僕は孤独さ – No Signal
༒
Parte quinta: Il caso Nagachika.
Iruka
era vestito bene, con addosso una camicia elegante e la cravatta dal nodo
impeccabilmente diritto. Era carino, mentre riduceva a piccoli pezzettini
quella pagnotta di pane, intascato durante la cena, e lo gettava alle carpe che
iniziavano ad ammassarsi sotto il piccolo ponte.
Aiko,
invece, non sembrava altrettanto graziosa. I capelli si erano sfatti a causa
del caldo e del bel cighion nero pece era rimasto poco più che una coda bassa,
con qualche ciuffo che sfuggiva al controllo delle forcine.
Il
vestito era leggermente spiegazzato sulla gonna, sul bordo, nel punto che aveva
stretto ancora e ancora durante la cena, in preda al nervosismo.
Kei
era stato crudele nel chiederle sostegno nel momento in cui ha annunciato a suo
padre che non avrebbe più lavorato come agente del ccg, ma si sarebbe
accontentato di una carica tranquilla dentro al bureau, dietro una scrivania. A
nulla erano valse le spiegazioni. La morte di Kenzo durante l’operazione
dell’undicesima circoscrizione guidata da Marude l’aveva segnato e al funerale
si era deciso. Non aveva il fegato di rischiare la vita, giorno dopo giorno.
«Dovresti
chiedere il congedo dal ruolo operativo anche tu.»
«In
realtà dovrei tornare a casa a stendere. Se rimangono troppo nella lavatrice,
le camicie inizieranno a puzzare di umido.»
Il
ragazzo aveva sbuffato una mezza risata, terminando il pane e voltandosi a
guardarla, appoggiata mollemente con un gomito alla ringhiera di legno massiccio
del ponte e gli occhi inchiodati sulle voraci carpe.
Sapeva
che non l’avrebbe convinta facilmente, perché Tamaki l’aveva indottrinata bene
durante tutte le esequie del loro vecchio amico. «Dovevamo parlarne subito. Se
non mi fossi chiuso in me stesso e tu non fossi rimasta in ospedale con Mizuro
credo che-»
«Stai
insinuando che io sia così manipolabile?», domandò con tono annoiato e con una
punta di risentimento la mora, spostando gli occhi di un giallo accecante in
quelli del fidanzato. «Non è più plausibile che sia stata io a dire a Mizuro di
rimanere nella sua squadra e che anche io avrei fatto così?»
«Lui
sembra più convinto di te.»
«No,
è solo più entusiasta. Poi cosa ti aspettavi davvero? Sapevo che prima o poi
saremmo morti tutti dal primo giorno di accademia.» Staccandosi col fianco dal
legno, la ragazza lo accarezzò con il palmo della mano, non distogliendo gli
occhi dall’altro. Non lo compativa, però non lo biasimava nemmeno nella sua
scelta. Lei però aveva fatto la sua scelta e non voleva avere ripensamenti. «Tu
più di tutti avresti dovuto pensarci bene prima di diventare un agente. Tuo
padre è un classe speciale, Kei. Quanti amici ha seppellito? Quanti compagni in
vent’anni nel dipartimento? Io spero solo di arrivare al punto in cui è arrivato
lui.»
Kei
non riuscì a trattenersi, mentre un leggero tremore gli scuoteva le membra. «Ma
perché fai così?! La mia vita, la tua e quella di Mizuro hanno un valore! Tu
non c’eri, non hai visto cosa è successo a Kenzo. In che stato lo hanno
ridotto. Non hai idea di cosa sono stato costretto a vedere e io non voglio
vederlo mai più!»
Aiko
annuì in modo poco percepibile, mentre muoveva qualche passo verso di lui. «Lo
capisco», sussurrò piano, mentre passava le braccia attorno al suo collo e lo
stringeva in un abbraccio. «Ma la mia vita vale qualcosa perché una volta un
agente mi ha salvata. Non ho altro, se non questo e voglio portare avanti il
mio dovere fino alla fine.»
«Hai
me.»
Un
leggero sorriso le increspò le labbra, mentre lo stringeva di più. «Puoi fare
il padre casalingo mentre io picchio i ghoul brutti e cattivi. Non sarebbe una
brutta vita, non credi?»
«Questa
è la vita che ti immagini?»
«Sì,
non sarebbe male.»
«Sei
una pessima bugiarda.»
Allora
non c’era nessuna Eto pronta a richiamarla a sé tirando il corto guinzaglio che
le aveva legato al collo. Allora non c’erano la paura di essere scoperti, la
disperazione e il peso di dover denunciare ogni attività del dipartimento. Non
c’era nemmeno la voglia di assecondare quel mostro dal sorriso ammaliante, il
desiderio di essere guardata da lei, seguita e di avere incarichi sempre più
importanti.
Non
c’era nessun tradimento, nessuna bugia dietro Masa Aiko.
Solo
una triste verità.
«Hai
ragione, non so mentire», gli disse, sciogliendo l’abbraccio. «Per questo
ammetto che sarà dura giorno dopo giorno affrontare i miei limiti. Ma va bene
così. Questa è la vita che ho scelto io. Presto tuo padre ti perdonerà, non ti
vedrà più come un codardo e potrai tornare a cena da lui a testa alta e
raccontare del tuo importantissimo lavoro di segretario o addetto alla stesura
delle denunce.»
Un
sorriso un po’ amaro apparve sul volto del giovane, ma apprezzò ad ogni modo lo
spirito della ragazza. «Sei sempre così ottimista.»
«Il
mio segreto è questo. Andiamo, accompagnami a casa e comprami un paio di taiaki
lungo la strada. Oggi tua madre non ci ha servito il dolce.»
Avviluppando
il braccio a quello del fidanzato, Aiko si sporse per stampargli un veloce
bacio sulle labbra.
E
si sentì fiera del suo coraggio nel voler cambiare vita tanto quanto fiera di
se stessa nel non volerlo fare. Nel perseverare.
Per
rendere Mikito Urie fiero di lei.
Per
far notare il suo valore alla sua famiglia.
….
Per tante altre motivazioni che di lì a pochi mesi si sarebbero rivelate solo
menzogne.
Avrebbe
fatto meglio ad ascoltare Iruka e non diventare così brava a mentire.
Capitolo
ventisette
La
stanza asettica dell’ospedale era bollente. Aiko cercò di far arieggiare un po’
l’ambiente, mentre nel corridoio sentiva le infermiere lamentarsi di quel
settembre sorprendentemente afoso.
«Le
persone sono abitudinarie», disse la mora, prendendo posto sulla sedia accanto
al letto e spostando di poco la valigetta di metallo contenente Inazami. «Pensi
sia vero che non ci sono più le mezze stagioni? Io credo semplicemente che non
esistano le mezze misure.»
«Parli
sempre per enigmi…» La ragazza che giaceva inerte fra le lenzuola che odoravano
di disinfettante abbozzò un sorrisetto, mentre le rivolgeva un’occhiata stanca
con l’unico occhi che poteva utilizzare. «Grazie per essere venuta a trovarmi,
Aiko. Però so che siete sempre tanto impegnati, al distretto. Non dovresti
sprecare il tuo tempo libero per me.»
Mesta,
Masa le sorrise di rimando. «Non dire così, Haru. A me fa piacere venire a
trovarti. Senza contare che ora ho qualche giorno libero, quindi non abbiamo
fretta, oggi.»
«Ginshi
te ne sarebbe molto grato. Io te ne sono grata.»
Con
un sorriso più convinto, Aiko spiegò un giornale che aveva acquistato nel
chiostro di fronte all’ospedale. Si sistemò meglio sulla sedia, prima di
schiarirsi la voce. «Vuoi sapere il tuo oroscopo?»
La
giovane nel letto ridacchiò piano. «Sì. Voglio che mi dica che incontrerò
l’amore, questo mese.»
-Risponde la
segreteria telefonica di-
Con
un mugolio frustrato, Aiko premette sull’enorme cornetta rossa del touch screen, vedendo il nome di Urie
sparire da sopra di esso. Non parlava con lui dal giorno prima, da quando era
tornata a casa, dopo il colloquio avuto con Touka Kirishima e una mappa piena
di strani misteri irrisolti.
Contando
che stava lavorando per Eto, non smaniava di certo per condividere con lui
troppe informazioni sul caso. Voleva solo stare un po’ in sua compagnia, ma il
ragazzo non era tornato a casa fino a tarda notte. Si era lavato in fretta e poi
si era detto troppo stanco per prestarle attenzione. Quando era uscito di casa
senza nemmeno fare colazione con la squadra, Aiko aveva capito perfettamente
l’antifona: Kuki era offeso a morte per qualcosa che lei doveva avere fatto. Si
era scervellata sulla motivazione per tutta la mattinata, anche mentre parlava
con la povera Haru Shirazu, ma non era arrivata da nessuna parte.
Decise
di rinunciarci nel momento in cui lei e Higemaru arrivarono a visitare il terzo
posto segnato sulla cartina.
Il
collega la aspettava in disparte, appoggiato con la spalla alla parete in ombra
del palazzo e si stava facendo aria proprio con la loro preziosissima prova.
Aiko lo guardò per metà divertita e per metà ammonitrice, quindi il ragazzo
smise subito. «Non risponde? Sta svolgendo un’operazione rischiosa?»
«Frena
i bollori Hige», lo riprese immediatamente la mora, controllando qualcosa che
aveva segnato lei stessa sulla sua agenda, spiando in seguito i campanelli
disposti in ordine uno accanto all’altro. «Si starà sicuramente facendo delle
seghe con Matsuri.» Naturalmente la frase non era ancora terminata quando un
signore anziano uscì dalla struttura, tenendo loro la porta aperta affinché
potessero entrare. Aiko non provò nemmeno un minimo di vergogna per l’essersi
rivelata così sboccata, mentre al contrato Touma arrossì così tanto da iniziare
a diventare dello stesso colore dei suoi capelli. «Sul campanello c’era segnato
che il signor Koshi Wakaba vive al terzo piano. Facendo un confronto fra gli
spostamenti bancari di Hideoshi Nagachika e questo indirizzo, ho scoperto che
ha versato un affitto mensile per due anni a quest’uomo.»
«Quindi
questa potrebbe essere casa sua?»
«No,
lui viveva nella ventesima. Questo forse era una sorta di nascondiglio o magari
un luogo per riuscire a lavorare meglio.»
Touma
corrucciò la fronte. «Per il ccg?»
«Magari
contro il ccg, chi lo sa.»
I
due in ascensore si scambiarono un’occhiata e alla fine Higemaru esalò
esasperato, «Non ho capito.»
«Credo
che il signor Nagachika non sia solo vivo, ma anche invischiato in affari poco
legali. Per questo ho chiesto ad Arima un mandato per verificare se ora ci sia
un regolare contratto di affitto per la stanza vuota del signor Wakaba. Lui ha
fatto due chiamate confermandomi che ogni mese, un certo Taro Yamoto affitta la
stanza pagando in contanti.»
«Quindi
la stanza è regolarmente affittata, ma i pagamenti sono in nero. In effetti è
sospetto. Poi davvero? Taro Yamoto? John
Doe sarebbe stato più internazionale.»
Nel
gergo giuridico giapponese, Taro Yamoto era il nome che veniva utilizzato per
nominare le persone morte non identificate, o scomparse. Masa iniziava a
pensare che quello non era altro che un gioco malato che avrebbe portato un bel
po’ di casini al dipartimento. Sempre meglio al ccg che ad Aogiri, in ogni
caso. Per questo aveva preferito lavorarci su con il distintivo in mano e non
con il kagune estratto. O con Tsubasa.
Arrivati
al piano vennero accolti sull’uscio da una bella donna dalla pelle olivastra e
una chioma lunga e scarlatta. «Mi scusi, signorina», si fece avanti Higemaru,
spavaldo con la valigetta in mano e il petto gonfio. «Stiamo cercando il signor
Koshi Wakaba. Potrebbe indicarmi quale è il suo appartamento?»
La
ragazza si scostò il ciuffo dal viso con le dita allungate dalle unghie finte,
guardandolo con gli occhi tinti di un verde strano. Sicuramente erano lenti.
Masa notò un moto di imbarazzo, ma in ogni caso, sorrise al collega. «Sono io»,
ammise quindi, candidamente, la sconosciuta. «Koshi era il mio nome prima della
transizione», spiegò a Masa, visto che Higemaru sembrava entrato in stanby cerebrale. Troppe cose che non
aveva previsto in troppo poco tempo. «Potete chiamarmi Rea. Siete agenti di polizia? Non ho avuto ancora il
tempo di andare al catasto per il cambio di sesso perché non ho finito con gli
interventi chirurgici. So che c’è una multa da pagare, ma io-»
«Signorina
Wakaba», la interruppe Aiko, con un sorriso gentile. «Non siamo poliziotti.
Siamo agenti del ccg e vorremmo rivolgerle solo un paio di domande.»
«Ccg?»,
chiese stupita la donna, corrugando le sopracciglia. Poi successe una cosa
molto strana che non sfuggì ad Aiko. La donna appoggiò a terra il cagnolino
bianco che teneva sotto al braccio, insieme alla borsa, giusto dietro l’uscio
della porta, la quale venne poi chiusa alle sue spalle.
«Non
ci invita ad entrare?», le domandò mordace l’investigatrice, senza però dar
troppo l’impressione di aver notato quella stranezza.
«La
casa è in disordine, sto ristrutturando», si giustificò quella, «Però possiamo
parlare qui. I vicini sono molto tranquilli, non ci riprenderanno. Senza
contare che non so cosa la ccg possa volere da me, non ho sporto denunce né mai
visto un ghoul in vita mia.»
«Stiamo
cercando un suo ex affittuario», disse Aiko, mostrandole una foto.
«Ah,
sì, Hide.» Un sorriso malinconico incurvò le labbra spesse della donna, mentre
passava le dita grosse sul volto del ragazzo. «Me lo ricordo bene. Mi hanno
detto che è morto. Lavorava anche lui per il ccg, vero?»
«Era
assistente investigatore, sì.» Masa riprese la foto, «Quindi non ha più avuto
nessun contatto con lui?»
«No,
signora. È sparito dal giorno alla notte e ora ho un nuovo affittuario.»
Gli
occhi dell’investigatrice si affilarono, «Possiamo parlare con lui?»
«Purtroppo
non c’è quasi mai. Ha preso la stanza perché è più vicina all’università, ma
non soggiorna qui se non per le sessioni d’esame. Oppure quando deve
incontrarsi con qualche compagno di corso. Almeno, questo è ciò che mi ha detto
lui. Non siamo in rapporti stretti, è solo un affittuario come molti altri.»
«Signorina
Wakaba, è nervosa?» Higemaru si insospettì a sua volta, attirando su di sé il
falso sguardo verde della donna. «Se è a conoscenza di qualche attività
illecita, dovrebbe denunciarla. Voglio dire, Taro Yamoto? Ha davvero deciso di
fare un contratto a questo nome?»
«Il
mio affittuario è una persona molto riservata», lo ribeccò con voce grossa lei,
prima di riprendere a parlare più delicatamente, schiarendosi la voce. «Ora vi
chiedo di perdonarmi, ma se non avete un mandato per entrare e richiedermi di
visionare il contratto d’affitto, torno a occuparmi della mia casa.» Si inchinò
di fronte ai due, in segno di rispetto, prima di infilarsi rapidamente dietro l’uscio
e chiudersi dentro a doppia mandata.
«Ho
sbagliato, vero Aiko?»
Lei
gli spettinò i capelli, mentre si avviava all’ascensore. «No Hige, hai fatto
bene. Hai dimostrato che nasconde qualcosa. Ora dobbiamo solo capire cosa e
procurarci le prove per un mandato.»
Touma
sorrise, prima di iniziare a pavoneggiarsi. «Non me l’ha raccontata giusta
dall’inizio. Secondo te non ci ha invitati ad entrare perché è un ghoul?»
Le
porte dell’ascensore si chiusero e Masa aprì la mappa, controllando i posti
mancanti. «No, dall’odore è un essere umano, anche se la cura ormonale rende
difficile capirlo.»
Il
giovane annuì, sbrigativo. Quasi in imbarazzo.
«Non
avevi mai visto un transessuale, Higemaru?», domandò intenerita l’investigatrice,
guardandolo con gli occhi di una madre che sorprende il figlio mentre scopre
qualcosa di nuovo.
«Non
ci avevo mai parlato, in realtà.» Uscirono nuovamente alla luce del sole e lui
portò la mano sugli occhi chiari, per schermarli. «Mi sono comportato male?»
«Ti
sei comportato normalmente, quindi no.» Entrati in auto, Aiko accese il motore
pregando che l’aria condizionata iniziasse presto a fare il suo lavoro. Intanto
continuava a guardare la cartina.
«La
prossima tappa è questo luogo nella ventesima?», si informò il giovane, tirando
la cintura verso di sé mentre con l’altra mano colpiva piano la mappa in un
punto.
«No,
lì non c’è più niente. Il palazzo è stato demolito tre anni fa.»
«Come
fai a saperlo?»
«Perché
conosco questo indirizzo a memoria: è dove una volta sorgeva l’Anteiku.» La
bocca del ragazzo si schiuse in una piccola ‘o’, mentre osservava ammirato Aiko
in quanto superstite di quell’operazione. «Smettila, sei inquietante.»
«Avrei
tanto voluto partecipare a quella operazione. Dicono che fu magistrale.»
Lei
lo guardò negli occhi e dentro di essi Hige vi lesse un po’ di compassione.
«Fidati non avresti voluto esserci. Ad ogni modo, andiamo nella seconda
circoscrizione, così ci avviciniamo a casa. Qui c’è segnato un luogo all’angolo
fra due strade e accanto c’è una stellina. Dovremmo iniziare anche a capire il
senso dei simboli, prima o poi.»
Il
ragazzo sorrise, ottimista.
«Sono
sicuro che scopriremo qualcosa di importante a questo indirizzo!»
༒
Un altro bar.
Ad
attenderli nelle seconda circoscrizione c’era solamente l’ennesimo locale
aperto al pubblico. Lo sguardo di Aiko verso Higemaru divenne di puro biasimo.
Ma era più per se stessa, visto che iniziava a credere che non avrebbe cavato
un ragno dal buco.
«Riassumendo»,
brontolò con voce bassa, prendendo dalla tasca del trench il pacchetto delle
sigarette. «Abbiamo visitato due bar, un ristorante, una sala di lettura, un
terreno abbandonato e un appartamento nel quale, però, non ci hanno permesso di
entrare. Adesso siamo al terzo locale e io, francamente, inizio a pensare che
quella fosse la mappa dei locali migliori secondo Nagachika. Niente di losco.»
Higemaru
le impedì di accendersi una sigaretta, rubandole dalle mani l’accendino.
«Prendiamoci qualcosa di fresco da bere», le disse, con un sorriso che avrebbe sciolto
anche la calotta polare. «Almeno non saremo venuti fino a qui per niente.»
Aiko
sospirò, abbassando il capo e annuendo. Almeno dentro al locale avrebbero trovato
un po’ di riparo dall’afa e goduto dell’aria condizionata.
Seguendo
il collega all’interno, la moretta notò che non era un bar come tutti gli
altri. Ovunque c’erano scaffalature su scaffalature di libri. Sembrava più una
sala di lettura all’inglese di un bar. Eppure la lista dei te freddi era così
invitante che Aiko non resistette dal prendere un te nero aromatizzato al
lampone e amarena. Higemaru fece il bis con uno alla banana e fragola e
entrambi presero posto ad un tavolino che si era appena liberato. Aiko
sprofondò nella poltroncina dopo essersi sfilata in fretta il trench, spiando i
libri sopra alla sua testa mentre Higemaru prendeva due o tre tiri voraci dalla
cannuccia.
Stava
andando tutto a rotoli, ma lì Aiko si trovò bene. Era un locale silenzioso,
fresco e quasi famigliare. C’era qualcosa di confortante nell’aria.
Quando
Touma aprì di nuovo bocca, l’altra comprese cosa
si era persa.
«Quella
dietro alle tue spalle è Takatsuki Sen!»
Masa
rimase bloccata così come si trovava, col naso rivolto verso un libro di Goethe
e la mascella rigida, inerme di fronte alla probabilità che se si fosse
voltata, avrebbe contrato un paio di occhi verde acqua conosciuti.
Se
era davvero lei, Eto aveva sicuramente sentito l’esclamazione del partner,
quindi poco valeva far finta di nulla. Aiko si rimise diritta e si voltò,
guardando nella direzione indicata dal collega. Seduta in modo scomposto su una
poltroncina di pelle ad angolo, con addosso una salopette azzurrina e una
maglietta a maniche corte di uno strano color senape che le andava larga, c’era
proprio Eto.
Anzi,
Takatsuki Sen, famosa scrittrice.
«Deve
vivere nelle vicinanze», fu il commento laconico di Masa, che non fece
nient’altro se non rimettersi seduta diritta, dando le spalle alla donna che
difficilmente non s’era accorta di lei. Ad ogni modo, doveva agire come se non
le importasse.
«Perché
non le chiedi un autografo? Hai tutti i suoi libri. Me lo ha detto il
caposquadra che anche se non ti piace molto leggere, non ti sei persa un
singolo libro di Takatsuki Sen!»
Di
nuovo, a tono alto, Higemaru fu assolutamente fuori luogo. Anche se mai quanto
Urie, che a quanto pare non solo parlava di lei, ma anche degli argomenti
sbagliati.
«Non
voglio disturbare la signorina dalla sua lettura.»
«Allora
lo farò io per te!»
«Hige
non serve che-»
Masa
ci provò davvero a fermarlo, ma il ragazzo era già partito per un mondo al
quale lei non poteva nemmeno vagamente ambire. Quello dell’innocenza. Rimase
ferma, non si voltò, non volle vedere.
Non
seppe nemmeno quanto tempo il partner ci mise, ma le parve un eternità e quando
tornò, non era solo.
Con
lui c’era anche lei.
«Volevo
conoscere l’agente Masa Akiko a cui ho fatto l’autografo», disse tutta pimpante
Eto, sorridendole, prima di aggiustarsi gli occhiali sul naso. «Oh, chiedo scusa,
Aiko. Posso?»
«Prego,
signorina Takatsuki, si sieda con noi!», Aiko, che era schizzata in piedi
nell’esatto momento in cui le loro iridi si erano incontrate, tornò anche lei a
sistemarsi sulla poltroncina, di fronte al Gufo, alla quale Touma aveva ceduto
il posto per poi andare alla ricerca di uno sgabello per sé.
«Per
me è davvero un onore conoscere una scrittrice così talentuosa, signorina
Takatsuki», chinò il capo Masa, per non sorridere divertita. Eto se la stava
proprio spassando in quel frangente, glielo leggeva nello sguardo. Avevano la
possibilità di atteggiarsi come due sconosciute e non poteva lasciarselo
sfuggire, che Masa volesse o meno.
«Oh,
per favore, agente, chiamami per nome.» Un sorriso enorme si aprì sul volto
piccolo e tondo di Eto, «Io posso chiamarti Aiko, vero? E tu sei Touma. Sono un
disastro con i nomi, perdonatemi se sbaglio.»
«La
ringraziamo per il privilegio della sua compagnia, signorina Sen», trillò tutto
allegro Higemaru, mentre Eto prendeva un sorso del suo the, appoggiando il
libro che stava leggendo fino a quel momento sul bracciolo della poltrona. «Le
Metamoforsi di Kafsha.»
«Kafka»,
lo corresse Eto, alzando un dito come una maestrina. Dito che poi andò ad
appoggiare sul naso del ragazzo, che avvampò di imbarazzo. «Sei così tenerello,
lo sai? Ti mangerei di baci. Comunque,
questo è un libro che ho sempre amato particolare. Lo avrò letto almeno trenta
volte e quando mi sento un po’ triste, lo riprendo sempre in mano e alla terza
riga mi sento meglio.»
«Ormai
lo avrà imparato a memoria.»
«Non
me ne sazio mai, come delle persone.» Con un ultimo sorriso al ragazzo, si
rivolse a Masa. «Adoro il ccg», cinguettò allegramente, muovendo la cannuccia
dentro al bicchiere di plastica trasparente. «Ho parlato con un paio di voi
qualche anno fa. Mi pare si chiamassero Mado e Amon.» Prese un altro sorso,
dondolando le gambe sotto al tavolo mentre si sistemava più comoda. «State
indagando su qualcosa, ultimamente? Sono una vecchietta curiosa, perdonatemi se
vi importuno in una pausa.»
«Non
è un’indagine ufficiale», le disse Aiko, «Stiamo cercando una persona. Se lei è
una frequentatrice abituale del posto, signorina Sen, magari può aiutarci.»
Gli
occhi del ghoul brillarono. «Farò qualsiasi cosa in mio potere, agente.»
Masa
le mise sotto al naso prima la foto del ragazzo, poi la mappa che aveva trovato
nella sua felpa e che stavano cercando di decodificare da tutto il giorno. «Il
soggetto in questione si chiama Hideoshi Nagachika ed è sparito dalla ventesima
circoscrizione, più di tre anni fa, in seguito ad una operazione speciale della
ccg. Non abbiamo indizi su di lui, né che sia vivo o meno, ma abbiamo ritrovato
fra i suoi oggetti personali questa mappa. Guardandola, lei cosa ci vede?»
Eto
prese fra le mani la cartina, ignorando totalmente la foto.
Hige
si sporse verso di lei. «Va bene mostrargliela? È una civile.»
«Non
è un’indagine ufficiale, va bene fino a che non riveliamo dettagli personali di
Nagachika.»
Aiko
avrebbe voluto anche citargli la clausola, ma non ci riuscì. L’espressione sul
volto di Eto mutò così repentinamente che le mozzò il fiato in gola. Ora mi ucciderà, davanti a tutti. Questo
riuscì a pensare, mentre poteva avvertire un’aurea scura alzarsi dal corpicino
del Gufo. Durò pochi secondi, ma bastarono per raggelarla e gettarla nello
sconforto. Quando tornò a rivolgersi a lei e a Hige, Eto aveva di nuovo il
sorriso. «Temo di non potervi aiutare per questa», ammise candida, ripassando a
Masa la mappa, la quale la prese con la mano che tremava appena. Poi il ghoul
afferrò la foto, studiandola per bene da dietro le lenti spesse degli occhiali
tondi. «Hideoshi Nagachika, uhm?»
«Io
vado a prendermi un altro the» Higemaru
attirò su di sé gli occhi delle due donne e, senza saperlo, fu provvidenziale.
«Ne volete un altro anche voi?»
«Io
sono a posto con gli zuccheri per i prossimi vent’anni dopo questo», gli disse
Aiko, mostrandogli il suo, ancora a metà.
Eto
scosse semplicemente la mano. «Non preoccuparti, giovanotto. Non rimarrò qui
ancora per molto.»
«Faccio
presto allora, così posso salutarla, signorina Sen.»
Lo
guardarono allontanarsi al bancone e solo a quel punto, Aiko si sporse in avanti
per parlare. Eto fu però più veloce, come sempre. «Mi piace, questo tuo nuovo
partner. Sembra un tipetto poco sveglio, eh?»
«Sta
imparando», prese le sue difese Masa, prima di sospirare grave. Poi fece un
cenno alla mappa. «Cosa ci vedi?»
«Vedo
qualcosa che non mi sta bene. Ovvero queste stelline.» Eto la guardò seria come
poche altre volte aveva fatto, inchiodandola su quella poltroncina. «Questi
sono luoghi molto importanti, per me.»
«Posso
sapere il motivo?»
«In
questi locali è dove mi incontro con il Re.»
Aiko
sgranò gli occhi, scioccata da quella rivelazione. Poi però nella sua mente si
disegnò già un piano. «Non ci hanno permesso di avere una stanza che credo abbia
affittato sotto falso nome», snocciolò velocemente. «Posso mandare Kenta a-»
«No.
Andiamo noi due, Ai Ai. Stanotte.» Eto le mise sotto al naso la sua agenda.
«Scrivimi l’indirizzo, ci vediamo direttamente lì appena riuscirai a liberarti
dei tuoi colleghi.»
«Va
bene, Eto.»
Tutto ciò che
desideri.
Touma
le raggiunse mentre Masa le stava restituendo la Molang rosa. Eto sorrise
allegra e gli rese il posto, congedandosi in fretta. Si scambiarono un ultimo
sguardo e poi il ghoul lasciò il locale e il libro sul bracciolo della
poltrona.
«Cosa
le hai scritto nell’agenda?», si informò Hige, che le aveva guardate conversare
da lontano. Il suo udito però non era così buono da coprire il brusio degli
altri avventori e le due avevano parlato piano.
Aiko
lo guardò negli occhi, mentre beveva. «Mi ha chiesto il numero.»
A
quel punto, il ragazzo rise. «Un vip che ti chiede il numero! Questa vorrei
raccontarla a tutti, ma se dovesse venirlo a sapere il caposquadra…»
«Diglielo
invece, così magari impara a rispondere alle mie chiamate.»
Aiko
si sporse verso di lui, afferrando le Metamorfosi, prima di riaffondare nella
poltrona. Aprì la prima pagina e lesse una frase, scarabocchiata leggermente
con una matita.
Ci sono solo due
tipi di uomo perfetto al mondo: uno morto e l’altro mai nato.
Era
un proverbio cinese detto e ridetto da Tatara. Eto doveva averlo scarabocchiato
in quel libro sovrappensiero, prima che arrivassero al locale. Magari mesi o
anni prima di quel giorno. Una cosa era certa però.
Ora
il Gufo col Sekigan aveva motivo di preoccuparsi di qualcosa.
Che
Nagachika conoscesse la vera identità del Re con un Occhio Solo?
Tutto
ciò che Aiko pensò fu che era impossibile. Quello era il segreto più grande di
Aogiri di cui nemmeno lei sapeva nulla. Solo Eto e Tatara avevano contatti
diretti con sua maestà in persona, visto che la terza persona a saperne
qualcosa era stata Noro. E Noro ormai era diventato una quinque.
Come
era possibile, quindi, che conoscesse quei luoghi?
Avrebbe
fatto meglio a venirne a capo e trovarlo.
O
Eto non l’avrebbe più protetta.
༒
«Ai-Ai,
vedi qualcosa di interessante?»
Una
goccia di sudore rotolò della fronte sul naso di Masa, mentre con mani ferme e
decise scollegava il terzo di diversi cavi di alimentazioni connessi da
altrettante cariche esplosive. Esse erano state installate accanto alle due
porte di accesso alla piccola stanza che Taro Yamoto aveva affittato dalla
signorina Wakaba, probabilmente come garanzia che nessuno sarebbe mai riuscito
davvero a ficcare il naso nei suoi affari.
Era
stata una pura intuizione quella di entrare dal soffitto, creando un buco
nell’appartamento del piano di sopra. L’idea di Aiko aveva causato un paio di
quelle che Eto aveva definito vittime
collaterali, ovvero una coppia di poveri anziani che si erano ritrovati
alla porta la Bambina con le Bende e Labbra Cucite.
Se
non ci avesse pensato su avrebbero scatenato l’inferno, per tornarsene a mani
vuote.
«Una
bomba incendiaria rudimentale», spiegò con tono alto verso la stessa porta che
stava fronteggiando. Non aveva senso mettere in sicurezza quella che non dava
sull’interno dell’appartamento padronale, visto che Eto aveva intenzione di
spremere Wakaba di ogni informazione utile. «Un lavoro da pivelli.»
«Detto
da una dinamitarda come te, ci credo.»
Un
piccolo sorriso lusingato allargò le labbra di Aiko, mentre seguiva con gli
occhi il cavo dell’innesco, dalla maniglia fino a un cilindro, connesso a sua
volta a una tanica. «A occhio direi che ha usato centoventi grammi di polvere
da sparo per i due cilindri, mezzo litro di benzina a tanica per l’innesco
rapido e due bombole di propano da duecento millilitri. Voleva essere certo che
l’intera stanza sarebbe bruciata in fretta. Non c’è abbastanza potere
deflagrante nemmeno per abbattere un muro, ciò mi porta a pensare che non voleva
cancellare il palazzo dalla faccia della terra, ma qualche prova di sicuro. E
magari evitare di uccidere qualcuno.»
«Hai
visto se c’è qualcosa di interessante lì in giro?»
«Non
ancora, sono impegnata a disinnescare questo lavoretto mediocre. Per essere un
piccolo genio che ci sta scappando da mesi, dovrebbe lavorare un po’ sullo
stile. Anche se, pensandoci bene, credo che abbia architettato questo
trucchetto alla svelta. Sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a
cercarlo.»
Eto
tacque per un attimo, poi di seguito a qualche rumore sordo, parlò nuovamente,
più vicina alla porta. «Intendi dire che potrebbe essere qualcosa di
improvvisato recentemente?»
«Ne
sono quasi del tutto sicura. Nagachika, se è davvero lui il signor
Spaventapasseri Yamoto, può fare di meglio di così, considerando cosa ha fatto
per liberare Amon. Anche una persona senza la minima esperienza in materia
potrebbe creare questo tipo di bomba.» Senza esitazione alcuna, Aiko aprì la
porta, guardando dal basso della sua posizione genuflessa Eto. «Ho finito.» La
mora sorrise, con le labbra libere dalla maschera di cuoio che aveva abbassato
quando si era messa al lavoro. Mostrò all’altra uno dei cilindri metallici, ne
aveva contato uno per ciascuna porta, ora scollegato dal resto dell’impianto.
«Un cavo di metallo elettrificato da una batteria da auto si collega
direttamente a un cilindro pieno di polvere da sparo. Una volta cercato di
forzare la porta dall’esterno, nell’esatto momento in cui la serratura viene
aperta, un impulso viene liberato e fa esplodere la polvere da sparo, che
incendia la benzina. La benzina crea la fiammata primaria, che colpisce le
bombole di propano, le quali deflagrando per l’alta temperatura fanno un po’
l’effetto del napalm sul Vietnam, ma in versione casalinga.»
«Sembra
studiato comunque bene per qualcuno che aveva fretta.»
«Ciò
che mi stupisce però è che non c’è modo di entrare nemmeno per il bombarolo», disse
Masa, guardandosi attorno. «In qualsiasi modo la porta fosse stata aperta, con
una chiave o con la forza, questo posto sarebbe esploso. Non ha calcolato la
possibilità del soffitto, grazie al cielo, perché qualsiasi cosa ci sia qui
dentro, lui non vuole che qualcuno la trovi.»
«Allora
mettiti al lavoro, mentre io continuo un po’ con la nostra nuova amichetta di
là.»
Eto
le strinse l’occhiolino, prima di alzare una benda sulle labbra e il cappuccio
sul capo, compiendo ad ampi saltelli il corridoio che la separava dal salotto
nel quale aveva legato la povera vittima, in quelle che sarebbero state le sue
ore peggiori. Aiko non poteva vedere nulla da lì, ma sentiva la voce bassa e
carezzevole di Eto come se le fosse accanto, così come ogni singolo singulto di
Wakaba.
Cercò
di isolarsi, facendo ciò che le era stato ordinato. Ribaltò quella stanza
aprendo ogni andata e ogni cassetto. Squarciò il materasso e i cuscini del
divano. Tutto ciò che trovò di utile fu qualche yogurt scaduto da pochi giorni
in frigo, prova che avvalorò la sua tesi che quello era stato il nascondiglio
del soggetto della sua ricerca fino a poco meno di due settimane prima, a
occhio e croce.
Aiko
passò le dita su una mensola e guardò il guanto bianco, solo leggermente sporco
di polvere. Quel posto era stato abitato e forse da più di una persona. Nel
frigo aveva avvertito anche l’odore del sangue umano ristagnato, ma non aveva
trovato prove in merito.
In
bagno cercò ovunque, ogni anfratto, ogni mattonella, ma era pulito come il
salotto e la cucina. Il piccolo letto appoggiato in fondo alla stanza, ora
distrutto dai colpi di Dao della mora, era l’unica cosa che un po’ stonava col
resto dell’arredamento nuovo. Erano letteralmente tre materassi impilati, come
se in realtà fossero stati usati da più di una persona, magari stesi a terra a
mo’ di futon. Per scrupolo, Masa li odorò. Due non avevano odore. Uno sì.
«Eto,
credo che Amon abbia dormito qui, sento l’odore di Seidou su questo materasso.»
«Ah
sì? Come è possibile allora che la nostra amica non abbia visto niente? Voglio
dire, il mio fratellino è bello grosso! A cosa le serviranno mai questi
occhioni!?»
Aiko
sospirò, lasciando ricadere i materassi, prima di voltarsi verso la porta. Fu
lì che notò uno specchio. Era grande abbastanza da poter renderle l’intero
riflesso del suo busto, avvolto dalla mantella color vinaccia. Gli si avvicinò,
sistemando le bende che poi avrebbe riabbassato sull’occhio destro. Fu in quel
momento, nell’angolo sinistro dello specchio, che notò qualcosa.
Una
pianta.
Era
ancora incredibilmente verde per essere stata lasciata sola a se stessa,
nascosta dietro un pesante tendaggio, accanto alla sola finestra dell’intera
stanza, i cui scuri erano stati chiusi da molto prima che l’appartamento
venisse abbandonato. Le si avvicinò incuriosita e ne toccò una foglia,
constatando che era finta, di plastica.
Si
chiese il perché di quella scelta di stile e quando l’occhio scivolò verso il
vaso, notò che la terra invece era vera. Sollevò il gambo sintetico, scavando
con la mano per spaccare quella zolla secca e sotto di essa, in corrispondenza
con il fondo del vaso, trovò un piccolo squadernino nero.
Lo
prese con mani tremolanti, ricca di aspettative.
Esse
non vennero deluse quando al suo interno trovò una serie di annotazioni, altri indirizzi,
date e orari.
E
una fotografia di due liceali, uno moro e timido, l’altro dai capelli arancione
acceso e gli occhi furbi.
«Eto!»,
esclamò, incapace di trattenere l’entusiasmo. «Ho trovato qualcosa!»
Non
ottenne una risposta, ma ciò che lesse fra quelle righe la spinse a non
preoccuparsi più del ghoul che l’accompagnava. Ogni singola pagina iniziava e
finiva con quelli che erano palesemente una serie molto lunga di appostamenti.
Ogni riga iniziava con un orario, un luogo e due lettere puntate. Poi una serie
di parole scarabocchiate velocemente, molte delle quale erano ‘inconcludente’ o
‘non solo’.
Il
fiato le si mozzò quando realizzò che molti di quei posti li conosceva perché
erano frequentati dai Quinx o lo erano stati prima della morte di Shirazu.
Qualcosa in particolare le paralizzò mente e corpo.
2 luglio 2016 –
ore 21.12 – Ristorante Maruka, 3-16-1 Kanda Okadacho, Chiyoda 101-0052,
Circoscrizione 1. RA-B e CN cenano.
Il
suo appuntamento con Urie, la sera in cui hanno rotto la sedia. È ironico che
fino ad allora l’aveva sempre ricordata come una serata divertente. Se avesse
saputo di essere osservata forse avrebbe goduto meno della compagnia e avrebbe
tenuto maggiormente gli occhi aperti.
Di
nuovo, si ritrovò a ringraziare mentalmente Eto. Se non le avesse chiesto di
indagare su Nagachika, allora non avrebbe mai scoperto niente. Non avrebbe mai
realizzato che erano seguiti, studiati.
Soprattutto
questo RN, che ricorreva spesso, molto più di qualsiasi altro nome.
«Eto!»,
chiamò nuovamente, percorrendo il corridoio in fretta fino al salotto. «Avevi
ragione, Nagachika o Yamoto che sia sta-»
Non
riuscì a terminare la frase.
Il
salotto era invaso di sangue.
La
testa della signorina Wakaba, era collegata al collo solo da una sottile
striscia di muscolo. Aiko guardò quel volto sfigurato e quel cranio esposto,
dopo che ogni singola ciocca di capelli era stata strappata a mano e lasciata
cadere a terra, sul tappeto.
«Credevo
che fosse una parrucca, chi mai si farebbe crescere tanto i capelli per poi tingerli
di un rosso così volgare», sussurrò Eto, seduta sulla poltrona, mentre rimirava
quello scempio con gli occhi assenti. Aiko si spaventò, non l’aveva mai vista
così. Sembrava quasi stesse avendo una brutta psicosi a cui sicuramente
l’investigatrice non avrebbe saputo far fronte, così abituata alla Eto
manipolatrice e abile a gestire ogni situazione. Quello era però uno scenario
che andava ben oltre ogni sua possibile previsione.
«Eto»,
la chiamò esitante Aiko, inginocchiandosi accanto a lei e cercando il suo
sguardo. Appoggiò il quaderno sul tavolino del salotto, accanto alla lingua di
Wakaba e comprendendo perché non l’aveva sentita gridare. «Ho trovato qualcosa
di importante. Ho trovato degli appunti da decodificare. Si è lasciato qualcosa
alle spalle, commettendo un passo falso.»
Con
mani gentili, scostò le bende dal viso della bestia e lo accarezzò lentamente.
«Andrà
tutto bene, lo prenderemo.»
Eto
le sorrise, sardonica. «Io scommetto che invece voleva proprio che lo
trovassimo. E sai perché? Perché questa qui non sapeva nulla, non era una sua
complice. Non ha lasciato nulla al caso.»
«Allora
prenderlo sarà ancora più soddisfacente, non credi? Lui pensa di essere un
passo avanti a noi, ma saremo più furbe. Insieme.»
Ci
fu un momento in cui il Gufo sembrò quasi vacillare ulteriormente, poi le sue
iridi tornarono brillanti. Si sporse a baciare Aiko, costringendola a sedersi
di prepotenza sul pavimento sporco di sangue e interiora.
Il
bacio fu seguito da bende e tessuto che caddero attorno a loro, fino a che le
loro pelli nude non entrarono in contatto. Solo quando Eto si ritenne
soddisfatta, dopo quelle che sembravano ore, lasciò Aiko a terra, ansante,
sporca di sangue rappreso e sudore.
Il
ghoul prese il quaderno usando un tovagliolo di carta per non impregnarlo col
sangue della padrona di casa, poi si voltò verso la mora, con un sorrisetto.
«Dobbiamo
sparire in fretta, tra poco albeggerà», sussurrò con il tono dolce di un
amante, mentre Aiko soppesava l’idea di farsi una doccia da qualche parte per
non tornare con addosso le prove incriminanti di un omicidio, oltre che l’odore
del sesso.
Si
mise seduta, guardando Eto che a sua volta fissava la foto di Nagachika e
Sasaki. No, non Sasaki.
Kaneki Ken.
«Questa
la tengo io», le disse semplicemente il ghoul. «Il resto è tuo. Decodificalo.»
«Sarà
fatto.»
«Prima,
però, hai un’idea per sistemare questa incresciosa situazione?»
Eto
si era lasciata prendere un po’ troppo dall’entusiasmo e aveva fatto un bel
casino.
Aiko
si abbracciò le ginocchia, calcolando che ripulire tutto con la candeggina non
aveva senso. Non avrebbero mai rimosso tutto il liquido secreto dal kagune di
Eto dalla stanza e sarebbe suonata sospetta la presenza del Gufo col Sekigan
lì.
Senza
contare che i loro dna erano sparsi sul tappeto, insieme al sangue.
Poi
Masa ebbe un’intuizione.
Si
voltò, guardando le bombole di propano e la benzina, in mostra grazie alla
porta lasciata aperta in fondo al corridoio.
«…Forse
ho un’idea.»
༒
Quando
Aiko rincasò allo chateau s’erano fatte ormai le otto del mattino.
Trovò
tutti seduti al tavolo della colazione, quasi come se la stessero aspettando,
nonostante si fosse impegnata a rimanere in contatto tutta la notte con
Higemaru il più possibile per non destare sospetti. La doccia alla fine l’aveva
fatta da Eto, allungando così la sua assenza da casa. Si era poi premurata di
non avere l’odore addosso del ghoul una volta entrata in macchina. Sarebbe
stato spiacevole lasciare la fragranza di Gufo col Sekigan sui sedili di pelle
dell’auto di servizio.
In
ogni caso, una volta rincasata, sapeva che non avrebbe avuto vie di scampo.
Avrebbe dovuto rispondere a qualche domanda per tutte quelle ore di assenza.
«Macchan,
pensavano di poter subaffittare la tua stanza, ormai», le disse divertita
Saiko, prima di corrugare la fronte. «Ah, tu non ce l’hai più una stanza.»
«Scusate,
ho passato la notte nella biblioteca della Kami a lavorare sul caso Nagachika»,
disse loro appoggiando la tracolla sul divano e anticipandoli con le
spiegazioni. «Non hanno una grande sicurezza in quell’università.»
«Potresti
provare a chiedere il permesso invece di entrare dalle finestre», la arguì
subito il caposquadra, continuando a padellare frittelle senza voltarsi a
guardarla, né a chiederle se avesse fame. «Magari lo troveresti più comodo.»
Masa
ignorò Urie, guardando direttamente Higemaru mentre si sedeva al suo posto, a
capotavola. In mano aveva un plico di fogli. «Nagachika ha scritto diversi saggi
sui ghoul o sulle leggi anti ghoul. Indovina quale sarà il tuo compito mentre
io mi riposo un po’.»
«Leggere
tutto e riassumere?», domandò il ragazzo dai capelli pervinca, attirando a sé
quella mole di lavoro e annuendo, senza esitazione. «Consideralo già fatto. Ci
pensa Hige.»
«Ti
do una mano se vuoi, oggi sono di riposo», gli disse Aura mentre si alzava
sazio dal tavolo, con addosso ancora il pigiama sformato, andando verso i
divanetti. Si sentiva ancora in debito dopo che Touma aveva deciso di dormire
fuori dalla tenda, ad Aokigahara, quindi gli parve un buon modo per appianarsi.
«Macchan
ti è arrivata una lettera stamattina», disse di punto in bianco Saiko,
guardando verso Urie, il quale aveva ritirato la posta stupendosi parecchio
dell’arrivo del postino così presto.
Fu
lui a consegnarla alla giovane, prendendola dalla tasca dei pantaloni.
«Prego»,
le disse a denti stretti, risentito per il non essere stato ringraziato. Aiko
però non sembrava essersene nemmeno accorta.
Fissava
la busta, come in trance.
Poi,
cercando di mantenere la calma, fissò negli occhi Urie.
«L’ha
consegnata il postino?»
«Chi,
se no? Il farmacista?»
«Ha
suonato alla porta?»
«Sì.»
«Lo
hai visto in faccia? Hai notato qualche dettaglio strano? Che divisa aveva?»
«Non-Non
lo so, non aveva niente di strano. Perché tutte queste domande.»
Aiko
sollevò la busta, in modo che potesse vederla bene anche lui.
«Perché
non c’è l’indirizzo del mittente, né in francobollo qui sopra. Ecco perché.»
Touma
si sporse per guardare a sua volta, mentre Hsiao assottigliava gli occhi,
appoggiando le bacchette. Aiko scambiò uno sguardo preoccupato con Saiko, poi
palpò la busta. Sembrava totalmente vuota ad eccezione di qualcosa di rigido e
lungo, adagiato sul fondo.
Non
poteva essere una bomba.
Se
anche fosse stato un tipo di innesco a cartellina – e Masa conosceva bene
quella tipologia di bomba ad innesco automatico o luminoso- era troppo piccola
per contenere abbastanza esplosivo per poter far loro del male.
Nel
silenzio più totale, ad eccezione della televisione che Aura aveva acceso con
incuranza, la mora aprì la busta.
Era
davvero vuota, ad eccezione di un piccolo oggetto.
Una
foglia di plastica, strappata da una pianta finta.
«Che
tipo di scherzo è mai questo?», domandò Urie, stranito. Aiko non rispose,
appoggiando l’oggetto sul tavolo velocemente, manco scottasse.
«Non
ne ho idea», mentì, prendendo poi una frittella e costringendosi a mangiarla,
nonostante il senso di nausea.
Come
era possibile che la pianta fosse sopravvissuta a ciò che lei e Eto avevano
fatto?
«C’è
stata una esplosione nella settima circoscrizione», disse con tono di voce alto
Shinsampei, «Otto morti e sedici feriti. Pare sia saltato in aria un intero
appartamento.»
«Cosa?»,
chiese stupita Saiko, distraendo così ironicamente l’attenzione da quella
foglia.
Tutti
ascoltarono la notizia del telegiornale, eccetto Hsiao.
Lei
continuava a guardare il profilo di Masa, che dovette trattenersi parecchio per
risultare tranquilla. Dentro non lo era affatto, ma aveva recitato quella solfa
per tre anni. Un giorno in più non faceva più la differenza.
«Ci
siamo stati ieri io e Hige», rivelò subito con non curanza, senza peli sulla
lingua.
«Letteralmente»,
le rispose con tono allibito il partner, mentre sullo schermo lampeggiava la
foto di Kisho Wakaba, ancora uomo. «La signorina Rea…»
Aiko
spiò quel volto così diverso, ricordandosi della testa quasi decapitata.
L’assenza di emozioni le scatenò la nausea.
Smise
di mangiare.
«Terribile»,
commentò, semplicemente, alzandosi dal tavolo per raggiungere il salotto.
Lo
fece soprattutto per sfuggire allo sguardo sottile della taiwanita.
«Dovremmo
fare rapporto?», chiese con voce piccola Higemaru.
Urie
schiuse le labbra, per rispondere, ma Aiko lo precedette. «Perché dovremmo?
Hanno detto che la natura dell’esplosione è quasi del tutto accidentale. Se si
rivelerà dolosa parleremo con la polizia. Fino ad allora, io vado a dormire un
paio di ore. Sto lavorando più durante queste ferie che quando sono di turno.»
«Ti
devo parlare», le disse sbrigativo Urie.
Aiko
si bloccò ai piedi delle scale, con la sua cartella in mano e un sorrisetto
sulla labbra.
«Non
ora, Cookie. Viviamo insieme, puoi farlo dopo quando sarò lucida.»
Gli
fece l’occhiolino, come dimenticando ogni attrito fra loro e poi salì rapida i
gradini, arrivando fino alla stanza che divideva col caposquadra.
Prese
dalla tracolla il quadernino e lo sfogliò.
CN.
RA.B.
Chi
era lei? Perché la pedinava? E quella foglia? L’aveva conservata perché voleva
che lei trovasse il quadernino? Come faceva a sapere che era nelle sue mani?
Quella
era un messaggio chiaro.
Io ti osservo
sempre, Aiko Masa.
Ma
‘io’ chi?
Nagachika?
Spaventapasseri? Yamoto?
Poco
importava.
L’avrebbe
trovato, perché lui da solo avrebbe potuto distruggere il lavoro di anni con
una sola lettera più decisiva.
E
indirizzata a qualcun altro.