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Autore: TheChump    30/08/2017    1 recensioni
L'amore può essere un ossessione.
Quando non lo si è mai provato.
Quando tutti attorno a te si innamorano e tu resti solo a guardare.
Può diventare una caccia al tesoro, un boccino d'oro da inseguire.
É quello che è per Nina, quasi una leggenda.
Tutti si innamorano di lei, ma lei non si innamora di nessuno. Lei sembra apatica, incapace di provare un sentimento simile.
E poi? e poi Alice.
Alice che diventa una possibilità, una speranza.
Alice che ama Paolo e non è ricambiata.
Alice che cambia il mondo di Nina.
Alice che può farle scoprire cos'è l'amore.
É un amore idealizzato, è ciò che ho capito di esso e come vorrei che fosse.
Nina e Alice si amano, di quell'amore che forse si legge solo nei libri.
E se lo trovi, crediti fortunata, perchè è decisamente tanto raro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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                                                            Capitolo 1

18/09/2015, sera inoltrata, Nina

Sono solo le undici e mezza, la notte è ancora giovane, quasi bambina. È troppo presto, è troppo strano. C'è ancora gente per strada. Ci sono famiglie con bambini; ragazzini con lo skateboard in mano, con un cappello in testa, una felpa e dei jeans che ridacchiano tra loro; ci sono ragazzi che camminano ridendo e chiacchierando, probabilmente diretti verso uno dei tanti pub che ci sono qui in giro; ci sono un paio di cani che sconsolati si trascinano in giro cercando qualche avanzo e c'è un gatto che da un balcone li osserva, ha lo sguardo furbo e beffeggiante, caratteristico della sua specie. Sono creature particolari, speciali e misteriose, i gatti. Sembrano che non siano di questo mondo, sembrano essere dei visitatori da un’altra dimensione, sembra che ti osservino nascondendo chissà quale segreto. Si crogiolano in esso e ti guardano, ti fissano, sadici nello sguardo. Non per niente erano reputati i guardiani dell'altro mondo dagli egiziani. Gli antichi pensavano che avessero poteri speciali, e forse tanto torno non avevano. Sono eleganti e sfuggenti. Sono liberi nell'animo, potrai fare tutto quello che vuoi, potrai amarli alla follia , ma non riuscirai mai a farti amare da un gatto più di quanto lui ami se stesso. Ed eccolo lì, accovacciato su quel cornicione che guarda in giù il suo nemico giurato, e sembra sogghignare, sembra sorridere divertito, perfettamente sicuro di se stesso e del mondo. I suoi occhi brillano, le luci della città si riflettono nel giallo del suo sguardo. Mi piacciono i gatti. Mi hanno spesso detto che gli somiglio molto, mi sono spesso sentita dire "si na iatta senza padrone". In pratica vuol dire che alla fin fine il mio tornaconto è ciò che metto al primo posto, significa che se devo proprio scegliere in cima metto me stessa e poi tutti gli altri. Non ci vedo nulla di strano, è quello che fanno un po' tutti, no? E allora perché io sono sotto accusa e gli altri no? Perché qualcuno si dovrebbe sentire in dovere di dirmelo? Sembra che tutti abbiano sempre qualcosa da dire, da consigliare, da criticare. Pensano sempre di saperne più di te, si convincono di custodire un segreto e quando te ne parlano le loro labbra sono distese in un sorriso ironico, nei loro occhi brilla una luce flebile, ma decisa e il loro tono è calmo, un po' più basso del normale e composto. Se gli dai ascolto ti sorridono compiaciuti, se gli dici che hanno torto si innervosiscono e il loro tono cambia, diventa alto, non più calmo, non più composto, sembrano dei compatrioti che parlano del loro paese e si sentono in dovere di farti vedere quanto grande è il loro amore e la loro devozione, quanto poco facile è restare così fedeli, ma quanto giusto e lodevole sia. È sempre la stessa storia, finisce sempre male, ogni volta che qualcuno sembra in dovere di consigliarmi qualcosa perché si sente un "professionista" dell'argomento, io mi sento in dovere di dargli torto. Anche se dovessi pensarla allo stesso modo, mi sentirei in dovere di sostenere il contrario. Se qualcuno mi dicesse, con tono da maestrina, che il cielo è azzurro, che i pesci nuotano, che le tartarughe sono lente o che il legno galleggia mi sentirei in dovere di fargli notare che il cielo è giallo, che i pesci volano, che le tartarughe corrono più veloci di Speedy Gonzales e che il legno affonda più del piombo. Ricky dice che mi dovrei calmare, che dovrei farci il callo ed essere meno sul piede di guerra e più comprensiva, rilassata. Che importa se qualcuno ha voglia di darmi un consiglio? Non devo per forza seguirlo, posso semplicemente ascoltare e magari cambiare discorso, ma non per forza devo prendermela sul personale e mettere su guerra, in fondo, per un non nulla. "Sono cose che facciamo tutti, lascia stare e si più matura di così", mi dice una volta Riccardo. "E invece no" gli rispondo, "non vedo perché la gente deve prendersi la briga di dirmi quello che dovrei fare, come dovrei comportarmi o quello che dovrei dire. Non capisco perché ognuno debba farsi i cazzi degli altri, che si facciano i propri, no!?" E allora mi guarda e scoppia a ridere "mica tutti sono come D'Annunzio" e allora anch'io rido e finisce che ad un certo punto finiamo sul pavimento in lacrime. La battuta non è così divertente, non faceva proprio ridere. È Riccardo che mi fa ridere, è il mio buon umore, quando sono con lui rido, anche se dovessi piangere un fiume più lungo del Nilo e non per gioia, ma per tristezza. Credo sia questa l'amicizia, la vera amicizia. E siamo amici anche se lui mi fa notare quando sbaglio e mi da dei consigli. Forse è l'unica persona che non sento il bisogno di contraddire, almeno non per partito preso. E in questo caso ha ragione. Se mi ritrovo per le strade della città sola a guardare la gente che passeggia e un gatto spelacchiato su un tetto è solo colpa mia e di questa mia testaccia dura. È la seconda volta che succede nel giro di una sola settimana. Forse dovrei smetterla di accettare di uscire con qualcuno così, tanto per. Vado in cerca dell'amore, vado in giro cercando qualcuno che m'insegni cos'è, qualcuno che riesca a farmi innamorare e alla fine rimango sempre delusa. Forse l'anima gemella esiste davvero, forse anch'io ne ho una, forse devo solo essere paziente e prima o poi sbucherà fuori dal nulla e dirà "eccomi! Scusa il ritardo", o magari è schiattata chissà dove chissà quando, o può essere che io sono nata essere umano mentre lei è nata gatto, topo o magari pesce, chi lo sa... o, ancora più plausibile, semplicemente non esiste e io sto cercando a vuoto. Forse dovrei rassegnarmi. Dovrei finirla qui. Dovrei accontentarmi dei flirt, di qualche nottata di sesso estremo, occasionale, appagante e fine a se stesso. Dovrei finire di farmi illusioni. Dovrei smettere di pensare che da qualche parte esiste una creatura che è nata solo per incontrarmi, per farmi perdere la testa, per lasciarsi amare da me. Dovrei iniziare a valutare l'idea di una vita fatta solo di me stessa, di qualche amico e di qualche piacere appagato. Il sesso mi piace. Lo trovo naturale quanto bere, mangiare, respirare o dormire. La prima volta avevo 15 anni. Non è stato meraviglioso, non è stata tutta questa esplosione di fuochi d'artificio di cui tutti parlano, non ci sono state campane che suonavano nella mia testa, ma non ho sentito neanche il dolore che molti dicono di aver provato. È stato bello, inesperto e impacciato. È un ricordo caldo, tenero, eravamo tutti e due dei ragazzini senza esperienza che giocavano a fare gli adulti. Michele fu molto dolce, calmo e un po' nervoso, fece tutto secondo i miei ritmi e si assicurò che non mi facesse male. Pensò più a me che a se stesso. In quel momento, rivedendomi nei suoi occhi, sentendo i suoi muscoli contrarsi sopra di me, la sua pelle sudata strisciare sulla mia, la voce rauca che mi sussurrava parole dolci, capì che mi amava davvero, capì fino a che punto sarebbe arrivato e capì in che posizione stavo io. Fino a quel momento pensavo di ricambiarlo e invece no. Non lo ricambiavo affatto. Ero convinta di amarlo e invece no. Non lo amavo affatto. Il mio era solo un grande affetto, un affetto che conservo tutt’ora, ma nulla di più. Lasciarlo è stata una delle scelte più difficili che ho mai preso in tutta la mia vita, ma è stata anche una delle più giuste. All’inizio non volevo. Mi ero convinta che fosse solo una sensazione, qualche pensiero passeggero che sarebbe andato via da solo, nel giro di poco tempo. É inutile mentire a se stessi. É inutile cercare di autoingannarci, di creare un illusione in cui vivere. Sappiamo sempre cosa è giusto per noi, possiamo anche negarlo, fare finta di niente, ma alla fine la verità uscirà allo scoperto, si farà strada fuori di noi e sarà impossibile ricacciarla indietro, continuando a mentire. Così, giorno dopo giorno, quella sensazione, a poco a poco, diventò certezza, e l’unica cosa che rimase da fare fu dirlo a Michele. Mi ascoltò in silenzio. Ad un certo punto smise di guardarmi negli occhi; diventava sempre più rosso, pensavo si sarebbe infuriato e invece scoppiò semplicemente in lacrime. Si scusò e andò via, così, senza aggiungere altro. Non lo sentì né lo vidi per lungo tempo. Passarono anni prima di rincontrarlo. Avevo continuato a vedermi con Riccardo, all’inizio le cose erano un po’ strane, non prendemmo l’argomento per mesi. Se provavo a chiedergli qualcosa scuoteva la testa, restava un po’ in silenzio e poi cambiava discorso. Avrebbe dovuto scegliere, e la scelta non sarei dovuta essere io, ma mi voleva troppo bene. Così semplicemente non scelse. Decise di rimanere neutrale, e questo implicava che l’argomento era tabù e che non ne avrebbe parlato né con me né con lui. Poi un giorno mi disse semplicemente che Michele stava bene e che non dovevo più pensarci. É stata una semplice frase buttata lì per caso, come un amo in mare aperto senza neanche un piccolo verme agganciato. Sapeva che avevo sentito, sapeva che avevo capito e io sapevo che dovevo accontentarmi. Con lui ho sempre parlato di tutto, e con tutto intendo proprio tutto. É come un prete nel confessionale, ascolta i miei peccati e poi mi aiuta a fare ammenda, o almeno a trovare una soluzione. Ma Michele era suo cugino, era un suo amico e gli voleva bene. Si sentiva già in colpa per non aver saputo schierarsi e non avrebbe peggiorato le cose facendo un “doppio gioco”. A volte è stato difficile trattenersi, non prendere l’argomento, ma è stata una decisione che ho sempre rispettato e ammirato. Ricky è uno sbruffone, ama divertirsi, scherzare e giocare come un bambino, ma sa essere anche serio e giusto quando vuole. É una persona su cui si può fare affidamento. É il mio migliore amico e, oltre a volergli un gran bene, di lui mi fido ciecamente. É sempre stato lì pronto ad ascoltarmi e ad aiutarmi, a sorbirsi le mie lamentele e i miei capricci. In questo momento, stanca, nervosa, strascicando i piedi per queste strade troppo illuminate, troppo vive, è al suo viso che penso. Riesco perfettamente a vederlo mentre prende il telefono che squilla, la sua espressione che cambia quando legge il mio nome. Riesco a sentire il suo sospiro prima di rispondere e la sua voce, che stanca, mi chiede dove deve venirmi a recuperare. Lo vedo discutere con Vera, la sua ragazza, e poi acchiappare le chiavi della macchina e scappare tra le urla di lei. Lo vedo prendere al volo la giacca marrone di pelle e scendere le scale 2 gradini alla volta. Sento il rumore del motore che si accende, il piede che spinge sulla frizione, la prima marcia ingranare e le ruote partire. Sento il suo nervosismo, la sua preoccupazione, e la rabbia salire. “Oggi mi sente, questa è l’ultima volta” si ripeterà a denti stretti, con le mani salde sul volante e la fronte sudata. Arriverà qui, mi vedrà e stringerà gli occhi, si ricorderà mentalmente di essere infuriato con me e mi dirà “sali.”. Non voglio immaginare il tragitto verso casa, non voglio immaginare il suo silenzio e le sue occhiatacce, non voglio rivivere quello che è già successo già tante volte, troppe volte. Non voglio causargli ancora problemi. Sono stanca di chiedergli scusa e sono stanca di dirgli grazie. Sospiro, voglio potermela cavare da sola, senza chiedere nulla. Oggi non lo chiamerò, non gli permetterò di piombare qui come un padre responsabile che va a prendere la figlia scapestrata. Domani mattina prenderò il treno e tornerò a casa, senza chiedere l’aiuto di nessuno.
Mi fermo e faccio un respiro profondo. L’aria è molto più fredda e umida rispetto a quando sono uscita di casa stasera. Presto scoppierà un temporale, ne sono sicura. So sempre quando sta per piovere. É come un sesto senso, un sesto senso che non ha mai fallito. Amo la pioggia. É come se il cielo piangesse, come se attraverso queste piccole gocce ci trasmettesse la sua gioia o la sua tristezza. Quando piove tutto rallenta. La gente cammina più lenta, con gli ombrelli in mano cercando di schivare l’acqua. Le macchine si bloccano nel traffico, persino in autostrada sono costrette a rallentare. I cani randagi cercano un posticino coperto in cui rifugiarsi, infreddoliti e stanchi. I ragazzini all’uscita da scuola vanno subito a casa, con i cappelli in testa e le braccia strette al corpo intirizzito. Le biblioteche, i bar, i fast food e i negozi si riempiono di persone. Se guardi fuori, le carreggiate sono gremite di auto in colonna, ma i marciapiedi sono deserti. La città ha un aspetto grottesco e solitario. Tutto cambia colore, diventa grigio e opaco. Il suo rumore mi calma, ma mi trasmette anche uno strano senso di nostalgia e tristezza. Se il sole è caldo e radioso, la pioggia è fredda e malinconica. Ed eccola qui la prima goccia, dritta dritta sul mio naso. Chiudo gli occhi e sorrido, anche stavolta ho avuto ragione. A quel primo ago bagnato ecco che se ne aggiunge un altro, e poi un altro ancora. Da uno diventano due, poi tre, poi mille, poi un milione e poi infinite piccole spine iniziano a precipitare al suolo. Mi pungono e mi bagnano. Il mondo si trasforma, diventa un altro, con altri colori, altri odori, altri rumori. I miei pensieri si annullano. Sento solo la pioggia che mi cade addosso, i capelli bagnati che si attaccano alla fronte così come i vestiti alla pelle. Sento l’odore della terra bagnata e il rumore del picchettare frenetico della pioggia sull’asfalto. É un tendone bianco e grande che vedo quando finalmente riapro gli occhi.
   
 
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