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Autore: Eleonora Bonora    28/07/2017    0 recensioni
Estratto dalla storia
«E' davvero questo il modo in cui vuoi rendere fiero tuo padre?»
«No, tu non capisci: non ho altra scelta.»
«Tu non sei così e lo sai bene.»
«Lui è mio padre, è mio dovere rispettare le sue scelte.»
«Caleb, lui è malato.»
La fissò, guardava i suoi occhi chiari e cercava le cose giuste da dire. Ma scelse la codardia e scappò.
«No, ascoltami: dimentica. Dimentica tutto quello che ti ho detto. Non avresti dovuto sapere nulla.»
Genere: Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Un forte rumore iniziò a farsi strada nella mente di Bonnie, in poco tempo si rese conto di star sentendo della musica. «Non la sveglia! Non ancora!» pensò. Si rigirò su quel materasso che si ricordava essere più morbido e caldo. Finalmente si convinse ad aprire gli occhi. Aveva un forte mal di testa, dei frammenti di immagini cominciarono ad invaderle i pensieri. Non capiva se fossero ricordi del sogno fatto o se fossero ricordi concreti di fatti realmente accaduti. Guardandosi intorno non riusciva a riconoscere la stanza in cui si trovava. Era davvero molto piccola, nemmeno quel vecchio buco della camera da letto a casa della nonna era così minuscolo. I muri erano semplice cemento, nessuno si era preoccupato di verniciarli. Il letto da cui un momento prima si era alzata era di una sola piazza, si trattava semplicemente di un materasso posto su una struttura in ferro, con un leggero copri materasso bianco e un lenzuolo del medesimo colore. Al fondo della stanza il muro sporgeva di circa mezzo metro, creando un cubo. Sulla faccia destra di questo, c'era una piccola porta di ferro. «Sembrano le porte dei bagni del mio vecchio liceo» pensò. In effetti ci assomigliavano molto: erano grigie con qualche stupida scritta che gli adolescenti trovavano divertente fare. Anche quella aveva qualche scritta, ma erano incomprensibili: sembravano solo dei semplici scarabocchi. Aprendola scoprì proprio un bagno, niente di che: una semplice latrina. La musica ad alto volume cominciava a farle aumentare il mal di testa. Notò che sulla parete alla destra del letto era presente una seconda porta anch'essa in ferro. In alto era presente una piccola finestra rettangolare leggermente opaca. Si mise in punta di piedi per riuscire a scoprire cosa ci fosse all'aldilà. Vide solo un alternarsi di colori: viola, verde e blu. Sembravano le luci di qualche locale. Vide due ombre avvicinarsi alla porta e in un batter d'occhio tornò a coricarsi nel letto. Stava cercando di ricordare in che posizione si fosse svegliata, ma fu un tentativo invano. Si stese su un fianco con una mano sotto la testa e l'altra che le ricadeva su un fianco. La porta si aprì e Bonnie non ebbe modo di guardare chi fosse entrato dato che teneva gli occhi chiusi fingendo di dormire. «Non avresti dovuto usare il cloroformio» una voce potente, maschile, rimbombò nella stanza e per poco non fece sobbalzare la bionda stesa sul materasso. «Dovevo prenderla, non mi è stato detto come e questo è stato il metodo più veloce» rispose una voce che Bonnie si ricordava aver già sentito da qualche parte. «Spero che tu non ne abbia usato una quantità esagerata» «Non sono un'idiota, so con cosa lavoro» «D'accordo, allora fa si che si svegli. Non ho tempo da perdere» La porta si chiuse nuovamente e la ragazza aveva paura ad aprire gli occhi. E se qualcuno fosse rimasto nella stanza? Sentì dei passi avvicinarsi a lei e qualcuno scuoterle la spalla. «Mocciosa, svegliati» disse la voce familiare. Bonnie si rigirò nel letto per rendere il tutto più realistico, si stropicciò gli occhi e infine li aprì lentamente. Si guardò intorno fingendosi confusa. In realtà lo era, ma stava cercando di ripetere al meglio i suoi gesti precedenti. «Dovrei fare l'attrice» pensò per un attimo. Come poteva pensare a certe cose in un momento del genere? Portò lo sguardo sulla persona che aveva disturbato il suo finto sonno e la osservò spalancando gli occhi. «Tu? Ma tu chi diavolo sei?» disse con voce stridula. Proprio non si aspettava di trovarsi quel ragazzo davanti. «Finalmente, le altre sono state più veloci di te» Guardò schifata il ragazzo dagli occhi color ghiaccio che aveva incontrato quel pomeriggio in biblioteca. «Cosa vuol dire? E cosa ci faccio qui?» «Bonnie Curtis» affermò a voce bassa «almeno così ho scoperto» «Cosa vuoi da me?» domandò nuovamente irritata. «Non hai ancora capito che non risponderò a nessuna delle tue domande?» domandò con tono beffardo «Non hai nessun diritto di farmene e in ogni caso non sei nella posizione adatta, mocciosa» «Visto che sai il mio nome, chiamami con quello» «Ti conviene non irritarmi mocciosetta» Ancora seduta sul letto, appoggiò la schiena al muro, si portò le ginocchia al petto e si strinse in se stessa, come se quella posizione la facesse sentire più al sicuro. Non riusciva ancora a capire come mai fosse finita in quel posto, non c'era niente che la portasse a una soluzione. «Più tardi ti verrà spiegato cosa dovrai fare» disse col tono di uno che aveva ripetuto quella frase un'infinità di volte «a dopo mocciosetta» la salutò con la mano e fece uno di quei sorrisi falsi che tutti i ragazzi prepotenti, a parere di Bonnie, facevano quando si sentivano superiori ad ogni persona presente sulla terra. Quando il ragazzo uscì dalla stanza, le ci volle qualche secondo per riprendersi da quello stato di trance. Doveva scappare e tornare a casa, non aveva di certo programmato di passare la serata chiusa in una piccola stanza poco illuminata da cui entrava una musica troppo forte per i suoi gusti. Ci doveva essere qualche via di fuga, non poteva restare lì per sempre. Si guardò intorno una decina di volte ma niente, nessuna finestra, nessun buco da cui scappare. Era tutto solo cemento attorno a lei. Si lasciò andare a terra rassegnandosi all'idea di uscire. Non aveva idea di cosa ci fosse aldilà di quella porta in ferro e forse non l'avrebbe mai scoperto: era chiusa a chiave. A quanto pare non era gradita la sua presenza. Ma allora perché era lì? Si mise le mani in tasca per cercare il telefono ma non trovò nulla, nemmeno le tasche. Si rese conto dopo di non indossare il suo cappotto ma solamente il vestito che quella sera aveva scelto di indossare. La maniglia della porta cigolò e Bonnie portò lo sguardo sull'uomo che era appena entrato. Era molto robusto, senza capelli e con un accenno di barba grigia. Indossava una maglietta bianca e dei pantaloni neri. In mano aveva una busta di plastica e si dirigeva con passo deciso verso la bionda. «Curtis» le sembrò essere la voce sentita prima quando era intenta a far finta di dormire. Lo fissò in silenzio in attesa che proferisse parola. Il suo cervello stava elaborando milioni di pensieri e cercava in tutti i modi di rimanere sulla difensiva, anche se l'uomo non aveva ancora detto nulla. Pensò perfino di alzarsi e, con uno scatto felino, uscire da quella stanza. Ma cestinò l'idea: non avrebbe saputo dove andare una volta trovatasi all'esterno e di sicuro sarebbe stata presa di nuovo. «Alzati» ordinò l'uomo. La sua voce era talmente dura che sentendola, a Bonnie vennero i brividi su tutta la schiena. Le incuteva parecchio timore, ma non come la signora Brooks, lei era un pasticcino messa a confronto. Decise che sarebbe stato meglio obbedire e quindi si fece reggere sulle sue esili gambe, risalendo con l'aiuto delle mani che si appoggiavano al muro. «Mettiti questo» le porse la busta ma Bonnie esitò nel prenderla «Beh? Hai intenzione di rimanere impalata a guardare il mio braccio?» Aveva paura di quell'uomo. Afferrò velocemente la busta e ne guardò il contenuto. Rimase sbigottita da quello che vi trovò. Era un completo intimo, interamente in pizzo, unito a delle calze a rete. Il pezzo sopra e quello sotto erano collegati fra loro ma il pizzo nero avrebbe lasciato intravedere tutto il corpo al di sotto dell'indumento. Non l'avrebbe mai e poi mai indossato. Ma poi, a cosa sarebbe servito? «Su, avanti. Mettilo» La ragazza fissò l'uomo, convinta che non avrebbe mai obbedito ai suoi ordini. Aveva comunque una dignità da mantenere. «No» si ritrovò a dire a voce più alta di quanto pensasse. «No? Ne sei così sicura?» sorrise beffardo. Lo vide armeggiare con le mani dietro di lui e, istintivamente, fece un passò indietro quando quello tirò fuori una pistola e iniziò a rigirarsela fra le mani. «Te lo metti?» chiese nuovamente l'uomo. Bonnie si rassegnò e si diresse in bagno per cambiarsi. «Dove vai?» chiese l'uomo. «A cambiarmi» rispose tremolante. «Puoi farlo qui» No, questo non l'avrebbe mai fatto. Stava superando ogni limite. «Oppure no» ipotizzò. «Oh lo farai tesoro» Lei scosse la testa in segno di negazione. «D'accordo, forse non ci siamo capiti: provo a spiegarti meglio. Qui, comando io. Qualsiasi cosa io dica è un'ordine. O meglio, nessuno ti vieta di disobbedire, ma la conseguenza è qui fra le mie mani» Bonnie tremava sempre di più e le parole le si erano vaporizzate sulla lingua. «Cambiati!» urlò l'uomo. Lei iniziò a slacciarsi il vestito e la mano tremolante non l'aiutava. «Se non sei in grado tu, ci penso io» l'individuo irritato, si avvicinò ancor di più alla ragazza e le tolse il vestito con forza tenendola ferma per un braccio. Le stava facendo male. Una lacrima scese sul suo viso, seguita da un'altra. Era una cosa che non le piaceva di lei: quando aveva paura o quando era tesa e frustrata, piangeva. Cercò di dimenarsi in modo da liberarsi ma la presa sul suo braccio era talmente forte che muovendosi avrebbe rischiato di ritrovarsi con qualcosa di rotto. Quando ebbe finito di spogliarla, le mise fra le mani il completino e le ordinò di metterlo. Senza alcuna via d'uscita, lo fece e si ritrovò a coprirsi il più possibile. «Adesso ti copri, tra qualche settimana diventerai una puttana. Lo fanno tutte. Le donne nascono già così» rise e si girò per poi uscire dalla stanza lasciando Bonnie, la musica e i suoi singhiozzi da soli. Si lasciò andare in un pianto disperato. Non dovrebbe essere lì, ma a casa, con suo fratello e i suoi genitori. Cosa volevano? Cosa aveva fatto di male? Aveva freddo: era praticamente svestita. «E' incredibile la vita.» pensò. Ma come darle torto? Un momento prima tornava a casa felice dopo aver passato una bella serata in compagnia e, subito dopo, qualcuno la rapisce per chissà quale motivo. Era questo che Bonnie non capiva, se le avessero almeno spiegato il perché fosse lì, forse avrebbe potuto capire. Anche se, in realtà, dentro di sé, non voleva saperne il motivo. «Se non me lo dicono deve esserci una ragione.» oppure poteva essere tutta una messa in scena per il suo compleanno? No, il suo compleanno era già passato da un po', esattamente da sette mesi. Non aveva festeggiato e i suoi amici le avevano promesso che avrebbero fatto una festa più avanti, solo per lei, in cui avrebbero festeggiato il suo compleanno. Era altamente improbabile, ma convincendosi di questo, aveva trovato la sua ancora di salvezza. Lei non era mai stata un tipo da cose esagerate, per esempio come quella di indossare -se così si può dire- il completino. Non rinunciava mai a divertirsi, ma non perdeva mai il senno nei suoi attimi di incoscienza causati dal troppo alcool. In ogni caso, succedeva raramente che si spingesse oltre i suoi due o tre bicchieri di alcolici. Non aveva mai toccato una sigaretta perché trovava irritante l'odore del fumo. Insomma, non era una santarellina ma nemmeno una schiava della folla. Persino quando un ragazzo, uno dei più belli partecipanti alla festa a cui era andata qualche anno fa, le si avvicinò per ballare con lei, lo respinse. Non perché era impazzita, ma perché nonostante non fosse completamente sobria, sapeva di avere un fidanzato e sapeva che le intenzioni di quel ragazzo non erano solamente quelle di ballare. Ora non aveva più un fidanzato, secondo lui, avevano semplicemente forzato un'amicizia per poi perderla. Lei non la pensava allo stesso modo, era davvero innamorata ma era andata così e non poteva farci nulla. Avrebbe voluto cambiarsi, o almeno coprirsi, ma non poteva, perché i vestiti erano sotto la custodia dell'uomo con la pistola. Si mise sul letto e si coprì il più possibile rannicchiandosi per tenersi al caldo. Se dovevano proprio tenerla lì dentro, almeno un riscaldamento potevano metterlo. Si sentiva stupida a pensare queste cose, ma aveva due possibilità: pensare a cose ironiche che la facessero distrarre, oppure urlare nella speranza inesistente che qualcuno potesse sentirla. Scelse la prima opzione. «Come va mocciosa? Ti piace la tua nuova casa?» non si era nemmeno accorta che la porta si fosse aperta. Era troppo occupata a riempirsi la testa di stupide ironie sulla sua vita sfortunata che recentemente aveva scoperto di avere. Decise di non rispondere, voleva continuare a nascondere la testa tra i gomiti e le ginocchia. «Tranquilla, non ti porteremo ancora di là, non dureresti mezzo minuto.» «Esattamente, cos'è che fanno di là? E a cosa non durerei?» la sua voce era ovattata data la sua posizione ma il ragazzo, che ancora non aveva guardato in faccia, capì. «Tu cosa pensi?» «Che voi siate due pazzi da rinchiudere in manicomio.» «Touchè.» «Ho bisogno di capire che cosa ci faccio qui.» «No, non ancora.» «Cosa vuol dire non ancora? E perché sono stata costretta a indossare questa roba?» «Vuol dire che hai tempo prima che tutto ti venga svelato.» rispose ignorando la sua seconda domanda. «Non che abbia risposto alla prima.» pensò scocciata. «Tanto ormai sono qui, scappare mi è praticamente impossibile. Dimmi cosa volete da me e facciamola finita. Volete uccidermi?» se la dovevano proprio uccidere perché aspettare così tanto? Lei era pronta, essendo lì non aveva niente da perdere. Un colpo di pistola e basta, tutto sarebbe finito e loro sarebbero stati felici. Sorprendendola scoppiò in una sonora risata. «Ucciderti? Sul serio pensi che vogliamo ucciderti? E secondo te per ucciderti ti faremmo indossare una cosa del genere? Ti prego!» «Sinceramente io non so più cosa pensare, sono passata dal tornare a casa insultando la neve, all'essere rinchiusa in una stanza gelida senza una motivazione.» «Sei più privilegiata delle altre: ritieniti fortunata.» «E' già la seconda volta che dici le altre, c'è qualcun altro qui? Perché non li posso vedere?» «Bé, hanno più esperienza di te.» dice con fare ovvio «Diciamo che... è come se tu fossi la matricola.» «Mi sembrava di aver capito che potevo aspettare per saperne di più.» «Hai ragione, domani ne parleremo, per questa sera ti lascio col dubbio.» «Maledetta la mia boccaccia.» pensò corrucciando la fronte. «Buonanotte mocciosetta.» Fece uno strano saluto, come quello che fanno i militari e uscì lasciando nuovamente sola Bonnie.
   
 
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