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Autore: Dangerina15    21/08/2017    0 recensioni
La storia di Angelica e Medoro è uno dei canti più famosi dell'opera di Ariosto.
In questo breve racconto, diviso in capitoli che segnano lo scorrere dei giorni, Angelica si occupa di Medoro, ferito gravemente per aver cercato di seppellire, insieme all'amico Cloridano, il corpo del suo signore. Tra cure, racconti e sguardi fugaci, tra i due nascerà un sentimento, ciò che porterà Angelica a scoprire il significato del vero amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miti e leggende dei Paladini di Francia'
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ANGELICA


Trovarci in quella stalla fu come una benedizione.
Gli dei ci guidavano verso la salvezza, regalando a Medoro la possibilità di vivere ancora la sua vita. Un incontro casuale il nostro, inaspettato: un giovane uomo moribondo e una principessa vestita di stracci dall’identità celata, sperduti nell'oscurità di un bosco.
Eppure qualcosa si era creato dall'attimo in cui i nostri sguardi si erano incrociati per la prima volta.
In quel momento però non avevo pensieri che occupavano la mia mente, se non quello di salvare la vita al giovane soldato saraceno che, gravemente ferito dalla lama di una spada, continuava a gemere e a respirare a fatica, aggrappandosi a me come sostegno che potesse reggere il suo corpo martoriato.
Un umile pastore, quella mattina, ci aveva concesso qualche giorno di riposo nella stalla del suo gregge; lentamente, portai Medoro fin dentro la grotta, affinché potessi adagiarlo su un letto di paglia, forse usato dallo stesso pastore come branda notturna durante il turno di guardia alle pecore.
<< Ecco, sdraiati qui.>> sussurrai all'uomo che, non riuscendo a proferir parola, si limitò a guardarmi e accennare un piccolo dolorante sorriso. << Non affaticarti, chiudi gli occhi e riposa.>> continuai dolcemente, sistemandogli una piccola balla di fieno dietro la nuca, che doveva fungere da cuscino. Nel piccolo fagotto che avevo con me tenevo alcune provviste, un bracciale d’oro ( unico oggetto prezioso che ero riuscita a portare con me dopo la fuga dalla fortezza di Albracca) ed erbe medicinali che avevo raccolto nei giorni precedenti, in caso fossero state necessarie a sopperire qualche emergenza; in pochi minuti preparai l'unguento che avrebbe dovuto guarire la ferita di Medoro. Mi avvicinai a lui e slacciai i legacci della camicia impregnata di sangue, così che potessi constatare con i miei occhi la gravità della situazione: il taglio era molto profondo e attraversava l'addome da una parte all'altra; aveva perso molto sangue e ciò lo aveva privato di forze.
<< Adesso sta fermo. Dovrai resistere un po', ma ti prometto che starai bene.>> ripresi e con mano ferma e tocco leggero cominciai a spalmare l'unguento sulla ferita del soldato, che strizzò gli occhi, cercando di non urlare dal forte dolore. Continuai inesorabile nella medicazione, avvertendo costantemente la sofferenza che quel povero giovane stava provando. D’un tratto, forse dovuto ad uno spasmo di dolore, mi afferrò il polso e lo strinse con forza, costringendomi ad interrompere la cura.
<< Sta calmo, Medoro. So che stai soffrendo, ma guarirai presto, vedrai. Se adesso non ti curo, la tua ferita si aggraverà e rischieresti di morire. Fidati di me, andrà tutto bene, te lo prometto.>>. Senza sapere bene il perché delle mie azioni, gli accarezzai dolcemente la fronte, forse per donargli un po’ di sollievo. I suoi occhi si posarono improvvisamente sui miei; erano azzurri come il cielo, posati in un viso dai lineamenti angelici ed eleganti. I suoi capelli, scuri come i miei, lo rendevano una specie di divinità terrena. Tuttavia la spossatezza lo aveva indebolito a tal punto che i suoi occhi erano diventate due minuscole fessure.
<< T-ti devo la vita…>> lo sentii sussurrare flebilmente. Gli sorrisi e lo cullai fin quando non si addormentò profondamente, stremato da tutto ciò che gli era capitato. Strappai un pezzo del mio abito per trasformarlo in una fascia, in modo che la ferita rimanesse protetta e avesse il tempo di rimarginarsi. Mi alzai per andare a prendere una boccata d'aria ma non appena mi allontanai dal giaciglio, tornai con lo sguardo alla figura stesa sul letto. C'era qualcosa di strano dentro di me, una strana sensazione mi aveva invasa dal momento in cui avevo curato le ferite di Medoro, non so se fosse compassione o qualcosa di diverso, ma più lo guardavo e più mi rendevo conto della sua sbalorditiva bellezza; chiunque se ne sarebbe innamorato all'istante, come un novello Apollo dai tratti saraceni. La sua condizione di moribondo mi inteneriva; non avevo esitato un attimo nel soccorrerlo in quel bosco e non mi importava a quale paese, stirpe o credo appartenesse: era un uomo ferito, che sarebbe morto dissanguato se qualcuno non gli avesse prestato soccorso. Nelle poche parole che era riuscito a pronunciare, mi aveva raccontato dell'atto di sepoltura che voleva concedere al suo signore, rimasto insepolto dopo il terribile scontro alle porte di Parigi. Un atto di coraggio e di pietà che avrebbe pagato con la sua vita.
Respirava affannosamente e, ogni tanto, stringeva le mani sulla paglia; la ferita doveva fargli molto male e questo non gli permetteva di riposare. Tornai a sedermi accanto a lui, sperando che la mia presenza potesse dargli conforto o, perlomeno, potesse aiutarmi a capire la strana sensazione di cui ero vittima. Restai a vegliarlo per diverse ore fin quando, a calar della sera, mi addormentai in preda alla stanchezza, tenendo stretta la sua mano alla mia.
  
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