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Autore: Stephanie86    13/08/2017    1 recensioni
"La Salvatrice nel mio regno."
Emma trasalì. Un’altra coscienza si accostò alla sua. Ma non era come accostarsi alla mente di Lily, non era come guardare attraverso i suoi occhi. Quella coscienza era incredibilmente vasta. Era prepotente. Ed era potente. Sbirciò e frugò nella sua testa senza troppi riguardi.
"Chi sei? Cosa vuoi?", domandò Emma.
"Sono il padrone di casa, Emma." Di nuovo la risata. Una risata maschile, divertita e sprezzante. "Adesso sei nel mio regno. È un piacere. Ci incontreremo presto. Spero che il posto ti piaccia."

[Seguito della fanfiction The Lost Hero | Swan Queen, Swan Star + altri pairing]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Lily, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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9

 

“Sono giunta alla convinzione che bene e male 
sono nomi per ciò che fanno le persone,
non per quello che sono. La sola cosa che possiamo dire
è che questa è una buona azione perché aiuta qualcuno,
o che quest'altra è cattiva perché fa male a qualcuno.
Le persone sono troppo complesse perché le si possa etichettare.”

[Philip Pullman, Queste Oscure Materie: Il Cannocchiale d’Ambra]

 

 

Oltretomba. Oggi.

 

Henry fece molta attenzione quando azionò il passaggio che conduceva alla stanza segreta.

Mentre la sua famiglia era impegnata in varie zone dell’Oltretomba, lui aveva chiesto alle sue madri di poter raggiungere Lily per essere d’aiuto. Regina aveva protestato un bel po’ e anche Emma, ma alla fine era riuscito ad avere la meglio.

Ed era anche riuscito a convincere Lily a coprirlo mentre andava in un posto.

- Le tue madri mi uccideranno.

- Emma no. Non ti farebbe mai niente.

- Ma Regina sì. E poi dimentichi che Emma può vedere quello che faccio, se vuole. Fino a poco fa eravamo in contatto.

- Ma tu lo capisci quando succede. Non puoi bloccarla?

- Non sono ancora così brava ad usare questo... dono. E poi forse è meglio che io venga con te. Ti caccerai nei guai.

Henry aveva scosso la testa. – Tu hai altro da fare. Non preoccuparti per me. Me la caverò.

In realtà, aveva la costante impressione che qualcuno lo osservasse, nascosto nell’ombra. Non si sentiva al sicuro da nessuna parte, ma doveva fare ciò che aveva in mente.

La libreria dentro la grande villa era ancora là, con tutti i libri sistemati ordinatamente sugli scaffali. Ne prese un paio a casaccio e vide che erano bianchi. I tavoli e le poltrone erano coperti da teli bianchi e il pavimento era polveroso al punto tale che Henry notò le impronte delle sue scarpe ben impresse su di esso.

Deve essere qui, pensò.

Aveva provato anche in altri posti, ma non aveva fatto altro che tergiversare. Sapeva benissimo dove trovarla.

Udì un rumore alle sue spalle, come di qualcosa che grattava contro il legno.

Henry impallidì e si voltò, convinto di dover affrontare un intruso. Non aveva nemmeno un’arma con sé. Forse aveva davvero fatto male a venire lì da solo.

Attese che qualcosa si palesasse, ma la villa era ripiombata nel silenzio.

Allora vide la luce. Una luce pulsante e azzurrata che proveniva da una lampada sotto uno dei teli. Sembrava che lo stesse invitando ad avvicinarsi.

Henry sollevò il telo, sperando di non cascare in qualche odioso tranello del Signore degli Inferi e allungò una mano, tastando fino a quando non avvertì la consistenza della penna sotto le dita.

La sua penna. Era bella e luminosa. Emanava un’intensa luce e l’Autore la tenne tra le dita, osservandola, aspettandosi qualcosa. Qualche risposta, forse. Aspettandosi che la penna gli dicesse che cosa era più giusto e cosa era sbagliato. Aveva già pensato di usarla per riportare in vita suo padre, ma l’Apprendista l’aveva messo in guardia sul suo potere.

Però sapeva una cosa. Ora aveva un’arma.

Henry uscì dalla biblioteca.

Una mano guantata si chiuse sul suo braccio in una stretta d’acciaio.

- Dove credi di andare, giovanotto?

 

 
Zelena controllò la bambina, che dormiva beatamente nella sua culla e poi scostò le tende.

Malefica stava per aprire una breccia nella barriera intorno alla casa. Non ci era ancora riuscita, ma non ci avrebbe impiegato molto. Fiyero e Marian avevano le frecce pronte. Quindi immaginava che presto avrebbe combattuto contro un drago, contro il tirapiedi di Glinda e contro la ex moglie di Robin.

Zelena tirò le tende con un gesto secco della mano.

Allora vide il globo azzurro che fluttuava sopra al tavolo.

Era grande quanto una palla da bowling e ronzava, un ronzio abbastanza forte da ferirle le orecchie e farle battere i denti. Zelena provò a colpirlo con la magia per scacciarlo, ma quello sfrecciò a destra e a sinistra, schivando ogni attacco facilmente.

Infine si fermò all’altezza dei suoi occhi. Zelena sentiva la pelle che formicolava e uno strano sapore in bocca.

Il globo si avvicinò ancora e la toccò sulla fronte.

Un’esplosione accecante come un fuoco d’artificio cancellò la luce rossastra dell’Oltretomba e tinse ogni cosa di un celeste pallido.

 

 
Foresta di Oz. Durante la prima maledizione.

 
“A volte per trovare qualcuno devi avere... i giusti mezzi”, disse Ade a Zelena, recuperando un aggeggio arrugginito in mezzo ad una moltitudine di cianfrusaglie, tutte assiepate nel cuore della foresta di Oz. “Il rifugio di Dorothy non è lontano, ma è protetto da un incantesimo. Per questo le tue scimmie non sono riuscite a vederlo.”

“D’accordo, ma perché dobbiamo andarci... su quell’affare?”, domandò Zelena.

“Oh, già. Non ne avete, ad Oz.” Ade montò in sella. “Si chiama bicicletta. Vieni. Provala.”

Zelena non era molto sicura di cosa stesse per succedere e fissò Ade, perplessa e incuriosita.

“Oh, per favore. Fidati di me.”

Lei si avvicinò alla bicicletta con cautela, pensando a quanto fosse simile ad una scopa dotata di ruote. Poi si accomodò davanti ad Ade. Avvertì lo strano profumo del Signore degli Inferi, un sentore di fiori appassiti, ma non lo trovò sgradevole.

Ade esitò. A Zelena parve che il suo corpo si stesse irrigidendo. Poi lui gettò fuori il respiro che aveva trattenuto.

“Tutto bene?”, domandò la Strega dell’Ovest.

“Certo. Vogliamo andare?”

Era il suo cuore quello che aveva sentito? Un unico, flebile battito. L’aveva colto impreparato, perché era da millenni che il suo cuore non batteva, grazie alle geniali trovate di suo fratello.

Ade si mise a pedalare di buona lena.

Zelena lanciò un gridolino sorpreso quando la bicicletta prese velocità, scivolando lungo il sentiero che si snodava nella foresta. Il vento le sollevò qualche ciocca di capelli. Provò una strana ebbrezza, qualcosa di simile a ciò che provava quando cavalcava la scopa e si lanciava nel cielo di Oz. E la sua risata fu un’altra cosa che sorprese Ade. Gli sembrò un suono bellissimo, giovane e fresco, quasi innocente, in netto contrasto con l’animo tempestoso della Strega.

“Sì, è proprio come una scopa con le ruote!”, esclamò Zelena.

Poi la ruota anteriore cozzò contro una radice sporgente ed entrambi ruzzolarono su un tappeto di foglie morte. Zelena si ritrovò sopra di lui, che la fissò con un sorriso divertito.

“Presa.”, disse. “Vorresti rifarlo?”

“Beh, ovvio che sì.” Zelena si tirò su, rassettandosi il vestito nero ed Ade raccolse il cappello a punta della strega, rimettendoglielo sul capo. “Qual è la prossima mossa? Come farà questa bicicletta a condurci dallo Spaventapasseri?”

“Non è una bicicletta qualsiasi.”, rispose Ade. “È la bicicletta di Dorothy. E il luogo in cui l’abbiamo trovata è il luogo in cui la sua casa è precipitata. Serve un incantesimo, così possiamo localizzarla.”

“Non puoi farlo tu?”

“I miei poteri sono limitati al di fuori del mio regno.”, rispose, in tono piccato.

Zelena lanciò l’incantesimo di localizzazione.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 

Che cos’è? domandò Emma.

Non ne ho idea.

Quando Mary Margaret e Regina tornarono dalla loro spedizione alla cripta, Emma era ancora connessa a Lily e, attraverso i suoi occhi, vedeva chiaramente lo strano amuleto che la ragazza aveva sgraffignato dalla stanza di Murphy Logan, al Granny’s.

David aveva trovato dei libri uguali a quello che Henry si portava sempre dietro durante l’ispezione della villa di Regina. Solo che le pagine erano bianche. Erano nella camera di Henry, forse in attesa del proprietario.              

- Che cosa succede? – chiese Regina, fissando Emma, profondamene a disagio.

- È molto interessante. -  commentò Τremotino, senza rispondere alla sua domanda. - I Cavalieri di Drago avevano un legame simile con i loro draghi. Era qualcosa di molto speciale e onorevole. Un vero peccato che si siano estinti.

A Regina non importava un bel niente. – Dove ti eri cacciato?

- A cercare un modo per andarcene da qui.

- Oh, davvero? E quali sarebbero questi modi di cui parli? 

- Ho i metodi. – In realtà appariva scuro in scuro in volto e meditabondo.

In quel momento Emma interruppe il contatto con Lily e rientrò in sé, guardandosi intorno. Batté più volte le palpebre, come se non fosse del tutto sicura di dove si trovasse.

- Lily ha trovato qualcosa? – domandò Mary Margaret.

- Non ne sono certa. – rispose Emma.

- Non deve passare troppo tempo nella mente di Lilith. È un consiglio. Le toglie le forze. – disse Tremotino. – Forse prima non se ne rendeva conto perché era un Signore Oscuro... ma ora dovrebbe.

- Sto bene. – disse Emma, alzandosi in piedi.

Subito la travolse un’ondata di vertigini e sentì le ginocchia molli come gelatina. Barcollò e Regina accorse per sostenerla.

 

 
Foresta di Oz. Durante la prima maledizione.

 
Dorothy Gale sedeva davanti alle braci morenti del fuoco insieme allo Spaventapasseri. La casetta in cui si era rifugiata era una stamberga di legno che avrebbe potuto ospitare al massimo una persona e Zelena immaginava che comunque Dorothy doveva stare molto stretta.

Lei e Ade erano nascosti nel buio, dietro ad un gruppo di alberi.

“Ora la vedi?”, chiese il Dio, divertito.

“Oh, sì.” Zelena aveva annientato l’incantesimo di protezione che circondava il luogo in cui Dorothy si nascondeva. “Le sorelle di Oz dovrebbero pensare a qualcosa di meglio.”

“Ne sono convinto. Vai e prenditi ciò che ti serve.” Le rivolse un sorriso sornione, ancora in sella alla scopa con le ruote che chiamava bicicletta.

“Volentieri. E se la mocciosetta si mette in mezzo, vedremo se il sangue si abbina bene al suo vestito.”

Zelena marciò con decisione fino al bivacco, sentendo montare la furia ad ogni passo. Ade la osservò, compiaciuto e apprezzandone la fierezza. Non vedeva l’ora di assistere ad una bella lotta. Impari, ma pur sempre una lotta. Forse avrebbe davvero visto scorrere il sangue. Sarebbe stato un gran bello spettacolo.

“Ridammi lo Spaventapasseri!”, gridò Zelena, piombando sul fantoccio, che lanciò uno strillo non appena la vide.

“Non ci pensare nemmeno!”, rispose Dorothy, estraendo la spada.

Zelena scagliò un semplice incantesimo contro di lei, congelandola. Poteva ancora parlare, ma dal collo in giù era paralizzata.

Poi la Strega dell’Ovest affondò la mano nella testa di paglia dello Spaventapasseri e si appropriò del cervello di cui aveva bisogno. Lo Spaventapasseri finì gambe all’aria ed iniziò a farfugliare a vanvera. “Questi contrattempi... non sai quanto li detesto.”

“Non ti lascerò vincere.”, disse Dorothy.

La sua cocciutaggine la sorprese e tuttavia non poté fare a meno di deriderla. “Oh, davvero? E qual è la tua idea? Posso farti molto male e lo sai.”

“Non ho paura.”

“Pessima risposta.”

“Dai pure il peggio di te. Io non avrò mai paura della Strega dell’Ovest.”

Zelena si accigliò. “Da dove viene tutta questa insolenza? Che cosa ti è capitato in Kansas?”

Dorothy sembrava in lotta con sé stessa, non solo con lei. Se aveva pronta una risposta adeguata, decise di tenersela.

“Ma in fondo non mi importa. Abbiamo finito.”, concluse, accarezzando il cervello che stringeva tra le mani. “E sai una cosa? Non ti ucciderò. Che tu ci creda o no, non voglio nemmeno farlo. Quello che voglio... è che ogni Munchkin, ogni Quadling, ogni abitante di Oz... capisca che Dorothy Gale non può proteggerli.”

Frustrata, Dorothy seguitò a fissare Zelena senza rispondere.

“E sono sicura che lo sai anche tu. Insomma, guardati intorno. Che cosa vedi?”

L’aria della notte, fredda e limpida. Il movimento costante delle chiome degli alberi. Il richiamo di un gufo. Il buio. Le stelle a milioni. La luna piena. E la voce balbettante dello Spaventapasseri che annaspava a terra e agitava le gambe.

“Niente.”, disse Zelena, ridacchiando. Scandì ogni singola parola, godendosi la sensazione di rigirare il coltello nelle piaghe della ragazzina venuta dal Kansas. La ragazzina che le aveva rubato il posto quando era solo una bambinetta con un ridicolo vestito a quadri azzurri. La ragazzina che voleva distruggere il suo piano, portandole via uno degli ingredienti per il suo incantesimo. “Niente. E nessuno. Non c’è nessuno in grado di aiutarti. Non hai amici, non hai una famiglia... non hai un amore. Non hai poteri.”

“Io ho...” cominciò Dorothy.

“Cosa? L’amore del popolo? Non ti servirà a niente.” Zelena sfiorò la lama della sua spada con la punta dell’indice ed essa si frantumò. Alla ragazza non rimase che l’elsa. “Loro non possono proteggerti. E nemmeno quelle streghe da quattro soldi che passano il tempo sedute a tavola pensando di avere in mano il destino di Oz. Almeno io... ho la magia. E sono temuta. Non ho bisogno di qualcuno che mi difenda.”

“Non esserne così sicura.”

“Lo sono. E sono anche sicura che tu non sia la paladina di Oz.” Zelena si allontanò da lei. “Sei la paladina del nulla.”

 

 
Oltretomba. Oggi.

 
- Sai, credevo avessimo un accordo. – disse Crudelia, trascinandolo fuori dalla villa e stringendo il suo braccio in una morsa ferrea.

Henry cercò di divincolarsi, ma inutilmente. – Non ho mai detto di sì.

- No... però ero sicura che ci stessi pensando. È vantaggioso per entrambi. Riporti in vita me con la penna... e tua madre smette di essere un’assassina.

- Non ho nessuna penna. L’ho rotta.

- Siamo nell’Oltretomba, mio caro. – Crudelia era attorniata dal pesante odore di sigaretta, che fumava tramite il bocchino verde che reggeva ancora nella mano libera. Un ciuffo di capelli bianchi le ricadeva scompostamente sul viso magro e gli occhi azzurri bruciavano di collera. Gli venne la nausea quando gli alitò in faccia. – E quella non è una penna comune. Infatti sei venuto a cercarla.

- Non l’ho trovata. Non è qui.

- Invece sì. Stavi frugando in quella stanza.

Henry diede un altro strattone e quasi le sfuggì, ma lei non si lasciò cogliere alla sprovvista. Lo riacciuffò e gli infilò le mani guantate nelle tasche della giacca.

- Hai fatto male a venire da solo. Ti senti un eroe? – chiese Crudelia, mentre le dita si infilavano sotto la giacca. – Perché le tue mammine non sanno che sei qui, vero monellaccio?

Henry trattenne il fiato quando Crudelia raggiunse la tasca in cui aveva nascosto la penna. Pensava davvero che fosse finita per lui. Non sapeva se Crudelia l’avrebbe ucciso né se potesse farlo, visto che Isaac l’aveva resa incapace di fare del male, ma avrebbe perso la penna. E non voleva. Lui era l’Autore e l’idea di essere costretto a cedere la penna lo rendeva furioso.

Ma ora che era morta, forse il marchio di Isaac non valeva più. Quella volta, sul ciglio del burrone, l’avrebbe ucciso senza battere ciglio, ficcandogli una pallottola in corpo. E non c’era sua madre con la sua magia, ora. Non c’era nessuno.

Crudelia tastò e tastò. – Allora, dove l’hai nascosta?

Henry era sconcertato.

- Dov’è?! – chiese ancora Crudelia.

Sapeva che era lì, dove aveva già guardato, ma in qualche modo la penna non si faceva trovare.

Stava per risponderle che ovviamente non l’aveva, proprio come le aveva detto all’inizio. Ma un’ombra enorme oscurò entrambi e le chiome degli alberi vennero scosse brutalmente. Henry udì un forte sbatacchiare.

Crudelia alzò la testa, in tempo per vedere il drago nero scendere in picchiata, tenendo le ali aderenti al corpo. Henry approfittò della distrazione per sottrarsi alla presa della donna. Scappò in direzione di Lily e, non appena fu abbastanza distante da Crudelia, il drago sprigionò una vampa di fuoco.

Un vorace inferno inghiottì Crudelia.

Henry comprese immediatamente che dovevano andarsene e quindi era necessario che montasse in sella. Annaspando e scivolando, riuscì a salire sulla groppa del drago. La sua corazza era dura e calda. Lo stomaco si ribaltò quando Lily si staccò di nuovo da terra, sbattendo le grandi ali per prendere quota.

Ovviamente il fuoco non aveva scalfito Crudelia e nemmeno la casa o gli alberi che la circondavano, ma la torrenziale pioggia di fiamme incandescenti era stata accecante.

“Siamo nell’Oltretomba. E quella non è una penna comune.”

La penna non aveva voluto essere trovata. Non da una come Crudelia. Solo dall’Autore.

Henry guardò giù, ignorando le vertigini e vide la donna riversa in un letto di foglie e rami. Distinse i capelli bianchi e neri tutti arruffati e le scarpe di un rosso acceso.

Poi Lily sbatté le ali e virò verso il centro della città.

 

Poco dopo, il drago sbucò da una nuvola rossa ed atterrò con un tonfo poderoso davanti alla casa degli Azzurri. I muscoli delle cosce e delle spalle si incresparono di onde mentre assorbivano la potenza dell’impatto. Una forte corrente d’aria investì Regina, Emma e Mary Margaret e l’asfalto tremò sotto i loro piedi.

Regina mantenne a stento l’equilibrio e sgranò gli occhi quando vide Henry che scivolava giù dalla groppa di Lily.

- Henry. – Emma sembrava altrettanto incredula. Lily, ancora in forma di drago, notò che era anche provata, più pallida del solito. L’impressione generale era che fosse stranamente vulnerabile, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere.

- Che cosa ti è saltato in mente quando hai pensato di caricarti mio figlio in groppa? – esclamò Regina.

- Era più veloce così. – si limitò a rispondere Henry, prima che Lily potesse farlo. Dalle narici del drago uscirono due fili di fumo. – Almeno è stato divertente. Non mi avevi detto che era così divertente.

Il drago riassunse la sua forma umana. Intorno al polso, Lily aveva arrotolato lo strano oggetto che aveva trovato in un cassetto della camera di Murphy, un medaglione a forma di fiamma bordata d’oro, con una grossa pietra rossa al centro, che ricordava molto quella incastonata sul coperchio del Vaso di Pandora.

- Sai cos’è? – domandò Lily a Regina, porgendoglielo.

- Non credo di aver mai visto nulla di simile. – ammise Regina. Sfiorò i bordi della fiamma e percepì il flusso di magia che vi scorreva all’interno. Ritrasse subito la mano. – Ma è decisamente qualcosa.

- Posso? – disse Tremotino, che si era tenuto in disparte fino a quel momento.

Lily lo fissò di sottecchi, ma Emma annuì e quindi glielo mostrò da vicino.

L’Oscuro ne saggiò la consistenza e sorrise. - Sì, è una protezione.

- Un amuleto protettivo? – chiese Lily.

- Più di questo. Contiene una parte dell’energia della persona che lo indossa.

Henry sgusciò in casa senza farsi notare e mettendosi una mano in tasca per controllare che la penna fosse ancora dove l’aveva lasciata.

- E perché Murphy avrebbe dovuto avere un oggetto simile? L’ha trovato qui? – domandò Lily.

- Oh, non credo che l’abbia trovato qui. L’ha trovato nella Foresta Incantata. Non era difficile entrarne in possesso. Molti maghi li avevano. – Tremotino allontanò le dita dal medaglione. - E forse a Murphy serviva per celare il suo vero aspetto. In questo senso, è una protezione. Tenetelo, potrebbe essere utile.

- Non lo portava quando l’ho conosciuto. Ne sono sicura. – rispose Lily.

- Forse non ne aveva bisogno nel vostro mondo. Nel mondo senza magia.

Nessuno disse più niente. Murphy veniva dalla Foresta Incantata?

Non che quella fosse la cosa più importante per Lily. A lei non importava nulla di Murphy, per quanto ancora lo vedesse cadere nel Tartaro quando chiudeva gli occhi. E lo vedeva cadere perché pensava a quello che le aveva detto prima di morire... no, prima di essere condannato per sempre al posto peggiore.

“Lo sai che avevo una figlia? Avevo una figlia! Lei non ha più nessuno per colpa tua! Quella stronza di sua madre se n’è andata dopo averla partorita! Quei soldi mi servivano anche per lei!”

In mezzo alla roba di Murphy aveva rinvenuto anche una fotografia, in cui si vedeva una donna bionda con una bambina di circa tre anni. Lei immaginava che quella fosse la figlia di Murphy. Si era messa la foto in tasca.

Ci avrebbe pensato una volta tornata a Storybrooke.

 

 
Oz. Durante la prima maledizione.

 
“Si può sapere che sta succedendo?” domandò Nessarose, quando Ade si ripresentò al palazzo della Sorellanza. Glinda e Locasta non erano ancora tornate.

“Non ho molto tempo. Devo sistemare alcune faccende.”, rispose lui, sbrigativo. “Ma sono venuto a portarvi qualcosa che potrebbe esservi utile. Anche se non subito, forse.”

“Ovvero?”

Ade vide che Nessarose stava consultando un grande libro con la copertina spessa e sgualcita. Le pagine ingiallite giravano da sole. “Noto che state studiando meglio la profezia che vi riguarda.”

“Profezia?”

“Oh, suvvia. Pensavo avessimo superato la ritrosia.”, disse Ade, roteando gli occhi ed avvicinandosi quanto bastava per leggere le parole stampate sulla carta. “La profezia del Libro degli Eventi... Glinda pensa che parli di Zelena. Il che è divertente, se si considera che in realtà parla di voi. Ed è questo il motivo per cui non vi siete ancora occupata di Dorothy.”

“Credete davvero che io abbia paura di una ragazzina senza poteri? La profezia parla di una strega. E Dorothy non lo è.”

“Le cose cambiano molto in fretta, sapete.” Ade tirò a sé il libro e scrutò le parole. Erano trascritte in una lingua antica e ormai morta, ma molte streghe la sapevano ancora leggere e comprendere. Beh, più o meno. “Un’eroina proveniente da un altro mondo, farà di Oz la sua casa fino a quando non avrà bandito il male più grande che questa terra abbia mai conosciuto. Un’eroina, capite? Non una strega. Le parole, in questa lingua, si somigliano. Glinda avrebbe dovuto prestare più attenzione. Ma il succo rimane lo stesso.”

Nessarose lo guardava, sprezzante. “Non c’è bisogno di leggerla nel modo giusto. È evidente.  Dorothy conosce a stento qualche incantesimo di protezione.”

“Però voi conoscete la profezia e quella vi preoccupa. Diciamo che... siete cauta. Non attaccate a caso perché sapete che non bisogna sottovalutare le profezie. Contrastarle significa perdere.” Ade sorrise, beffardo. “Credetemi. Mio padre ne sa qualcosa. Crono. Ve ne hanno mai parlato? Una profezia diceva che uno dei suoi figli lo avrebbe detronizzato e lui che cosa ha fatto? Si è mangiato ogni figlio che ha avuto. Me compreso. Peccato che mio fratello sia riuscito a farla franca. L’ha sconfitto comunque.”

“Perché siete qui?”, domandò Nessarose, tagliando corto.

“Per portarvi qualcosa che potrebbe tornarvi utile, quando giungerà il momento opportuno.” Aprì la mano ed in essa comparve un oggetto, una specie di lancia con due punte ondulate di cristallo e l’impugnatura dorata al centro. Gliela porse.

“Che cos’è?”

“La folgore olimpica.”, rispose semplicemente Ade. “Una cosuccia che ho rubato a mio fratello molto tempo fa. Gliel’hanno data i Ciclopi quando li liberò dalle catene.”

“Non ho bisogno di armi divine per sbarazzarmi di qualcuno.”

“No. Ma questo non è un’arma qualsiasi.” Sollevò la folgore ed essa brillò, colpita dalle luci gialligne della sala. “Quest’arma non si limita ad uccidere. Distrugge. Completamente. Dei vostri nemici... non rimarrebbe nulla. Non andranno da nessuna parte, perché la loro anima non esisterà più. Niente Oltretomba e niente Tartaro. Nulla.”

Nessarose sembrava compiaciuta. “E Zelena?”

“Zelena serve a me. Il suo piano mi piace.”

“E non solo il piano, mi sembra di capire.”

Ade si limitò ad un’alzata di spalle. “È un vantaggio per me. E potrebbe concludersi tutto oggi, se saremo fortunati. Io potrò lasciare l’Oltretomba e riprendermi l’Olimpo. Voi potrete liberarvi delle vostre sorelle e di Dorothy e regnare su Oz. Avete la folgore adesso. Qui sarà al sicuro. Mio fratello la cerca ancora ma non verrà a cercarla qui.”

“E se non dovesse funzionare? Se Zelena non vi ascoltasse?”

“Dovrete aspettare. Zelena non rinuncerà mai al suo piano né io rinuncerò al mio.”

“Quindi mi state chiedendo di avere pazienza? Siete folle.”

“Oh, no. Sono Ade e sono una divinità. Voi siete umana. Ed io so bene chi siete. Basterebbe molto poco per distruggere il castello di bugie che avete costruito. Le vostre sorelle saranno contro di voi e così anche Dorothy. Non avrete più alcun vantaggio e prima o poi vi distruggerebbero.” Ade ormai era diventato minaccioso, anche se la sua voce non era cambiata. Il tono era calmo. Pieno di boria, ma calmo. Tuttavia, i suoi occhi brillavano, ripieni di una sinistra luce azzurra. “Immaginatevi che cosa succederà. Immaginatevi le facce delle vostre Sorelle e non solo le loro...  quando verranno a sapere che Evanora era solo un burattino e che la vera Strega Perfida dell’Est siete sempre stata voi. Vi sconfiggeranno e dovranno riabilitare il nome di vostra sorella. Non credo sia una bella prospettiva.”

Cosa avrebbe fatto in quel momento Nessarose non era difficile da intuire, perché fiammeggiava dalla testa ai piedi in preda ad una rabbia incontrollabile, tremandone perfino. “Mi ricattate, dunque.”

“No. Non ne ho bisogno. Il nostro accordo è ottimo. Entrambi otterremo qualcosa.”

 

 
Oltretomba. Oggi.

 
D’accordo. Forse era curiosa.

Forse voleva davvero sapere chi fosse Murphy Logan quando ancora viveva nella Foresta Incantata.

Lily aveva sempre dato per scontato che Murphy non fosse il suo vero nome e lei stessa si era fatta chiamare in modi diversi. Odile. Starla.

Aveva chiesto ad Henry se poteva prestarle il suo libro di storie. Solo per dare un’occhiata.

La difficoltà stava nel fatto che Murphy non aveva lo stesso aspetto nella Foresta Incantata. Avrebbe potuto essere chiunque.

Aveva finito di leggere la storia del Grillo Parlante, quando Emma la raggiunse e sedette accanto a lei.

- Ti senti meglio? – domandò Lily, appoggiando il libro sul letto, senza chiuderlo.

- Perché me lo chiedi?

- Beh, non sembravi molto in forma quando sono tornata con Henry.

Emma si scostò i capelli dal viso e si portò una ciocca dietro l’orecchio. – È colpa del contatto mentale. Tremotino dice che ci toglie le forze... se è troppo prolungato.

- Merlino non aveva detto niente.

- Non ne ha avuto il tempo, probabilmente.

Regnò il silenzio per almeno cinque minuti, mentre Lily ripensava al momento in cui aveva stretto il cuore di Merlino, disintegrandolo.

- L’hai trovato? – chiese Emma, esaminando il libro aperto.

- No. Ma non mi aspetto di trovarlo. O magari l’ho trovato, ma non me ne sono resa conto. – Le rivolse un fievole sorriso.

- A cosa pensi davvero?

La domanda era molto diretta e la spiazzò. Tuttavia, sapeva a che cosa si stava riferendo. – Penso a come dovrei sentirmi. Sono venuta... siamo venuti qui per salvarti. E lo faremo. Dovrei preoccuparmi solo di questo. Ma non riesco. Questo posto... mi costringe a pensare a tutto quello che ho fatto. E a prendere altre decisioni sbagliate.

- Se ti riferisci a Murphy, non avevi scelta.

- L’avevo quella sera, quando l’ho ucciso. – Scoppiò in una brusca e fredda risata, un suono strano, come l’acqua che scorre sulla nuda roccia. – Come ti senti quando uccidi?

I verdi occhi di Emma si ridussero a due fessure.

- Quello che intendo dire... – si corresse Lily. – Quello che intendo dire è... che cosa hai provato quando hai ucciso Crudelia? O quando hai ucciso quell’uomo, nelle prigioni di Camelot? Li vedi, quando dormi?

Emma si strofinò i palmi sui jeans. La sua espressione era tormentata e Lily si chiese se si sarebbe degnata di risponderle, quando lei ricominciò a parlare. – Ci penso, sì. Ho... ucciso Crudelia perché volevo salvare Henry. E ho ucciso quell’uomo nei sotterranei perché cercavo una via d’uscita... perché volevo punire la mia famiglia per avermi rinchiusa là sotto.

- La tua famiglia o...?

- Regina. Volevo punire Regina. Ma anche la mia famiglia per averle dato retta.

- Vorresti non averlo fatto?

- Vorrei aver saputo prima che Crudelia non era in grado di fare del male. Ma non lo sapevo. Se tornassi indietro... probabilmente lo farei di nuovo. Per Henry. E fermerei me stessa in quei sotterranei. - Stava per aggiungere che avrebbe fermato se stessa prima di trasformarla in un Oscuro, però non lo disse, perché sapeva che non era vero. L’avrebbe fatto ancora per salvarle la vita, anche se avrebbe significato condannarla.

- Lo vedi? Lo faresti per Henry. Io... ho ucciso Murphy perché lo detestavo e se tornassi indietro so che forse lo ucciderei ancora.

- Non puoi saperlo.

- Mi conosco. Lo so. – Quella di Lily era una risposta che non ammetteva repliche. - E quando l’ho ucciso in quella stazione di servizio... credi che poi me ne sia pentita? No. Non me ne sono pentita e non ho avuto incubi. Non penso mai nemmeno a Merlino. Non riesco... non posso perdonare tua madre per quello che mi ha fatto.

- Non ti ho mai chiesto di farlo.

- Tu li hai perdonati? Per quello che hanno fatto a Camelot.

- Sì. So perché l’hanno fatto.

Lily rimase in silenzio un altro po’. – Io sogno Murphy. Lo sogno mentre precipita nel Tartaro, ma so che lo sogno per via di quello che mi ha detto su sua figlia. Non perché non volevo che morisse.

Emma tese la mano destra e la posò su quella sinistra di lei. - Per questo sei entrata in quella camera? Per cercare qualcosa su sua figlia?

- Sì. – Prese la foto dalla tasca della giacca e gliela mostrò.

Emma osservò la bambina nella foto. La girò per vedere se c’era scritto qualcosa sul retro, ma non trovò niente. – Vuoi cercarla?

- Hai ancora il numero di quel contatto a Boston?

- Sì, ce l’ho. Non butto mai niente che possa tornarmi utile. – Poi sorrise. – Lo vedi? Non sei così male. Forse le tue emozioni sono... difficili da gestire, ma ti stai preoccupando per una bambina che nemmeno conosci. Stai facendo la cosa giusta.

Lily stava per risponderle, ma venne interrotta da un grido stridulo.

Era un grido attutito dalla distanza, eppure ebbe lo stesso effetto delle unghie che sfregano ripetutamente su una lavagna, tanto che sia Emma che Lily si ritrovarono a stringere i denti.

- Cos’è stato? – domandò Emma.

 

 
Malefica era quasi riuscita ad aprire una breccia nella protezione che Zelena aveva innalzato intorno al suo rifugio, quando una creatura alata sbucata dal nulla piombò giù dal cielo in picchiata, lanciando uno strillo che le straziò le orecchie.

La cosa la spinse da parte con un colpo d’ala brutale e lei, con la testa che rintronava e il sangue che le colava dall’orecchio sinistro, barcollò e cadde.

Altri due demoni alati si gettarono sul principe Fiyero e su Marian.

Subito Fiyero si buttò a terra, evitando per un pelo di essere acciuffato e dilaniato dagli artigli dell’uccello. Estrasse una freccia dalla faretra e la incoccò. Un attimo prima di scoccare il dardo vide chiaramente la cosa.

Aveva petto e volto di donna, ma era una faccia dura, distorta dalla crudeltà e dall’odio. Il corpo era quello di un uccello e, quando sbatteva le grandi ali scure, emanava un puzzo terribile, lo stesso odore di chi è morto da troppo tempo. Gli occhi erano accesi di furia e nelle orbite c’erano grumi di melma.

La freccia colpì l’arpia alla gamba. Quella scagliò un altro urlo assordante e passò sopra Fiyero, sbandando. Perse quota, rasentò il terreno, ma poi si rialzò in volo, incurante della propria ferita.

Erano in tre e sembrava che stessero proteggendo la strega che si nascondeva in casa con la bambina. Li spinsero lontano, li costrinsero ad arretrare e gridavano per disorientarli.

Marian scoccò una freccia, che andò a conficcarsi nella schiena di un’arpia. Furibonda, una delle compagne lasciò perdere Fiyero per occuparsi di lei. Marian guardò la bestia negli occhi, anche se la testa le doleva e la potenza di quelle grida l’aveva stordita.

- Vediamo se lottate con la stessa forza con cui strillate. – disse Marian, preparandosi a scagliare un’altra freccia.

Le labbra rosse dell’arpia si incresparono in un bacio beffardo. – Marian... cibo per Minotauri... il tuo bambino è solo. Gli manderò tanti incubi!

Marian le regalò una freccia. Erano tutte imbevute dell’acqua del Fiume delle Anime, ma le arpie erano immuni e, per quanto venissero colpite, non potevano morire. Con una freccia che spuntava dalla spalla, l’arpia si gettò su Marian con gli artigli spianati, puntando alla sua faccia. Marian si scostò più rapidamente che poté, ma venne comunque afferrata per i capelli e sollevata da terra. Lasciò cadere l’arco e si dibatté selvaggiamente, mentre l’arpia saliva verso il cielo rosso, sopra le chiome degli alberi.

- Il tuo bambino... il tuo bambino è solo con quelle stupide fate! Incubi, incubi per lui! – continuò a sbraitare il mostro, soffocandola con il suo tanfo nauseabondo. – E tu... tu finirai di nuovo nel labirinto! Ciiiiiiiiiiibo per il Minotauro! Il Minotauro è affamato!

Malefica raggiunse l’arpia in volo e la urtò con la coda. La creatura riprese a strillare e aprì gli artigli. Marian precipitò, mentre Malefica spalancava le fauci ed eruttava una colonna di fiamme che avvolse l’arpia in una tempesta di fuoco giallo e arancio. Il mostro roteò e roteò, urlante, maledicendo il drago e imprecando.

Malefica acciuffò Marian prima che potesse schiantarsi.

Le arpie si dissolsero in un baleno, ferite e ancora più arrabbiate di quando avevano iniziato ad attaccare.

- Beh, non un gran comitato di benvenuto. – commentò Fiyero, rialzandosi e raccogliendo il proprio arco.

- Non era necessario salvarmi. Sono già morta. – disse Marian al drago, che per tutta risposta socchiuse gli occhi, emettendo un basso brontolio. – Stavano proteggendo la strega, vero?

- Non si sono nemmeno avvicinate alla casa. Direi di sì. – disse Fiyero, scrutando il cielo. – Forse dovremmo tentare in un altro modo, invece di costringerla a consegnarci la bambina.

- E quale sarebbe, il modo?

- Il dialogo.

Una leggera brezza soffiò, facendo frusciare l’erba ai loro piedi e agitare i rami dei salici. Marian osservò gli steli ingialliti ondeggiare per qualche istante, ripensando alle minacce dell’arpia.

“Tuo figlio è solo!”

“Incubi! Incubi per lui!”

Malefica mostrava le zanne e Fiyero avrebbe giurato che fosse totalmente indignata dalla sua proposta.

- So che è difficile dialogare con la Strega dell’Ovest. Ma ho anche visto come si comporta con la bambina. – continuò il principe.

La radura si increspò di strane ondulazioni, mentre un sinistro scricchiolio percorreva il tronco del salice più vicino.

Poi, prima che Fiyero riuscisse a fare un solo passo, una radice grande quando il suo braccio spuntò dal terreno e gli si arrotolò intorno alla caviglia destra, immobilizzandolo. Radici ancora più grosse sbucarono ai lati di Malefica e le afferrarono la coda e le zampe, inchiodandola sul posto. Malefica ruggì, furibonda, morse con forza una delle radici e la scosse, ma non ottenne alcun risultato. Marian venne afferrata per la vita.

- Per tutti i diavoli! – disse Killian, arrivando di corsa, seguito dagli altri.

David sguainò la spada e menò un fendente deciso, tranciando una delle radici per liberare Marian. Un forte stridio riecheggiò nell’aria densa quando due rami sfregarono fra di loro. Uno di essi si protese e si attorcigliò intorno al collo di David.

Lily si precipitò sul salice in forma di drago e sputando fuoco. L’albero si incendiò, ma le fiamme si spensero nel giro di un battito di ciglia, senza scalfirlo.

Il ramo strinse di più la presa intorno al collo di David.

 

 
Città di Smeraldo. Oz. Durante la prima maledizione.

 
Zelena tornò al palazzo e trovò una tavola imbandita davanti alle tende che un tempo avevano nascosto il Mago di Oz. Ade aveva apparecchiato per due e acceso un paio di candele.

“A cosa devo tutto questo?” domandò Zelena.

“Beh, che domande... a te.”

“Quindi mi hai vista.”

“Ma certo che ti ho vista. Sei stata a dir poco magnifica.”

Zelena si sentì lusingata dal tono ammirato del Dio.

“Ed è per questo che ho una cosa per te.”, aggiunse Ade. Prese un fagotto che aveva lasciato su una sedia e lo srotolò, rivelando l’oggetto che voleva regalarle.

“Cosa ci dovrei fare con uno specchio?”, domandò Zelena.

“Questo non è uno specchio qualsiasi.”, replicò Ade, facendo scorrere le dita lungo la cornice dorata. “Questo, mia cara... è lo Specchio delle Anime. Se una persona ha una natura malvagia, lo Specchio la rivela. I suoi occhi... si illumineranno di quello che io chiamerei... un fuoco demoniaco.”

Appoggiò lo Specchio delle Anime sul tavolo e lo rivolse nella sua direzione.

Istintivamente, Zelena si voltò dall’altra parte, evitando di guardare il proprio riflesso.

“Oh, suvvia. Guarda. Non hai nulla da temere.”

Dopo qualche attimo di esitazione, Zelena fissò il proprio riflesso. In fondo, non pensava che un paio di occhi demoniaci non le donassero. 

“Io trovo che tu sia splendida.”, commentò Ade.

I suoi occhi non avevano niente che non andasse. Erano azzurri. Una ciocca di capelli sbucava da sotto il copricapo nero sfiorandole il viso verde.

“Ma io non vedo nulla.”, disse Zelena, toccando lo Specchio con la punta dell’indice.

“Certo che no.” Posò il dono e tese una mano. La sua voce era tranquilla, come se non fosse accaduto niente, come se non le avesse appena chiesto di svelare la sua natura guardando in uno specchio magico. “Vieni. Siediti.”

Zelena accolse l’invito, accomodandosi. “Quindi il dono e questa cena... sono un addio? Stai per tornare nell’Oltretomba?”

Oh, sì. Sarebbe tornato nell’Oltretomba e lei sarebbe rimasta di nuovo sola. Ade non poteva restare a lungo lontano dal regno dei morti.

La sua vita era questo. Un continuo abbandono. Prima la sua vera madre, poi la madre adottiva che moriva lasciandola nelle grinfie di un uomo che non avrebbe mai voluto avere una figlia con dei poteri, poi Tremotino, che l’aveva aiutata a controllarsi ma aveva scelto comunque Regina, poi Glinda, che aveva ceduto il suo posto ad una ragazzina piovuta dal cielo. Nessuno rimaneva. Non con una Strega Perfida.

“No.”, rispose, invece, Ade. “Non tornerò nell’Oltretomba, Zelena. Ma questo dipende anche da te.”

“Da me?”

Ade non ebbe bisogno di spiegarle nulla. Se ne stava in piedi dietro di lei, in attesa, sfiorandole appena le spalle.

“Oh. Tu credi... credi che il nostro sia...”

“Vero amore.”

Zelena reagì con un moto di incredulità. Le sembrava tutto estremamente ridicolo. “Ci siamo appena conosciuti!”

“Lo so. Ma non puoi negare di provare qualcosa.”, ammise, inginocchiandosi di fronte a lei. “Quando eravamo su quella bicicletta... e tu eri vicino a me... ho sentito qualcosa che non sentivo da molto tempo. Il mio cuore. Ha palpitato. Per un secondo, ma è successo e non potrei mai sbagliarmi.” Zelena la fissava con un’espressione indecifrabile e, dato che non aveva ricevuto risposta, Ade continuò: “E se tu... se tu mi baciassi, potresti liberarmi. Io potrò lasciare l’Oltretomba e non saremo costretti a separarci.”

Non solo avrebbe potuto abbandonare l’Oltretomba per sempre, ma avrebbe anche potuto usare i suoi poteri al di fuori del regno dei morti senza alcuna limitazione. Avrebbe potuto prendersi ciò che suo fratello si era preso come se gli spettasse. Lui, che era nato per ultimo. E Zelena sarebbe diventata una regina. Ade le avrebbe donato l’immortalità e avrebbero regnato insieme. Le avrebbe dato l’Olimpo, non l’Oltretomba. Le avrebbe dato il cielo e non un lugubre limbo abitato da mostri e defunti. Era sicuro di poter trovare degli alleati tra i suoi fratellastri e alla fine avrebbe vinto lui e non Zeus. Lo avrebbe fatto a pezzi e gettato nel Tartaro, insieme a quella scocciatrice di Era e...

Zelena gli affondò una mano nel petto e chiuse le dita sul suo cuore. Tirò per estrarlo, ma ovviamente un’altra forza oppose resistenza e glielo impedì.

“Zelena... cosa...”, boccheggiò Ade, sconvolto.

“Sai, ti ho quasi creduto. Per un secondo... ho pensato che stessi dicendo la verità. Che stupida!”, gridò, continuando a stringere. Il cuore muto del Dio era duro come un pezzo di roccia. “Tu vuoi gli ingredienti del mio incantesimo per te. Solo per te! Oppure pensi che non sappia delle tue macchinazioni con la Strega dell’Est?”

“Io... non è come credi...”

Zelena mollò la presa sul cuore ed estrasse la mano dal torace di Ade, che si aggrappò al tavolo per alzarsi in piedi.

“Non so cosa tu abbia visto...”

“Ho visto quanto basta e avresti dovuto tenerne conto, considerando che spio mia sorella da anni! Credevi davvero che non ti avrei spiato?”

“Diciamo che...” Ade si sistemò la giacca, cercando di ritrovare un certo contegno. “Speravo ti fidassi di me. La Strega dell’Est non è un tuo problema, Zelena. Non più. È solo parte del piano.”

“Le hai dato un’arma divina!”

“Gliel’ho data per uccidere Glinda e Locasta. E Dorothy. Farebbe comodo anche a te. E dovevo nasconderla da mio fratello. Non fa altro che cercarla. Non ho fatto nulla contro di te.”

“Oh, invece sì! Mi avresti rubato quel cervello e te lo saresti tenuto. Hai bisogno di quell’incantesimo per vendicarti di tuo fratello... proprio come io voglio vendicarmi di mia sorella. L’amore... non è abbastanza!”

“Non esiste più solo la vendetta, Zelena. Se staremo insieme... potremo avere tutto! Io ti darò tutto! Su questo non puoi avere dubbi!”

“Piantala con queste storielle! Sei una divinità e sei immortale. Non hai bisogno dell’amore. Così come non ne ho bisogno io.” Zelena aveva la voce rotta e il cuore che le martellava nelle tempie, seguendo i palpiti della sua rabbia. Mille immagini le scorrevano nella testa. Sua sorella, Tremotino, Dorothy, Ade. “Volevi trascinarmi nell’Oltretomba?”

“Volevo darti l’Olimpo!” Anche Ade era furioso. I suoi occhi scagliarono lampi azzurri e le luci della sala tremolarono.

“Non mi interessa il maledetto Olimpo!” Zelena gridò più forte. “Fuori. Adesso!”

Ade non si mosse. Tentò di avvicinarsi a lei, ma la Strega dell’Ovest si ritrasse, evitando il contatto.

“Te ne pentirai, Zelena.”, sibilò il Signore degli Inferi. “Te lo garantisco.”

“E cosa intendi fare? Uccidermi? Rapirmi?” Rise, infischiandosene delle sue minacce. “Puoi provarci. Sei una divinità, ma ti assicuro che dovrai darti da fare! E il tuo potere è comunque limitato fuori dal tuo regno. Lo hai detto tu stesso.”

Ade scomparve in una miriade di lampi e scintille azzurrate. Zelena si coprì gli occhi.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 

Il volto di David diventò paonazzo e poi viola, mentre il ramo aumentava la pressione intorno al suo collo. Aveva la bocca aperta, ma non respirava quasi più.

Mary Margaret afferrò la spada del marito e si accanì contro il salice dotato di una coscienza, menando poderosi fendenti per spezzare il ramo, ma il potere di cui era dotato l’albero la respinse. Mary Margaret venne scagliata a qualche metro di distanza e atterrò sul prato in malo modo.

- Mamma! – gridò Emma.

Malefica ruggì di nuovo, scuotendo la testa.

Emma sapeva che cosa era necessario fare. Senza nemmeno chiederlo, afferrò la mano di Regina e lei gliela strinse istintivamente.

- Insieme. – disse Emma.

Regina annuì.

Quando diressero la magia contro il salice, avvertirono chiaramente la sua coscienza. Sembrava una coscienza spezzettata, frastagliata, che mutava di secondo in secondo. Era veloce e tagliente come una scheggia di vetro.

Il flusso di magia rossa avvolse il tronco e strisciò fra i suoi rami e quella coscienza gridò. Le voci trapassarono il cervello di Emma, che rischiò di perdere la concentrazione, ma si mantenne aggrappata a Regina, ignorando il dolore e la sensazione di avere decine di occhi che le sondavano i pensieri e vorticavano nella sua mente, tempestosi e maligni.

Qualcuno urlò il suo nome.

I rami abbandonarono Marian e Fiyero, che si affrettarono ad allontanarsi. Malefica riuscì a liberarsi di una radice che le bloccava una zampa e poi di quella che aveva intorno al collo.

Infine vi fu un’esplosione di luce e le presenze svanirono. Le radici si ritirarono nel terreno e i rami si ritrassero. David cadde in ginocchio, tossendo. Mary Margaret lo raggiunse subito, appoggiandogli una mano sulla schiena.

- Stai bene, amico? – domandò Killian. – Emma...

Emma pensò che fosse finita, ma all’improvviso vide tutto nero e davanti agli occhi presero a danzarle una miriade di stelline gialle.

Lily, ancora in forma di drago, perse quota e atterrò malamente, lanciando un ruggito lamentoso.

- Che cosa sta succedendo ad Emma? – chiese Mary Margaret.

Regina guardava Emma contorcersi e non aveva la minima idea di come fermare ciò che le stava accadendo. Gli occhi si rivoltarono nelle orbite e mostrarono solo il bianco della sclera. Dalla gola uscivano suoni inarticolati.

“Mi chiamo Henry. Sono tuo figlio.”

- Maestà, fate qualcosa! – urlò Killian.

- Non so che cosa le sta succedendo! – ribatté Regina. Tenne le mani sospese sopra il corpo di Emma, percependo un potere sconosciuto.

“Lei è la madre biologica?”

“Salve.”

Emma era cosciente, ma non poteva rispondere a Regina. Non poteva fare niente perché non aveva più il controllo del proprio corpo. Qualcosa stava strisciando nei suoi pensieri, nei ricordi... passandoli in rassegna.

“Sei qui perché è il tuo destino. Riporterai a tutto il lieto fine.”

“La smetti con queste stupidaggini?”

“Non sei costretta a fare la dura. Lo so che ti piaccio.”

Gridò. Ma non veramente. L’urlo era solo nella sua testa.

 “Propongo una soluzione per il bene di Henry.”

“Non ci penso minimamente.”

“Lascerò la città.”

La cosa sembrò soffermarsi su quel ricordo in particolare, come lo spettatore di un film che attende la parte migliore, già sicuro che arriverà.

“Ascolti, questa situazione è insostenibile. Sono disposta ad andarmene. Ma ho delle condizioni. Continuerò a vedere Henry, a fargli visita e a passare del tempo con lui.”

“Questo significherebbe restare nella sua vita.”

“Chiaro. Di solito in un accordo... le parti devono accettare un compromesso. Ma onestamente... sappiamo tutte e due che non è più possibile escludermi dalla vita di Henry. E questo è un dato di fatto che lei non può cambiare.”

“Ha ragione. Le dispiacerebbe seguirmi in cucina?”

- Mamma... perché non risponde? Cosa le sta facendo Ade? – chiese Henry, terrorizzato tanto quanto lei.

Poco lontano, Lily spalancò le fauci e rigettò una sfolgorante vampa di fuoco.

Poi le convulsioni terminarono e il corpo di Emma si rilassò.

- Emma? – chiamò Regina, controllando a stento la propria voce. Le sembrava di essere in fondo ad un tunnel. Il nome parve riecheggiare lungo le pareti della sua testa, frammentandosi.

Non ottenne risposta. Gli occhi si muovevano sotto le palpebre abbassate.

- Mamma? – Henry allungò con cautela una mano verso il viso di Emma. Le dita sfiorarono la fronte e subito le ritrasse perché la sua pelle era gelida.

Emma spalancò gli occhi.

Un’onda di energia spazzò l’intera radura e sia Regina che Henry si ritrovarono catapultati all’indietro.

 

 

Città di Smeraldo. Durante la prima maledizione.

 
Dopo la scomparsa di Ade, la sala del palazzo era sembrata vuota e desolata e Zelena aveva preso la sua scopa, sorvolando i cieli bui di Oz.

Sfrecciò a lungo sopra le chiome degli alberi e sopra i tetti delle case, spaventando a morte chiunque si trovasse per strada. Arrivò più alto che poté e poi scese in picchiata, rasentando le colline.

Volare la fece sentire molto meglio. Il vento nei capelli, la brezza fredda che le frustava il viso, l’aria più rarefatta a mano a mano che saliva, la vertigine, il vuoto nello stomaco... permisero alla sua mente di svuotarsi, anche se per poco. Pronunciò un incantesimo per proteggersi dal gelo e per poter salire ancora più alto senza risentirne. Quando passò vicino ad una nuvola, la condensa la accecò, riempiendole il naso e la bocca di fredde goccioline. Non se ne curò. Si aggrappò di più al manico della scopa e continuò a volare in mezzo alle nubi, guardando i villaggi e le tende degli accampamenti ridotti ad una versione piatta e minuscola di sé stessi.

Quando tornò a palazzo, due guardie si avvicinarono ed attesero che Zelena ordinasse loro di parlare.

“C’è qualcuno per voi.”, disse semplicemente uno dei due uomini in verde. Il suo tono era strano, monocorde ed incolore. Aveva uno sguardo vacuo, come se non fosse del tutto presente.

“Chi vi ha ordinato di far entrare qualcuno?!” gridò Zelena.

Le guardie stettero là, in piedi, a fissarla. Se la Strega dell’Ovest avesse tagliato le loro teste non se ne sarebbero nemmeno accorti. Avrebbero continuato a starsene in quella posizione.

C’era qualche incantesimo di mezzo.

Zelena corse nella grande sala e spalancò le porte, entrando come una furia. “Se sei ancora tu, puoi tornartene da dove sei venuto! I tuoi trucchetti non funzionano con me!”

Ma non si trattava di Ade.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 
Regina non credeva ai suoi occhi. Le mancò il fiato quando si ritrovò faccia a faccia con Emma.

Con ciò che una volta era Emma ma ora era qualcos’altro.

Era come guardare una maschera di morte, ricoperta di pelle sottile come carta per darle una parvenza di vita. Aveva i capelli bianchi, come quando era il Signore Oscuro. Gli occhi rossi la fissarono, ghiacciandole il sangue nelle vene.

- Mamma? – disse Henry, sconcertato.

Con un gesto della mano, Emma lo spazzò via e così fece con tutti gli altri. Paralizzò i due draghi, prima che potessero intervenire e si mosse alla velocità della luce dirigendosi verso la casa in cui si era rifugiata Zelena. Scavalcò Regina e, nel farlo, le rifilò un poderoso calcio in faccia.

Le si oscurò la vista.

 

 

Città di Smeraldo. Oz. Durante la prima maledizione.

 

La donna indossava un lucido corsaletto dorato a placche, un paio di schinieri e un copricapo di forma cilindrica che tratteneva la folta chioma corvina. Il mantello era ornato di piume di pavone.

Zelena seppe all’istante che non era umana perché, quando gli occhi nerissimi si posarono su di lei, si sentì schiacciata da un potere decisamente più grande del suo.

“Se è Ade che vi manda, ditegli da parte mia che non ascolterò una parola né mi interessano i suoi accordi.”, disse, infischiandosene di come avrebbe potuto reagire quella donna.

“Oh, Ade.” Lei rise, un suono inquietante, dato che era al tempo stesso bello e freddo come ghiaccio. “Non ho bisogno di essere mandata da nessuno, figuriamoci da Ade.”

“Che cosa ci fate in casa mia, allora? Chi siete?”

“Credo che... il mio adorato cognato vi abbia appena illustrato il suo piano per cambiare il passato. Il piano non comprendeva forse... fare a pezzi me e mio marito per gettarci nel Tartaro?”

Zelena formò una sfera di fuoco con la magia.

“Oh, per favore.”, disse Era, la moglie di Zeus, sollevando entrambe le mani.

“Vi dirò quello che ho detto anche ad Ade. Potete anche essere una divinità, ma se volete uccidermi dovrete lottare.” Immaginava che Era non fosse bloccata da una maledizione che la costringeva in un determinato regno e che limitava i suoi poteri ogniqualvolta ne usciva. Ma Zelena non era intenzionata comunque a soccombere.

“Mi piace tutta questa follia.”, rispose Era, con noncuranza. “E so che si dicono molte cose su di me. State pur certa che sono tutte vere. Beh, quasi tutte.”

Zelena sollevò il braccio, pronta a scagliare la sfera di fuoco.

“E tuttavia non è per uccidervi che sono qui. L’avrei già fatto a questo punto. Non permetto alle mie vittime di chiacchierare, di solito.”

“Ed io non amo i giochetti.”

“Ne sono convinta.” Nel giro di un battito di ciglia, Era fu davanti a lei. Le fiamme si spensero nella mano di Zelena. “Sono impressionata dal modo in cui avete sfidato Ade. E avete rifiutato l’Olimpo. L’immortalità.”

Zelena fissò le iridi nere e scintillanti della Signora dei Cieli. “E allora?”

“Allora pensavo di complimentarmi. E di chiedervi dove Ade abbia nascosto la folgore di mio marito, come prima cosa.”

“Non so di che cosa stiate parlando!”

Era toccò la sua fronte con la punta dell’indice e Zelena avvertì un prurito terribile al centro del cranio. Non era dolore, ma qualcosa di immensamente fastidioso.

Barcollò quando la Dea la lasciò andare.

“Vedo che Ade è stato abbastanza accorto da cancellare il ricordo della folgore dalla vostra mente. Peccato.”, disse Era, sollevando le spalle. “Sapete... Ade ha un enorme potere sui mortali. È vero, quando è lontano dal suo regno, è limitato. Ma sa comunque essere molto persuasivo. E sa convincere qualcuno, sa piegare la sua volontà. Eppure voi gli avete tenuto testa.”

“Mi avrebbe raggirata.”

“Un giorno, sì. L’avrebbe fatto. O l’avreste fatto voi. Ma siete stata davvero caparbia. Non ha avuto il tempo di parlarvi dei suoi sogni, vero?”

“Quali sogni?”

“Sono secoli che sogna occhi azzurri e capelli di fuoco.” Era si allontanò di qualche passo, osservando il liquido verde che gorgogliava nelle colonne dorate. “Non ha mai capito di chi si trattasse, fino a quando non ha cominciato a sentir parlare di voi.”

Zelena sollevò un sopracciglio, incredula.

“E conosce anche la leggenda più importante che lo riguarda.”

Zelena avrebbe tanto voluto dirle che non le interessava nulla di ciò che stava dicendo, eppure non poteva fare a meno di ascoltarla.

“La storia del Dio degli Inferi che rapisce una fanciulla, costringendola a passare sei mesi nel suo regno e altri sei sulla Terra.”, cantilenò Era. “Non in tutti i mondi la storia è la stessa. A volte cambia da regno a regno. Chi aggiunge dettagli, chi li toglie... ma la vera leggenda... non è nemmeno una leggenda. È una profezia.”

 

 
Oltretomba. Oggi.

 
Zelena riprese i sensi e si aggrappò alle sbarre di legno della culla. Si affrettò a controllare che la piccola stesse bene e la trovò sveglia, intenta a succhiarsi le dita.

Il globo di luce azzurra danzava al centro della cucina, come un disco volante in miniatura che si divertiva a prendersi gioco di lei. Quando l’aveva toccato, aveva visto tutto ciò che era accaduto tra lei ed Ade ad Oz, quando si erano conosciuti e non era sicura di sapere perché lui glielo avesse mostrato.

Scagliò il proprio potere contro la sfera, che si deformò e disintegrò in mille schegge azzurre. Schegge che poi si riunirono per formare un nuovo globo, più grande del primo.

Allora, preannunciata da una densa nube viola, comparve Emma Swan.

Oh, no. Non Emma Swan. Qualcosa che aveva preso possesso del corpo della Salvatrice morta.

La cosa aveva occhi rosso sangue, illuminati da una minaccia controllata e un ghigno gelido stampato in faccia.

- Chi sei? – sibilò Zelena.

- Il nostro nome non è importante. Siamo venuti a prenderti. – rispose l’essere... o gli esseri, protendendosi verso di lei.

Zelena reagì scaraventandola contro la parete opposta della cucina. - Ade non avrà mai la mia bambina!

- Non è la tua bambina che vogliamo. – Si alzò in piedi con un balzo agile e poi usò il suo potere per afferrarla per la gola.

Zelena annaspò.

Poi le terra sotto i loro piedi tremò con un boato e una crepa zigzagò lungo il pavimento della casa. Si aprì una voragine nera e dall’oscurità scaturirono grida e stridore di legno e metallo. Lei e la cosa che un tempo era stata Emma Swan vennero avvolti da una fitta nebbia grigia e tutto scomparve.

 

 
Città di Smeraldo. Oz. Durante la prima maledizione.

 
“Profezia?”

“Già. Lui adora parlare di profezie... quando riguardano gli altri.” Era rise sommessamente. “Una fanciulla con i capelli di fuoco che può far ripartire il cuore del Signore degli Inferi. La fanciulla che potrebbe diventare la sua regina. La donna che lui rapirà. È una profezia vecchia. Credo abbia almeno un paio di millenni.”

“Ade non mi ha rapita.”

“Non ancora. Stavo cominciando a credere che questa profezia fosse davvero una sciocchezza. E invece... la fanciulla è proprio davanti a me.”

“Io sono una strega, non una fanciulla! Sono...”

“La perfida Strega dell’Ovest? Che appellativo ridicolo. Mi sarei aspettata qualcosa di più appassionante, ma suppongo che sia il massimo che tu sia riuscita a trovare. Del resto, nemmeno tua sorella spicca per originalità. La Regina Cattiva...”

Zelena digrignò i denti, ma non accettò la provocazione. Scrutò il volto affilato di Era con attenzione, in cerca di un battito di ciglia, una smorfia delle labbra, qualcosa che le avrebbe suggerito la prossima mossa.

“Questo è il mio dono. La profezia che ti riguarda.”, disse Era, sorprendendola.

“Un altro dono? Ne ho abbastanza anche di doni.”

“Ma è molto più prezioso di uno Specchio Magico che rivela la vera natura di una persona.” La Dea sollevò lo Specchio delle Anime e rimirò il proprio riflesso in esso. Lo fece dandole le spalle, in modo che Zelena vedesse i suoi occhi neri che bruciavano come tizzoni ardenti.

“Non me ne faccio niente di una profezia!”

“Le profezie sono armi, Zelena. E sono pericolose.” Posò lo Specchio e si mosse così velocemente che Zelena nemmeno se ne accorse. Era le afferrò la mascella, stringendo senza farle male. Ma la sua presa era decisa. Salda. “Ade ha ragione quando dice che non bisogna sottovalutarle. Nemmeno lui dovrebbe sottovalutare la sua. Perché potrebbe essere la sua rovina.”

Zelena la guardò stoicamente.

“Non è l’unica cosa che ho per te.” Era la lasciò andare. “Da oggi in avanti... se avrai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere. So essere particolarmente fastidiosa, ma anche... generosa, Zelena.”

“Dovrei fidarmi di ciò che dice una divinità come te?”

“Sappi che se sarai nei pasticci, potrai sempre chiamare me. Posso sentirti ovunque tu sia. Persino nel regno di Ade. E puoi contare su quello che dico: mettimi alla prova appena puoi.”

 

 
Oltretomba. Durante la prima maledizione.

 
Un lago di zolfo liquefatto si estendeva per quasi tutta la lunghezza di un’immensa valle, esalando sbuffi di vapore mefitico che piaceva soltanto alle creature alate che sorvolavano la zona. All’estremità orientale di una catena di montagne, su un picco che dominava la valle, c’era una fortezza di basalto che sporgeva da una parete strapiombante come il braccio di un mostro addormentato e sepolto da millenni.

E sul lato più esposto della fortezza c’era un portoncino, davanti al quale una sentinella se ne stava appostata giorno e notte, intimando l’alt a chiunque osasse avvicinarsi. Il che non accadeva quasi mai, perché i morti erano là fuori, puniti in qualche oscuro modo, alla ricerca della porta che li avrebbe condotti in un altro posto, magari migliore di quello. Oppure erano nelle caverne sotto le montagne, torturati da Ade e dalle sue creature malefiche.

Presto sarebbe calata la notte e, come tutte le notti, sarebbe stata lunga, fredda e buia. Non il buio di una notte normale, ma un buio molto più denso, una tenebra di porpora come le nuvole che veleggiavano nel cielo.

La sentinella si chiamava Lewis e, un tempo, era il nostromo su una nave chiamata Jolly Roger, il braccio destro del capitano Killian Jones. E l’ultima cosa che si aspettava era di udire la voce tonante del Signore dell’Oltretomba, una voce che si espanse nella sua coscienza e in tutta la valle, raggiungendo qualsiasi anfratto, anche il più nascosto.

“Non credete anche voi che questo posto abbia bisogno di una bella ristrutturazione?”

Poi tutto cominciò a tremare, a sgretolarsi e a mutare forma.

 

 
Oltretomba. Oggi.

 
David salì le scale e trovò Henry seduto sul letto, meditabondo.

Non aveva voluto parlare con nessuno da quando erano tornati, nemmeno con sua madre.

- Ehi. – disse David, sforzandosi di sorridere. – Che cosa ci fai quassù tutto solo?

- Niente. Penso e basta.

- Beh, che ne dici se mi metto a pensare con te? – David si avvicinò e sedette dietro ad Henry.

Da fuori venne il ruggito di un drago. Sembrava un lungo grido pieno di angoscia e rabbia.

- Allora, a cosa pensiamo? – tornò a chiedere David.

- Non ne voglio parlare.

- D’accordo. Perché non parliamo di me? – Incrociò le braccia al petto. Intorno alla gola aveva dei segni violacei, un regalo del ramo vivente che lo aveva quasi soffocato. – Oggi è stata davvero... una pessima giornata. Ho cercato... e cercato e cercato qualcosa che potesse aiutare Emma. Sono stato ovunque. Sono preoccupato per Neal e non so come fare per accertarmi che stia bene. Sono stato persino in quel cimitero e ho trovato... la tomba del mio gemello.

Henry non rispose subito. – E com’era?

- Era un principe.

- No, intendo dire... com’era la sua tomba.

Sbirciò il nipote da sopra una spalla, accorgendosi che lo stava guardando. - Era... spezzata.

- Oh.

- Già. E non è finita. Sono quasi morto. Non sono riuscito ad aiutare Emma. Non riesco mai a fare niente per aiutarla, hai notato?

- Nessuno di noi poteva fare niente, nonno.

David sapeva perché era salito. Non era solo per parlare con Henry. Si era sentito sopraffatto da un senso di impotenza. Emma era sparita, posseduta da qualche spirito maligno inviato da Ade. Zelena e sua figlia erano svanite, forse portate via dalla creatura che usava il corpo di sua figlia. Stava perdendo. Loro stavano perdendo. Non aveva potuto fare nulla per evitare quel disastro. Aveva una spada e si era ridicolmente lanciato contro una pianta dotata di coscienza per essere subito disarmato e quasi strangolato. Aveva guardato Emma contorcersi mentre l’ennesima tortura di Ade si abbatteva su di lei.

Mary Margaret lo avrebbe rassicurato. Gli avrebbe detto che aveva fatto tutto quello che poteva, ma non era così. Non aveva fatto niente.

- Sono suo padre. – disse David.

- Ed io sono suo figlio. Sono l’Autore.

Il drago emise un altro cupo brontolio che riverberò fino a loro nonostante la distanza. Udirono uno schianto, forse un albero che crollava sotto la mole della figlia di Malefica.

- Ma non hai più la penna. – Gli diede una pacca sulla schiena. – E anche se l’avessi... siamo nell’Oltretomba. Qui le cose funzionano in modo diverso.

Henry tacque. Si sentiva sangue bollente battere sotto la pelle del volto. Ripensò a sua madre sdraiata ed in preda alle convulsioni. Ripensò allo sguardo smarrito dell’altra madre, Regina. Alla sua paura. Alla luminosità della penna che lo chiamava.

- Beh, se hai voglia di venire giù a parlare con tua madre... – prese a dire David. Gli mise una mano sulla spalla e gliela strinse. Non continuò. Il suo stato d’animo era ben peggiore rispetto ai giorni in cui Emma era l’Oscuro e loro non avevano idea di che cosa stesse tramando. Provava a non darlo a vedere, perché Henry era convinto che il Principe Azzurro non perdesse mai la speranza, ma i pensieri gli rombavano di terrore e confusione. Quando cominciò a muovere le gambe per dirigersi verso le scale, la sensazione non fu quella di camminare ma di cadere. Si sforzò di mettere un piede davanti all’altro.

- Aspetta! – esclamò Henry, come colto da un’illuminazione. – Devo farti vedere una cosa.

 

 
- La penna dell’autore! – disse Regina, quando suo figlio posò la propria arma sul bancone della cucina, mostrandola a tutti. – Pensavo l’avessi distrutta.

- Infatti. Per questo si trova qui. Non so come spiegarlo... ho avuto la sensazione che fosse qui fin da quando siamo arrivati. E l’ho cercata.

- Cosa ti ha fatto pensare che ti servisse? – Regina, come David, riportava i segni dell’ultimo scontro. Un grosso livido violaceo si stava espandendo sulla sua pelle, lungo la mascella.

- Crudelia. Almeno all’inizio. Voleva che la riportassi in vita.

- Perché dovresti aiutarla?

- Per aiutare Emma. – Si sentiva profondamente in colpa. Per aver tenuto nascosto alle sue madri di aver ritrovato la penna e anche del patto che aveva quasi stretto con Crudelia. – Lei diceva... che avrei potuto cancellare ciò che Emma aveva fatto, riportandola indietro. Non sarebbe più stata un’assassina.

- Non l’hai riportata in vita, vero? – si accertò Killian, immaginandosi l’auto di Crudelia che sfrecciava per le strade di Storybrooke.

- No. Non ho scritto nemmeno una parola. Ma ho capito... di avere tutto questo potere... e di ignorarlo. Io non voglio... vivere all’ombra degli altri. Voglio essere un eroe.

- Ma non è così che puoi diventarlo. – disse Mary Margaret. – Non è il modo giusto.

- Lo so! Per questo ve lo sto dicendo. Perché voglio fare la cosa giusta. Non riporterò in vita Crudelia... non farò nulla di... insensato. Scriverò le storie così come sono e comincerò con quella di Ade. Userò la penna per scoprire cosa ci nasconde.

 

 
- Ben arrivata, Zelena. Mi dispiace molto. Questo Spettro non era come me lo aspettavo. Tua madre non ha fatto propriamente un buon lavoro. – disse Ade, che si produsse in un inchino esagerato e infine le prese una mano per baciarle le nocche.

Zelena la sottrasse bruscamente e ignorò il fatto che avesse appena nominato la sua vera madre. - Siamo arrivati a questo?

- Per favore, lascia che ti spieghi...

- Spiegarmi cosa? So che cosa vuoi! Vuoi mia figlia per il maledetto incantesimo!

- Lo Spettro avrebbe dovuto prendere anche tua figlia. Mi dispiace. Cora non è riuscita a controllarlo. Era uno Spettro molto vecchio.

- Oh, che terribile notizia per te, vero? – Zelena alzò la voce, ma in realtà si sentiva immensamente debole, come sorretta da friabili filamenti di cotone. Se avesse provato a colpire Ade o a muovere un solo passo, si sarebbe accasciata come un pupazzo invertebrato. - Mia figlia è in quella casa, da sola! Ed io non ti permetterò di farle del male! Provaci e ti distruggerò!

- Non ho intenzione di fare del male alla tua bambina. – sentenziò Ade. – Non farò del male a lei e nemmeno a te. Volevo portarvi qui perché qui con me sareste state certamente al sicuro e non in balia di quegli eroi che se ne vanno in giro per il mio regno, sperando di trovare un modo per portare via Emma Swan. E prima ancora...

- Prima ancora hai fatto un patto con la Strega dell’Est.

- L’ho fatto sempre pensando a te. Volevo fare in modo che fossi lontana da Oz, lontana dall’uomo che vuole portarti via tua figlia. E la Strega dell’Est farà scoppiare una guerra, fino a quando Dorothy non la fermerà.

- Dorothy non può fermarla! La maledizione del sonno...

- La maledizione del sonno verrà spezzata. È destinata a sconfiggere la Strega dell’Est e presto o tardi lo farà.

Zelena avrebbe tanto voluto rintracciare i pensieri sotto il boato di paura che ormai la riempiva. La bambina era sola in quella casa e c’era uno Spettro che scorrazzava per l’Oltretomba nel corpo della Salvatrice. Una creatura simile non si sarebbe fermata neppure davanti ad una neonata. - E quei... globi di luce? Che cos’erano?

“Non è l’unica cosa che ho per te. Da oggi in avanti... se avrai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere. So essere particolarmente fastidiosa, ma anche... generosa, Zelena.”

- I nostri ricordi. – stava dicendo Ade. - Volevo che tu sapessi che non mi sono mai dimenticato niente. E che non ho mai smesso di pensare a te. A tutto quello che è successo.

- L’ultima volta che ci siamo visti hai detto che l’avrei pagata! Era questo che intendevi? Rapirmi è il tuo modo di farmela pagare?

“La storia del Dio degli Inferi che rapisce una fanciulla, costringendola a passare sei mesi nel suo regno e altri sei sulla Terra.”

- Ti ho detto che te ne saresti pentita. Non che l’avresti pagata. – la corresse Ade, come se contasse qualcosa. – E speravo che te ne pentissi. Perché sai che cosa provo per te. Per questo voglio che tu sia al sicuro e non farò niente alla piccola. Ho già un bambino. Tremotino me ne ha garantito uno. Lui... e Belle.

Zelena batté le palpebre, sempre più confusa. – Quindi mi stai dicendo...

- Ti sto dicendo la verità. Se avessi voluto la tua bambina, l’avrei già presa. E poi... – Allargò le braccia. - Non hai visto? Sai perché questo posto... assomiglia a Storybrooke? Un tempo non era così. L’ho fatto... per te!

Lei rimase in silenzio, contemplandolo attraverso il velo delle lacrime.

- So che volevi lanciare l’incantesimo per avere tutto quello che tua sorella ha avuto. - continuò Ade. 

- Quindi hai... hai costruito una Storybrooke... qui? Perché fosse mia?

- Non è perfetta. Me ne rendo conto. Purtroppo l’Oltretomba è... è un luogo di distruzione. Non cresce niente... per quanto mi impegni. E non è esattamente quello che vorrei darti. Lo sai. – Sorrise amaramente. – Queste... sono rovine. Ma sono le nostre rovine.

“Non è l’unica cosa che ho per te. Da oggi in avanti... se avrai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere.” La voce di Era era roboante. Ed era l’unica cosa che si faceva strada in mezzo alla confusione che aveva in testa.

- Zelena... potremmo non essere più soli. – Ade le prese una mano e questa volta lei lo lasciò fare. -Avere tutto è la miglior vendetta. La parte migliore deve ancora venire ma...

- No! – Zelena lo scacciò di nuovo. Il cuore le batteva troppo forte, sempre troppo forte in presenza di Ade e questo accresceva la sua furia. – Credi davvero che possa fidarmi di te dopo... dopo...

- Non puoi. Non ancora. Lo capisco. – la interruppe Ade, comprensivo. – Per questo sei qui. Possiamo parlare. Posso farti capire che puoi fidarti di me. Dammi una possibilità.

Zelena non rispose, ma dentro di sé desiderava che tutto finisse. Tutto. Era tornata ad Oz, sperando di poter essere lasciata in pace, ma ovviamente non poteva trovare pace da nessuna parte. Ovunque andasse, qualsiasi cosa facesse, Zelena non avrebbe mai trovato niente di buono, niente perché era la Strega Perfida. Ovunque andasse trovava solo rovine. Quella città non era come quella di Regina. Lo aveva detto anche Ade. Cadeva a pezzi. Era orribile. Il cielo era rosso, l’aria era troppo densa... ed era piena di gente morta. Gente con conti in sospeso.

Rovine.

Sì, voleva davvero che tutto finisse. Per la prima volta da quando la sua miserabile vita era cominciata, Zelena non desiderò la vendetta. Si scoprì a desiderare di essere morta.


   
 
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