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Autore: Lola1991    10/09/2017    2 recensioni
-    SEQUEL DI “From the beginning”
Thorin e Laswynn sono diventati re e regina di Erebor; gli anni del loro regno trascorrono pacifici sotto la montagna e i loro figli sono oramai grandi e pronti ad assecondare la volontà della stirpe di Durin.
La prima figlia femmina, Eriu, viene promessa in sposa al figlio di Dáin, Thorin, sui Colli Ferrosi. Dopo aver accettato questa difficile decisione, alla giovane Eriu non resta altro che iniziare una nuova vita lontana da Erebor e imparare ad essere una buona compagna e una buona moglie.
Ma accanto alla comunità dei Colli Ferrosi sorgono le terre selvagge e i villaggi di Rhûn, abitate dagli Esterling e da uomini creduti malvagi e corrotti. 
Vran, giovane cacciatore, incontrerà per caso Eriu, salvandola da una morte certa. La guerra per l’anello incombe, e il male si diffonde sulla Terra di Mezzo e sui suoi abitanti.
Ma Vran e Eriu non hanno nessuna intenzione di seguire un destino imposto da altri…
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dain II Piediferro, Nuovo personaggio, Thorin III Elminpietra, Thorin Scudodiquercia
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XVI
 

Il parto era stato così difficile che rimasi a letto senza alzarmi per dieci giorni. Vran stava bene, nonostante tutto, e finalmente potei allattarlo senza nessun ostacolo. Apparteneva decisamente alla razza degli uomini: era lungo e grosso, e mia sorella lo aveva vestito con alcuni abitini del figlio più piccolo, Bedwyr, che all’epoca aveva già quattro mesi, e nel tempo libero di cui disponevano lei e Bronnen cucirono e ricamarono meravigliose tuniche, cosicché il piccolo potesse avere un corredino tutto suo; aveva pochi capelli, ma scuri, e i suoi occhi mi ricordavano quelli del padre, che non vedevo da così tanto tempo.
Lo tenevo tra le braccia e non riuscivo a dormire, anche se ero esausta. Sapevo che avrei dovuto separarmene, ma ogni fibra del mio corpo era fusa insieme a quelle del bambino, e il pensiero di allontanarmi da lui mi trafiggeva il cuore come una lama.
 
*
 
Oramai ero lontana dai Colli Ferrosi da sei settimane, e non potevo restare lì ancora a lungo. Dovevo tornare dalle mie figlie, da mio marito, e anche dalla sua famiglia: avevo obblighi e responsabilità da rispettare.
Ma chi si sarebbe occupato di Vran? Come potevo abbandonare il mio bambino appena nato? Morud sollevò la questione delicatamente, un pomeriggio di inizio primavera, mentre tenevo il bambino attaccato al seno.
« Cosa ne sarà di Vran? », chiese dubitante, sfiorandogli la testolina con dolcezza.
Ricambiai al suo sguardo, smarrita quanto lo era lei.
« Non lo so », risposi sinceramente, fissandolo con occhi colmi di lacrime.
Mia sorella si fece più vicina, appoggiando la schiena alla testata del letto.
« Ti direi di lasciarlo qui, ma non potrei spiegare la sua nascita in nessun modo. E’ uno di loro, Eriu ». Prese un respiro profondo, continuandomi a fissare esitante. « C’è un villaggio degli uomini poco distante. Sono brave persone, davvero. Potrebbero crescerlo loro ».
Spalancai gli occhi, disperata, come se avesse appena proposto di uccidere il bambino.
« Non potrò crescerlo in persona, ma non voglio stare lontana da lui. Non posso, Morud ».
Lei mi strinse la mano, appoggiando la sua testa sulla mia spalla.
Bronnen, che era nella stessa stanza intenta a cullare il piccolo Bedwyr, si fece avanti sedendosi sul lato del letto. Attese qualche istante prima di parlare, sistemandosi meglio il piccolo fra le braccia, prima di guardarmi negli occhi.
« Ho una sorella che abita nel nostro villaggio. Ha già tre figli suoi, ma sono certa che sarebbe felice di crescere Vran… e non farà domande. Possiamo fidarci ».
Rimasi immobile, osservando il mio bambino colma di angoscia e paura. Morud mi appoggiò la testa sulla spalla, sospirando pesantemente. Sapevo che condivideva il mio stesso dolore.
« Ma cosa succederà quando crescerà? Quando diventerà chiaro che… non è uno di noi? ».
« Vran ha un padre », dissi improvvisamente, rivolgendomi a entrambe le donne che mi guardavano confuse, « In realtà è il suo padre adottivo. Potrebbe tenerlo lui, quando sarà più grande ».
Bronnen annuì solenne; il bambino si staccò dal mio seno e prese a sbadigliare vistosamente, sazio di cibo ma non altrettanto di energie. Lo cullai dolcemente, fino a che i suoi occhi si fecero pesanti e si addormentò.
Non riuscivo nemmeno a concepire l’idea di staccarmi da lui, anche se – inconsciamente – avevo sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, e che avrei dovuto rinunciare a mio figlio, così come avevo rinunciato tempo prima a suo padre, l’uomo che amavo. Almeno sarebbe rimasto nel villaggio, pensavo, non sarebbe stato così lontano da me.
« E sia », sibilai a bassa voce, nel timore di svegliare il piccolo Vran, « Affiderò il bambino a tua sorella, Bronnen ».
Lei mi strinse la mano, accarezzandomi con l’altra la guancia.
« Mi assicurerò che non gli manchi niente ».
Ero certa di potermi fidare di lei: avrei messo nelle mani di Bronnen la mia stessa vita.
Eppure sapevo che nelle sue parole c’era qualcosa di sbagliato. Non era vero che al bambino non sarebbe mancato niente. Al bambino sarei mancata io.
 
*
 
La neve si stava sciogliendo lungo i sentieri degli Ered Mithrin, ed era primavera inoltrata. Vran era fasciato in una spessa coperta di lana e riposava tranquillo, ben coperto dal mio mantello da viaggio, di modo che non desse nell’occhio: i soldati che ci avrebbero scortati fino ai Colli Ferrosi erano troppo distratti per notare qualsiasi cosa, ma non volevo che si chiedessero perché un neonato viaggiava con noi.
Abbracciai mia sorella, facendo attenzione a non schiacciare il piccolo, e lei mi salutò col volto rigato dalle lacrime; non sapevo quando l’avrei rivista, e il pensiero di lasciarla ancora una volta mi tormentava. Entrambe sapevamo di non avere altra scelta. Diedi un leggero buffetto a Bowed, attaccato alle gonne della madre, e li salutai con la mano mentre montavo in carrozza, seguita da Bronnen. Ero ancora dolorante dal parto, e mi lasciai scivolare sul sedile ad occhi chiusi, controllando che Vran continuasse a dormire.
Se avessi potuto scegliere, sarei rimasta con Morud e i suoi figli sulle Montagne Grigie, insieme al mio bambino… ma cosa ne sarebbe stato delle altre mie figlie? Il mio cuore era diviso a metà, incapace di scegliere, dilaniato dal dolore e della perdita.
 
Il viaggio fu lungo e scomodo, come lo era stato all’andata, ma Vran rimase sempre tranquillo; mangiava voracemente, e poi si addormentava tra le mie braccia o in quelle di Bronnen. Spesso mi incantavo a fissare il suo visetto, così perfetto ai miei occhi perché mi ricordava bene quello del padre, e mi emozionava immaginare cosa avrebbe detto Vran se fosse stato a conoscenza dell’esistenza di suo figlio.
Ma come potevo comunicarglielo? Non sapevo dove si trovava, e sulla sua testa, molto probabilmente, gravava la taglia di traditore.
Cercammo di fermarci il meno possibile, rifiutando la possibilità di rinfrescarci il volto lungo i corsi d’acqua e i ruscelli riscaldati dal sole di primavera: volevamo giungere a destinazione il prima possibile, anche se sapevo che ciò significava separarmi dal mio bambino.
All’alba del terzo giorno di viaggio, sporgendomi dalla carrozza, riconobbi in lontananza la sagoma dei villaggi dei Colli Ferrosi, e intorno ad essi il bosco fitto e gli alti alberi. Cominciai a diventare irrequieta, e strinsi più forte contro il mio petto Vran. Lui sbatteva le palpebre e mi osservava confuso, come se avesse compreso la gravità di quella situazione.
Quando fummo più vicine, Bronnen mi fece cenno verso la casa di Dáin, e notai senza difficoltà lo stendardo di famiglia sventolare mosso dal forte vento. Sapevo cosa significava: il signore dei Colli Ferrosi era ritornato dalla guerra, ma non avevo idea delle condizioni in cui era tornato.
Al limitare del villaggio, Bronnen batté la mano tre volte sul soffitto della carrozza, e i cavalli si arrestarono immediatamente. La guardai sporgere il volto per rivolgersi ai soldati.
« Desidero fermarmi qui. La principessa Eriu procederà con voi ».
Sbattei le palpebre terrorizzata, afferrando più saldamente il corpicino di Vran. Bronnen ricambiò il mio sguardo con fare comprensivo.
« E’ ora, Eriu. Dammi il bambino ».
Gli occhi mi si riempirono di lacrime, e guardai Vran colma di angoscia, mentre le mani delicate di Bronnen lo portavano via da me. Piegò con cura la coperta che lo avvolgeva e lo adagiò dolcemente sotto il suo mantello, avvicinandosi all’uscita della carrozza.
Prima di allontanarsi, si voltò a guardarmi un’ultima volta.
« Ti prometto che starà bene. Tornerò da te prima di sera ».
La carrozza riprese il suo lento andare, ma non me ne accorsi affatto. Guardavo le mie mani vuote, riuscendo ancora a percepire il calore del mio bambino, cercando disperatamente di aggrapparmi al suo profumo per non dimenticarlo.
 
Scesi con piedi malfermi dalla carrozza, e mi avvicinai tremante all’entrata della casa. Non riuscivo a pensare razionalmente, e tutto di quella dimora mi appariva estraneo e confuso. Il salone era semi-deserto, e rimasi lì al centro, immobile, in attesa di qualcosa o qualcuno che desse un senso a quegli istanti.
Sentii come in lontananza dei passetti venire verso di me, e mi voltai appena in tempo per riconoscere la chioma rosso fuoco della piccola Aimil. Rimase a fissarmi con quei suoi occhi così profondi per qualche secondo, prima di correre tra le mie braccia.
Scoppiai a piangere non appena la toccai: la sua presenza rendeva l’allontanamento del piccolo Vran ancora più grande. Aimil mi fissava confusa, abituata com’era a vedermi sempre sorridente e di buon umore, e mi accarezzò la guancia con la sua manina delicata.
Udii altri passi provenire dal corridoio, e oltre la spalla di Aimil intravidi le gemelle, ormai sicure nei loro passi, seguite da una figura zoppicante. Quando tutti e tre furono visibile alla luce delle fiaccole del salone, riconobbi Thorin: aveva un braccio appeso al collo, coperto da una spessa fasciatura, mentre un’altra gli ricopriva la caviglia. Ma fu il suo volto colmo di stanchezza e sofferenza che mi lasciò più di tutto senza parole.
Mi alzai, tenendo stretta nella mia la mano di Aimil e accogliendo tra le mie braccia, una dopo l’altra, le gemelle; i loro sorrisi curiosi mi facevano ridere, così come le loro manine paffute che sfioravano ogni parte del mio viso, come se non credessero davvero ai loro occhi.
Thorin mosse incerto qualche passo, trascinandosi il piede malconcio. Con il capo gli feci cenno di sedersi accanto a me su una delle panche del salone, mentre le bambine giocavano tra di loro. Lo aiutai ad abbassarsi, afferrandolo delicatamente per il braccio sano, il suo volto contratto dal dolore.
 
Rimanemmo così qualche istante, uno accanto all’altra, in silenzio, ad osservare Aimil rincorrere le gemelle e fare orribili versi, in quella che era chiaramente la degna imitazione di un drago sputafuoco.
Poi finalmente Thorin parlò.
« Vorrei tornare ad avere la loro età », disse sorridendo tristemente, mentre io lo guardavo stupita. « Quando sono tornato, Eara e Lair piangevano e non volevano che le prendessi in braccio, perché non mi riconoscevano ». Fece una pausa. « Questo non fa certo di me un ottimo padre ».
Deglutii, incapace di consolarlo. Come potevo io dire qualcosa, quando avevo appena abbandonato il mio bambino?
« Le tue ferite sono gravi? », chiesi invece nervosamente, indugiando sulle fasciature.
Lui sospirò. « Guariranno, col tempo. Sono stato fortunato. Ma mio padre… ».
Lasciò cadere il discorso nel vuoto, e vidi che aveva gli occhi lucidi. L’assenza di D
áin e Raghnaid, in un primo momento, mi era apparsa del tutto normale, ma solo ora mi rendevo conto di cosa significasse davvero.
Attesi che continuasse, stringendogli la mano del braccio sano.
« E’ stato trafitto da una spada, ma la ferita non era pulita e gli ha creato un’infezione. Ha la febbre da giorni oramai, e non accenna ad abbassarsi ».
Sapevo cosa significava: D
áin aveva quel tipo di ferita che nel giro di pochi giorni avrebbe messo sicuramente fine alla sua vita. Abbassai lo sguardo, facendomi più vicina a Thorin, osservando da lontano le bambine divertirsi tra di loro.
 
« Perché sei stata lontana così a lungo? », mi chiese infine, alzandomi il mento con la mano.
Sospirai nervosa. « Mi sentivo molto male, Thorin. Avevo bisogno di allontanarmi ».
Lui mi fissò serio, accarezzandomi la guancia. « Capisco. E ora come ti senti? ».
« Meglio », mentii sprezzante, « Molto meglio ».




Ciao ragazze! Scusate l'attesa, e il ritardo :) come dicevo, mancano solo 10 giorni al mio trasferimento, e ogni giornata è più caotica dell'altra!
Spero che questo capitolo vi piaccia, e mi posso solo augurare di riuscire a pubblicare con più frequenza prossimamente!
Buona lettura,
Lola

 
   
 
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