Videogiochi > Ensemble Stars
Segui la storia  |       
Autore: rainbowdasharp    24/08/2017    2 recensioni
"Aveva letto un milione di teorie, riguardo la sua scrittura: “un poeta”, lo definivano e Leo davvero non capiva – un poeta di cosa, della sovversione? Della ribellione silenziosa a cui si era condannato?"
| leotsu (e presenza di altre coppie, seppur accennate), soulmate!au |
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Leo Tsukinaga, Tsukasa Suou, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2: Oltre lo specchio


“Ai miei occhi, quello sembrava un messaggero della morte: il manto candido che gli avvolgeva le spalle, il sorriso gentile ma lo sguardo freddo e duro come un equo signore degli Inferi, pronto a giudicarmi con la sua mortifera bilancia. Mi tendeva la mano, improvvisandosi un cavaliere – un cavaliere del vuoto.

E mentre con lento e involontario gesto, ipnotizzato, l'afferravo, avvertii sotto di me un vortice di tenebre aprirsi, avvolgendo il mio intero corpo e, all'improvviso, il giorno si fece notte.”

 

Come tutti i bambini, Leo aveva studiato sin dalla scuola elementare quali erano le conseguenze del Predestino: ci si incontrava, ci si innamorava e poi un simbolo di unione nasceva spontaneamente sul corpo – una parola, un simbolo, qualcosa che legasse le due persone in modo speciale.

I suoi genitori, ad esempio, avevano una nota musicale proprio dietro l'orecchio, a specchio e, da bambino, il piccolo Tsukinaga aveva sempre pensato che niente avrebbe potuto riassumerli meglio: i due si erano conosciuti in un'orchestra (lui direttore di orchestra, lei violoncellista) e, da allora, non si erano mai più lasciati; Ritsu e Mao avevano invece, sul polso, in una specie di scrittura infantile, la parola “promessa”; ricordava perfettamente con quale naturalezza il moro avesse esibito il polso sotto i suoi occhi, dicendogli che aveva quella scritta sin dalla quarta elementare (una rarità persino per quel mondo così perfetto, trovare la propria anima gemella in così giovane età).

Nessuno, però, parlava mai di cosa accadeva prima di innamorarsi, in quella sottospecie di periodo di incubazione d quello che Leo avvertiva esattamente come una malattia mortale.

L'incontro con quel ragazzo, dopo quella sera, continuava a tormentarlo: si erano guardati a lungo, era vero, ma questa non era una buona ragione per non riuscire più a dormire la notte senza ripensare a quegli occhi viola, alle labbra piccole a carnose, a quella buffa macchia di panna all'angolo della sua bocca. Sembrava che fosse costretto a rivivere quel momento di puro terrore all'infinito, con la sempre più forte consapevolezza dell'avere sopra di sé una spada di Damocle sempre più pressante, schiacciante, opprimente.

Era passata una settimana ed ogni notte la persecuzione si faceva più atroce, come se ad ogni apparizione il ricordo trasfigurasse in qualcosa di più vivo e quindi terrificante.

Ogni giorno si accertava se, sul suo corpo, fosse comparsa qualche strana voglia o macchia ma, a parte un lieve sfogo cutaneo (doveva smetterla di appuntarsi cose sulle braccia con le penne, davvero) in prossimità dell'avambraccio, sette giorni dopo quell'incontro maledetto, non aveva ancora riscontrato alcun cambiamento. Eccezion fatta per gli scuri cerchi sotto gli occhi, era sempre il solito, vecchio e testardo Leo Tsukinaga.

Però, era ovvio ormai: aveva bisogno di aiuto. Doveva trovare il modo di fuggire da quella condizione di stallo, di—recidere qualunque cosa lo legasse seppur parzialmente a quel ragazzo per poi fare in modo di non incontrarlo mai più. In quei giorni, aveva riflettuto a lungo sul da farsi: se pure se ne fosse andato all'estero, nelle sue attuali condizioni, quel volto avrebbe continuato a popolare i suoi pensieri e non soltanto nelle sue ore di sonno.

Era per questo, dunque, che aveva preso una dolorosa decisione.

 

Camminava per le strade della città con un grosso zaino sulle spalle; febbraio era ancora piacevolmente freddo ma il sole cominciava a scaldare con meno timidezza, quasi iniziasse a prendere coraggio e a reclamare i suoi spazi dopo l'inverno passato a fuggire dalle nubi e dalle nottate troppo lunghe. Lungo la via principale, piccoli agglomerati di persone si muovevano con spensieratezza godendosi la bella domenica di fine inverno: famiglie con bambini, adolescenti che sfidavano il clima ancora rigido con look un po' troppo azzardato, anziani che procedevano lentamente sulle gambe incerte, sostenendosi a vicenda.

Quelli erano i momenti, in particolare, in cui Leo si sentiva una pecora nera: in un ovile di soli esemplari bianchi, seppur di età e conformazioni diverse, chi dalla lana più o meno bella, lui spiccava sempre con una certa insistenza, non importava cosa indossasse o cosa facesse – sembrava quasi che gli altri sapessero che cosa stava cercando di fare, che tutte quelle paia d'occhi apparentemente serene in realtà gli stessero dando del folle, dello snaturato.

Affrettò il passo, stringendosi ancora di più nel giaccone nero e tirando in avanti le cinghie dello zaino, come per occupare meno spazio: ormai la meta del suo viaggio era vicina e, si ripeté, l'unico motivo per cui stava andando in quel luogo era perché era davvero disperato. Proprio mentre sospirava, chiedendosi quale colpa avesse da scontare (che fosse stato un orribile assassino nella sua vita precedente?), giunse di fronte alla mastodontica entrata della libreria Itsuki.

Grandi colonne di legno (Leo sapeva che era soltanto rivestimento e che sotto nascondevano del solido cemento) e ampie vetrate componevano l'accesso al negozio, donando a quella parte della strada l'aspetto di un salto indietro nel tempo – un improvviso tuffo nella celeberrima Londra vittoriana: persino la scrittura delle insegne sembrava minuziosamente dipinta a mano da un amanuense di tempi remoti. Le colonne erano avviluppate da intarsi di una pianta rampicante, illuminati da qualche precisa pennellata di oro per donare una luce maggiore alla struttura; con la stessa tecnica, anche gli innumerevoli abbellimenti in ferro battuto, come ad esempio l'utilissima lampada ad olio che spiccava di fronte alla porta di accesso, erano decorati con foglie di gusto barocco completamente laminate d'oro.

“Megalomane come sempre” pensò Leo e, prima di entrare, cercò di sfoggiare il suo sorriso più amichevole; quando si rese conto che gli era praticamente impossibile, si accontentò di quello meno simile ad una smorfia.

La libreria, all'interno, non cambiava molto: la famiglia Itsuki teneva molto alle tradizioni e l'attuale proprietario della libreria più famosa della città era, se possibile, persino più ossessionato da esse del resto dei parenti; a partire dagli scaffali in legno invecchiato fino alla poltrona rivestita di velluto rosso cremisi che si ergeva vuota dietro il bancone principale, tutto faceva pensare ad una bella e pomposa biblioteca anglosassone di tardo Ottocento. Persino i cartelloni con le nuove uscite, così poco esteticamente moderni rispetto al clima generale, erano stati fatti ristampare su una carta simile a pergamena e appesi lungo le travi che reggevano il soffitto.

Certo, questo non implicava che la tecnologia fosse “bandita dal regno”, per così dire; Leo era perfettamente consapevole che, ben nascoste agli occhi dei clienti, c'erano telecamere di sicurezza e sistemi di allarme di ogni genere che si ricollegavano ad un complicato network a circuito chiuso che veniva monitorato quotidianamente.

«Salve, posso aiutarla?» Una voce allegra, seppur titubante, e con uno strano accento lo colse di sorpresa; gli ci volle un po' prima di trovare, dietro una pila di libri che trasportava a fatica, chi lo aveva appena accolto nel negozio: ne colse appena un'arruffata chioma di capelli neri e gli occhi affetti da un'interessante quanto rara forma di eterocromia (oro e blu) che lasciarono per un attimo lo scrittore senza fiato – il tempo necessario perché il ragazzo poggiasse sul bancone riservato ai dipendenti i volumi che, Leo ne era certo, dovevano pesare una tonnellata.

«Sono... qui per vedere Shu» cercò di spiegarsi Leo, abbassando in parte la cerniera del giaccone così da non avere la bocca coperta e farsi sentire per bene. «Sono un suo ex compagno di università».

Gli occhi del ragazzo si spalancarono appena e, improvvisamente, il suo sorriso si fece ancora più radioso e di certo meno teso: gli fece un cenno veloce per dirgli di attendere e poi si precipitò nel retrobottega quasi correndo, lasciando Leo da solo con i suoi pensieri, un po' perplesso. Da quanto non andava a trovare Shu... ? Un po' di tempo, sicuramente. L'ultima volta non aveva nessun assistente perché, come diceva sempre, “nessuno può essere in grado di gestire questo posto se non il sottoscritto”. Possibile che la persona più testarda e meno incline al cambiamento che conoscesse fosse tornato sui suoi passi... ?

Il giovane impiegato fece capolino dagli scaffali un attimo dopo, ancora sorridendo quanto un bambino il giorno del suo compleanno. «Ha detto che non vede l'ora di vederti! Sono contento che Shu abbia degli amici!»

«Non siamo amici» tuonò una voce profonda, abbastanza forte da poter risuonare ad un paio di pareti di distanza e precedendo Leo nello specificare e sottolineare quella delucidazione: no, Shu Itsuki non era decisamente amico suo e proprio per questo Leo si fidava più di lui che dei suoi cari, in quei frangenti.

Il ragazzo trasalì per poi ridacchiare nervosamente. «Scusalo» sussurrò a bassa voce, coprendosi la bocca con le mani per farsi sentire il meno possibile e poi gli fece cenno di seguirlo “oltre lo specchio”.

Era Shu stesso a definire così la parte riservata allo staff della libreria: un corridoio si apriva dopo gli scaffali della sezione letteratura, rivelando un ambiente rivestito in pietra come un sotterraneo medievale; sulle pareti, erano appesi quadri, araldi forse non troppo costosi ma di certo di una fattura strabiliante ed erano esposte lungo il percorso affascinanti quanto strambe costruzioni composte da meccanismi ed ingranaggi di diverso materiale. Una striscia di led era a malapena visibile nei pressi del soffitto e, con la sua modesta illuminazione, trasmetteva un'atmosfera molto simile a quella della luce soffusa notturna (come facesse Shu a lavorare là dentro, Leo non lo sapeva; ma era Shu ad essere già abbastanza strambo di per sé e constatato da uno come lui, era tutto dire), guidando verso l'ultima delle tre stanze a cui conduceva il passaggio.

Altra stanza, altra ambientazione: non appena il ragazzo moro aprì la porta, Leo ricordò cosa fosse la luce. Paradossalmente, il personale ufficio di Shu sembrava uno studio di un nobile amante della natura: i colori erano caldi sia nel tendaggio che nelle rifiniture mentre la mobilia prevalentemente tendeva al bianco con solo delle leggere sfumature sul tono dell'azzurro e, a parte qualche sobrio riferimento ai colori preferiti del proprietario (il rosso e il nero, ovviamente) come fiocchi o decorazioni casuali sulle lampade, niente rimandava ai suggestivi ma cupi ambienti che lo precedevano. Un ampio spazio si apriva di fronte alla scrivania in perfetto ordine, sulla quale spiccava anacronisticamente un grande monitor di un computer e, vicino ad esso, un'alta pila di libri dall'aria antiquata sulla quale, seduta come una piccola e eterea dama di corte, stava Madamoiselle.

La bambola sembrava fissarlo, giudiziosa, con i suoi occhi vuoti così reali da far paura, vestita in un elegante abito azzurro, decorato con ricami di foglie che ben ricordavano quelle poste all'esterno del negozio e che, Leo ne era sicuro, aveva cucito Shu in prima persona; d'altronde, era lei la compagna silenziosa e perfetta dell'uomo che, impettito, sedeva alle sue spalle, sul suo immacolato trono di legno e velluto bianco.

Shu Itsuki aveva frequentato la sua stessa università, affrontando un percorso parallelo a quello di Leo: di fatto, se il rosso era più propenso alla narrativa, l'erede dell'enorme libreria nonostante la giovane età vantava scritti di suo pugno svariati saggi sui più disparati temi – arte, per lo più, ma Leo sapeva che gli interessi dell'ex-compagno di studi vertevano su qualunque cosa attraesse la sua genuina attenzione. La sua intelligenza era così vivace da stuzzicare spesso in lui un'irritata ammirazione; eclettico, abile nei lavori manuali ed apparentemente disinteressato nelle questioni che invece rendevano la sua vita un inferno, valeva a dirsi quelle di cuore... dopotutto, si parlava di un uomo che riusciva ad incutere una certa riverenza nonostante avesse capelli rosa confetto e fosse, la maggior parte delle volte, vestito come un vecchio di novanta anni con uno spiccato amore per l'epoca vittoriana – dubitava sarebbe stato credibile se la sua personalità e il suo acume non fossero stati fuori dal comune.

Quel suo modo di comportarsi così noncurante del cosiddetto “senso comune” lo rendeva, in effetti, il candidato ideale ad ascoltare i suoi sproloqui spesso alquanto deliranti riguardo la truffa del Predestino e la sua romantica visione di unico uomo contro Madre Natura e non era la prima volta che gli si rivolgeva per un sincero parere riguardo il suo complicato punto di vista.

Ma non era quello l'unico motivo per cui era lì, quel giorno.

«Buon Dio, speravo di non vederti più» mormorò, roteando prontamente gli occhi azzurri al cielo e così accogliendolo nel suo ufficio; nonostante il tono drammatico, non si era affatto scomposto e Leo era piuttosto sicuro che lo avesse visto arrivare dalle telecamere a circuito chiuso poste nel negozio.

Il romanziere sospirò e, mentre si toglieva il grosso zaino dalle spalle, gli lanciò un'occhiataccia. «Pensavo non volessi assistenti» borbottò, gettando uno sguardo al ragazzo moro che, nel frattempo, aveva approfittato della situazione per prendere alcuni volumi accatastati su una delle sedie poste davanti alla scrivania, teoricamente riservate agli ospiti.

«Lui è Mika» rispose immediatamente Shu, senza neanche rivolgere un'occhiata all'oggetto del loro discorso. «Lo sto preparando a gestire il negozio in mia assenza, dato che ho in programma di partire per un viaggio di studio».

«Signor Shu, io non credo di essere molto adatto-» provò a protestare il ragazzo ma Shu lo zittì con uno sguardo di rimprovero e aspettative insieme; Mika trasalì e poi, sospirando e con l'andatura di un condannato a morte, lasciò la stanza borbottando tra sé e sé.

Leo iniziò a capire perché lo avesse scelto come assistente, ma si tenne per sé ogni commento, considerando che aveva una questione urgente di cui parlare; c'erano delle precise condizioni da rispettare, per discutere in modo schietto con Shu e la prima la estrasse dal suo zaino: era un pupazzo di almeno cinquanta centimetri, una rappresentazione carina e piuttosto classica di un alieno verde con gli occhioni neri che il ragazzo possedeva da quando aveva sedici anni e che aveva affettuosamente chiamato Artù. Un lascito del suo complicato periodo adolescenziale, quando aveva cominciato a vedere i suoi coetanei trovare la loro perfetta metà e lui si era sempre più sentito—extraterrestre, tanto che aveva cominciato non solo a studiarli, ma a venerarli e sperare che lo rapissero... Magari, si era detto, su Marte il Predestino non può esserci. E adesso si ritrovava di nuovo a fare quei pensieri.

Il peluche fu più che abbastanza per attirare l'attenzione del saggista, il quale fece un chiaro cenno a Leo con la mano (la sua abitudine a dirigere gli altri lo aveva sempre irritato, se lo ricordava ogni volta che si vedevano, suo malgrado) di far accomodare il pupazzo sulla poltrona su cui, teoricamente, avrebbe dovuto sedersi lui. Invece, era Artù ad esservi “accomodato” sopra, disarticolato nella sua interna composizione di cotone, con il volto rivolto verso Madamoiselle che Shu aveva gentilmente voltato verso l'enorme peluche.

Quello era l'unico modo in cui Leo riusciva ad intrattenere una conversazione civile con Shu:attraverso i loro compagni (testimoni e taciti ascoltatori delle loro peculiari personalità) potevano parlare con più leggerezza perché nessuno dei due si metteva realmente in gioco; erano i loro alter ego a comunicare, seppur attraverso le loro parole che fingevano di tradurre.

«Madamoiselle dice che è lieta di rivedere Artù e che si aspettava una vostra visita» iniziò Shu, guardando Leo di sottecchi; una delle poche cose di cui Leo era davvero grato del suo coetaneo era che, nonostante corresse da lui come ultima risorsa quando si sentiva incompreso dal resto del mondo, lui non si era mai lamentato. Non lo aveva mai cacciato nei suoi momenti bui, al massimo aveva lasciato che si sfogasse in silenzio attraverso le parole inventate del suo alieno da compagnia. A volte temeva che si comprendessero più di quanto non andasse ad entrambi di ammettere.

«... E perché se la aspettava?» chiese, dimenticandosi per un attimo la loro pantomima, che però si affrettò a riprendere all'occhiata perplessa di Shu. «Artù è lusingato ma confuso» specificò, incrociando le braccia con fare pensieroso, come se fosse lui stesso il pupazzo verde mela.

«Una settimana fa è passato di qui Izumi Sena. Ho scorto un lucchetto sulla sua pelle». Crack. Lo sapeva? Non con certezza, ma immaginava che da quando Izumi gli aveva detto che era finita, a quell'ora doveva aver ricevuto il marchio da mesi. Qualcosa però dentro Leo non mancò di frantumarsi per l'ennesima, ormai innumerabile volta ma lì, sotto lo sguardo di Shu, sapeva che non poteva crollare – lo aveva fatto troppe volte, negli anni precedenti, perché riuscisse a sopportare l'idea di farlo ancora una volta. Izumi ormai apparteneva al passato e l'unica cosa che poteva sperare era che, un giorno, potessero tornare a parlare con la stessa naturalezza di quando si erano conosciuti. «Madamoiselle ha immaginato che Artù non avesse avuto più modo di vederlo».

Leo si frenò dal chiedere se gli fosse parso felice perché, probabilmente, non avrebbe sopportato l'idea. Si limitò ad inspirare, affondare per quanto possibile le unghie nel legno della poltrona alla quale si era appoggiato e concentrarsi sul motivo per cui era lì, che era di gran lunga più urgente.

«È—così, in effetti. Non vediamo Izumi da un po', vero Artù?» Sperò che la sua voce non lo avesse tradito troppo, ma sapeva che Shu aveva una consapevolezza pressoché certa di quanto Leo avesse sofferto dell'allontanamento da quel ragazzo; era stato così felice con lui, così sicuro di aver finalmente trovato la sua rivoluzione... «Ma non siamo qui per questo, Madamoiselle. Ad Artù piacerebbe sapere—alcune cose sui vostri studi».

Il più alto inarcò un sopracciglio, ma non era facile capire se fosse per lo stupore della crisi malcelata del collega (del fatto che avesse cercato di nasconderla così testardamente, a differenza dal Leo che conosceva) oppure per la richiesta appena ricevuta o, magari, per entrambe le cose. In ogni caso, sembrava che Leo avesse attirato l'attenzione desiderata, perché l'uomo non troncò subito il discorso come era solito fare quando non era interessato a parlare.

«Riguardo cosa, se posso?» Shu si alzò dalla propria postazione per poi avvicinarsi all'enorme vetrata che si apriva dietro la sua scrivania e, nel fare questo, gli diede le spalle. Intrecciò le mani tra di loro, dietro la schiena, preparandosi così ad ascoltarlo con maggiore attenzione. Leo conosceva abbastanza Shu e il suo linguaggio corporeo (da scrittore, per quanto non fosse molto bravo ad interagire con gli estranei, amava osservare i comportamenti e le abitudini di chi lo circondava) da poter dire con certezza che non solo aveva intuito l'argomento ma, seppur non si aspettasse quella conversazione in quel momento, era in qualche modo preparato a sostenerla da tempo e, anche per questo, preferiva non guardarlo in volto.

«I Dissidenti, Madamoiselle. Artù sa che tu e Shu avete fatto delle ricerche su di loro, tempo fa e ora abbiamo un gran bisogno di sapere se esistono davvero e, se ci sono, di trovarli».

Calò il silenzio – non era la prima volta, in realtà, che Leo sollevava la questione con Shu, ma questi si era sempre categoricamente rifiutato di fornirgli risposte precise al riguardo; diceva che si trattava di semplici dicerie, che le sue ricerche si erano concluse in un nulla di fatto, eppure... Eppure il suo sguardo si incupiva sempre in quelle circostanze e spesso rivolgeva a Madamoiselle un muto appello di aiuto per uscire dalla conversazione, senza ricevere alcuna apparente risposta. Leo sapeva che, con tutta probabilità, anche stavolta quella richiesta si sarebbe conclusa in un nulla di fatto, eppure—era la sua ultima possibilità.

«... Quindi, il momento è giunto» mormorò, così a bassa voce che Leo temette di non aver udito bene. Vide chiaramente la stretta fra le mani del ragazzo farsi più forte, come a mascherare del nervosismo crescente e poi Shu fece qualcosa che lo colse completamente di sorpresa: si voltò verso di lui, gli occhi azzurri che brillavano con l'ardore della conoscenza, la fame di sapere – uno sguardo che il giovane Tsukinaga conosceva ma che di certo non si aspettava come risposta ad una sua chiara richiesta di aiuto. «L'hai trovato».
 


Note: Mentre scrivevo questo capitolo, ho cercato di pensare a come Leo potesse rapportarsi agli altri - per definizione, è un personaggio molto "solo" nel canon e non perché non abbia chi gli vuole bene, ma perché si carica da solo delle sue emozioni e non le riversa su nessuno, lasciandosi quasi torturare dalle sue azioni. Quando nello Starlight interagisce con Shu, in questa sorta di irritata e competitiva ammirazione che hanno l'uno verso l'altro, ho pensato che con le loro personalità così particolari, forse proprio Shu sarebbe stato in grado di capirlo e così la mia scelta di renderlo il suo "consultatore di fiducia" in questa soulmate. 
Di solito non sono brava a prolungarmi nelle descrizioni dei luoghi, ma stavolta ho tentato e spero che non stoni (le mie paranoie sulla scrittura non finiranno mai davvero, AHAH), ma la Libreria Itsuki speravo racchiudesse davvero molto di quello che Shu ama (almeno qui; i personaggi sono molti e non so ancora quanti ne inserirò nel totale) e della sua personalità metodica e perfezionista. Ovviamente sarà anche nel prossimo capitolo (mentre Mika tornerà quasi con certezza tra un bel po') insieme ad un nuovo (!!) personaggio!
Eeee niente, ovviamente per ogni dubbio sono qua e mi sono prolungata anche troppo in queste note! Buona lettura e al prossimo capitolo ~ 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ensemble Stars / Vai alla pagina dell'autore: rainbowdasharp