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Autore: FlyingBird_3    17/08/2017    0 recensioni
Dopo la storia finita male con il suo ex, Giulia piomba in uno stato depressivo: niente sembra farla stare meglio, e ogni passo che compie alla riconquista di sé stessa sembrano due passi indietro verso l’abisso.
Studentessa di belle arti, ha sempre trovato nell’arte una fuga dalla realtà, dalle sue paure più nascoste.
Lo stesso fa Luca, ragazzo di borgata poco più grande di lei con la passione per il rap, andato via di casa troppo presto; testardo e all’apparenza freddo, all’interno nasconde un animo sensibile e riflessivo.
Due ragazzi diversi che si incontreranno aiutandosi l’un l’altro, accettando i loro demoni e trasformandoli in un talismano che cura le proprie anime.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La mattina mi risvegliai un po’ stordita, stesa ancora sul pavimento del bagno e la sveglia della camera come sottofondo; la testa mi pulsava fastidiosamente, e avevo male alle gambe forse per aver dormito a terra.
Agganciai le mani al lavabo e mi tirai su, osando guardarmi allo specchio: la faccia non sembrava particolarmente sofferente, ma avevo dei terribili cerchi neri intorno agli occhi. Va bene, pensavo peggio… niente che con un po’ di trucco non possa essere sistemato.
Mi preparai, feci colazione e uscii di casa, tutto nella più normale tranquillità. Com’era stato possibile quell’episodio la notte prima?
Con i Sex Pistols nelle orecchie andai verso la fermata dell’autobus di buona lena, ed arrivai all’accademia puntuale come ogni giorno.
Quello era un giorno speciale per alcuni di noi: la scuola era stata incaricata di un lavoro speciale da parte di un ricco proprietario romano.
L’appuntamento era per le otto nel giardino di fronte all’entrata; erano stati selezionati solo alcuni alunni, e tutti eravamo all’oscuro sui motivi per i quali erano state scelte determinate persone a dispetto di altre. Molta gente con un estro artistico pazzesco era stata lasciata fuori, nello stupore generale; l’unica spiegazione a cui ero arrivata era che i professori volessero dare una possibilità a quelli meno “navigati”.
Il lavoro stava nel decorare l’interno di un nuovo hotel della capitale, ed era una di quelle occasioni che se ti capita devi fare di tutto per prenderla.
Per conto mio, non avevo fatto nessuna ricerca sul posto, ne mi ero informata sul tema dell’hotel. Non avevo fatto letteralmente niente per allargare i miei orizzonti inspiratori, ma contavo sul fatto che mi sarebbe venuta qualche idea una volta arrivata là. O almeno ci speravo.
Mentre aspettavo l’arrivo dei mancanti davanti a me c’era Anna, la cocca di tutti i professori, che stava snocciolando le ultime notizie sul fidanzato alle sue amiche; quanto la odiavo. Guardai i suoi occhioni azzurri che guizzavano qua e là, circondati come sempre da ciglia chilometriche.
Per quanto mi sforzassi non riuscivo a trovare un lato positivo in quella ragazza: piena di sé, orgogliosa, egocentrica, bella e fastidiosamente brava nel disegno.
Dio, ma perché non sei stato generoso con tutti quella volta?
“Oh dovevate vederla! Era bellissima, una terrazza sopra il colle, affittata solo per noi due… poi mi ha fatto trovare questo pacchettino sopra il tavolo con l’anello Tiffany dentro. Ma quanto dolce è?! È solo il terzo anello che mi regala! Quasi mi ci sto abituando!”
Alzai gli occhi al cielo, pensando fottuti ricconi. Tirai fuori una sigaretta e me la fumai, spostando la mia attenzione sui fili d’erba che si piegavano al vento: di certo più interessante dei discorsi di quella gallina.
“Ragazzi ci siete tutti? Ci incontriamo al punto stabilito tra mezz’ora. Mostrate il cartellino al portiere appena entrate, lui vi porterà nella sala in questione”
La voce ridondante della prof. Cassino mi riportò a terra, quando la mia testa stava già iniziando a prendere il volo: la vidi farsi strada tra gli studenti, sempre elegante e giovanile nonostante l’età.
Ci dirigemmo verso i mezzi pubblici, ognuno scegliendo quello che più gli conveniva; io seguii la massa, testa bassa, seconda sigaretta alla mano.
Giò dove sei ora?
 
*
 
Appena arrivai rimasi stupita dall’aspetto dell’hotel: sembrava uno di quegl’edifici anni venti, a metà tra il futuristico e il bizzarro; le finestre sembravano delle onde del mare, ed il tutto mi ricordava le opere di Gaudí.
Quando entrai dentro l’aspetto invece era particolarmente nella norma.
Eravamo tutti ammucchiati nella hall, un’enorme spazio con volte a crociera ed elegantissime colonne in granito rosa, ognuno con il suo taccuino e annessa penna alla mano; nonostante nessuno di noi sembrasse particolarmente rapito dai bianchi muri spogli, in realtà c’era un’atmosfera di competizione che poteva essere tastata con mano.
Dopo qualche minuto d’attesa ecco arrivare un uomo basso e grassottello, dalla pelata lucida e dai piccoli occhi scuri: era vestito elegante, talmente elegante che stonava in modo fastidioso nell’entrata spoglia dell’hotel.
“Buongiorno ragazzi. Benvenuti nel mio hotel. Come vi avranno spiegato, è stato riaperto da poco, e i segni del recente restauro sono evidenti. Non voglio dilungarmi molto. Prego seguitemi”
L’uomo ci fece segno di seguirlo, e notai che il suo sguardo si posò un secondo di più sulle curve della prof Cassino. Uomini.
Ci fece entrare in una sala che aveva l’aspetto di una da ballo, non molto diversa dall’entrata; una cosa che mi saltò all’occhio, era che quel posto era davvero spoglio.
“Ecco ragazzi, tutte queste pareti sono a vostra disposizione. Vorrei vederle prendere vita, come se avessero delle storie da raccontare. Ora vi lascio al vostro lavoro, ed io ritorno al mio”
L’ometto uscì e noi potemmo iniziare il nostro compito: ci sedemmo per terra, sparpagliati per la sala. Era un po’ scomodo, ma non c’era altra soluzione.
Presi in mano la matita e abbozzai degli angioletti che cadevano dal soffitto. No, troppo scontato.
Girai il foglio e provai con delle ghirlande di fiori: troppo scontate. Cosa dovrebbero raccontare delle ghirlande di fiori?
Provai, provai e riprovai, ma il risultato era sempre lo stesso.
Per quanto mi sforzassi sembrava non uscirmi niente dalla matita: solo stupidi schizzi, anonimi e vuoti come la persona che stavo diventando. Già, che stavo diventando?
Ripensai a Giò. Perché mi aveva lasciato? Perché se n’era andato senza una spiegazione?
 
Perché sei sparito così amore mio? Il mio affetto per te non bastava?
Le mie carezze non calmavano la tua sete di mondo? Nei miei occhi non ci vedevi il calore e la tranquillità di casa?
 
Improvvisamente, nel silenzio della sala interrotto dallo strisciare delle matite, sentii distintamente il battito del mio cuore riecheggiare nel vuoto.
 
Non è mai stato interessato a te, altrimenti una spiegazione te l’avrebbe data; si è semplicemente divertito finché gli ha fatto piacere. E poi ti ha buttata come carta straccia, come se non valessi niente.
 
Ancora quella voce.
Mi guardai intorno nervosa, impaurita dal fatto che qualcuno la potesse sentire a sua volta; passai lo sguardo tra la gente ma nessuno sembrava dare segni di essere con i piedi per terra.
Ma che mi stava succedendo?
 
Una persona così interessante non potrà mai volerti al suo fianco. Non sei abbastanza per lui. Non sei abbastanza in niente.
 
Iniziai a sentire il sudore freddo imperlarmi la fronte, brividi scendermi lungo la schiena; non riuscivo a stare ferma, le gambe tremavano furiosamente. Dovevo andarmene da li.
Cercai di alzarmi senza dare troppo nell’occhio, ma ogni gesto che compivo sembrava il passo di un elefante in un negozio di cristalli.
Inspirai silenziosamente cercando di mantenere la calma ma inciampai nel giubbotto di un ragazzo; mi caddero alcune matite sulla sua testa, e lui si girò con aria minacciosa.
Gli feci cenno per scusarmi e notai con orrore che le mani mi tremavano leggermente. Ripresi il mio cammino, ormai incurante del fatto che mi vedevano correre; girai l’angolo e trovai altri corridoi. Girai un altro angolo e trovai un altro corridoio; dove cazzo finiva quel maledetto posto? La vista mi si appannava a tratti, nelle orecchie ancora quel fastidioso fischio.
Quando girai l’ultimo angolo andai a sbattere contro  una sagoma nera: arretrai di qualche passo, un rumore indistinto vicino a me. Mi girai per vedere cos’era, e l’unica cosa che ricordo era un volto incorniciato da due occhi scuri.
“Ehi aspetta…”
Ripresi la mia corsa e trovai una porta aperta: mi ci infilai dentro e la richiusi.
Scivolai a terra ansimante, le lacrime mi sgorgavano a frotte; che cosa stavo diventando? In che mostro mi stavo trasformando?
Non avevo le gocce con me, quindi avrei dovuto trovare un modo per calmarmi da sola.
Maledetta me, maledetto il fatto che mi ero innamorata di quel ragazzo. Avrei dovuto rimanere da sola, sola, sola con i miei demoni…
 
 
Luca rimase perplesso. Si guardò intorno, cercando di capire che cosa era successo, ma non vide la ragazza da nessuna parte.
Le avrebbe lanciato volentieri addosso quello stupido quaderno con cui l’aveva quasi falciato; lo raccolse da terra con stizza e lo osservò. Aveva una copertina blu con dei piccoli puntini bianchi, a imitazione di un cielo stellato. All’interno della prima pagina c’era quello che doveva essere il nome della ragazza, scritto in piccolo in un angolo, e al centro una frase scritta in bella calligrafia:
 
Cammina leggero, perché stai camminando sopra i miei sogni
  
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