«Non sono obbligati a pulire le nostre schifezze.»
Wormtail alzò gli occhi al cielo ed io scossi il capo. Avevo sempre apprezzato il lavoro che svolgevano gli elfi e mai lo avrei considerato come qualcosa di banalmente dovuto a noi maghi, sapevo che costava loro parecchie fatiche. E come diceva giustamente Lily Evans: “Da prima i maghi agli elfi domestici a prima i maghi ai NatiBabbani, il passo è breve”. E io non mi sentivo migliore di nessuno, assolutamente. Ero consapevole che i maghi non avessero nessun diritto di trattare gli elfi domestici come niente di più di servi inferiori per importanza. Ed ero quasi sicuro che la situazione sarebbe andata soltanto peggiorando, calcolando quanto i maghi sapessero essere distruttivi per chi non era come loro. Lo avevano dimostrato chiaramente le tre guerre combattute contro i folletti, le crociate ancora in atto in opposizione ai lupi mannari e ovviamente nella lunga lista i Mangiamorte e il loro Signore erano compresi. Bisognava cambiare atteggiamento e per farlo dovevamo iniziare dalle piccole cose. Ad esempio evitare di pensare che la pulizia della nostra camera, e di Hogwarts in generale, fosse dovere degli elfi domestici. Non era così, ognuno di noi era tenuto a fare la propria parte per il quieto vivere comune.
Finimmo soddisfatti di riordinare e Remus sopirò sollevato. «Ci voleva proprio.»
«Da quanto progettavi di farlo?» sghignazzò Peter.
«Un po’» rispose lui. «Stava diventando un vero casino.»
«La vera domanda è: quando mai non lo è?» esordì Padfoot uscendo dal bagno con i capelli ancora gocciolanti.
Io sollevai le spalle divertito quando Remus sbuffò. «È inutile Moony, la nostra stanza è per definizione un disastro.»
Rem borbottò qualcosa tutto concentrato a pulire il comodino di Wormtail dalle briciole di un vecchio e ormai stantio spuntino delle cinque. Per i comuni mortali era il tè delle cinque, per Peter lo spuntino.
 «A proposito, quindi come abbiamo intenzione di comportarci?» domandò Sirius stendendosi sul suo letto
«In merito a cosa?» chiesi recuperando l’occorrente per una doccia rigenerante.
Scosse il capo. «Secondo te? I Mangiamorte sono praticamente dentro Hogwarts.»
«Questo non è vero» ribatté Moony.
«Ah no? E allora spiegami quale ruolo abbiano Mulciber e compagnia, compreso mio fratello.»
Non aveva tutti i torti, soprattutto considerando quello che martedì sera avevo sentito durante la ronda con Lily. Non potevo tuttavia farne parola per via della segretezza assoluta che Silente ci aveva ribadito mercoledì mattina, quando io e Lily ci eravamo presentati nel suo ufficio per riferire quanto successo.
«Sirius, sono soltanto dei ragazzini esaltati» tentò di farlo ragionare Remus.
«Questo sì, ma davvero pensi che non diventeranno Mangiamorte?» mi intromisi io.
«So quello che mi state dicendo, so che avete ragione …»
«Lo so, provo la stessa cosa. Il cervello mi dice che, se non lo sono già, lo diventeranno di sicuro, però mi rifiuto lo stesso di crederlo» lo rassicurai.
«È uno schifo» borbottò Peter.
Padfoot annuì. «Già, quello che mi chiedo è come dobbiamo comportarci noi.»
C’erano veramente pochissime cose che potevamo fare concretamente. Eravamo semplicemente dei ragazzini, potevamo soltanto guardare il mondo distruggersi pezzo dopo pezzo.  
«Non dobbiamo comportarci diversamente dal solito. Possiamo aiutare, però, anzi, dobbiamo aiutare» risposi con cautela.
«Aiutare chi?»
Sospirai. «Tutti, Peter. Chiunque. Non ti sei accorto di quanto le persone abbiano effettivamente bisogno di aiuto? Hanno paura.»
«Tu non hai paura?» mi chiese Remus.
«Certo, continuamente, lo sapete.»
Mi rinchiusi in bagno pensando a quanto effettivamente la situazione fosse peggiorata nel giro di pochi mesi. Gli attacchi erano moltiplicati e la paura era sempre più destabilizzante, la paura ma anche il bigottismo delle persone.
L’acqua calda della doccia mi scorreva sul corpo, rilassandomi. Ripensai istintivamente a quanto la guerra avesse effettivamente cambiato la vita e di riflesso la sua qualità. Per noi ragazzi che vivevamo ad Hogwarts protetti e rassicurati questo era meno evidente che nel mondo esterno. Al castello le notizie giungevano tardivamente o attenuate dai mezzi di informazione disposti dal governo, il cui desiderio era quello di insabbiare la situazione allarmante. Beh, grazie al loro ridicolo teatrino i Mangiamorte stavano acquisendo sempre più terreno e loro ne stavano perdendo a dismisura. Come si possono stanziare fondi e misure efficaci per combattere un problema se questo non viene riconosciuto e reputato tale? La situazione faceva sinceramente rabbrividire. Tutto questo sommato al pregiudizio e alla paura, sempre più grandi da costringere intere famiglie ad entrare in clandestinità o a nascondersi. Tantissimi NatiBabbani negli ultimi mesi avevano fatto perdere le proprie tracce per paura di essere riconosciuti e quindi incarcerati, o peggio ancora, uccisi. Tra la gente si era insinuato il dubbio e i più stupidi e vigliacchi, per paura di diventare a loro volta un bersaglio dei Mangiamorte, avevano dato il via ad una sorta di “caccia alle streghe”. Peccato che non eravamo più nel Medioevo.
Ero preoccupato, forse troppo. Non per me, perché di fatto non correvo nessun pericolo, ma per tutte quelle persone a cui poteva essere fatto del male.  
Lily, martedì sera, mi aveva stupito. La sua indole combattiva era qualcosa che ammiravo, una peculiarità che la rendeva, ai miei occhi, ancora più incredibile. Quello che aveva sentito avrebbe dovuto sconvolgerla, e probabilmente così era stato, ma si era dimostrata forte, nonostante la situazione.
E calcolando come io mi sentissi costantemente, non osavo immaginare lei.
Quando uscii dalla doccia una nuvola di vapore acqueo soffocava il piccolo ambiente che era il bagno. In quell’istante mi resi conto che volevo parlare seriamente con Lily, che volevo cercare con lei un rapporto serio e responsabile, perché sì, avevo bisogno che lei facesse parte della mia vita.
Vestendomi fui pervaso da una sorta di eccitazione irrazionale. Il solo pensiero di Lily, di quella meravigliosa ragazza dai capelli rossi e dalle iridi verdi, mi faceva desiderare di essere una persona differente. Non avrei saputo spiegare con esattezza la natura di quella sensazione e neppure cosa questo avrebbe comportato, volevo solamente instaurare un rapporto che fosse il più vero possibile con la ragazza che, senza saperlo, mi stava cambiando la vita. Perciò quando scendemmo in Sala Grande per cena sfoggiai il mio miglior sorriso, malgrado la giornata storta, e salutai una testa rossa scintillante intenta a chiacchierare con Mary.
«Ehi, Capitano» mi sorrise quest’ultima.
«Potter.»
Il piccolo sorriso che Lily mi rivolse fu per me una grandissima soddisfazione e probabilmente lei stessa se ne rese conto, dato che alzò gli occhi al cielo.
Mi sedetti perfettamente eccitato e mangiai contento anche solo del suo saluto.
«Smettila, James» borbottò Padfoot.
Mi accigliai. «Di fare cosa?»
«Quella cosa.»
«Eh?»
Sirius sbuffò. «Sei un gran deficiente.»
Okay, ora ero ufficialmente confuso.
«Ancora non capisco» mi lamentai.
«Tu smettila e basta, okay?»
«Okay» risposi basito.
Padfoot ritornò alla sua cena con un’espressione strana che non seppi decifrare. Lasciai perdere, forse distratto proprio da Lily che in quel momento mi fissava stranita.
«Tutto bene?» le domandai.
Le mie parole la riportarono con i piedi per terra. Scosse la testa ripetutamente per una decina di secondi e poi sorrise, un sorriso vero, uno di quelli che raramente rivolgeva a me. Ovviamente ogni muscolo del mio corpo si tese come una molla, pronto a scattare impazzito. Sì, dovevo essere impazzito.
«Okay gente, Lily Evans ha appena sorriso a James Potter, non credevo potesse essere possibile» esclamò Alice a bocca aperta. E non era l’unica a bocca aperta, sottoscritto compreso.
«Sul serio tesoro, stai bene?» continuò Marlene sventolando e schioccando le dita davanti alla povera Lily che la fissava divertita.
Lily rise di gusto di fronte alle nostre espressioni sbalordite. «Adoro come vi siete agitati.»
«È che tu non … non hai mai sorriso a me» balbettai come un idiota.
«Sì invece, è già successo un sacco di volte, solo che ho saputo nasconderlo molto meglio di come ho fatto prima.»
La guardai sbalordito. «Hai provato a nasconderlo?»
«Beh, certo. Tu la maggior parte delle volte mi fai infuriare e mi innervosisci come pochi riescono a fare, però ci sono anche volte, pochissime, non ti agitare, che questo non succede» rispose alzando le spalle con aria disinvolta.
Porca miseria, se non fosse stato per l’atmosfera quasi surreale che si era creata mi sarei messo a cantare dalla gioia.
«Secondo me sta per avere una crisi isterica» sghignazzò Frank fissandomi divertito.
Non stavo per aver una crisi isterica! Ero semplicemente contento di questa nuova scoperta.
Mi schiarii la voce, sicuro che sarebbe tremata. «Lieto di venirne a conoscenza, Evans.»
«Ora non farci l’abitudine.»
Con nonchalance scosse ancora il capo e tornò alla sua cena perfettamente tranquilla.  
Io ero tutt’altro che tranquillo. Perché ogni cosa di lei aveva il poter di trasformare ogni cosa di me, senza che lei lo sapesse.
Remus mi fissava di sottecchi, soddisfatto e contento. Ricambiai lo sguardo con un sorriso raggiante.
Sì, ero felice. Felice perché Lily Evans aveva il potere di rendermi tale.
  
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