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Autore: claudineclaudette_    18/06/2009    1 recensioni
Storia ambientata in un futuro lontanissimo rispetto alle avventure di Squall e gli altri. Le prime due guerre della strega perse nello scorrere del tempo eppure la canzone di successione delle streghe continua a risuonare trasportata dal vento. Otto ragazzi si ritrovano uniti in una nuova battaglia, un caso o il misterioso disegno di un essere superiore?
[Se avete già letto Kasumi Megami(concluso) da un altro sito, sappiate che questo è il remake. La prima versione era troppo pessima! E infatti ho pure cambiato tutti i nomi!] ^O^
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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03. Butterfly

 

- Facci vedere, facci vedere!!

-  Ta-daaaaaan!!! - urlò la ragazza, intorno a lei accalcati i suoi amici.

Con un gesto fluido rovesciò tutto il pesante contenuto del suo sacco sul pavimento e gli altri ragazzi si strinsero ancora di più intorno a lei.

La ragazza emise un leggero risolino prima di sedersi su un blocco di cemento lì abbandonato.

Il suo nome era Chou, Chou Nizi, e quella era la sua banda.

Tomo, Rika e Glen.

Tutti e quattro ormai vivevano a Balamb City da diversi anni, fin da quando erano stati adottati.

Sì, perché, erano tutti orfani e, nonostante fossero stati presi da famiglie diverse, nulla era ancora riuscito a separarli.

Chou li adorava, erano i suoi piccoli guerrieri, anche se dopotutto non era molto più grande di loro.

Tomo era il più piccolo e aveva dieci anni. I suoi nuovi genitori si chiamavano Hatarizakari e, come poi tutti gli altri, avevano molto apprezzato il fatto che il loro bambino potesse in qualche modo mantenere quel vecchio legame. Tomo sembrava ancora più piccolo di quello che era, i capelli castano chiaro spiaccicati sulla testa e gli occhi dello stesso colore della corteccia degli alberi fissavano Chou con tutti la meravigliata sorpresa che è propria di un bambino di dieci anni.

Rika aveva dodici anni ed era figlia dei proprietari dell’albergo della città; era grazie a lei se tutti e quattro potevano riunirsi sul tetto dell’edificio, adibito a magazzino. Come Tomo, era minuta, i capelli biondi le si arruffavano intorno alla faccia sporca ma lei sorrideva perché, se c’era una cosa che Chou aveva imparato da lei era il sorriso.

Glen aveva i capelli e gli occhi neri e la pelle color cioccolata. Aveva quindici anni ed era quasi impossibile farlo stare fermo, impedirgli di correre da tutte le parti come un criceto sulla ruota. Come gli altri tre si stringeva curiosissimo intorno al contenuto del sacco.

E poi c’era Chou. La ragazza era più grande di Glen di soli due anni, ma le sembrava molto di più. Lei era stata la prima di loro quattro a venire adottata ed era successo ben cinque anni prima. Il padre di chiamava Kato e la madre, che era morta solo due anni dopo la sua adozione, si chiamava Ayumu.

Kato era uno dei più famosi armaioli di Galbadia e il suo lavoro, apprezzassimo, era stato espressamente richiesto per i guerrieri SeeD. Era stato così che si erano trasferiti a Balamb, cinque anni prima, dove uno dopo l’altro aveva incontrato o ritrovato, come nel caso di Glen, bambini che avevano vissuto nel suo stesso orfanotrofio.

Quel soleggiato giorno di inizio maggio Chou aveva mantenuto una promessa fatta ai ragazzi qualche tempo prima. Di nascosto, mentre suo padre si trovava nel negozio a lavorare, aveva preso alcune delle sue armi preferite e, ficcate velocemente in un sacco, le aveva portate ai suoi bambini, per farli divertire.

Ora Chou restava lì ferma, su quel freddo blocco di cemento, a osservarli. Era così bello vedere le loro facce felici e curiose mentre guardavano delle armi da guerra.

Per loro è diverso, si trovò a pensare. Io ero già troppo grande per venire adottata, ma Kato mi ha voluto comunque con sé.

Al pensiero del patrigno, le labbra le si incurvarono in un sorriso appena accennato. Chissà come l’avrebbe sgridata quando avrebbe scoperto che aveva preso delle armi dall’officina! Ma poi l’avrebbe perdonata come sempre… dopo averle fatto fare due ore di esercizio con la naginata e almeno altrettante alternando i sai al nunchaku, il surushin ai kunai e agli shuriken.

Alla fine trovava comunque liberatoria la sensazione di spossatezza che le appesantiva le membra e le apriva la mente.

- Questo cos’è, Oyabun? Cos’è questo? - domandò Rika tirando teneramente Chou per una manica.

La ragazza sorrise all’appellativo che le aveva dato la bambina, “boss”, e si chinò in avanti a prestarle attenzione mentre i liscissimi capelli neri, decorati con mashes azzurre e magenta le cadevano sul viso.

- Quello si chiama Suruchin, Rika.

I tre ragazzi si voltarono a guardarla, pendendo dalle sue labbra e pregandola con gli occhi di continuare.

Chou sospirò e si alzò in piedi. Passeggiò per qualche istante su e giù per il tetto prima di prendere parola.

- Il Suruchin è un’arma di difficile utilizzo destinata all’arsenale dei migliori guerrieri, nello stesso tempo è però di semplice concezione, come potete vedere, e mostra la capacità degli antichi maestri d’armi di trasformare semplici strumenti in letali armi da combattimento.

Fece una pausa, per osservare l’espressione dei bambini, che la guardavano rapita. Soppresse a stento una risata e continuò, accucciandosi accanto a loro e indicando l’arma con le dita.

- Come vedete la sua forma ricorda quella di una frusta di corda alle cui estremità sono fissati, da una parte, un manico (generalmente in pietra) e, dall'altra, un sasso cavo con il quale colpire. Esistono numerosi tipi di Suruchin che si differenziano tra loro per la lunghezza della corda, per i materiali con i quali sono stati costruiti e per il tipo di utilizzo ma di certo, il tipo di Suruchin più conosciuto è il Kusari concepito completamente in metallo e lungo anche quattro metri, praticamente una via di mezzo tra una frusta e una mazza ferrata. Entrambe le estremità di quest'arma possono essere utilizzate per colpire; la catena, opportunamente avvolta attorno al braccio può parare agevolmente i fendenti di qualsiasi tipo di lama, oppure, può essere utilizzata per disarmare, soffocare imprigionare e atterrare l'avversario.

- Chou sa usare tutte queste armi, vero? - domandò Tomo, guardando la ragazza con crescente ammirazione.

Chou annuì serena, avvicinandosi per rimirare meglio tutte quelle armi. - Ora sarà meglio che riporti tutti a casa, che ne dite?

I bambini annuirono docilmente e si mossero per raccogliere tutte le loro cose.

- Oyabun…? - chiamò Rika mentre tutti e quattro scendevano le scale di servizio dell’albergo.

- Cosa c’è?

- Anche noi possiamo imparare a usare tutte quelle armi?

Chou storse la bocca in una smorfia, pensando a quelle piccole adorabili pesti con un’arma letale tra le mani.

- Tutti possono imparare… - rispose con cautela - ma prima dovreste chiedere il permesso ai vostri genitori.

- Potresti insegnarci tu! - ribatté Rika con una luce furbetta nello sguardo.

- No! - esclamò Chou. - Non sarei certo io a insegnarvi, soprattutto se i vostri genitori non vogliono. Non è certo un gioco, sapete?

Il faccino di Rika si fece triste triste, tanto che per un istante Chou si sentì profondamente in colpa.

Impiegò un secondo per riprendersi, conosceva i suoi polli.

- E’ pericoloso, Rika. - le spiegò. - E io non sono ancora abbastanza brava da poter insegnare a qualcun altro.

La bambina si arrese e annuì, nonostante non capisse quel discorso, sapeva che se Chou diceva una cosa, quella doveva essere necessariamente vera.

La ragazza sorrise affettuosa, dandole un buffetto sulle guance rosa prima di salutarla e allontanarsi con gli altri due.

- Io sarei in grado di imparare - disse Glen mentre attraversavano la Piazza Grande.

- Non ho intenzione di trattare, Glen - ribatté Chou guardandolo duramente. - Credo tu sia abbastanza grande per capire da solo le cose.

- Sì, Chou… - rispose il ragazzino abbassando la testa.

La ragazza scosse la testa sorridendo, quanto voleva bene a quei bambini. Accompagnò entrambi a casa e poi si diresse verso la propria, cominciando a sentire sulla schiena il peso delle armi che si era portata dietro.

Aprì la porta dell’officina spingendola con un piede, entrando senza far rumore. Sembrava deserta e osò rilassarsi per un secondo, forse Kato non si era accorto di nulla.

Chou posò il sacco a terra, vicino all’armadio delle loro armi. Con cautela, facendo più silenzio possibile, cominciò a riporle tutte una dopo l’altra.

Aveva un nunchaku tra le mani quando sentì un urlo di battaglia provenire da dietro le sue spalle. Si voltò di scatto, appena in tempo per parare un affondo con una naginata.

- Kato! - esclamò la ragazza boccheggiando, sibilando tra i denti un’imprecazione.

- Colta in fragrante, furbetta! - ribatté l’uomo facendo un passo indietro, scoppiando a ridere.

- Kato… - ripeté la ragazza lasciando cadere a terra il nunchaku e afferrando il suruchin in tutta fretta. Fece a sua volta un balzo indietro e cominciò a far roteare la catena. - Ma…ogni volta?

- Finché non impari, tesoro - rispose l’uomo rotenando la naginata sopra la testa e preparandosi ad attaccare di nuovo. In quel momento però Chou lanciò l’estremità della catena, che andò ad avvolgersi intorno all’asta della lancia, e tirò prima che Kato potesse accorgersi di quel che era successo.

- Disarmato! - esclamarono poi insieme, scoppiando a ridere.

- Basta! Non ne posso più di questi benvenuti violenti! - si lamentò Chou, un po’ seria e un po’ scherzando. - Noi le armi le costruiamo, non le dobbiamo mica usare!

- Come puoi pensare di costruire una buona arma, se non sai come si adopera? - le domandò Kato pacatamente. - Lo sai? Ogni volta che costruisco un’arma, o ne modifico una, penso sempre che sia per me. Che una volta finita sarò io ad usarla. E’ così che quello che faccio diventa passione, e non solo lavoro. Sapendo che non sarei comunque in grado di usarla, credi che ci metterei la stessa cura?

Chou lo guardò in silenzio. Non sapendo bene come rispondere, era la prima volta che Kato le parlava in questo modo del suo lavoro.

- Te lo dico io - fece allora, vedendo che la ragazza non rispondeva. - No. Anche con la più buona volontà, inconsciamente, ci metterai meno impegno.

- Ho capito… - annuì allora Chou, abbassando il capo.

- Brava la mia bambina! - sorpassandola, l’uomo le scompigliò i capelli con la sua mano enorme.

Il campanello del negoziò suono, e l’armaiolo si diresse velocemente verso la bottega.

- Kato! - lo chiamò Chou e un secondo più tardi gli lanciò contro tre piccoli e taglienti shuriken.

L’uomo li schivo tutti e tre con un fluente movimento del busto.

- Pensi basti questo per cogliermi di sorpresa? Ahah - fece l’uomo, entrando nella bottega. Chou lo sentì parlare dall’altra stanza. - Buon giorni signori, come posso esservi utile?

   
 
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