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Autore: marea_lunare    31/07/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(15) Our daughter
 
“C-come ha detto scusi?”

“Rosamund Norbury. È questo il tuo nome”

“N-no, deve esserci un errore. Io mi chiamo Rachel” affermò la ragazza guardando spaesata il medico.

“Nella tua cartella clinica c’è scritto così, mia cara”

“Come sono arrivata qui?”

“Un’ambulanza era stata avvertita da una chiamata anonima rispetto alla tua posizione. Ti hanno trovata con la schiena appoggiata ad un pozzo, vicino ad un campo deserto. Avevi una giacca nera legata sul ventre per bloccare l’emorragia. Nessuno era con te, eppure qualcuno ha saputo dire al pronto soccorso dove trovarti. Sei entrata in coma e abbiamo aspettato a lungo il tuo risveglio. Poi hai avuto questa crisi e ti sei svegliata”

“Sono stata in coma per sei mesi, vero?”

“Sì”

“Che ore sono? Che giorno è?”

“Sono le quattro del pomeriggio del 20 ottobre”

“Dov’è la giacca di cui mi ha parlato?”

“Affianco a te, su quell’attaccapanni”

Rachel girò lo sguardo e trovò la camicia di Sherlock pulita e profumata appesa a circa mezzo metro da terra.

La prese tra le mani e venne colpita da dei flash.

La giacca.

Rosamund Norbury.

Rosamund Mary.

Norbury.

“John e Sherlock sono in pericolo. Devi salvarli. Ora. Va. Li affido a te”

 

“Posso scendere dal letto?”

“Di già? Non penso sia il caso di-“

“La prego” chiese con occhi imploranti.

“Oh, d’accordo. Hai bisogno di aiuto o ce la fai da sola?”

“Ce la faccio da sola, grazie”

La ragazza si infilò la giacca sopra il camice d’ospedale e mise i piedi a terra, cercando di non perdere l’equilibrio dovuto a mesi di inattività.

Mosse qualche passo attorno alla stanza, pregando il cielo che il suo piano funzionasse.

“Posso uscire dalla stanza?”

“In realtà preferirei di no, ma se proprio sei convinta di riuscire a muoverti fino a questo punto, almeno appoggiati al muro per non cadere” le raccomandò il medico.

Rachel uscì seguita dall’infermiera paffuta.

Si accertò di riuscire a camminare tranquillamente, aumentando pian piano l’andatura.

“Hey ragazzina rallenta! Così rischi di cadere!” l’avvertì la donna mentre la vedeva guadagnare terreno.

Senza prestarle attenzione, Rachel iniziò a correre prima lentamente per poi acquistare velocità e confidenza col suo corpo ancora barcollante.

“Fermati! Dove stai andando?” le gridò dietro l’infermiera.

La ragazza corse per il lunghissimo corridoio, guardandosi attorno.

“Dove diavolo sono?” pensò.

Ad un tratto parve riconoscere quelle porte, quei muri per metà colorati di azzurro.

Riconobbe persino l’odore di quell’ospedale che aveva tante volte visitato e di cui aveva registrato tutti i dettagli senza nemmeno rendersene conto.

“Sono a Londra… Sono al Bart’s!” esclamò raggiungendo l’ascensore.

Si trovava al terzo piano e cliccò automaticamente sul piano -1: l’obitorio.

Sapeva che lì avrebbe trovato un’amica, una salvezza.

Come le porte si aprirono, camminò il più velocemente possibile, appigliandosi alla parete.

Percorse con gli occhi tutti i corridoi in cui il piano si diramava finché non trovò il settore che cercava.

“Molly!” esclamò, scorgendo la giovane donna in camice e guanti dietro una porta a vetri, intenta ad esaminare un cadavere.

Accanto a lei Lestrade l’ascoltava, stanco ma interessato.

“Oh grazie al cielo!” si disse sorridendo.

Con una leggera spinta si staccò dal muro e aprì di slancio la porta a due ante che conduceva nella stanza.

“Molly! Lestrade! Per fortuna siete qui!” disse attirando l’attenzione dei due.

Molly restò sbigottita, Lestrade sembrò sul punto di avere un principio d’infarto.

La ragazza si inginocchiò, distrutta da tutta quell’attività fisica in un sol colpo.

“Rachel! Com’è possibile? Tu eri… Da dove sbuchi?” chiese a raffica l’ispettore correndole incontro, mentre Molly si toglieva i guanti in preda al panico e le prendeva una sedia.

“Rachel, amica mia, dove sei stata in questi sei mesi? Tu dovresti essere… morta” mormorò la patologa abbracciandola.

Lestrade la sollevò con delicatezza di peso e la fece sedere, mentre lei cercava di recuperare più fiato possibile.

“Non so come sono riuscita ad arrivare in ospedale, non lo so. Il medico mi ha detto che una chiamata anonima ha avvertito il pronto soccorso della mia posizione e sono venuti a prendermi” disse ansimando.

“Va bene, sta tranquilla” le disse Lestrade accucciandosi al suo fianco “Ora ti portiamo a casa da John e Sherlock, d’accordo?”

Rachel gli gettò le braccia al collo, stringendolo e ringraziandolo in ogni modo esprimibile a parole.

“Però dobbiamo fare attenzione, non possiamo andare con la macchina della polizia. Greg, dobbiamo lasciare il veicolo dietro un angolo della strada, poi andremo a piedi a Baker Street”

“E perché mai?” chiese Molly, infilandosi la giacca aiutata dall’ispettore.

“Perché John e Sherlock sono in pericolo. Me lo ha detto Mary”

“Mary?” chiesero in coro i due.

Rachel assentì.

“Ascoltatemi, so che vi sembrerà strano quello che sto per dirvi, ma mi dovete assolutamente credere. Non sono pazza e non mi sono inventata niente. Io credo… di aver incontrato Mary dall’altra parte”

“O cielo…” esclamò la donna.

“Molly, tesoro, io vado a prendere la macchina e la porto all’entrata sotterranea. Tu e Rachel raggiungetemi di sotto con l’ascensore”

“D’accordo, ti aspettiamo lì” rispose lei con un sorriso dolce mentre il DI usciva di corsa.

“Tesoro?” chiese Rachel mentre l’altra le cingeva la vita con un braccio per aiutarla a camminare.

Molly arrossì violentemente mentre si avviavano.

“Quante altre cose mi sono persa in questi sei mesi?”


 
 
 
“Nemmeno qui” affermò sbuffando il dottore “Stiamo cercando da un’ora e mezza e ancora nulla. Abbiamo setacciato i tabulati di Dio solo sa quanti ospedali sparsi per l’Inghilterra e niente, nemmeno l’ombra di Rachel”

“Coraggio John, ce ne sono ancora tanti altri. Dovrà pur essere da qualche parte. Sai che una persona non sparisce così all’improvviso”

“Lo so, Sherlock, lo so…”

“La troveremo, vedrai” disse il detective con voce calma e rassicurante, quel tono che a John dava sempre i brividi di piacere lungo tutta la schiena.

“Aspetta un momento, Sherlock. Dove ho detto che abbiamo cercato Rachel?”

“Come scusa?” chiese il consulente staccando lo sguardo dal suo PC.

“Ti ho chiesto: dov’è che abbiamo cercato Rachel? In quali ospedali intendo”

“Ti devo fare l’elenco di tutti i nomi degli ospedali?”

“No, Sherlock. Ripeti solamente la stessa identica cosa che ho detto io”

“Abbiamo setacciato i tabulati di solo Dio sa quanti ospedali sparsi per l’Inghilterra e niente, nemmeno l’ombra di Rachel” ripeté a pappagallo Holmes.

Non appena concluse la frase, spalancò gli occhi.

“Un momento, i tabulati del Bart’s li abbiamo già guardati” disse John meditabondo “Però aspetta un minuto. Rachel non ha un cognome” concluse guardando il compagno.

“Elementare mio caro Watson. Lei non è certificata come tua figlia, all’anagrafe ha ripudiato il cognome del padre, quello della madre nemmeno lo conosceva. Perciò lei è Rachel e basta. Però così non l’avrebbero potuta accettare in un ospedale, quindi avranno creato un cognome fittizio per lei, forse le hanno persino cambiato il nome”

“Ecco perché non l’abbiamo trovata!” esclamò Watson rincuorato.

“Esattamente” sorrise l’altro facendogli l’occhiolino “Ora cerco il file”

“Sherlock, posso farti una domanda?”

“Mh, dimmi”

“Secondo te è stata Eurus a salvarla?”

“Di che parli, John?” chiese il consulente stralunato.

“Voglio dire… Rachel non può essersi salvata da sola, se si è salvata. Non aveva il cellulare, non aveva le forze necessarie. Io, te e Mycroft eravamo narcotizzati. Nessun’altro oltre a Eurus sapeva dove ci trovavamo. Quindi deve essere stata per forza lei a salvarla. Il punto è: perché? Perché prima causarci tutto quel dolore, spingere te ad uccidere o me o tuo fratello per poi salvare Rachel? Lei stessa godeva nel vederla soffrire e io non riesco a capire come sia possibile tutto questo” gli rispose il dottore prendendosi la testa tra le mani.

“Forse c’entra qualcosa con i sentimenti?”

“A cosa ti riferisci?”

“Mi riferisco alle emozioni, John. Magari mia sorella ha sentito come un legame con Rachel e quindi di conseguenza l’ha risparmiata”

“Penso che tu abbia ragione, Sherlock. Forse… Si è ritrovata in nostra figlia. Si è ricordata di sé e della sua solitudine e, trovando un altro essere umano nelle sue stesse condizioni, ha provato compassione per la prima volta nella sua vita. Sembra una spiegazione un po' banale, ma è l’unica possibile” ragionò tra sé Watson.

“Come l’hai chiamata?” chiese Sherlock incerto, sbarrando leggermente gli occhi.

“Mh?” chiese John distratto, ancora intento a pensare.

“John, come hai chiamato Rachel?”

“Non ti seguo, Sherlock, perdonami. Come l’ho chiamata in che senso?”

“Non ci hai fatto caso?”

“Sherlock, puoi parlare chiaro?”

“John, l’hai chiamata ‘nostra figlia’” affermò Sherlock, un’espressione di leggero stupore gli velava il volto.

“E con ciò?”

“No, niente… Solo non mi aspettavo che mi potessi considerare come il padre di Rachel”

“Sherlock, se è per questo tu sei anche il padre di Rosie” gli sorrise il dottore.

“Ma non è sangue del mio sangue” protestò l’altro, ricominciando a digitare piano, cercando quel dannato file.

“Questo non significa niente, Sherlock. Nemmeno Rachel è sangue del mio sangue, eppure io la considero mia figlia adottiva, lei mi considera suo padre adottivo. Anche per lei sei come un padre, solo che non lo esterna apertamente perché non sa come potresti reagire. Ti vuole bene esattamente quanto ne vuole a me, ma lo dimostra in modi diversi. Con Rosie sarà la stessa cosa, anzi, non mi stupirei se chiamasse anche te papà” gli rispose Watson avvicinandosi.

Gli prese il volto con una mano e delicatamente lo fece girare verso di sé, sfiorandogli le labbra.

Sentì Sherlock essere scosso da un minuscolo brivido e sorrise.

Il detective lo guardò con occhi da cerbiatto smarrito, ma pochi millesimi di secondo dopo, spinse il viso in avanti, per unire di nuovo le labbra a quelle di John.

Stavolta il bacio fu un poco più lungo, ma si staccarono quando il consulente li riportò alla realtà.

“Troviamola, coraggio”

Aprì i tabulati ospedalieri del Bart’s ed iniziarono a scorrere velocemente.

“Mia sorella ha un quoziente intellettivo persino superiore a me e Mycroft” spiegò Sherlock “perciò, se è stata lei a salvarla, non le ha lasciato il suo stesso nome. Sarebbe stata troppo facile da rintracciare. Probabilmente Mycroft ha incaricato i suoi collaboratori di dare un’occhiata ai nomi e certamente questi ultimi hanno guardato ma non osservato, come sempre. Perciò, John, dobbiamo osservare, prestare la massima attenzione anche alla più piccola cosa”

“Intendi qualcosa che possa ricondurci a lei, ma che non sia comprensibile a chiunque se non a una mente geniale come la tua?”

“Sì, qualcosa del genere. Allora vediamo… Alice McLeon, Barbara Honey… Ronnie Lionel…”

“Fermo, guarda qui” lo bloccò John, indicando col dito un nome in grassetto “Rosamund Norbury”

“Norbury è il cognome della donna dell’acquario, quella che ha ecco… ucciso Mary” disse Sherlock abbassando gli occhi.

“E Rosamund era il primo nome di Mary!” esclamò Watson sorridendo raggiante “Controlla da quanto tempo è in ospedale”

“Da esattamente sei mesi” rispose il detective sorridendo a sua volta in direzione del compagno.

“Sherlock, è lei! È viva!”

“L’abbiamo trovata, John”

“Grazie di non avermi fatto perdere la speranza”

“Coraggio, nostra figlia ci aspetta” affermò l’altro afferrando il cappotto.
 



“Credo che purtroppo dovrà aspettare ancora un po', signori” ghignò dall’ombra una voce orribilmente familiare “Direi che dovreste prestare più attenzione a chi entra in casa vostra. Essere così distratto non è da te, Sherlock. Cos’è che ti ha preso al punto di non farti nemmeno percepire lo scricchiolio di queste dannate e vecchissime scale?”

“Moran. Qual buon vento ti porta qui?” chiese freddamente Sherlock.

“Oh, niente di che. Una semplice vendetta”




 
   
 
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