Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: marea_lunare    24/07/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
(14) Think, remember, live
 
Erano passati sei mesi dalla morte di Rachel.

Sei lunghi mesi in cui John era andato avanti per inerzia, combattendo per Sherlock e Rosie come aveva promesso.

Era cambiato.

Nonostante avesse perso un’altra delle persone più importanti della sua vita, non aveva ceduto.

Aveva continuato a ripetersi le parole di Rachel nella mente, trovando conforto.

Era andato avanti insieme al suo dolore, non abbandonando mai il suo compagno e sua figlia.

Aveva già commesso un errore del genere e non avrebbe mai permesso a se stesso di ripeterlo.

Aveva pianto al funerale, questo era innegabile.

Non c’era stato un cadavere, ma la cerimonia era stata comunque celebrata.

Venne tormentato per settimane dall’idea che sotto quella lapide non ci fosse un corpo, che non sapesse che fine avesse fatto il cadavere della ragazza.

Sherlock lo consolò meglio che poté con i suoi semplici e piccoli gesti che aiutarono il dottore a guarire in parte.

Watson cercava di distrarsi in tutti i modi evitando che i suoi pensieri tornassero alla morte di Rachel, perché sapeva che sarebbe stata la fine.

Aveva fatto una promessa a sé stesso e aveva intenzione di mantenerla.

 
 
Un giorno tornò tardi per l’ora di pranzo, dopo un estenuante turno nel suo studio medico.

Salendo le scale sentì il rumore della tastiera del laptop di Sherlock.

Erano quasi quattro del pomeriggio e il detective era davanti al computer, scrivendo freneticamente.

“Hey” sorrise il dottore, appoggiando la ventiquattr’ore per terra e mettendo da parte il cappotto.

“Ciao John” rispose Sherlock senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

“Che stai facendo?”

“Ricerche”

“Per cosa, se posso sapere?” chiese Watson preparando due tazze per il tè.

“Un caso”

“Oh, d’accordo”

Ci furono cinque minuti di silenzio in cui John aspettò che l’acqua bollisse.

Una volta messo il tè in infusione, si avvicinò al consulente.

Gli lasciò un leggero bacio sulla tempia destra, appoggiando entrambe le mani sullo schienale della sua sedia e sbirciando per vedere che tipo di ricerche stava conducendo.

“Tabulati d’ospedale? A cosa ti servono, Sherlock?”

“Te l’ho detto, John, per un caso”

John non gli credette e quando vide uno spesso libro ricoperto di velluto rosso, ricevette la conferma ai suoi sospetti.

“Il caso Rachel?” chiese con voce piatta.

Il detective smise per un secondo di scrivere, un’esitazione che gli costò molto, facendo saltare ogni copertura.

“Sherlock, spero che tu stia scherzando” disse il dottore afferrando l’album di fotografie e allontanandosi dalla scrivania.

“John, io-”

“Tu cosa? Perché continui ad illuderti, Sherlock?”

“Non mi sto illudendo, John. Sono certo che Rachel è ancora viva”

“Sherlock, ma ti ascolti almeno? Tu stai dicendo che Rachel è viva quando in realtà l’ultima volta che l’abbiamo vista è stato sei mesi fa, mentre aveva un’emorragia in corso che se l’è portata via!” rispose Watson con rabbia.

“John io le ho sentito il polso!”

“Oh santo cielo, di nuovo con questa storia? Sherlock eri mezzo addormentato, tua sorella ci aveva narcotizzato!”

“Invece tu John eri mezzo impazzito per il dolore e sai bene che quando sei coinvolto emotivamente non conta più nulla!” affermò il detective alzandosi in piedi, allungando la mano aperta verso di lui “E ora ridammi quell’album”

John non gli diede ascolto e si sedette in cucina, aprendolo in una pagina a caso.

Immediatamente il suo cuore venne travolto da un’ondata di malinconia che gli spense il sorriso.

In silenzio, Sherlock si avvicinò e gli si sedette di fianco, guardando anche lui quelle foto.

“Questa ce l’ha scattata la signora Hudson” disse il consulente sottovoce, indicando una foto che ritraeva lui, John, Rosie e Rachel in salotto.

Sherlock suonava il violino, mentre John stava giocando con sua figlia e Rachel leggeva un libro spaparanzata sul divano.

Una piccola immagine familiare che il flash aveva impresso per sempre sulla carta lucida, grazie al dolce pensiero dell’anziana padrona di casa.

Vide la cascata di capelli rossi della ragazza e ripensò ai suoi enormi occhi verdi.

Mancava molto a tutti, Sherlock compreso.

Al suo funerale il detective non aveva pianto. Semplicemente si era portato con sé il violino e aveva suonato durante la cerimonia, commuovendo tutti quanti.

John lo aveva ringraziato mille volte, perché quel gesto era valso più di qualsiasi esternazione emotiva.

Guardò negli occhi l’uomo al suo fianco, riuscendo a vedere ancor più nitidamente quale fosse il suo valore, quanto buono fosse e quanto amore gli avesse dato nell’arco di quei sei mesi. In silenzio, ma facendosi comunque sentire.

Aveva promesso di combattere.

Aveva fatto un voto.

“Ne sei certo, Sherlock? Sei assolutamente sicuro di non esserti sbagliato?”

“No, John. Non ne sono del tutto certo, ma so che c’è più del 50% di probabilità che io abbia ragione” rispose Sherlock sorridendo, sfiorandogli la base del collo con una carezza.

Watson chiuse di scatto l’album e si alzò.

“Va bene. Coraggio, diamo un’occhiata a quei tabulati” disse sedendosi di fronte al PC.
 
 
 
 
 
“Rachel…”

Silenzio.

“Rachel, tesoro, svegliati”

Si sentì chiamare come in sogno.

Ogni suono ovattato, come se avesse le orecchie tappate.

Alzò lentamente le palpebre ma non vide nulla attorno a sé, solo buio.

Ebbe paura di essere diventata cieca.

Poi i suoi occhi iniziarono a ritrovare il bianco della luce.

Quando finalmente mise tutto a fuoco, si trovò stesa su un letto d’ospedale.

Non vide finestre, non vide medici, non vide macchinari attaccati al suo corpo.

“Rachel…”

Di nuovo quella voce così familiare la chiamò.

“Mary? Mary, sei tu?” chiese la ragazza girando la testa alla sua sinistra.

Accanto al suo letto, su una poltrona nera, era seduta Mary.

Al suo fianco una poltrona rossa era vuota, come se aspettasse di essere occupata.

“Ciao Rachel, finalmente” sorrise la donna, alzandosi in piedi per entrare meglio nel campo visivo dell’altra.

“Mary, cos’è successo? Mi gira la testa… Un momento, tu sei… Quindi questo significa che… sono morta anche io?”

“No, tesoro, non ancora. Quando ti hanno portata all’ospedale eri in gravissime condizioni. Sei in coma farmacologico da sei mesi, ma i medici non hanno ancora perso la speranza. Le tue condizioni migliorano giorno dopo giorno e stanno aspettando il momento del tuo risveglio mentale, per toglierti dal coma”

“Okay, con calma. L’unica cosa che ricordo è che mi sono sparata, John che piangeva… Infine un dolore lancinante che mi ha preso il petto” disse appoggiandosi una mano sul cuore, accorgendosi solo dopo di indossare un camice  color acqua marina “e poi sono… morta”

“No tesoro, non sei morta” le rispose Mary con un sorriso “Vieni qui vicino a me”

Rahcel si mise seduta con qualche difficoltà, cercando di non lasciarsi andare ai conati di vomito e ai giramenti di testa.

Aggrappandosi al letto, appoggiò i piedi nudi a terra e si avvicinò alla poltrona rossa, sedendosi cercando di non perdere l’equilibrio.

Quando si fu accomodata, si prese la testa fra le mani.

“Non capisco… Se ora sono qui con te, come puoi dirmi che non sono ancora morta? Tu sei deceduta da mesi, Mary, perciò anche io dovrei esserlo”

“Ne sei certa? Io potrei essere solamente una visione del tuo subconscio, potrei essere una tua finzione, un’immaginazione”

“Se fosse così lo saprei”

“Non è detto che tu lo sappia. La mente umana è qualcosa di non totalmente conoscibile, penso che Sherlock te lo abbia spiegato più di una volta” disse la donna accavallando le gambe.

“In realtà me lo ha detto John. Sherlock considera qualsiasi mente umana al di fuori della sua e quella di Mycroft come obsoleta, media. Praticamente al mondo sono, o meglio siamo, tutti stupidi” le rispose la ragazza sorridendo, sentendosi più a proprio agio.

“Mi mancano le nostre chiacchierate da vecchie comari” rise Mary guardandola negli occhi.

“Anche a me” rispose malinconica la ragazza.

“Ad ogni modo ora siamo qui, insieme. Perciò meglio approfittare del tempo che ci rimane. Tra poco ti sveglierai, mia cara”

“Come lo sai? E inoltre… Ancora non riesco a capire come possa essere possibile tutto questo. Io non ho mai creduto nelle esperienze di premorte, non… Santo Cielo, Mary, mi dici cosa diavolo mi è successo in quella stanza?”

“Stai tranquilla, va tutto bene”

“Come può andare tutto bene? Sono morta!” disse Rachel iniziando a mostrarsi nervosa.

“Rachel, calmati. Ci sono qui io. Analizziamo le cose con calma affinché tu possa capire in modo più chiaro possibile, d’accordo?”

La ragazza rispose con un breve cenno d’assenso, facendo dei respiri profondi per calmarsi.

“Bene. Ricordi cosa è successo quando eravate prigionieri di Eurus?”

“Ecco… Eurus ha chiesto a Sherlock di scegliere chi uccidere, se me o… no aspetta. Doveva scegliere tra Mycroft e John, sì. Dato che non aveva fatto il mio nome, ho chiesto il perché, ma non mi ha risposto. Allora Sherlock ha capito che non ci sarebbe stato scampo, che non saremmo usciti da lì senza che uno dei due morisse. Mycroft ha provato a farsi uccidere, ma Sherlock ha capito che stava mentendo. Poi… mgh!” la ragazza si bloccò di colpo, una forte fitta alla testa aveva bloccato il flusso dei suoi pensieri, facendola gemere dal dolore.

“Brava Rachel, così. Continua a ricordare. Cos’è successo poi?”

“Poi… Sherlock si è puntato la pistola sotto il mento e ha iniziato a contare, ma non ho capito perché”
 
“Dieci, nove, otto, sette”
 
“Tu che cosa hai fatto?”

“Io non ho fatto niente, almeno all’inizio. Mycroft e John hanno… Ah!”

Un’altra fitta le attraversò le tempie, facendola piegare su sé stessa.

“Gli hanno detto di fermarsi e anche Eurus ci ha provato, ma lui non ascoltava nessuno. Io non ho detto nulla perché pensavo sarebbe stato inutile, ma sapevo che si sarebbe sparato sul serio se non fossi intervenuta”

“Così tu ti sei gettata verso di lui, giusto?”

“Sì, l’ho fatto. Gli ho strappato la pistola dalle mani e mi sono sparata” continuò Rachel, accorgendosi solo dopo della macchia di sangue che le si stava allargando sul camice.

“Mary, oddio…”

“Tranquilla, tesoro. Questo non farà male. Cosa è successo dopo che ti sei sparata?”

“Non ricordo bene… Mi sono accasciata a terra, Sherlock mi aveva detto di fermarmi, John ha urlato il mio nome e mi è corso incontro, mi ha sorretta. Si è trattenuto, ma poi ha iniziato a piangere. Mi ha pregato di rimanere con lui, di non andarmene. Io piangevo perché mi sentivo in colpa, ma allo stesso tempo ero felice, perché pensavo di aver fatto qualcosa di bello, di essere riuscita veramente a salvarli. Poi è iniziata la sofferenza. Sentivo la morte sopraggiungere, avevo le palpebre pesanti, non riuscivo più a pensare. E quando… dannazione!”

Un’ennesima stilettata le affondò nel cranio, facendola alzare in piedi di scatto mentre si teneva la fronte con una mano.

“Parlami dei tuoi ultimi momenti”

“Mary, perché sento questi dolori così forti? Fa-fa male” le chiese la ragazza con voce spezzata.

“So che fa male, ma è una cosa buona. Rachel, ti stai risvegliando”

“Che cosa? Di nuovo? Mary, non posso risvegliarmi, io sono morta!”

“Ricorda, Rachel. Ricorda, forza!” rispose la donna ancora seduta sulla poltrona.

“D’accordo, va bene… Allora” la voce tremava come scossa da un terremoto “John piangeva, Sherlock mi ha chiesto scusa per non essere riuscito a salvare anche me” disse guardandola negli occhi, ricordando a entrambe il voto che il detective aveva fatto tempo prima.

“Io gli ho detto che lo perdonavo, che sarebbe ancora stato il mio angelo custode. E quando John ha ceduto, io l’ho abbracciato, gli ho chiesto di prendersi cura di Sherlock. Ah, poi ho chiesto silenziosamente a Mycroft di proteggerli entrambi…”

“Bravissima tesoro. Ci sei quasi!” la incoraggiò Mary.

“Poi… Oh buon Dio” ansimò Rachel, vedendo il sangue imbrattare sempre di più il camice “Poi ho iniziato a sentire un dolore fortissimo. Una sofferenza che mai avevo provato prima di allora, sentivo il petto come oppresso da un macigno, un peso enorme e insopportabile. Questo dolore ha iniziato a crescere sempre di più, mi sentivo… morire”

“Ma?”

“Ma…AH!” gridò la ragazza sentendo un’altra puntura stravolgerle la mente.

“Rachel, forza!” disse Mary alzandosi in piedi a sua volta.

“Mary, non riesco… Non riesco a ricordare!”

“Rachel, devi farlo! Impegnati!” le disse prendendola per le spalle.

“Ma ad un certo punto, tutto è svanito. Il petto si è liberato improvvisamente e le forze mi hanno completamente abbandonata. Non ho visto più nulla e mi sono ritrovata qui!” rispose Rachel a voce alta, quasi urlando “E’ lì che è accaduto, è lì che sono morta!”

“No, non sei morta”

“Mary…” mormorò l’altra.

Osservò il suo camice d’ospedale.

Osservò la macchia di sangue che le si propagava lungo il corpo.

Pensò alle fitte di dolore.

“Rachel, ti stai risvegliando”

“Mary…” esclamò sbarrando gli occhi “Non sono morta!”

La donna le sorrise.

“Ti voglio bene, Rachel”

“Mary, non andare via” implorò la ragazza tentando di allungare il braccio verso di lei.

“Pensa, tesoro. Pensa, ricorda, vivi”

“Mary… Io non sono morta. Io…”

“Vivi, Rachel. John e Sherlock sono in pericolo. Devi salvarli. Svegliati. Ora. Va. Li affido a te”

“IO SONO SVENUTA! MARY, POSSO ANCORA VIVERE! MARY!”
 
 


Tutto scomparve all’improvviso.

Quando la ragazza aprì di nuovo gli occhi, un nugolo di medici le ronzava attorno.

Migliaia di suoni le inondarono le orecchie.

La propria voce, gli ordini che il caporeparto dava ai collaboratori, il bip accelerato del suo battito cardiaco che risuonava nella macchina, il suo respiro pesante e le gocce di sudore che le colavano lungo il volto.

“Si è svegliata! Ha aperto gli occhi!” esclamò un’infermiera che le stava asciugando la fronte con un panno.

“Ragazzina, guardami. Ascolta la mia voce” le disse un medico dagli occhi color nocciola.

“Mary… Mary…” continuava a mormorare l’altra.

“Stai tranquilla. Va tutto bene. Hai avuto una crisi epilettica che ti ha risvegliata dal coma. Va tutto bene, ora ci prenderemo cura di te. Dimmi solo come ti chiami. Riesci a ricordare come ti chiami?” le disse il dottore con calma e voce rassicurante.

“Io… Io mi chiamo Rachel”

Un’ombra di delusione apparve sul volto del giovane medico.

“Mi dispiace, ma ti sbagli” le disse con un sorriso “Prova a pensarci meglio”

“Io mi chiamo Rachel, me lo ricordo perfettamente” gli rispose con voce impastata ma mente lucida.

“Dopo sei mesi di coma non mi stupisco che non si ricordi il suo nome, poverina” disse un’infermiera paffuta, gli occhi azzurri e un viso pieno di dolcezza “Coraggio tesoro, prova a ricordare”

“Io mi chiamo Rachel…”

“Niente, non riesce. Forse è ancora troppo presto” disse il dottore, ricevendo un cenno d’assenso dalla donna al suo fianco.

 “Se Rachel non è il mio nome, allora come mi chiamo?” chiese la ragazza, mettendosi seduta aiutata dall’infermiera.


“Ti chiami Rosamund” le disse il dottore “Rosamund Norbury
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: marea_lunare