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Autore: _Joanna_    15/08/2017    2 recensioni
Fan fiction ambientata durante la II guerra magica.
Una nuova minaccia si allunga su tutto il mondo magico, ancora più terribile di quella rappresentata da Lord Voldemort, che al momento regna quasi indisturbato, con l'unico intento di porre fine una volta per tutte alla vita del Ragazzo-che-è-Sopravvissuto.
Ma le cose stanno per cambiare: un nuovo personaggio entrerà in scena nella lotta per il potere e per la libertà.
Sarà forse uno dei nuovi servi del potente mago oscuro a rivoltarsi contro il suo padrone? E a cosa sarà disposto a rinunciare Voldemort pur di salvarsi?
*
Avvertimento: è tutto "lievemente" OOC
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort, Un po' tutti | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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3.3 .

ANGOLO AUTRICE

Salve
a tutti!
Un GRAZIE di cuore a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite e un grazie speciale sopratutto a  blackjessamine  , che fino a questo momento è l'unica ad aver trovato il tempo per recensire (su su, non siate timidi, vi assicuro che non mordo, chiedete pure a lei)

By the way,
spero proprio che questo capitolo vi piaccia, perchè è da qui che inizia il "bello" (si fa per dire) .

Un abbraccio a tutti e buona lettura,

_Jo




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Capitolo II

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The First Play


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Il villaggio di  Oxen era stato distrutto.
Percorrevano la strada principale, circondati da null’altro che macerie.
Le abitazioni erano crollate, alcune completamente rase al suolo, altre solo sventrate, la loro intimità violata.
Qua e là si sollevavano ancora spessi vortici di fumo denso e scuro; piccoli focolai continuavano a bruciare, le fiamme non ancora del tutto saziate; l'odore del sangue ammorbava l'aria, rendendola quasi irrespirabile.
I corpi dei Babbani trucidati erano dappertutto.
Quelli più vicini all’ingresso del piccolo paese erano stati i più fortunati: le maledizioni Avada Kedavra li avevano uccisi sul colpo, senza dolore.
Tutti gli altri, invece, avevano conosciuto una sorte ben peggiore.
Cadaveri carbonizzati, smembrati, torturati, prima e dopo la morte, giacevano silenziosi.
Alcuni erano caduti nel tentativo di mettersi in salvo, altri avevano cercato di proteggere i propri cari, altri ancora forse non avevano neanche avuto il tempo di reagire, di capire.
Uomini, donne, vecchi, bambini, non c’era stata pietà per nessuno.
Harry si costrinse a proseguire. Doveva guardare. Quella era l’opera di un mostro, del suo mostro, Voldemort, e lui, Harry, non avrebbe voltato le spalle a quegli innocenti, non avrebbe chiuso gli occhi davanti a quelle atrocità.
Il quartetto procedette, continuando la sua macabra sfilata attraverso quel teatro di morte e di orrore.
Ogni tanto, un rumore li faceva fermare tutti con le orecchie tese e gli occhi spalancati, nel disperato desiderio di scorgere un movimento, un lamento, un segno di vita.
Ma, fino a quel momento, loro continuavano ad essere gli unici che ancora respiravano.
«C’è qualcosa che non va» disse a un tratto Bill.
Harry avrebbe voluto ribattere che decisamente c’era qualcosa che non andava, ma le parole gli rimasero incastrate in gola.
Aveva ragione, oltre all’evidente orrore di quel massacro, qualcosa era sbagliato.
Anche gli altri se ne accorsero.
«Io dico di andarcene» propose Ron, ma Piton lo zittì con un rapido gesto della mano.
«Il Marchio Nero» risolse infine «Non c’è»
Tutti sollevarono lo sguardo. Il cielo nero e nuvoloso era vuoto. Nessun teschio gigante, nessun serpente.
Era decisamente molto strano.
Un altro pensiero attraversò la mente di Harry: se davvero Voldemort non aveva compiuto quella carneficina, allora chi era stato? C’era forse un altro mago oscuro altrettanto folle e crudele in giro?
Si guardò intorno, cercando un indizio, qualcosa che potesse spiegare perché il Marchio non era stato lanciato.
E ben presto lo trovò.  
Nel giardinetto davanti a una semplice villetta, seminascosto tra le macerie della veranda  distrutta, un uomo con maschera e mantello da Mangiamorte giaceva immobile e scomposto. Era morto e recava i segni inconfondibili di una maledizione.
«Di qua!» urlò Bill che aveva trovato un altro Mangiamorte morto, disteso a faccia in giù sull’asfalto, anche lui quasi totalmente sepolto dai resti di un edificio. «È Avery» sentenziò dopo averlo esaminato.
Scovarono altri tre Mangiamorte, tutti inequivocabilmente uccisi con la magia.
Questo spiegava una parte del mistero.
Forse qualcuno si era ribellato? Harry dubitava che i Mangiamorte avessero una coscienza, eppure … A quel pensiero il suo sguardo saettò subito verso Piton che tanti anni prima si era sottratto al controllo di Voldemort.
Ma questa era una cosa diversa, si disse.
«Dovremmo chiamare rinforzi, prima che arrivi la polizia Babbana» suggerì Bill.
Harry però non lo stava ascoltando. La cicatrice, che da mesi ormai bruciava ininterrottamente, gli aveva appena inferto una stoccata terribile.
Si guardò intorno, ma non vide niente di potenzialmente pericoloso. Forse era colpa di quella situazione.
Ma non appena voltò la testa, di nuovo la cicatrice avvampò feroce e violenta.
Accecato dal dolore, con gli occhi ridotti a fessure, si avvicinò a uno dei tanti edifici crollati che sembrava essere la causa di quelle fitte lancinanti.
L’insegna di un negozio, decorata con vivaci motivi floreali, era stata spezzata di netto in due. Oggetti di ogni forma e dimensione erano sparsi sul terreno accidentato, tra massi, schegge di vetro e pezzi di legno bruciato.
Un mantello scuro chiazzato di sangue sputava da sotto i resti di una bella cassapanca di mogano.
Pallide dita simili a ragni erano strette intorno al nulla; il manico di una bacchetta spezzata giaceva qualche metro più in là.
«Che diavolo?» mormorò Ron alle sue spalle.
In un attimo anche gli altri li raggiunsero e tutti e quattro rimasero lì, in silenzio, accanto al corpo inerte di Lord Voldemort.
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° ° °
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«Deve essere successo qualcosa» disse Hermione, senza smettere di misurare la stanza a passi svelti e nervosi.
«Non è che deve per forza» si inserì Minerva.
«Sei sempre così tragica, Hermione» sentenziò George
«Già, come quella volta che …» stava continuando Fred, ma prima che potesse aggiungere altro, Hermione smise di pestare il rozzo pavimento di pietra e protestò «Sono partiti più di due ore fa, avevano detto che ci avrebbero impiegato mezz’ora, un’ora al massimo e invece sono già due ore e … .»
«Per favore, Hermione, sei peggio della mamma» sbottò Ginny.
A queste parole Hermione tacque, e riprese a marciare nervosamente su e giù.
In fondo alla stanza, gentilmente appoggiato allo schienale di una rigida sedia di frassino, il ritratto di uomo anziano osservava la scena.
L’ospite della cornice si chiese se non fosse il caso di richiamare l’attenzione, ma decise che per il momento non avrebbero avuto bisogno di lui. Non c’era ancora da preoccuparsi, non più del solito comunque.

      E pensare che aveva pianificato tutto nei minimi dettagli.
Sapeva che i suoi giorni erano ormai contati, sia a causa della maledizione di Voldemort, sia, soprattutto, della sua stessa ingenuità. O meglio, della sua stupidità: alla sua età quel gesto sconsiderato poteva tranquillamente essere definito così.
Albus sapeva anche del compito che Voldemort aveva assegnato al giovane Malfoy. Un incarico gravoso, terribile e impossibile: Draco avrebbe dovuto ucciderlo.
Già, assassinare proprio lui, Albus Silente, uno dei più grandi maghi mai vissuti, Preside di Hogwarts, Stregone Capo del Wizengamot, Supremo Pezzo Grosso. Voldemort naturalmente si aspettava che Draco fallisse, voleva che il grande onore si tramutasse in una crudele condanna a morte, una punizione per il padre che aveva osato deluderlo.
Ma lui aveva programmato tutto.
Piton avrebbe adempiuto alle richieste di Voldemort, l’anima di Draco sarebbe stata salva e Voldemort avrebbe finalmente riposto una totale fiducia nella sua spia.
Certo, lui, Albus, sarebbe morto, ma dopotutto era un destino inevitabile. Sarebbe stato ucciso per suo stesso volere con un rapido, indolore lampo di luce verde e per mano di un amico: c’erano modi peggiori per andarsene.
Ma, all’improvviso, tutto era precipitato.

     Era una notte tiepida e serena.
Piton aveva raggiunto i suoi compagni Mangiamorte sulla Torre di Astronomia.
Albus era lassù, debole e disarmato.
Gli occhi neri e straordinariamente inespressivi di Severus si erano piantati nei suoi, azzurri e calorosi, totalmente diversi. Per un attimo aveva temuto che la sua spia si sarebbe tirata indietro.
Poi però, per la prima volta, Albus si era sentito come trapassato da quello sguardo di tenebra e aveva capito che sarebbe successo.
Non ricordava nient’altro, né il lampo di luce verde, né la caduta nel vuoto, solo quegli occhi incredibilmente vuoti eppure pieni di significati.
Ce l’avevano fatta.
Aveva percepito, o forse lo aveva solo immaginato, gran parte del suo essere scivolare nell’oblio, mentre il frammento cosciente di sé aveva acquistato di nuovo forma e si era incarnato nel dipinto a olio.
Per un attimo si era sentito in pace, sereno come mai lo era stato in vita.
Poi le grida e le urla di terrore. Nel castello era infuriato un combattimento feroce.
Si era aspettato anche questo in realtà.
Poi la porta del suo studio era stata spalancata. Remus, ancora più stravolto del solito, aveva fatto irruzione, seguito a ruota da Shacklebolt, anche lui provato dalla battaglia, i cui rumori continuavano a echeggiare incessantemente, e dal giovane Paciock.
«Prendi il ritratto del Preside, Neville» aveva ordinato Remus.
Neville aveva obbedito, mentre gli altri due avevano cominciato a raccogliere e appellare alcuni oggetti e vari pesanti volumi.
«Che succede?» aveva chiesto Albus, la domanda appena udibile sopra il frastuono della lotta di sotto e delle voci degli altri presidi che stavano tutti chiedendo la stessa cosa.
«Non c’è tempo, Silente» aveva risposto Shacklebolt, la voce di solito profonda e rassicurante, ora pericolosamente incrinata dal panico.
Soltanto parecchie ore più tardi, dopo essere stato infilato di mala grazia in una sacca di stoffa e averci passato le ore più seccanti della sua vita, o della sua nuova non vita, aveva finalmente avuto una risposta.

      I Mangiamorte avevano deciso di fare le cose in grande.
Dopo la sua spettacolare caduta, Bellatrix, Gibbon, Greyback e molti altri avevano scatenato la loro folle crudeltà su Hogwarts.
Severus aveva pilotato Draco lontano dalla battaglia, poi era tornato indietro a richiamare gli altri. Gli ordini di Voldemort erano stati precisi: uccidere Silente e poi fuggire.
“Ah, preferisco selezionare adesso i miei nuovi studenti” aveva esclamato Amycus quando Piton gli aveva intimato di interrompere i duelli e, come per sottolineare il suo messaggio, aveva lanciato un tremendo incantesimo che aveva fatto fare un volo di tre metri al suo avversario.
Tutto intorno nel frattempo, la follia dei Mangiamorte continuava a infuriare, terribile e implacabile.
Un lampo di luce rossa e Piton si era trovato davanti a una scena orribile: Minerva e Pomona giacevano a terra prive di sensi, una ragazza di Corvonero era accanto a loro ed era appena stata disarmata da Gibbon.
Severus non aveva avuto scelta: proprio quando il Mangiamorte aveva levato la bacchetta contro la ragazza, Severus gli aveva lanciato un Sectumsempra che lo aveva colpito in pieno tra le spalle.
Forse era stato visto in quel momento, o forse più tardi, quando aveva salvato Arthur Weasley dal letale anatema di Bellatrix.
Ad ogni modo, quella notte, la copertura di Severus era saltata.
Erano riusciti a scacciare i Mangiamorte, che miracolosamente non avevano lasciato vittime, anche se alcuni feriti erano stati ridotti piuttosto male.
Alla fine avevano dovuto lasciare la scuola e si erano tutti rifugiati al numero 12 di Grimmauld Place.

     E adesso si trovavano lì, nella tetra cucina dell’abitazione che era appartenuta ai Black.
Un debole crack mise a tacere tutti i presenti: qualcuno si era appena Materializzato sull’ultimo gradino avanti alla porta d’ingresso.
E infatti, un momento dopo, la porta venne aperta.
Hermione si precipitò per prima su per le scale che portavano al lugubre corridoio, seguita a ruota dagli altri.
Albus stava per trasferirsi in uno dei quadri di sopra per godere di una vista migliore quando sentì qualcosa che lo fece arrestare.
Di sopra, tutti avevano emesso gemiti di terrore e sconcerto.
«Che cosa è successo, Potter?» udì Minerva chiedere, la voce pericolosamente alterata.
Quello che rispose Harry, fu soffocato dalle grida della signora Black.

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° ° °
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