9
“Sono
giunta alla convinzione che
bene e male
sono
nomi per ciò che fanno le persone,
non per quello che sono. La sola cosa che
possiamo dire
è che questa è una buona
azione perché
aiuta qualcuno,
o che quest'altra è cattiva perché fa male a
qualcuno.
Le persone sono troppo complesse perché le si
possa etichettare.”
[Philip
Pullman, Queste Oscure Materie: Il
Cannocchiale
d’Ambra]
Oltretomba.
Oggi.
Henry
fece molta attenzione quando azionò il passaggio che
conduceva alla stanza
segreta.
Mentre
la sua famiglia era impegnata in varie zone dell’Oltretomba,
lui aveva chiesto
alle sue madri di poter raggiungere Lily per essere d’aiuto.
Regina aveva
protestato un bel po’ e anche Emma, ma alla fine era riuscito
ad avere la
meglio.
Ed
era
anche riuscito a convincere Lily a coprirlo mentre andava in un posto.
-
Le
tue madri mi uccideranno.
-
Emma
no. Non ti farebbe mai niente.
-
Ma
Regina sì. E poi dimentichi che Emma può vedere
quello che faccio, se vuole.
Fino a poco fa eravamo in contatto.
-
Ma
tu lo capisci quando succede. Non puoi bloccarla?
-
Non
sono ancora così brava ad usare questo... dono. E poi forse
è meglio che io
venga con te. Ti caccerai nei guai.
Henry
aveva scosso la testa. – Tu hai altro da fare. Non
preoccuparti per me. Me la
caverò.
In
realtà, aveva la costante impressione che qualcuno lo
osservasse, nascosto
nell’ombra. Non si sentiva al sicuro da nessuna parte, ma
doveva fare ciò che
aveva in mente.
La
libreria dentro la grande villa era ancora là, con tutti i
libri sistemati
ordinatamente sugli scaffali. Ne prese un paio a casaccio e vide che
erano
bianchi. I tavoli e le poltrone erano coperti da teli bianchi e il
pavimento
era polveroso al punto tale che Henry notò le impronte delle
sue scarpe ben
impresse su di esso.
Deve
essere qui, pensò.
Aveva
provato anche in altri posti, ma non aveva fatto altro che
tergiversare. Sapeva
benissimo dove trovarla.
Udì
un
rumore alle sue spalle, come di qualcosa che grattava contro il legno.
Henry
impallidì e si voltò, convinto di dover
affrontare un intruso. Non aveva
nemmeno un’arma con sé. Forse aveva davvero fatto
male a venire lì da solo.
Attese
che qualcosa si palesasse, ma la villa era ripiombata nel silenzio.
Allora
vide la luce. Una luce pulsante e azzurrata che proveniva da una
lampada sotto
uno dei teli. Sembrava che lo stesse invitando ad avvicinarsi.
Henry
sollevò il telo, sperando di non cascare in qualche odioso
tranello del Signore
degli Inferi e allungò una mano, tastando fino a quando non
avvertì la
consistenza della penna sotto le dita.
La
sua
penna. Era bella e luminosa. Emanava un’intensa luce e
l’Autore la tenne tra le
dita, osservandola, aspettandosi qualcosa. Qualche risposta, forse.
Aspettandosi che la penna gli dicesse che cosa era più
giusto e cosa era
sbagliato. Aveva già pensato di usarla per riportare in vita
suo padre, ma
l’Apprendista l’aveva messo in guardia sul suo
potere.
Però
sapeva una cosa. Ora aveva un’arma.
Henry
uscì dalla biblioteca.
Una
mano guantata si chiuse sul suo braccio in una stretta
d’acciaio.
-
Dove
credi di andare, giovanotto?
Zelena
controllò la bambina, che dormiva beatamente nella sua culla
e poi scostò le
tende.
Malefica
stava per aprire una breccia nella barriera intorno alla casa. Non ci
era
ancora riuscita, ma non ci avrebbe impiegato molto. Fiyero e Marian
avevano le
frecce pronte. Quindi immaginava che presto avrebbe combattuto contro
un drago,
contro il tirapiedi di Glinda e contro la ex moglie di Robin.
Zelena
tirò le tende con un gesto secco della mano.
Allora
vide il globo azzurro che fluttuava sopra al tavolo.
Era
grande quanto una palla da bowling e ronzava, un ronzio abbastanza
forte da
ferirle le orecchie e farle battere i denti. Zelena provò a
colpirlo con la
magia per scacciarlo, ma quello sfrecciò a destra e a
sinistra, schivando ogni
attacco facilmente.
Infine
si fermò all’altezza dei suoi occhi. Zelena
sentiva la pelle che formicolava e
uno strano sapore in bocca.
Il
globo si avvicinò ancora e la toccò sulla fronte.
Un’esplosione
accecante come un fuoco d’artificio cancellò la
luce rossastra dell’Oltretomba
e tinse ogni cosa di un celeste pallido.
Foresta
di Oz. Durante la prima maledizione.
“A
volte per trovare qualcuno devi avere... i
giusti mezzi”, disse Ade a Zelena, recuperando un aggeggio
arrugginito in mezzo
ad una moltitudine di cianfrusaglie, tutte assiepate nel cuore della
foresta di
Oz. “Il rifugio di Dorothy non è lontano, ma
è protetto da un incantesimo. Per questo
le tue scimmie non sono riuscite a vederlo.”
“D’accordo,
ma perché dobbiamo andarci... su
quell’affare?”, domandò Zelena.
“Oh,
già. Non ne avete, ad Oz.” Ade montò in
sella. “Si chiama bicicletta. Vieni. Provala.”
Zelena
non era molto sicura di cosa stesse per
succedere e fissò Ade, perplessa e incuriosita.
“Oh,
per favore. Fidati di me.”
Lei
si avvicinò alla bicicletta con cautela,
pensando a quanto fosse simile ad una scopa dotata di ruote. Poi si
accomodò
davanti ad Ade. Avvertì lo strano profumo del Signore degli
Inferi, un sentore
di fiori appassiti, ma non lo trovò sgradevole.
Ade
esitò. A Zelena parve che il suo corpo si
stesse irrigidendo. Poi lui gettò fuori il respiro che aveva
trattenuto.
“Tutto
bene?”, domandò la Strega dell’Ovest.
“Certo.
Vogliamo andare?”
Era
il suo cuore quello che aveva sentito? Un
unico, flebile battito. L’aveva colto impreparato,
perché era da millenni che
il suo cuore non batteva, grazie alle geniali trovate di suo fratello.
Ade
si mise a pedalare di buona lena.
Zelena
lanciò un gridolino sorpreso quando la
bicicletta prese velocità, scivolando lungo il sentiero che
si snodava nella
foresta. Il vento le sollevò qualche ciocca di capelli.
Provò una strana
ebbrezza, qualcosa di simile a ciò che provava quando
cavalcava la scopa e si
lanciava nel cielo di Oz. E la sua risata fu un’altra cosa
che sorprese Ade.
Gli sembrò un suono bellissimo, giovane e fresco, quasi
innocente, in netto
contrasto con l’animo tempestoso della Strega.
“Sì,
è proprio come una scopa con le ruote!”,
esclamò Zelena.
Poi
la ruota anteriore cozzò contro una radice
sporgente ed entrambi ruzzolarono su un tappeto di foglie morte. Zelena
si
ritrovò sopra di lui, che la fissò con un sorriso
divertito.
“Presa.”,
disse. “Vorresti rifarlo?”
“Beh,
ovvio che sì.” Zelena si tirò su,
rassettandosi il vestito nero ed Ade raccolse il cappello a punta della
strega,
rimettendoglielo sul capo. “Qual è la prossima
mossa? Come farà questa
bicicletta a condurci dallo Spaventapasseri?”
“Non
è una bicicletta qualsiasi.”, rispose Ade.
“È la bicicletta di Dorothy. E il luogo in cui
l’abbiamo trovata è il luogo in
cui la sua casa è precipitata. Serve un incantesimo,
così possiamo
localizzarla.”
“Non
puoi farlo tu?”
“I
miei poteri sono limitati al di fuori del
mio regno.”, rispose, in tono piccato.
Zelena
lanciò l’incantesimo di localizzazione.
Oltretomba. Oggi.
Che
cos’è? domandò
Emma.
Non
ne ho idea.
Quando
Mary Margaret e Regina tornarono dalla loro spedizione alla cripta,
Emma era
ancora connessa a Lily e, attraverso i suoi occhi, vedeva chiaramente
lo strano
amuleto che la ragazza aveva sgraffignato dalla stanza di Murphy Logan,
al
Granny’s.
David
aveva trovato dei libri uguali a quello che Henry si portava sempre
dietro
durante l’ispezione della villa di Regina. Solo che le pagine
erano bianche.
Erano nella camera di Henry, forse in attesa del proprietario.
-
Che
cosa succede? – chiese Regina, fissando Emma, profondamene a
disagio.
-
È
molto interessante. - commentò
Τremotino,
senza rispondere alla sua domanda. - I Cavalieri di Drago avevano un
legame
simile con i loro draghi. Era qualcosa di molto speciale e onorevole.
Un vero
peccato che si siano estinti.
A
Regina non importava un bel niente. – Dove ti eri cacciato?
-
A
cercare un modo per andarcene da qui.
-
Oh,
davvero? E quali sarebbero questi modi di cui parli?
-
Ho i
metodi. – In realtà appariva scuro in scuro in
volto e meditabondo.
In
quel momento Emma interruppe il contatto con Lily e rientrò
in sé, guardandosi intorno.
Batté più volte le palpebre, come se non fosse
del tutto sicura di dove si
trovasse.
-
Lily
ha trovato qualcosa? – domandò Mary Margaret.
-
Non
ne sono certa. – rispose Emma.
-
Non
deve passare troppo tempo nella mente di Lilith. È un
consiglio. Le toglie le
forze. – disse Tremotino. – Forse prima non se ne
rendeva conto perché era un
Signore Oscuro... ma ora dovrebbe.
-
Sto
bene. – disse Emma, alzandosi in piedi.
Subito
la travolse un’ondata di vertigini e sentì le
ginocchia molli come gelatina.
Barcollò e Regina accorse per sostenerla.
Foresta di Oz. Durante la prima maledizione.
Dorothy Gale sedeva davanti alle braci morenti
del fuoco insieme allo Spaventapasseri. La casetta in cui si era
rifugiata era
una stamberga di legno che avrebbe potuto ospitare al massimo una
persona e
Zelena immaginava che comunque Dorothy doveva stare molto stretta.
Lei
e Ade erano nascosti nel buio, dietro ad un
gruppo di alberi.
“Ora
la vedi?”, chiese il Dio, divertito.
“Oh,
sì.” Zelena aveva annientato
l’incantesimo
di protezione che circondava il luogo in cui Dorothy si nascondeva.
“Le sorelle
di Oz dovrebbero pensare a qualcosa di meglio.”
“Ne
sono convinto. Vai e prenditi ciò che ti
serve.” Le rivolse un sorriso sornione, ancora in sella alla
scopa con le ruote
che chiamava bicicletta.
“Volentieri.
E se la mocciosetta si mette in
mezzo, vedremo se il sangue si abbina bene al suo vestito.”
Zelena
marciò con decisione fino al bivacco,
sentendo montare la furia ad ogni passo. Ade la osservò,
compiaciuto e
apprezzandone la fierezza. Non vedeva l’ora di assistere ad
una bella lotta.
Impari, ma pur sempre una lotta. Forse avrebbe davvero visto scorrere
il
sangue. Sarebbe stato un gran bello spettacolo.
“Ridammi
lo Spaventapasseri!”, gridò Zelena,
piombando sul fantoccio, che lanciò uno strillo non appena
la vide.
“Non
ci pensare nemmeno!”, rispose Dorothy,
estraendo la spada.
Zelena
scagliò un semplice incantesimo contro
di lei, congelandola. Poteva ancora parlare, ma dal collo in
giù era
paralizzata.
Poi
la Strega dell’Ovest affondò la mano nella
testa di paglia dello Spaventapasseri e si appropriò del
cervello di cui aveva
bisogno. Lo Spaventapasseri finì gambe all’aria ed
iniziò a farfugliare a
vanvera. “Questi contrattempi... non sai quanto li
detesto.”
“Non
ti lascerò vincere.”, disse Dorothy.
La
sua cocciutaggine la sorprese e tuttavia non
poté fare a meno di deriderla. “Oh, davvero? E
qual è la tua idea? Posso farti
molto male e lo sai.”
“Non
ho paura.”
“Pessima
risposta.”
“Dai
pure il peggio di te. Io non avrò mai
paura della Strega dell’Ovest.”
Zelena
si accigliò. “Da dove viene tutta questa
insolenza? Che cosa ti è capitato in Kansas?”
Dorothy
sembrava in lotta con sé stessa, non
solo con lei. Se aveva pronta una risposta adeguata, decise di
tenersela.
“Ma
in fondo non mi importa. Abbiamo finito.”,
concluse, accarezzando il cervello che stringeva tra le mani.
“E sai una cosa?
Non ti ucciderò. Che tu ci creda o no, non voglio nemmeno
farlo. Quello che
voglio... è che ogni Munchkin, ogni Quadling, ogni abitante
di Oz... capisca che
Dorothy Gale non può proteggerli.”
Frustrata,
Dorothy seguitò a fissare Zelena
senza rispondere.
“E
sono sicura che lo sai anche tu. Insomma,
guardati intorno. Che cosa vedi?”
L’aria
della notte, fredda e limpida. Il
movimento costante delle chiome degli alberi. Il richiamo di un gufo.
Il buio.
Le stelle a milioni. La luna piena. E la voce balbettante dello
Spaventapasseri
che annaspava a terra e agitava le gambe.
“Niente.”,
disse Zelena, ridacchiando. Scandì
ogni singola parola, godendosi la sensazione di rigirare il coltello
nelle
piaghe della ragazzina venuta dal Kansas. La ragazzina che le aveva
rubato il
posto quando era solo una bambinetta con un ridicolo vestito a quadri
azzurri. La
ragazzina che voleva distruggere il suo piano, portandole via uno degli
ingredienti per il suo incantesimo. “Niente. E nessuno. Non
c’è nessuno in
grado di aiutarti. Non hai amici, non hai una famiglia... non hai un
amore. Non
hai poteri.”
“Io
ho...” cominciò Dorothy.
“Cosa?
L’amore del popolo? Non ti servirà a
niente.” Zelena sfiorò la lama della sua spada con
la punta dell’indice ed essa
si frantumò. Alla ragazza non rimase che l’elsa.
“Loro non possono proteggerti.
E nemmeno quelle streghe da quattro soldi che passano il tempo sedute a
tavola
pensando di avere in mano il destino di Oz. Almeno io... ho la magia. E
sono
temuta. Non ho bisogno di qualcuno che mi difenda.”
“Non
esserne così sicura.”
“Lo
sono. E sono anche sicura che tu non sia la
paladina di Oz.” Zelena si allontanò da lei.
“Sei la paladina del nulla.”
Oltretomba. Oggi.
-
Sai,
credevo avessimo un accordo. – disse Crudelia, trascinandolo
fuori dalla villa
e stringendo il suo braccio in una morsa ferrea.
Henry
cercò di divincolarsi, ma inutilmente. – Non ho
mai detto di sì.
-
No... però ero sicura che ci stessi pensando. È
vantaggioso per entrambi.
Riporti in vita me con la penna... e tua madre smette di essere
un’assassina.
-
Non
ho nessuna penna. L’ho rotta.
-
Siamo nell’Oltretomba, mio caro. – Crudelia era
attorniata dal pesante odore di
sigaretta, che fumava tramite il bocchino verde che reggeva ancora
nella mano
libera. Un ciuffo di capelli bianchi le ricadeva scompostamente sul
viso magro
e gli occhi azzurri bruciavano di collera. Gli venne la nausea quando
gli alitò
in faccia. – E quella non è una penna comune.
Infatti sei venuto a cercarla.
-
Non
l’ho trovata. Non è qui.
-
Invece sì. Stavi frugando in quella stanza.
Henry
diede un altro strattone e quasi le sfuggì, ma lei non si
lasciò cogliere alla
sprovvista. Lo riacciuffò e gli infilò le mani
guantate nelle tasche della
giacca.
-
Hai
fatto male a venire da solo. Ti senti un eroe? – chiese
Crudelia, mentre le
dita si infilavano sotto la giacca. – Perché le
tue mammine non sanno che sei
qui, vero monellaccio?
Henry
trattenne il fiato quando Crudelia raggiunse la tasca in cui aveva
nascosto la
penna. Pensava davvero che fosse finita per lui. Non sapeva se Crudelia
l’avrebbe ucciso né se potesse farlo, visto che
Isaac l’aveva resa incapace di
fare del male, ma avrebbe perso la penna. E non voleva. Lui era
l’Autore e
l’idea di essere costretto a cedere la penna lo rendeva
furioso.
Ma
ora
che era morta, forse il marchio di Isaac non valeva più.
Quella volta, sul
ciglio del burrone, l’avrebbe ucciso senza battere ciglio,
ficcandogli una
pallottola in corpo. E non c’era sua madre con la sua magia,
ora. Non c’era
nessuno.
Crudelia
tastò e tastò. – Allora, dove
l’hai nascosta?
Henry
era sconcertato.
-
Dov’è?!
– chiese ancora Crudelia.
Sapeva
che era lì, dove aveva già guardato, ma in
qualche modo la penna non si faceva
trovare.
Stava
per risponderle che ovviamente non l’aveva, proprio come le
aveva detto
all’inizio. Ma un’ombra enorme oscurò
entrambi e le chiome degli alberi vennero
scosse brutalmente. Henry udì un forte sbatacchiare.
Crudelia
alzò la testa, in tempo per vedere il drago nero scendere in
picchiata, tenendo
le ali aderenti al corpo. Henry approfittò della distrazione
per sottrarsi alla
presa della donna. Scappò in direzione di Lily e, non appena
fu abbastanza
distante da Crudelia, il drago sprigionò una vampa di fuoco.
Un
vorace inferno inghiottì Crudelia.
Henry
comprese immediatamente che dovevano andarsene e quindi era necessario
che
montasse in sella. Annaspando e scivolando, riuscì a salire
sulla groppa del
drago. La sua corazza era dura e calda. Lo stomaco si
ribaltò quando Lily si
staccò di nuovo da terra, sbattendo le grandi ali per
prendere quota.
Ovviamente
il fuoco non aveva scalfito Crudelia e nemmeno la casa o gli alberi che
la
circondavano, ma la torrenziale pioggia di fiamme incandescenti era
stata
accecante.
“Siamo
nell’Oltretomba. E quella non è una
penna comune.”
La
penna non aveva voluto essere trovata. Non da una come Crudelia. Solo
dall’Autore.
Henry
guardò giù, ignorando le vertigini e vide la
donna riversa in un letto di
foglie e rami. Distinse i capelli bianchi e neri tutti arruffati e le
scarpe di
un rosso acceso.
Poi
Lily sbatté le ali e virò verso il centro della
città.
Poco
dopo, il drago sbucò da una nuvola rossa ed
atterrò con un tonfo poderoso
davanti alla casa degli Azzurri. I muscoli delle cosce e delle spalle
si
incresparono di onde mentre assorbivano la potenza
dell’impatto. Una forte
corrente d’aria investì Regina, Emma e Mary
Margaret e l’asfalto tremò sotto i
loro piedi.
Regina
mantenne a stento l’equilibrio e sgranò gli occhi
quando vide Henry che
scivolava giù dalla groppa di Lily.
-
Henry. – Emma sembrava altrettanto incredula. Lily, ancora in
forma di drago,
notò che era anche provata, più pallida del
solito. L’impressione generale era
che fosse stranamente vulnerabile, per quanto si sforzasse di non darlo
a
vedere.
-
Che
cosa ti è saltato in mente quando hai pensato di caricarti
mio figlio in
groppa? – esclamò Regina.
-
Era
più veloce così. – si limitò
a rispondere Henry, prima che Lily potesse farlo. Dalle
narici del drago uscirono due fili di fumo. – Almeno
è stato divertente. Non mi
avevi detto che era così divertente.
Il
drago riassunse la sua forma umana. Intorno al polso, Lily aveva
arrotolato lo
strano oggetto che aveva trovato in un cassetto della camera di Murphy,
un
medaglione a forma di fiamma bordata d’oro, con una grossa
pietra rossa al
centro, che ricordava molto quella incastonata sul coperchio del Vaso
di
Pandora.
-
Sai
cos’è? – domandò Lily a
Regina, porgendoglielo.
-
Non
credo di aver mai visto nulla di simile. – ammise Regina.
Sfiorò i bordi della
fiamma e percepì il flusso di magia che vi scorreva
all’interno. Ritrasse
subito la mano. – Ma è decisamente qualcosa.
-
Posso? – disse Tremotino, che si era tenuto in disparte fino
a quel momento.
Lily
lo fissò di sottecchi, ma Emma annuì e quindi
glielo mostrò da vicino.
L’Oscuro
ne saggiò la consistenza e sorrise. - Sì,
è una protezione.
-
Un
amuleto protettivo? – chiese Lily.
-
Più
di questo. Contiene una parte dell’energia della persona che
lo indossa.
Henry
sgusciò in casa senza farsi notare e mettendosi una mano in
tasca per controllare
che la penna fosse ancora dove l’aveva lasciata.
-
E
perché Murphy avrebbe dovuto avere un oggetto simile?
L’ha trovato qui? –
domandò Lily.
-
Oh,
non credo che l’abbia trovato qui. L’ha trovato
nella Foresta Incantata. Non
era difficile entrarne in possesso. Molti maghi li avevano. –
Tremotino
allontanò le dita dal medaglione. - E forse a Murphy serviva
per celare il suo
vero aspetto. In questo senso, è una protezione. Tenetelo,
potrebbe essere
utile.
-
Non
lo portava quando l’ho conosciuto. Ne sono sicura.
– rispose Lily.
-
Forse non ne aveva bisogno nel vostro mondo. Nel mondo senza magia.
Nessuno
disse più niente. Murphy veniva dalla Foresta Incantata?
Non
che quella fosse la cosa più importante per Lily. A lei non
importava nulla di
Murphy, per quanto ancora lo vedesse cadere nel Tartaro quando chiudeva
gli
occhi. E lo vedeva cadere perché pensava a quello che le
aveva detto prima di
morire... no, prima di essere condannato per sempre al posto peggiore.
“Lo
sai che avevo una figlia? Avevo una figlia!
Lei non ha più nessuno per colpa tua! Quella stronza di sua
madre se n’è andata
dopo averla partorita! Quei soldi mi servivano anche per lei!”
In
mezzo alla roba di Murphy aveva rinvenuto anche una fotografia, in cui
si
vedeva una donna bionda con una bambina di circa tre anni. Lei
immaginava che
quella fosse la figlia di Murphy. Si era messa la foto in tasca.
Ci
avrebbe pensato una volta tornata a Storybrooke.
Oz.
Durante la prima maledizione.
“Si può sapere che sta succedendo?”
domandò
Nessarose, quando Ade si ripresentò al palazzo della
Sorellanza. Glinda e
Locasta non erano ancora tornate.
“Non
ho molto tempo. Devo sistemare alcune faccende.”,
rispose lui, sbrigativo. “Ma sono venuto a portarvi qualcosa
che potrebbe
esservi utile. Anche se non subito, forse.”
“Ovvero?”
Ade
vide che Nessarose stava consultando un
grande libro con la copertina spessa e sgualcita. Le pagine ingiallite
giravano
da sole. “Noto che state studiando meglio la profezia che vi
riguarda.”
“Profezia?”
“Oh,
suvvia. Pensavo avessimo superato la
ritrosia.”, disse Ade, roteando gli occhi ed avvicinandosi
quanto bastava per
leggere le parole stampate sulla carta. “La profezia del
Libro degli Eventi...
Glinda pensa che parli di Zelena. Il che è divertente, se si
considera che in
realtà parla di voi. Ed è questo il motivo per
cui non vi siete ancora occupata
di Dorothy.”
“Credete
davvero che io abbia paura di una
ragazzina senza poteri? La profezia parla di una strega. E Dorothy non
lo è.”
“Le
cose cambiano molto in fretta, sapete.” Ade
tirò a sé il libro e scrutò le parole.
Erano trascritte in una lingua antica e
ormai morta, ma molte streghe la sapevano ancora leggere e comprendere.
Beh,
più o meno. “Un’eroina proveniente da un
altro mondo, farà di Oz la sua casa
fino a quando non avrà bandito il male più grande
che questa terra abbia mai
conosciuto. Un’eroina, capite? Non una strega. Le parole, in
questa lingua, si
somigliano. Glinda avrebbe dovuto prestare più attenzione.
Ma il succo rimane
lo stesso.”
Nessarose
lo guardava, sprezzante. “Non c’è
bisogno di leggerla nel modo giusto. È evidente. Dorothy conosce a stento
qualche incantesimo
di protezione.”
“Però
voi conoscete la profezia e quella vi
preoccupa. Diciamo che... siete cauta. Non attaccate a caso
perché sapete che
non bisogna sottovalutare le profezie. Contrastarle significa
perdere.” Ade sorrise,
beffardo. “Credetemi. Mio padre ne sa qualcosa. Crono. Ve ne
hanno mai parlato?
Una profezia diceva che uno dei suoi figli lo avrebbe detronizzato e
lui che
cosa ha fatto? Si è mangiato ogni figlio che ha avuto. Me
compreso. Peccato che
mio fratello sia riuscito a farla franca. L’ha sconfitto
comunque.”
“Perché
siete qui?”, domandò Nessarose,
tagliando corto.
“Per
portarvi qualcosa che potrebbe tornarvi
utile, quando giungerà il momento opportuno.”
Aprì la mano ed in essa comparve
un oggetto, una specie di lancia con due punte ondulate di cristallo e
l’impugnatura dorata al centro. Gliela porse.
“Che
cos’è?”
“La
folgore olimpica.”, rispose semplicemente
Ade. “Una cosuccia che ho rubato a mio fratello molto tempo
fa. Gliel’hanno data
i Ciclopi quando li liberò dalle catene.”
“Non
ho bisogno di armi divine per sbarazzarmi di
qualcuno.”
“No.
Ma questo non è un’arma qualsiasi.”
Sollevò la folgore ed essa brillò, colpita dalle
luci gialligne della sala.
“Quest’arma non si limita ad uccidere. Distrugge.
Completamente. Dei vostri
nemici... non rimarrebbe nulla. Non andranno da nessuna parte,
perché la loro
anima non esisterà più. Niente Oltretomba e
niente Tartaro. Nulla.”
Nessarose
sembrava compiaciuta. “E Zelena?”
“Zelena
serve a me. Il suo piano mi piace.”
“E
non solo il piano, mi sembra di capire.”
Ade
si limitò ad un’alzata di spalle.
“È un
vantaggio per me. E potrebbe concludersi tutto oggi, se saremo
fortunati. Io
potrò lasciare l’Oltretomba e riprendermi
l’Olimpo. Voi potrete liberarvi delle
vostre sorelle e di Dorothy e regnare su Oz. Avete la folgore adesso.
Qui sarà
al sicuro. Mio fratello la cerca ancora ma non verrà a
cercarla qui.”
“E
se non dovesse funzionare? Se Zelena non vi
ascoltasse?”
“Dovrete
aspettare. Zelena non rinuncerà mai al
suo piano né io rinuncerò al mio.”
“Quindi
mi state chiedendo di avere pazienza? Siete
folle.”
“Oh,
no. Sono Ade e sono una divinità. Voi
siete umana. Ed io so bene chi siete. Basterebbe molto poco per
distruggere il
castello di bugie che avete costruito. Le vostre sorelle saranno contro
di voi
e così anche Dorothy. Non avrete più alcun
vantaggio e prima o poi vi
distruggerebbero.” Ade ormai era diventato minaccioso, anche
se la sua voce non
era cambiata. Il tono era calmo. Pieno di boria, ma calmo. Tuttavia, i
suoi
occhi brillavano, ripieni di una sinistra luce azzurra.
“Immaginatevi che cosa
succederà. Immaginatevi le facce delle vostre Sorelle e non
solo le loro... quando
verranno a sapere che Evanora era solo
un burattino e che la vera Strega Perfida dell’Est siete
sempre stata voi. Vi
sconfiggeranno e dovranno riabilitare il nome di vostra sorella. Non
credo sia
una bella prospettiva.”
Cosa
avrebbe fatto in quel momento Nessarose
non era difficile da intuire, perché fiammeggiava dalla
testa ai piedi in preda
ad una rabbia incontrollabile, tremandone perfino. “Mi
ricattate, dunque.”
“No.
Non ne ho bisogno. Il nostro accordo è
ottimo. Entrambi otterremo qualcosa.”
Oltretomba.
Oggi.
D’accordo.
Forse era curiosa.
Forse
voleva davvero sapere chi fosse Murphy Logan quando ancora viveva nella
Foresta
Incantata.
Lily
aveva sempre dato per scontato che Murphy non fosse il suo vero nome e
lei
stessa si era fatta chiamare in modi diversi. Odile. Starla.
Aveva
chiesto ad Henry se poteva prestarle il suo libro di storie. Solo per
dare
un’occhiata.
La
difficoltà stava nel fatto che Murphy non aveva lo stesso
aspetto nella Foresta
Incantata. Avrebbe potuto essere chiunque.
Aveva
finito di leggere la storia del Grillo Parlante, quando Emma la
raggiunse e
sedette accanto a lei.
-
Ti
senti meglio? – domandò Lily, appoggiando il libro
sul letto, senza chiuderlo.
-
Perché me lo chiedi?
-
Beh,
non sembravi molto in forma quando sono tornata con Henry.
Emma
si
scostò i capelli dal viso e si portò una ciocca
dietro l’orecchio. – È colpa
del contatto mentale. Tremotino dice che ci toglie le forze... se
è troppo
prolungato.
-
Merlino non aveva detto niente.
-
Non
ne ha avuto il tempo, probabilmente.
Regnò
il silenzio per almeno cinque minuti, mentre Lily ripensava al momento
in cui
aveva stretto il cuore di Merlino, disintegrandolo.
-
L’hai trovato? – chiese Emma, esaminando il libro
aperto.
-
No.
Ma non mi aspetto di trovarlo. O magari l’ho trovato, ma non
me ne sono resa
conto. – Le rivolse un fievole sorriso.
-
A
cosa pensi davvero?
La
domanda era molto diretta e la spiazzò. Tuttavia, sapeva a
che cosa si stava
riferendo. – Penso a come dovrei sentirmi. Sono venuta...
siamo venuti qui per
salvarti. E lo faremo. Dovrei preoccuparmi solo di questo. Ma non
riesco.
Questo posto... mi costringe a pensare a tutto quello che ho fatto. E a
prendere
altre decisioni sbagliate.
-
Se
ti riferisci a Murphy, non avevi scelta.
-
L’avevo quella sera, quando l’ho ucciso.
– Scoppiò in una brusca e fredda
risata, un suono strano, come l’acqua che scorre sulla nuda
roccia. – Come ti
senti quando uccidi?
I
verdi
occhi di Emma si ridussero a due fessure.
-
Quello che intendo dire... – si corresse Lily. –
Quello che intendo dire è...
che cosa hai provato quando hai ucciso Crudelia? O quando hai ucciso
quell’uomo, nelle prigioni di Camelot? Li vedi, quando dormi?
Emma
si strofinò i palmi sui jeans. La sua espressione era
tormentata e Lily si
chiese se si sarebbe degnata di risponderle, quando lei
ricominciò a parlare. –
Ci penso, sì. Ho... ucciso Crudelia perché volevo
salvare Henry. E ho ucciso
quell’uomo nei sotterranei perché cercavo una via
d’uscita... perché volevo
punire la mia famiglia per avermi rinchiusa là sotto.
-
La
tua famiglia o...?
-
Regina. Volevo punire Regina. Ma anche la mia famiglia per averle dato
retta.
-
Vorresti non averlo fatto?
-
Vorrei aver saputo prima che Crudelia non era in grado di fare del
male. Ma non
lo sapevo. Se tornassi indietro... probabilmente lo farei di nuovo. Per
Henry.
E fermerei me stessa in quei sotterranei. - Stava per aggiungere che
avrebbe
fermato se stessa prima di trasformarla in un Oscuro, però
non lo disse, perché
sapeva che non era vero. L’avrebbe fatto ancora per salvarle
la vita, anche se
avrebbe significato condannarla.
-
Lo
vedi? Lo faresti per Henry. Io... ho ucciso Murphy perché lo
detestavo e se
tornassi indietro so che forse lo ucciderei ancora.
-
Non
puoi saperlo.
-
Mi
conosco. Lo so. – Quella di Lily era una risposta che non
ammetteva repliche. -
E quando l’ho ucciso in quella stazione di servizio... credi
che poi me ne sia
pentita? No. Non me ne sono pentita e non ho avuto incubi. Non penso
mai
nemmeno a Merlino. Non riesco... non posso perdonare tua madre per
quello che
mi ha fatto.
-
Non
ti ho mai chiesto di farlo.
-
Tu
li hai perdonati? Per quello che hanno fatto a Camelot.
-
Sì.
So perché l’hanno fatto.
Lily
rimase in silenzio un altro po’. – Io sogno Murphy.
Lo sogno mentre precipita
nel Tartaro, ma so che lo sogno per via di quello che mi ha detto su
sua
figlia. Non perché non volevo che morisse.
Emma
tese la mano destra e la posò su quella sinistra di lei. -
Per questo sei
entrata in quella camera? Per cercare qualcosa su sua figlia?
-
Sì.
– Prese la foto dalla tasca della giacca e gliela
mostrò.
Emma
osservò la bambina nella foto. La girò per vedere
se c’era scritto qualcosa sul
retro, ma non trovò niente. – Vuoi cercarla?
-
Hai
ancora il numero di quel contatto a Boston?
-
Sì,
ce l’ho. Non butto mai niente che possa tornarmi utile.
– Poi sorrise. – Lo
vedi? Non sei così male. Forse le tue emozioni sono...
difficili da gestire, ma
ti stai preoccupando per una bambina che nemmeno conosci. Stai facendo
la cosa
giusta.
Lily
stava per risponderle, ma venne interrotta da un grido stridulo.
Era
un
grido attutito dalla distanza, eppure ebbe lo stesso effetto delle
unghie che
sfregano ripetutamente su una lavagna, tanto che sia Emma che Lily si
ritrovarono a stringere i denti.
-
Cos’è
stato? – domandò Emma.
Malefica
era quasi riuscita ad aprire una breccia nella protezione che Zelena
aveva
innalzato intorno al suo rifugio, quando una creatura alata sbucata dal
nulla
piombò giù dal cielo in picchiata, lanciando uno
strillo che le straziò le
orecchie.
La
cosa la spinse da parte con un colpo d’ala brutale e lei, con
la testa che
rintronava e il sangue che le colava dall’orecchio sinistro,
barcollò e cadde.
Altri
due demoni alati si gettarono sul principe Fiyero e su Marian.
Subito
Fiyero si buttò a terra, evitando per un pelo di essere
acciuffato e dilaniato
dagli artigli dell’uccello. Estrasse una freccia dalla
faretra e la incoccò. Un
attimo prima di scoccare il dardo vide chiaramente la cosa.
Aveva
petto e volto di donna, ma era una faccia dura, distorta dalla
crudeltà e
dall’odio. Il corpo era quello di un uccello e, quando
sbatteva le grandi ali scure,
emanava un puzzo terribile, lo stesso odore di chi è morto
da troppo tempo. Gli
occhi erano accesi di furia e nelle orbite c’erano grumi di
melma.
La
freccia colpì l’arpia alla gamba. Quella
scagliò un altro urlo assordante e
passò sopra Fiyero, sbandando. Perse quota,
rasentò il terreno, ma poi si
rialzò in volo, incurante della propria ferita.
Erano
in tre e sembrava che stessero proteggendo la strega che si nascondeva
in casa
con la bambina. Li spinsero lontano, li costrinsero ad arretrare e
gridavano
per disorientarli.
Marian
scoccò una freccia, che andò a conficcarsi nella
schiena di un’arpia.
Furibonda, una delle compagne lasciò perdere Fiyero per
occuparsi di lei. Marian
guardò la bestia negli occhi, anche se la testa le doleva e
la potenza di
quelle grida l’aveva stordita.
-
Vediamo se lottate con la stessa forza con cui strillate. –
disse Marian,
preparandosi a scagliare un’altra freccia.
Le
labbra rosse dell’arpia si incresparono in un bacio beffardo.
– Marian... cibo
per Minotauri... il tuo bambino è solo. Gli
manderò tanti incubi!
Marian
le regalò una freccia. Erano tutte imbevute
dell’acqua del Fiume delle Anime,
ma le arpie erano immuni e, per quanto venissero colpite, non potevano
morire.
Con una freccia che spuntava dalla spalla, l’arpia si
gettò su Marian con gli
artigli spianati, puntando alla sua faccia. Marian si scostò
più rapidamente
che poté, ma venne comunque afferrata per i capelli e
sollevata da terra.
Lasciò cadere l’arco e si dibatté
selvaggiamente, mentre l’arpia saliva verso
il cielo rosso, sopra le chiome degli alberi.
-
Il
tuo bambino... il tuo bambino è solo con quelle stupide
fate! Incubi, incubi
per lui! – continuò a sbraitare il mostro,
soffocandola con il suo tanfo
nauseabondo. – E tu... tu finirai di nuovo nel labirinto!
Ciiiiiiiiiiibo per il
Minotauro! Il Minotauro è affamato!
Malefica
raggiunse l’arpia in volo e la urtò con la coda.
La creatura riprese a
strillare e aprì gli artigli. Marian precipitò,
mentre Malefica spalancava le
fauci ed eruttava una colonna di fiamme che avvolse l’arpia
in una tempesta di
fuoco giallo e arancio. Il mostro roteò e roteò,
urlante, maledicendo il drago
e imprecando.
Malefica
acciuffò Marian prima che potesse schiantarsi.
Le
arpie si dissolsero in un baleno, ferite e ancora più
arrabbiate di quando
avevano iniziato ad attaccare.
-
Beh,
non un gran comitato di benvenuto. – commentò
Fiyero, rialzandosi e
raccogliendo il proprio arco.
-
Non
era necessario salvarmi. Sono già morta. – disse
Marian al drago, che per tutta
risposta socchiuse gli occhi, emettendo un basso brontolio. –
Stavano
proteggendo la strega, vero?
-
Non
si sono nemmeno avvicinate alla casa. Direi di sì.
– disse Fiyero, scrutando il
cielo. – Forse dovremmo tentare in un altro modo, invece di
costringerla a
consegnarci la bambina.
-
E
quale sarebbe, il modo?
-
Il dialogo.
Una
leggera brezza soffiò, facendo frusciare l’erba ai
loro piedi e agitare i rami
dei salici. Marian osservò gli steli ingialliti ondeggiare
per qualche istante,
ripensando alle minacce dell’arpia.
“Tuo
figlio è solo!”
“Incubi!
Incubi per lui!”
Malefica
mostrava le zanne e Fiyero avrebbe giurato che fosse totalmente
indignata dalla
sua proposta.
-
So
che è difficile dialogare con la Strega
dell’Ovest. Ma ho anche visto come si
comporta con la bambina. – continuò il principe.
La
radura si increspò di strane ondulazioni, mentre un sinistro
scricchiolio
percorreva il tronco del salice più vicino.
Poi,
prima che Fiyero riuscisse a fare un solo passo, una radice grande
quando il
suo braccio spuntò dal terreno e gli si arrotolò
intorno alla caviglia destra,
immobilizzandolo. Radici ancora più grosse sbucarono ai lati
di Malefica e le
afferrarono la coda e le zampe, inchiodandola sul posto. Malefica
ruggì,
furibonda, morse con forza una delle radici e la scosse, ma non ottenne
alcun
risultato. Marian venne afferrata per la vita.
-
Per
tutti i diavoli! – disse Killian, arrivando di corsa, seguito
dagli altri.
David
sguainò la spada e menò un fendente deciso,
tranciando una delle radici per
liberare Marian. Un forte stridio riecheggiò
nell’aria densa quando due rami
sfregarono fra di loro. Uno di essi si protese e si
attorcigliò intorno al
collo di David.
Lily
si precipitò sul salice in forma di drago e sputando fuoco.
L’albero si
incendiò, ma le fiamme si spensero nel giro di un battito di
ciglia, senza
scalfirlo.
Il
ramo strinse di più la presa intorno al collo di David.
Città di Smeraldo. Oz. Durante la prima
maledizione.
Zelena tornò al palazzo e trovò una tavola
imbandita davanti alle tende che un tempo avevano nascosto il Mago di
Oz. Ade
aveva apparecchiato per due e acceso un paio di candele.
“A
cosa devo tutto questo?” domandò Zelena.
“Beh,
che domande... a te.”
“Quindi
mi hai vista.”
“Ma
certo che ti ho vista. Sei stata a dir poco
magnifica.”
Zelena
si sentì lusingata dal tono ammirato del
Dio.
“Ed
è per questo che ho una cosa per te.”,
aggiunse Ade. Prese un fagotto che aveva lasciato su una sedia e lo
srotolò,
rivelando l’oggetto che voleva regalarle.
“Cosa
ci dovrei fare con uno specchio?”,
domandò Zelena.
“Questo
non è uno specchio qualsiasi.”, replicò
Ade, facendo scorrere le dita lungo la cornice dorata.
“Questo, mia cara... è
lo Specchio delle Anime. Se una persona ha una natura malvagia, lo
Specchio la
rivela. I suoi occhi... si illumineranno di quello che io chiamerei...
un fuoco
demoniaco.”
Appoggiò
lo Specchio delle Anime sul tavolo e
lo rivolse nella sua direzione.
Istintivamente,
Zelena si voltò dall’altra
parte, evitando di guardare il proprio riflesso.
“Oh,
suvvia. Guarda. Non hai nulla da temere.”
Dopo
qualche attimo di esitazione, Zelena fissò
il proprio riflesso. In fondo, non pensava che un paio di occhi
demoniaci non
le donassero.
“Io
trovo che tu sia splendida.”, commentò Ade.
I
suoi occhi non avevano niente che non
andasse. Erano azzurri. Una ciocca di capelli sbucava da sotto il
copricapo
nero sfiorandole il viso verde.
“Ma
io non vedo nulla.”, disse Zelena, toccando
lo Specchio con la punta dell’indice.
“Certo
che no.” Posò il dono e tese una mano.
La sua voce era tranquilla, come se non fosse accaduto niente, come se
non le
avesse appena chiesto di svelare la sua natura guardando in uno
specchio
magico. “Vieni. Siediti.”
Zelena
accolse l’invito, accomodandosi. “Quindi
il dono e questa cena... sono un addio? Stai per tornare
nell’Oltretomba?”
Oh,
sì. Sarebbe tornato nell’Oltretomba e lei
sarebbe rimasta di nuovo sola. Ade non poteva restare a lungo lontano
dal regno
dei morti.
La
sua vita era questo. Un continuo abbandono.
Prima la sua vera madre, poi la madre adottiva che moriva lasciandola
nelle
grinfie di un uomo che non avrebbe mai voluto avere una figlia con dei
poteri,
poi Tremotino, che l’aveva aiutata a controllarsi ma aveva
scelto comunque
Regina, poi Glinda, che aveva ceduto il suo posto ad una ragazzina
piovuta dal
cielo. Nessuno rimaneva. Non con una Strega Perfida.
“No.”,
rispose, invece, Ade. “Non tornerò
nell’Oltretomba, Zelena. Ma questo dipende anche da
te.”
“Da
me?”
Ade
non ebbe bisogno di spiegarle nulla. Se ne
stava in piedi dietro di lei, in attesa, sfiorandole appena le spalle.
“Oh.
Tu credi... credi che il nostro sia...”
“Vero
amore.”
Zelena
reagì con un moto di incredulità. Le
sembrava tutto estremamente ridicolo. “Ci siamo appena
conosciuti!”
“Lo
so. Ma non puoi negare di provare qualcosa.”,
ammise, inginocchiandosi di fronte a lei. “Quando eravamo su
quella
bicicletta... e tu eri vicino a me... ho sentito qualcosa che non
sentivo da
molto tempo. Il mio cuore. Ha palpitato. Per un secondo, ma
è successo e non
potrei mai sbagliarmi.” Zelena la fissava con
un’espressione indecifrabile e,
dato che non aveva ricevuto risposta, Ade continuò:
“E se tu... se tu mi
baciassi, potresti liberarmi. Io potrò lasciare
l’Oltretomba e non saremo
costretti a separarci.”
Non
solo avrebbe potuto abbandonare
l’Oltretomba per sempre, ma avrebbe anche potuto usare i suoi
poteri al di
fuori del regno dei morti senza alcuna limitazione. Avrebbe potuto
prendersi
ciò che suo fratello si era preso come se gli spettasse.
Lui, che era nato per
ultimo. E Zelena sarebbe diventata una regina. Ade le avrebbe donato
l’immortalità e avrebbero regnato insieme. Le
avrebbe dato l’Olimpo, non
l’Oltretomba. Le avrebbe dato il cielo e non un lugubre limbo
abitato da mostri
e defunti. Era sicuro di poter trovare degli alleati tra i suoi
fratellastri e
alla fine avrebbe vinto lui e non Zeus. Lo avrebbe fatto a pezzi e
gettato nel
Tartaro, insieme a quella scocciatrice di Era e...
Zelena
gli affondò una mano nel petto e chiuse
le dita sul suo cuore. Tirò per estrarlo, ma ovviamente
un’altra forza oppose
resistenza e glielo impedì.
“Zelena...
cosa...”, boccheggiò Ade, sconvolto.
“Sai,
ti ho quasi creduto. Per un secondo... ho
pensato che stessi dicendo la verità. Che
stupida!”, gridò, continuando a
stringere. Il cuore muto del Dio era duro come un pezzo di roccia.
“Tu vuoi gli
ingredienti del mio incantesimo per te. Solo per te! Oppure pensi che
non
sappia delle tue macchinazioni con la Strega
dell’Est?”
“Io...
non è come credi...”
Zelena
mollò la presa sul cuore ed estrasse la
mano dal torace di Ade, che si aggrappò al tavolo per
alzarsi in piedi.
“Non
so cosa tu abbia visto...”
“Ho
visto quanto basta e avresti dovuto tenerne
conto, considerando che spio mia sorella da anni! Credevi davvero che
non ti
avrei spiato?”
“Diciamo
che...” Ade si sistemò la giacca,
cercando di ritrovare un certo contegno. “Speravo ti fidassi
di me. La Strega
dell’Est non è un tuo problema, Zelena. Non
più. È solo parte del piano.”
“Le
hai dato un’arma divina!”
“Gliel’ho
data per uccidere Glinda e Locasta. E
Dorothy. Farebbe comodo anche a te. E dovevo nasconderla da mio
fratello. Non
fa altro che cercarla. Non ho fatto nulla contro di te.”
“Oh,
invece sì! Mi avresti rubato quel cervello
e te lo saresti tenuto. Hai bisogno di quell’incantesimo per
vendicarti di tuo
fratello... proprio come io voglio vendicarmi di mia sorella.
L’amore... non è
abbastanza!”
“Non
esiste più solo la vendetta, Zelena. Se
staremo insieme... potremo avere tutto! Io ti darò tutto! Su
questo non puoi
avere dubbi!”
“Piantala
con queste storielle! Sei una
divinità e sei immortale. Non hai bisogno
dell’amore. Così come non ne ho
bisogno io.” Zelena aveva la voce rotta e il cuore che le
martellava nelle
tempie, seguendo i palpiti della sua rabbia. Mille immagini le
scorrevano nella
testa. Sua sorella, Tremotino, Dorothy, Ade. “Volevi
trascinarmi nell’Oltretomba?”
“Volevo
darti l’Olimpo!” Anche Ade era furioso.
I suoi occhi scagliarono lampi azzurri e le luci della sala
tremolarono.
“Non
mi interessa il maledetto Olimpo!” Zelena
gridò più forte. “Fuori.
Adesso!”
Ade
non si mosse. Tentò di avvicinarsi a lei,
ma la Strega dell’Ovest si ritrasse, evitando il contatto.
“Te
ne pentirai, Zelena.”, sibilò il Signore
degli Inferi. “Te lo garantisco.”
“E
cosa intendi fare? Uccidermi? Rapirmi?”
Rise, infischiandosene delle sue minacce. “Puoi provarci. Sei
una divinità, ma
ti assicuro che dovrai darti da fare! E il tuo potere è
comunque limitato fuori
dal tuo regno. Lo hai detto tu stesso.”
Ade
scomparve in una miriade di lampi e
scintille azzurrate. Zelena si coprì gli occhi.
Oltretomba. Oggi.
Il
volto di David diventò paonazzo e poi viola, mentre il ramo
aumentava la
pressione intorno al suo collo. Aveva la bocca aperta, ma non respirava
quasi
più.
Mary
Margaret afferrò la spada del marito e si accanì
contro il salice dotato di una
coscienza, menando poderosi fendenti per spezzare il ramo, ma il potere
di cui
era dotato l’albero la respinse. Mary Margaret venne
scagliata a qualche metro
di distanza e atterrò sul prato in malo modo.
-
Mamma! – gridò Emma.
Malefica
ruggì di nuovo, scuotendo la testa.
Emma
sapeva che cosa era necessario fare. Senza nemmeno chiederlo,
afferrò la mano
di Regina e lei gliela strinse istintivamente.
-
Insieme. – disse Emma.
Regina
annuì.
Quando
diressero la magia contro il salice, avvertirono chiaramente la sua
coscienza.
Sembrava una coscienza spezzettata, frastagliata, che mutava di secondo
in
secondo. Era veloce e tagliente come una scheggia di vetro.
Il
flusso di magia rossa avvolse il tronco e strisciò fra i
suoi rami e quella
coscienza gridò. Le voci trapassarono il cervello di Emma,
che rischiò di
perdere la concentrazione, ma si mantenne aggrappata a Regina,
ignorando il
dolore e la sensazione di avere decine di occhi che le sondavano i
pensieri e
vorticavano nella sua mente, tempestosi e maligni.
Qualcuno
urlò il suo nome.
I
rami
abbandonarono Marian e Fiyero, che si affrettarono ad allontanarsi.
Malefica
riuscì a liberarsi di una radice che le bloccava una zampa e
poi di quella che
aveva intorno al collo.
Infine
vi fu un’esplosione di luce e le presenze svanirono. Le
radici si ritirarono
nel terreno e i rami si ritrassero. David cadde in ginocchio, tossendo.
Mary
Margaret lo raggiunse subito, appoggiandogli una mano sulla schiena.
-
Stai
bene, amico? – domandò Killian. – Emma...
Emma
pensò che fosse finita, ma all’improvviso vide
tutto nero e davanti agli occhi
presero a danzarle una miriade di stelline gialle.
Lily,
ancora in forma di drago, perse quota e atterrò malamente,
lanciando un ruggito
lamentoso.
-
Che
cosa sta succedendo ad Emma? – chiese Mary Margaret.
Regina
guardava Emma contorcersi e non aveva la minima idea di come fermare
ciò che le
stava accadendo. Gli occhi si rivoltarono nelle orbite e mostrarono
solo il
bianco della sclera. Dalla gola uscivano suoni inarticolati.
“Mi
chiamo Henry. Sono tuo figlio.”
-
Maestà, fate qualcosa! – urlò Killian.
-
Non
so che cosa le sta succedendo! – ribatté Regina.
Tenne le mani sospese sopra il
corpo di Emma, percependo un potere sconosciuto.
“Lei
è la madre biologica?”
“Salve.”
Emma
era cosciente, ma non poteva rispondere a Regina. Non poteva fare
niente perché
non aveva più il controllo del proprio corpo. Qualcosa stava
strisciando nei
suoi pensieri, nei ricordi... passandoli in rassegna.
“Sei
qui perché è il tuo destino. Riporterai a
tutto il lieto fine.”
“La
smetti con queste stupidaggini?”
“Non
sei costretta a fare la dura. Lo so che ti
piaccio.”
Gridò.
Ma non veramente. L’urlo era solo nella sua testa.
“Propongo una
soluzione per il bene di Henry.”
“Non
ci penso minimamente.”
“Lascerò
la città.”
La
cosa sembrò soffermarsi su quel ricordo in particolare, come
lo spettatore di
un film che attende la parte migliore, già sicuro che
arriverà.
“Ascolti,
questa situazione è insostenibile.
Sono disposta ad andarmene. Ma ho delle condizioni.
Continuerò a vedere Henry,
a fargli visita e a passare del tempo con lui.”
“Questo
significherebbe restare nella sua
vita.”
“Chiaro.
Di solito in un accordo... le parti
devono accettare un compromesso. Ma onestamente... sappiamo tutte e due
che non
è più possibile escludermi dalla vita di Henry. E
questo è un dato di fatto che
lei non può cambiare.”
“Ha
ragione. Le dispiacerebbe seguirmi in
cucina?”
-
Mamma... perché non risponde? Cosa le sta facendo Ade?
– chiese Henry,
terrorizzato tanto quanto lei.
Poco
lontano, Lily spalancò le fauci e rigettò una
sfolgorante vampa di fuoco.
Poi
le
convulsioni terminarono e il corpo di Emma si rilassò.
-
Emma? – chiamò Regina, controllando a stento la
propria voce. Le sembrava di
essere in fondo ad un tunnel. Il nome parve riecheggiare lungo le
pareti della
sua testa, frammentandosi.
Non
ottenne risposta. Gli occhi si muovevano sotto le palpebre abbassate.
-
Mamma? – Henry allungò con cautela una mano verso
il viso di Emma. Le dita
sfiorarono la fronte e subito le ritrasse perché la sua
pelle era gelida.
Emma
spalancò gli occhi.
Un’onda
di energia spazzò l’intera radura e sia Regina che
Henry si ritrovarono
catapultati all’indietro.
Città
di Smeraldo. Durante la prima
maledizione.
Dopo
la scomparsa di Ade, la sala del palazzo
era sembrata vuota e desolata e Zelena aveva preso la sua scopa,
sorvolando i
cieli bui di Oz.
Sfrecciò
a lungo sopra le chiome degli alberi e
sopra i tetti delle case, spaventando a morte chiunque si trovasse per
strada.
Arrivò più alto che poté e poi scese
in picchiata, rasentando le colline.
Volare
la fece sentire molto meglio. Il vento
nei capelli, la brezza fredda che le frustava il viso, l’aria
più rarefatta a
mano a mano che saliva, la vertigine, il vuoto nello stomaco...
permisero alla
sua mente di svuotarsi, anche se per poco. Pronunciò un
incantesimo per
proteggersi dal gelo e per poter salire ancora più alto
senza risentirne.
Quando passò vicino ad una nuvola, la condensa la
accecò, riempiendole il naso
e la bocca di fredde goccioline. Non se ne curò. Si
aggrappò di più al manico
della scopa e continuò a volare in mezzo alle nubi,
guardando i villaggi e le
tende degli accampamenti ridotti ad una versione piatta e minuscola di
sé
stessi.
Quando
tornò a palazzo, due guardie si
avvicinarono ed attesero che Zelena ordinasse loro di parlare.
“C’è
qualcuno per voi.”, disse semplicemente
uno dei due uomini in verde. Il suo tono era strano, monocorde ed
incolore.
Aveva uno sguardo vacuo, come se non fosse del tutto presente.
“Chi
vi ha ordinato di far entrare qualcuno?!”
gridò Zelena.
Le
guardie stettero là, in piedi, a fissarla.
Se la Strega dell’Ovest avesse tagliato le loro teste non se
ne sarebbero
nemmeno accorti. Avrebbero continuato a starsene in quella posizione.
C’era
qualche incantesimo di mezzo.
Zelena
corse nella grande sala e spalancò le
porte, entrando come una furia. “Se sei ancora tu, puoi
tornartene da dove sei
venuto! I tuoi trucchetti non funzionano con me!”
Ma
non si trattava di Ade.
Oltretomba. Oggi.
Regina
non credeva ai suoi occhi. Le mancò il fiato quando si
ritrovò faccia a faccia
con Emma.
Con
ciò che una volta era Emma ma ora era
qualcos’altro.
Era
come guardare una maschera di morte, ricoperta di pelle sottile come
carta per
darle una parvenza di vita. Aveva i capelli bianchi, come quando era il
Signore
Oscuro. Gli occhi rossi la fissarono, ghiacciandole il sangue nelle
vene.
-
Mamma? – disse Henry, sconcertato.
Con
un
gesto della mano, Emma lo spazzò via e così fece
con tutti gli altri. Paralizzò
i due draghi, prima che potessero intervenire e si mosse alla
velocità della
luce dirigendosi verso la casa in cui si era rifugiata Zelena.
Scavalcò Regina
e, nel farlo, le rifilò un poderoso calcio in faccia.
Le
si
oscurò la vista.
Città
di Smeraldo. Oz. Durante la prima
maledizione.
La
donna indossava un lucido corsaletto dorato
a placche, un paio di schinieri e un copricapo di forma cilindrica che
tratteneva la folta chioma corvina. Il mantello era ornato di piume di
pavone.
Zelena
seppe all’istante che non era umana
perché, quando gli occhi nerissimi si posarono su di lei, si
sentì schiacciata
da un potere decisamente più grande del suo.
“Se
è Ade che vi manda, ditegli da parte mia
che non ascolterò una parola né mi interessano i
suoi accordi.”, disse,
infischiandosene di come avrebbe potuto reagire quella donna.
“Oh,
Ade.” Lei rise, un suono inquietante, dato
che era al tempo stesso bello e freddo come ghiaccio. “Non ho
bisogno di essere
mandata da nessuno, figuriamoci da Ade.”
“Che
cosa ci fate in casa mia, allora? Chi
siete?”
“Credo
che... il mio adorato cognato vi abbia
appena illustrato il suo piano per cambiare il passato. Il piano non
comprendeva forse... fare a pezzi me e mio marito per gettarci nel
Tartaro?”
Zelena
formò una sfera di fuoco con la magia.
“Oh,
per favore.”, disse Era, la moglie di
Zeus, sollevando entrambe le mani.
“Vi
dirò quello che ho detto anche ad Ade.
Potete anche essere una divinità, ma se volete uccidermi
dovrete lottare.”
Immaginava che Era non fosse bloccata da una maledizione che la
costringeva in
un determinato regno e che limitava i suoi poteri ogniqualvolta ne
usciva. Ma
Zelena non era intenzionata comunque a soccombere.
“Mi
piace tutta questa follia.”, rispose Era,
con noncuranza. “E so che si dicono molte cose su di me.
State pur certa che
sono tutte vere. Beh, quasi tutte.”
Zelena
sollevò il braccio, pronta a scagliare
la sfera di fuoco.
“E
tuttavia non è per uccidervi che sono qui.
L’avrei già fatto a questo punto. Non permetto
alle mie vittime di chiacchierare,
di solito.”
“Ed
io non amo i giochetti.”
“Ne
sono convinta.” Nel giro di un battito di
ciglia, Era fu davanti a lei. Le fiamme si spensero nella mano di
Zelena. “Sono
impressionata dal modo in cui avete sfidato Ade. E avete rifiutato
l’Olimpo.
L’immortalità.”
Zelena
fissò le iridi nere e scintillanti della
Signora dei Cieli. “E allora?”
“Allora
pensavo di complimentarmi. E di
chiedervi dove Ade abbia nascosto la folgore di mio marito, come prima
cosa.”
“Non
so di che cosa stiate parlando!”
Era
toccò la sua fronte con la punta
dell’indice e Zelena avvertì un prurito terribile
al centro del cranio. Non era
dolore, ma qualcosa di immensamente fastidioso.
Barcollò
quando la Dea la lasciò andare.
“Vedo
che Ade è stato abbastanza accorto da
cancellare il ricordo della folgore dalla vostra mente.
Peccato.”, disse Era,
sollevando le spalle. “Sapete... Ade ha un enorme potere sui
mortali. È vero,
quando è lontano dal suo regno, è limitato. Ma sa
comunque essere molto
persuasivo. E sa convincere qualcuno, sa piegare la sua
volontà. Eppure voi gli
avete tenuto testa.”
“Mi
avrebbe raggirata.”
“Un
giorno, sì. L’avrebbe fatto. O l’avreste
fatto voi. Ma siete stata davvero caparbia. Non ha avuto il tempo di
parlarvi
dei suoi sogni, vero?”
“Quali
sogni?”
“Sono
secoli che sogna occhi azzurri e capelli
di fuoco.” Era si allontanò di qualche passo,
osservando il liquido verde che
gorgogliava nelle colonne dorate. “Non ha mai capito di chi
si trattasse, fino
a quando non ha cominciato a sentir parlare di voi.”
Zelena
sollevò un sopracciglio, incredula.
“E
conosce anche la leggenda più importante che
lo riguarda.”
Zelena
avrebbe tanto voluto dirle che non le
interessava nulla di ciò che stava dicendo, eppure non
poteva fare a meno di
ascoltarla.
“La
storia del Dio degli Inferi che rapisce una
fanciulla, costringendola a passare sei mesi nel suo regno e altri sei
sulla
Terra.”, cantilenò Era. “Non in tutti i
mondi la storia è la stessa. A volte
cambia da regno a regno. Chi aggiunge dettagli, chi li toglie... ma la
vera leggenda...
non è nemmeno una leggenda. È una
profezia.”
Oltretomba. Oggi.
Zelena
riprese i sensi e si aggrappò alle sbarre di legno della
culla. Si affrettò a
controllare che la piccola stesse bene e la trovò sveglia,
intenta a succhiarsi
le dita.
Il
globo
di luce azzurra danzava al centro della cucina, come un disco volante
in
miniatura che si divertiva a prendersi gioco di lei. Quando
l’aveva toccato,
aveva visto tutto ciò che era accaduto tra lei ed Ade ad Oz,
quando si erano
conosciuti e non era sicura di sapere perché lui glielo
avesse mostrato.
Scagliò
il proprio potere contro la sfera, che si deformò e
disintegrò in mille schegge
azzurre. Schegge che poi si riunirono per formare un nuovo globo,
più grande
del primo.
Allora,
preannunciata da una densa nube viola, comparve Emma Swan.
Oh,
no. Non Emma Swan. Qualcosa che aveva preso possesso del corpo della
Salvatrice
morta.
La
cosa aveva occhi rosso sangue, illuminati da una minaccia controllata e
un
ghigno gelido stampato in faccia.
-
Chi
sei? – sibilò Zelena.
-
Il
nostro nome non è importante. Siamo venuti a prenderti.
– rispose l’essere... o
gli esseri, protendendosi verso di lei.
Zelena
reagì scaraventandola contro la parete opposta della cucina.
- Ade non avrà mai
la mia bambina!
-
Non
è la tua bambina che vogliamo. – Si
alzò in piedi con un balzo agile e poi usò
il suo potere per afferrarla per la gola.
Zelena
annaspò.
Poi
le
terra sotto i loro piedi tremò con un boato e una crepa
zigzagò lungo il
pavimento della casa. Si aprì una voragine nera e
dall’oscurità scaturirono
grida e stridore di legno e metallo. Lei e la cosa che un tempo era
stata Emma
Swan vennero avvolti da una fitta nebbia grigia e tutto scomparve.
Città
di Smeraldo. Oz. Durante la prima
maledizione.
“Profezia?”
“Già.
Lui adora parlare di profezie... quando
riguardano gli altri.” Era rise sommessamente. “Una
fanciulla con i capelli di
fuoco che può far ripartire il cuore del Signore degli
Inferi. La fanciulla che
potrebbe diventare la sua regina. La donna che lui rapirà.
È una profezia
vecchia. Credo abbia almeno un paio di millenni.”
“Ade
non mi ha rapita.”
“Non
ancora. Stavo cominciando a credere che
questa profezia fosse davvero una sciocchezza. E invece... la fanciulla
è
proprio davanti a me.”
“Io
sono una strega, non una fanciulla!
Sono...”
“La
perfida Strega dell’Ovest? Che appellativo
ridicolo. Mi sarei aspettata qualcosa di più appassionante,
ma suppongo che sia
il massimo che tu sia riuscita a trovare. Del resto, nemmeno tua
sorella spicca
per originalità. La Regina Cattiva...”
Zelena
digrignò i denti, ma non accettò la
provocazione. Scrutò il volto affilato di Era con
attenzione, in cerca di un
battito di ciglia, una smorfia delle labbra, qualcosa che le avrebbe
suggerito
la prossima mossa.
“Questo
è il mio dono. La profezia che ti
riguarda.”, disse Era, sorprendendola.
“Un
altro dono? Ne ho abbastanza anche di
doni.”
“Ma
è molto più prezioso di uno Specchio Magico
che rivela la vera natura di una persona.” La Dea
sollevò lo Specchio delle
Anime e rimirò il proprio riflesso in esso. Lo fece dandole
le spalle, in modo
che Zelena vedesse i suoi occhi neri che bruciavano come tizzoni
ardenti.
“Non
me ne faccio niente di una profezia!”
“Le
profezie sono armi, Zelena. E sono
pericolose.” Posò lo Specchio e si mosse
così velocemente che Zelena nemmeno se
ne accorse. Era le afferrò la mascella, stringendo senza
farle male. Ma la sua
presa era decisa. Salda. “Ade ha ragione quando dice che non
bisogna
sottovalutarle. Nemmeno lui dovrebbe sottovalutare la sua.
Perché potrebbe
essere la sua rovina.”
Zelena
la guardò stoicamente.
“Non
è l’unica cosa che ho per te.” Era la
lasciò andare. “Da oggi in avanti... se avrai
bisogno di qualcosa non esitare a
chiedere. So essere particolarmente fastidiosa, ma anche... generosa,
Zelena.”
“Dovrei
fidarmi di ciò che dice una divinità
come te?”
“Sappi
che se sarai nei pasticci, potrai sempre
chiamare me. Posso sentirti ovunque tu sia. Persino nel regno di Ade. E
puoi
contare su quello che dico: mettimi alla prova appena puoi.”
Oltretomba. Durante la prima maledizione.
Un lago di zolfo liquefatto si estendeva per
quasi tutta la lunghezza di un’immensa valle, esalando sbuffi
di vapore
mefitico che piaceva soltanto alle creature alate che sorvolavano la
zona.
All’estremità orientale di una catena di montagne,
su un picco che dominava la
valle, c’era una fortezza di basalto che sporgeva da una
parete strapiombante
come il braccio di un mostro addormentato e sepolto da millenni.
E
sul lato più esposto della fortezza c’era un
portoncino, davanti al quale una sentinella se ne stava appostata
giorno e
notte, intimando l’alt a chiunque osasse avvicinarsi. Il che
non accadeva quasi
mai, perché i morti erano là fuori, puniti in
qualche oscuro modo, alla ricerca
della porta che li avrebbe condotti in un altro posto, magari migliore
di
quello. Oppure erano nelle caverne sotto le montagne, torturati da Ade
e dalle
sue creature malefiche.
Presto
sarebbe calata la notte e, come tutte le
notti, sarebbe stata lunga, fredda e buia. Non il buio di una notte
normale, ma
un buio molto più denso, una tenebra di porpora come le
nuvole che veleggiavano
nel cielo.
La
sentinella si chiamava Lewis e, un tempo, era
il nostromo su una nave chiamata Jolly Roger, il braccio destro del
capitano
Killian Jones. E l’ultima cosa che si aspettava era di udire
la voce tonante
del Signore dell’Oltretomba, una voce che si espanse nella
sua coscienza e in
tutta la valle, raggiungendo qualsiasi anfratto, anche il
più nascosto.
“Non
credete anche voi che questo posto abbia
bisogno di una bella ristrutturazione?”
Poi
tutto cominciò a tremare, a sgretolarsi e a
mutare forma.
Oltretomba. Oggi.
David
salì le scale e trovò Henry seduto sul letto,
meditabondo.
Non
aveva voluto parlare con nessuno da quando erano tornati, nemmeno con
sua
madre.
-
Ehi.
– disse David, sforzandosi di sorridere. – Che cosa
ci fai quassù tutto solo?
-
Niente. Penso e basta.
-
Beh,
che ne dici se mi metto a pensare con te? – David si
avvicinò e sedette dietro
ad Henry.
Da
fuori venne il ruggito di un drago. Sembrava un lungo grido pieno di
angoscia e
rabbia.
-
Allora, a cosa pensiamo? – tornò a chiedere David.
-
Non
ne voglio parlare.
-
D’accordo. Perché non parliamo di me? –
Incrociò le braccia al petto. Intorno
alla gola aveva dei segni violacei, un regalo del ramo vivente che lo
aveva
quasi soffocato. – Oggi è stata davvero... una
pessima giornata. Ho cercato...
e cercato e cercato qualcosa che potesse aiutare Emma. Sono stato
ovunque. Sono
preoccupato per Neal e non so come fare per accertarmi che stia bene.
Sono
stato persino in quel cimitero e ho trovato... la tomba del mio
gemello.
Henry
non rispose subito. – E com’era?
-
Era
un principe.
-
No,
intendo dire... com’era la sua tomba.
Sbirciò
il nipote da sopra una spalla, accorgendosi che lo stava guardando. -
Era...
spezzata.
-
Oh.
-
Già.
E non è finita. Sono quasi morto. Non sono riuscito ad
aiutare Emma. Non riesco
mai a fare niente per aiutarla, hai notato?
-
Nessuno di noi poteva fare niente, nonno.
David
sapeva perché era salito. Non era solo per parlare con
Henry. Si era sentito
sopraffatto da un senso di impotenza. Emma era sparita, posseduta da
qualche
spirito maligno inviato da Ade. Zelena e sua figlia erano svanite,
forse
portate via dalla creatura che usava il corpo di sua figlia. Stava
perdendo. Loro stavano perdendo.
Non aveva potuto
fare nulla per evitare quel disastro. Aveva una spada e si era
ridicolmente
lanciato contro una pianta dotata di coscienza per essere subito
disarmato e
quasi strangolato. Aveva guardato Emma contorcersi mentre
l’ennesima tortura di
Ade si abbatteva su di lei.
Mary
Margaret lo avrebbe rassicurato. Gli avrebbe detto che aveva fatto
tutto quello
che poteva, ma non era così. Non aveva fatto niente.
-
Sono
suo padre. – disse David.
-
Ed
io sono suo figlio. Sono l’Autore.
Il
drago emise un altro cupo brontolio che riverberò fino a
loro nonostante la
distanza. Udirono uno schianto, forse un albero che crollava sotto la
mole
della figlia di Malefica.
-
Ma
non hai più la penna. – Gli diede una pacca sulla
schiena. – E anche se
l’avessi... siamo nell’Oltretomba. Qui le cose
funzionano in modo diverso.
Henry
tacque. Si sentiva sangue bollente battere sotto la pelle del volto.
Ripensò a
sua madre sdraiata ed in preda alle convulsioni. Ripensò
allo sguardo smarrito
dell’altra madre, Regina. Alla sua paura. Alla
luminosità della penna che lo
chiamava.
-
Beh,
se hai voglia di venire giù a parlare con tua madre...
– prese a dire David.
Gli mise una mano sulla spalla e gliela strinse. Non
continuò. Il suo stato
d’animo era ben peggiore rispetto ai giorni in cui Emma era
l’Oscuro e loro non
avevano idea di che cosa stesse tramando. Provava a non darlo a vedere,
perché
Henry era convinto che il Principe Azzurro non perdesse mai la
speranza, ma i
pensieri gli rombavano di terrore e confusione. Quando
cominciò a muovere le
gambe per dirigersi verso le scale, la sensazione non fu quella di
camminare ma
di cadere. Si sforzò di mettere un piede davanti
all’altro.
-
Aspetta! – esclamò Henry, come colto da
un’illuminazione. – Devo farti vedere
una cosa.
- La
penna dell’autore! – disse Regina, quando suo
figlio posò la propria arma sul
bancone della cucina, mostrandola a tutti. – Pensavo
l’avessi distrutta.
-
Infatti. Per questo si trova qui. Non so come spiegarlo... ho avuto la
sensazione che fosse qui fin da quando siamo arrivati. E l’ho
cercata.
-
Cosa
ti ha fatto pensare che ti servisse? – Regina, come David,
riportava i segni
dell’ultimo scontro. Un grosso livido violaceo si stava
espandendo sulla sua
pelle, lungo la mascella.
-
Crudelia. Almeno all’inizio. Voleva che la riportassi in
vita.
-
Perché dovresti aiutarla?
-
Per
aiutare Emma. – Si sentiva profondamente in colpa. Per aver
tenuto nascosto
alle sue madri di aver ritrovato la penna e anche del patto che aveva
quasi
stretto con Crudelia. – Lei diceva... che avrei potuto
cancellare ciò che Emma
aveva fatto, riportandola indietro. Non sarebbe più stata
un’assassina.
-
Non
l’hai riportata in vita, vero? – si
accertò Killian, immaginandosi l’auto di
Crudelia che sfrecciava per le strade di Storybrooke.
-
No.
Non ho scritto nemmeno una parola. Ma ho capito... di avere tutto
questo
potere... e di ignorarlo. Io non voglio... vivere all’ombra
degli altri. Voglio
essere un eroe.
-
Ma
non è così che puoi diventarlo. – disse
Mary Margaret. – Non è il modo giusto.
-
Lo
so! Per questo ve lo sto dicendo. Perché voglio fare la cosa
giusta. Non
riporterò in vita Crudelia... non farò nulla
di... insensato. Scriverò le
storie così come sono e comincerò con quella di
Ade. Userò la penna per scoprire
cosa ci nasconde.
- Ben
arrivata, Zelena. Mi dispiace molto. Questo Spettro non era come me lo
aspettavo. Tua madre non ha fatto propriamente un buon lavoro.
– disse Ade, che
si produsse in un inchino esagerato e infine le prese una mano per
baciarle le
nocche.
Zelena
la sottrasse bruscamente e ignorò il fatto che avesse appena
nominato la sua
vera madre. - Siamo arrivati a questo?
-
Per
favore, lascia che ti spieghi...
-
Spiegarmi cosa? So che cosa vuoi! Vuoi mia figlia per il maledetto
incantesimo!
-
Lo
Spettro avrebbe dovuto prendere anche tua figlia. Mi dispiace. Cora non
è
riuscita a controllarlo. Era uno Spettro molto vecchio.
-
Oh,
che terribile notizia per te, vero? – Zelena alzò
la voce, ma in realtà si
sentiva immensamente debole, come sorretta da friabili filamenti di
cotone. Se
avesse provato a colpire Ade o a muovere un solo passo, si sarebbe
accasciata
come un pupazzo invertebrato. - Mia figlia è in quella casa,
da sola! Ed io non
ti permetterò di farle del male! Provaci e ti
distruggerò!
-
Non
ho intenzione di fare del male alla tua bambina. –
sentenziò Ade. – Non farò
del male a lei e nemmeno a te. Volevo portarvi qui perché
qui con me sareste
state certamente al sicuro e non in balia di quegli eroi che se ne
vanno in
giro per il mio regno, sperando di trovare un modo per portare via Emma
Swan. E
prima ancora...
-
Prima ancora hai fatto un patto con la Strega dell’Est.
-
L’ho
fatto sempre pensando a te. Volevo fare in modo che fossi lontana da
Oz,
lontana dall’uomo che vuole portarti via tua figlia. E la
Strega dell’Est farà
scoppiare una guerra, fino a quando Dorothy non la fermerà.
-
Dorothy non può fermarla! La maledizione del sonno...
-
La
maledizione del sonno verrà spezzata. È destinata
a sconfiggere la Strega dell’Est
e presto o tardi lo farà.
Zelena
avrebbe tanto voluto rintracciare i pensieri sotto il boato di paura
che ormai
la riempiva. La bambina era sola in quella casa e c’era uno
Spettro che
scorrazzava per l’Oltretomba nel corpo della Salvatrice. Una
creatura simile
non si sarebbe fermata neppure davanti ad una neonata. - E quei...
globi di
luce? Che cos’erano?
“Non
è l’unica cosa che ho per te. Da oggi in
avanti... se avrai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere. So
essere
particolarmente fastidiosa, ma anche... generosa, Zelena.”
-
I
nostri ricordi. – stava dicendo Ade. - Volevo che tu sapessi
che non mi sono
mai dimenticato niente. E che non ho mai smesso di pensare a te. A
tutto quello
che è successo.
-
L’ultima volta che ci siamo visti hai detto che
l’avrei pagata! Era questo che
intendevi? Rapirmi è il tuo modo di farmela pagare?
“La
storia del Dio degli Inferi che rapisce una
fanciulla, costringendola a passare sei mesi nel suo regno e altri sei
sulla
Terra.”
-
Ti
ho detto che te ne saresti pentita. Non che l’avresti pagata.
– la corresse
Ade, come se contasse qualcosa. – E speravo che te ne
pentissi. Perché sai che
cosa provo per te. Per questo voglio che tu sia al sicuro e non
farò niente
alla piccola. Ho già un bambino. Tremotino me ne ha
garantito uno. Lui... e
Belle.
Zelena
batté le palpebre, sempre più confusa.
– Quindi mi stai dicendo...
-
Ti
sto dicendo la verità. Se avessi voluto la tua bambina,
l’avrei già presa. E
poi... – Allargò le braccia. - Non hai visto? Sai
perché questo posto...
assomiglia a Storybrooke? Un tempo non era così.
L’ho fatto... per te!
Lei
rimase in silenzio, contemplandolo attraverso il velo delle lacrime.
-
So
che volevi lanciare l’incantesimo per avere tutto quello che
tua sorella ha
avuto. - continuò Ade.
-
Quindi
hai... hai costruito una Storybrooke... qui? Perché fosse
mia?
-
Non
è perfetta. Me ne rendo conto. Purtroppo
l’Oltretomba è... è un luogo di
distruzione. Non cresce niente... per quanto mi impegni. E non
è esattamente
quello che vorrei darti. Lo sai. – Sorrise amaramente.
– Queste... sono rovine.
Ma sono le nostre rovine.
“Non
è l’unica cosa che ho per te. Da oggi in
avanti... se avrai bisogno di qualcosa non esitare a
chiedere.” La
voce di Era era roboante. Ed era l’unica
cosa che si faceva strada in mezzo alla confusione che aveva in testa.
-
Zelena... potremmo non essere più soli. – Ade le
prese una mano e questa volta
lei lo lasciò fare. -Avere tutto è la miglior
vendetta. La parte migliore deve
ancora venire ma...
-
No! –
Zelena lo scacciò di nuovo. Il cuore le batteva troppo
forte, sempre troppo
forte in presenza di Ade e questo accresceva la sua furia. –
Credi davvero che
possa fidarmi di te dopo... dopo...
-
Non
puoi. Non ancora. Lo capisco. – la interruppe Ade,
comprensivo. – Per questo
sei qui. Possiamo parlare. Posso farti capire che puoi fidarti di me.
Dammi una
possibilità.
Zelena
non rispose, ma dentro di sé desiderava che tutto finisse. Tutto. Era tornata ad Oz, sperando di
poter essere lasciata in
pace, ma ovviamente non poteva trovare pace da nessuna parte. Ovunque
andasse,
qualsiasi cosa facesse, Zelena non avrebbe mai trovato niente di buono,
niente
perché era la Strega Perfida. Ovunque andasse trovava solo
rovine. Quella città
non era come quella di Regina. Lo aveva detto anche Ade. Cadeva a
pezzi. Era
orribile. Il cielo era rosso, l’aria era troppo densa... ed
era piena di gente
morta. Gente con conti in sospeso.
Rovine.
Sì,
voleva davvero che tutto finisse. Per la prima volta da quando la sua
miserabile vita era cominciata, Zelena non desiderò la
vendetta. Si scoprì a
desiderare di essere morta.