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Autore: Vago    15/09/2017    4 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Questo assassino comincia a darmi sui nervi.
Il giorno che riuscirò a prenderlo giuro che non lo riconoscerà nemmeno sua madre.
A Gerala si è lasciato alle spalle ventisei cadaveri, un ristorante bruciato e un intero livello della città nel panico.
Spero non sia opera sua, qui a Derout, o, per lo meno, non segua la stessa trafila. Non ho intenzione di mettere di nuovo le mani addosso ad altri venti cadaveri, oggi.

Cosa sentono le mie narici! Altro meraviglioso odore di bruciato. Legno e calce, a giudicare dall’aroma acre, con una punta di carne carbonizzata. A quante pessime grigliate lo avrò già sentito?
Dubito, però, che qualcuno si sia messo a grigliare costine in un vicolo.

L’ispettore solcò a lunghi passi una delle vie principali, aggirando un pozzo in muratura, per raggiungere la periferia nord, da qui serpeggiò tra i vicoli laterali, stretti tra i muri della case, puntando verso la colonna di fumo che si alzava flebile verso il cielo.
Mano a mano che l’uomo si avvicinava alla fonte di quel fumo, il numero di civili diminuiva, venendo soppiantato da un crescente numero di guardie cittadine dalla pelle scurita dal sole.
Una palazzina su tre piani, o meglio, il suo cadavere carbonizzato, era crollata sotto il peso dei suoi stessi calcinacci sulla strada, bloccando completamente il passaggio. Ora, decine di uomini era chini sulle macerie, intenti a spostare gli ultimi detriti fumanti rimasti sul selciato dopo il giorno di lavoro che già era stato concluso.
- Chi è il più alto di grado, qui? – urlò l’uomo biondo camminando verso le macerie, avvolto nel suo abito marrone.
Un elfo sulla cinquantina si staccò dal gruppo per andare incontro al nuovo arrivato. Negli occhi scuri albergava uno sguardo di sfida.
- Sono io, cosa vuoi? L’accesso a questa zona è permesso solo agli incaricati dal tribunale. –

Non un altro tizio pieno di sé, Fato, ti prego.
Vabbè, per lo meno potrò sfogare un po’ di rabbia repressa. Devo solo cercare di non diventare di nuovo un demone gigante. Sarebbe un casino spiegare ai sopravvissuti cosa hanno visto.
Un bel respiro e cominciamo.

- Davvero? Non sapevo di non poter accedere a questa zona. Sono desolato. Nessuno dei suoi uomini mi ha messo al corrente di questa direttiva. Se lei è davvero il più alto di grado, dovrebbe controllare meglio i suoi sottoposti. Non mi sembra un compito adatto a uno nella sua posizione, quello di fermare gli estranei. Anzi, se mi lascia il suo nome, potrei parlare di lei con Johanne… -
L’elfo parve disorientato a quella risposta. La sua bocca era rimasta leggermente aperta, mentre il suo cervello cercava di capire se il discorso del suo interlocutore fosse un complimento, un affronto o una minaccia.
Intanto, l’uomo biondo continuava a sorridere bonariamente, con uno strano scintillo negli occhi.
- Johanne? – balbettò l’elfo.
- Si, certo, Johanne Fenter, il Giudice Maggiore. –
- Giu… Giudice Maggiore? – gli occhi dell’ufficiale si spalancarono all’udire quella carica.
- Si, mia cara scimmia. Il Giudice Maggiore Fenter, lo stesso Giudice Maggiore che mi ha affidato l’indagine sul draghicida che sta girando per le Terre. Davvero quel tuo cervello non è riuscito a capire che nessun civile sarebbe mai giunto qui cercando la carica più alta? Adesso, hai due minuti per aggiornarmi sulla situazione, se davvero ci tieni alla tua posizione. –
L’elfo si irrigidì a quelle parole.
- Si… certo signore. –

Ti prego, ridillo.
Da quanto tempo non sentivo la parola signore utilizzata nei miei confronti. Mi ci potrei riabituare velocemente.
Ora, piccola scimmia leccapiedi, muoviti a parlare se non vuoi finire a scacciare i topi dalle cantine.

- L’altra notte un incendio è stato appiccato in questa palazzina. Le guardie poste di guardia a questo quartiere sono riuscite a domare le fiamme. Non capisco perché ti abbiano mandato qui, non sembra esserci la mano del tuo uomo. –
- Tu non devi capire. Quante sono le vittime? –
- Nella palazzina c’erano due anziani, una famiglia di tre persone e una donna. Non ci sono sopravvissuti. –
- Nel viale c’era qualcuno? –
- Non che noi sappiamo. Stanno rimuovendo le ultime macerie in questo momento. –
- Sapete la razza delle vittime accertate? –
- La razza delle vittime? – ripeté l’elfo.
- Si, la stramaledetta razza delle vittime. Umani? Elfi? Draghi? Budnear? Fate? Nani? Cani? Scoiattoli? Alberi? Forza, voglio una risposta. –
- Questo quartiere è principalmente occupato da draghi, presumo che lo siano anche loro… -
- Presumi che siano draghi… - l’ispettore dai capelli biondi si passò una mano sul tatuaggio romboidale. – Vattene, torna a togliere macerie. –

Maledetti mortali.
Presumo che lo siano anche loro. Che razza di risposta è questa? Ti pagano per sapere le cose, non per presumere. Per quello ci sono già io.
Un quartiere di draghi. Se l’incendio si fosse propagato avrebbe potuto fare parecchi danni.
Che ore erano quando è stato appiccato?
C’era scritto su quei documenti che mi hanno consegnato… le undici di notte, circa.
A quell’ora molti sarebbero già stati a letto, molte possibili vittime del fuoco.
Probabilmente è lui l’artefice. È come se il ristorante a Gerala fosse stata una prova generale per verificare l’efficacia delle fiamme.
Probabilmente troveranno un cadavere carbonizzato sotto quelle macerie. Se così sarà, non avrò dubbi sulla paternità di questo incendio.
Il mio compito però non è far giustizia ai morti. Devo trovare quel dannato piromane assassino e spaccargli il cranio con tutto il mio amore nei suoi confronti solidificato in forma di badile.
Quindi ora pensa, Viandante. Sai che il casino nel tempio di Aria non è opera sua, quindi non devi considerarlo.
Le sue tracce più recenti sono di Gerala.
Lì ha ucciso ventisei draghi, per poi far perdere le sue tracce.
Quanti giorni di viaggio può aver impiegato a raggiungere Derout? Due? Tre se proprio se l’è presa comoda.
Deve aver lasciato la Grande Vivente la notte stessa in cui ha appiccato quell’incendio.
Tu hai avuto uno svantaggio iniziale nei suoi confronti di circa tre giorni dalla sua prima vittima, che si riducono a due giorni prendendo in considerazione l’incendio del ristorante. Sono poi andato al tempio di Aria e poi qui nel giro di una notte.
Di quanto è in vantaggio, quindi, lui su di me?
Questo incendio è stato appiccato trenta e qualcosa ore fa, circa. Ha un giorno su di me, si e no, se questo è una sua opera.
Perché, però, lui è venuto qui? Avrebbe potuto rimanere nell’ombra per qualche settimana, per far calmare le acque. Poi avrebbe potuto riprendere ad uccidere.
Era di fretta. Ma perché?

- Signore! Abbiamo trovato un cadavere sotto i detriti. – urlò l’elfo cinquantenne dalla pila di detriti in direzione dell’uomo biondo.
- Questo già lo so! Era ovvio che ci fosse! – urlò in risposta l’ispettore – Lasciatemi riflettere in pace! –

Perché è venuto subito qui?
Ma, soprattutto, perché ha fatto un lavoro così approssimativo? Non è mai stato così tanto avventato.
Ha dovuto accelerare i tempi, sperando che le pareti fossero sufficientemente infiammabili.
Avrebbe potuto spendere più tempo per predisporre al meglio tutto, ammucchiare carbone nel luogo dal quale avrebbe voluto far scoppiare l’incendio o creare una pira di legno e paglia per farlo prendere meglio.
Cosa ti premeva di fare, mio caro assassino?

- Tu, scimmia! – urlò l’uomo tatuato – L’ultima nave partita da questo porto, quando è salpata? –
- Io… ecco... – balbettò l’elfo – Tra ieri e l'altro ieri ne è partita una per il Continente. –
- A che ora? –
- Io… questo non lo so. Il molo non è di mia competenza. – l’elfo scese dalla pila di detriti con il passo incerto di chi non ha più la forza nelle gambe di un ventenne.
- Signore? – chiese con voce incerta una delle guardie poste a delimitare l’area, in direzione dell’ispettore.
- Che c’è? Spero che tu abbia un motivo valido per disturbarmi. – L’uomo tatuato si voltò di scatto con gli occhi che lasciavano trasparire tutta la sua seccatura.
- La nave, quella per il Coninente. È partita ieri mattina alle sei e mezza. -
L’ispettore rimase un attimo immobile, con lo sguardo fisso sugli occhi viola di quel giovane mezzelfo che si era fatto avanti, mentre il suo cervello elaborava quelle informazioni.

Ieri mattina, sul presto.
Avrebbe avuto sette ore abbondanti per prepararsi per salpare, dopo aver incendiato questo quaritiere..
Che non abbia optato per il mare?

- Ottimo, lavoro. Grazie per l’informazione. – rispose quindi l’uomo biondo.

Il Continente. Un ottimo posto per ricominciare dall’inizio. O meglio, per uccidere sfruttando l’effetto sorpresa.
Potrebbe effettivamente essere riuscito a salpare con quella nave.
Come passeggero? Oppure è riuscito a farsi assumere come marinaio?
Nessuno conosce il suo volto, non è ufficialmente ricercato. Potrebbe essere riuscito a procurarsi un biglietto per quel viaggio.
Adesso ha più di un giorno di vantaggio su di me… non che questo sia un problema vero, posso recuperarlo, se solo sapessi esattamente dov’è.

- Signor Vander… - disse timidamente una giovane ragazza dentro a un’armatura da guardia cittadina, decisamente troppo grande per lei.
- Zitta. Sto ragionando. –

Perché si sta muovendo così tanto in fretta?
Sa che lo sto seguendo?
No, non credo. Se stesse scappando da me non mi avrebbe lasciato questo enorme cartello fiammeggiante che indica che via ha seguito.
A meno che non abbia intenzione di ingaggiare una battaglia psicologica con me.
Se volesse farmi credere che sta andando verso il Continente, mentre lui è rimasto qui sulle Terre?
Avrebbe senso. Non c’è modo per lui di essere a conoscenza dei miei poteri. Probabilmente.
Se conoscesse la mia intelligenza sufficientemente bene, probabilmente, avrebbe preso quella nave, sapendo che io avrei pensato che lui mi stesse indicando il mare per rimanere qui.
L’unico modo che avrebbe per esserne a conoscenza sarebbe l’essere un Loro inviato. Ma questo non avrebbe senso.
A meno che Loro non stiano cercando di uccidermi o sviarmi, anche a costo di decine di vite.
Sto forse esagerando…

- Signor Vander, è importante… - di nuovo la ragazza tentò di richiamare l’attenzione dell’ispettore biondo davanti a lei, occupato in una conversazione con sé stesso.
- Ho detto che sono occupato! –
La ragazza ammutolì, mordendosi le labbra per star zitta sotto lo sguardo pesante dell’uomo.
I secondi passarono in silenzio, senza che lo sguardo dell’ispettore smettesse di pesare sulla nuca della giovane guardia.
- Allora? – disse l’uomo – Vuoi dirmi quello che devi? –
La ragazza non seppe cosa fare per alcuni istanti, per poi decidersi a riaprire la bocca per tornare a parlare. – Vede, sono stata incaricata di portarle un ordine da parte del Giudice Maggiore Fenter. –
- Forza, quali sono questi ordini? –
- Si, ecco… Il capitano della nave salpata ieri, questa mattina ha inviato un messaggio tramite un piccione. È scomparso un marinaio dalla sua Ala di Albatros, era un drago, per questo sono stati avvertiti gli uffici del tribunale e quello del Giudice Maggiore. –

Forse sto diventando un po' troppo rude.
Ma quel maledetto assassino comincia a stancarmi davvero troppo.
...
Un drago scomparso da una nave su cui era impiegato.
Evidentemente l’assassino è molto meno intelligente di quanto pensassi, oppure non è a conoscenza di me alle sue calcagna.
Deve essere salpato con quella maledetta nave.

L’ispettore si dileguò dalla scena di quel crimine, lasciandosi alle spalle le guardie con cui aveva parlato e la ragazza che gli aveva consegnato il messaggio, ancora mortificata.
Non appena la via che ebbe imboccato si fece deserta, l’ispettore biondo scomparve in un turbine di piume color pece.
Un corvo dalla coda scura tagliata da una piuma bianca si alzò in volo, sorvolando i gruppi di randagi che avevano conquistato i tetti piatti delle case e puntando verso il mare, con il sole che gli scaldava le spalle.

Non me lo sarei lasciato scappare, non ora che si è rinchiuso da solo in una prigione in mezzo al mare.


Una freccia scura solcò il mare, sospesa a poco più di un metro dai flutti su cui la sua ombra andava a stagliarsi.
La sua figura sottile tagliava le correnti, sicura, puntando là dove il sole sarebbe andato a morire.

Cos’è questa sensazione che avverto in queste carni? Così antica che quasi l’avevo dimenticata.
Il brivido della caccia, l’eccitazione del momento subito precedente alla cattura della preda.
Da quanto tempo è che non lo avvertivo? Troppo, finora non c’è stata creatura che potesse nascondersi al mio sguardo.
Finora.
La mia parziale cecità alla Trama è uno svantaggio non da poco, specialmente ora che mi ritrovo a dovermi confrontare con uno sfuggente assassino e un buco della Trama impazzito.
Il mondo continua ad essere un palcoscenico troppo grande perché io lo possa riempire con un monologo, ma finché avrò fiato e forze mostrerò a tutti le meraviglie di cui sono capace.
Anche senza una parte dei miei poteri.

L’aria è fredda e umida, ma non sa di mare.
Ci deve essere stata una tempesta.
Una nave del genere non avrà avuto problemi a superarla, ma nessuna vela può sostenere un vento tanto forte.
Devono aver perso tempo.
Questo mi da un vantaggio ulteriore.

Le piume della coda del corvo fremettero, mentre le sue ali si piegavano appena per lasciarlo penetrare in una nuova corrente calda, che lo avrebbe sospinto sempre più veloce verso la sua meta.


Sull’orizzonte, a stagliarsi sul nulla, il profilo di una nave comparve in tutta la sua possanza.
I tre alberi si sollevavano dalla superficie del mare come magre vedette e, su di questi, le vele si gonfiavano sotto un vivace vento proveniente da sud. Non il migliore, forse, per navigare, ma sufficiente per permettere al mostro di legno e cordame di mantenere una buona velocità verso la sua meta.
Il corvo lo raggiunse in poco meno di mezzora, riducendosi alla metà delle dimensioni che vantava durante il suo vantaggio per permettersi di entrare nella cabina del capitano attraverso un tondo oblò socchiuso.
Nella stanza racchiusa tra scure assi di legno rossastro non sembrava esserci anima viva. L’ambiente già stretto era per lo più stato conquistato dalla massiccia mole di una pesante scrivania coperta da carte nautiche e da due alte librerie in cui libri dai dorsi rossi e neri si tenevano gli uni con gli altri per non cadere a terra quando il mare colpiva con la sua furia la nave su cui erano stati portati.
Sulle due pareti contigue a quella che ospitava la porta, due lampade a olio erano state assicurate attraverso gambi in ferro scuro che potevano ricordare l’intrecciarsi di un vitigno.
Il corvo si guardò rapidamente intorno, in modo da accertarsi che davvero fosse lui il solo occupante di quella stanza in grado di respirare.
Un fremito spaventato proruppe da un pesante tendaggio posto in un angolo, in modo da coprire qualcosa dalla forma di cupola.
Il corvo si disperse, lasciando il passo all’ispettore dai ricci biondi.

Ora che ci penso, dovrò cambiare molto presto questo corpo di sicurezza, sono troppe, ormai, le persone che lo hanno visto.

L’uomo tatuato si avvicinò con passo felpato al drappo scuro, sollevandolo con cautela. Sotto di questo, all’interno di una gabbia dalle sottili barre metalliche, tre piccioni saltellavano vivacemente, portandosi dietro il piccolo contenitore cilindrico che, ognuno di loro, teneva stretto alla caviglia.

Piccioni viaggiatori.
Ovvio.

La porta d'ingresso della cabina si socchiuse, seguita dal sussulto dell'uomo che stava entrando alla vista dell'estraneo.
   
 
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