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Autore: Philly123    18/09/2017    0 recensioni
Fu una sera di autunno, pioveva, per terra era bagnato. Sono i miei primi ricordi, i primi ricordi di quando incontrai i Ghoul. Di quando incontrai Uta.
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[N.d.A. Salve a tutti, questa è la mia storia! E' un periodo un po' pesante e scrivo solo e unicamente per rilassarmi quindi perdonate le sviste, non rileggo molto. Per il resto adoro il personaggio di Uta ma credo che al momento sia molto piatto. Ho deciso di renderlo un figo frustrato come lo immagino nella mia mente. Spero che l'idea vi piaccia. Commentate se volete!]
Genere: Avventura, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Uta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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La luce del corridoio si era accesa un’altra volta. Segno che qualcuno, in quella casa, era sveglio. Non che questo volesse dire niente. Non potevo di certo capire se fosse giorno o notte. Non sapevo nemmeno quante persone ci vivessero, in quel luogo. Dopo tutto quel tempo, però, avevo capito che a un certo orario c’era più movimento. Ero quasi sicura fosse di notte.

Scandivo così il tempo.

Non che qualcuno mi tenesse prigioniera, no di certo. Ero semplicemente ancora troppo debole per alzarmi dal letto e andarmene.

Mi sentivo come un animale in cattività. Mi chiedevo quanto mancassi alla vita di sempre, alle mie amiche, al mio lavoro. Possibile che nessuno mi avesse cercato ancora?

Raccattai le mie energie per sollevarmi dalla solita posizione sdraiata. Tutti i muscoli del mio corpo dolevano e agonizzavano, ma almeno adesso sapevo il perché.

Tutto mi era stato chiaro il giorno prima, quando avevo chiesto a Uta cosa fosse successo.

 

-È normale che tu sia spaventata in questo momento, ma per favore, ascoltami per un minuto. Ho tutte le risposte- disse lui con il tono più pacato che probabilmente conosceva.

Quegli occhi rossi accesi, contornati dal nero più profondo mi mettevano in apprensione. Provavo paura al solo guardarlo.

-Allora sbrigati a spiegarmi perché qui non ci sto capendo niente!-

-Benissimo, quando ti abbiamo portato qui eri in condizioni così brutte che ci siamo trovati costretti a prendere una decisione di nostra iniziativa. Hai mai sentito la notizia di quel ragazzo trovato per strada con delle ferite gravissime, che poi è stato salvato grazie a un trapianto d’urgenza? È infine sparito.-

-Certo, tutti i telegiornali ne parlavano, ma cosa c’entra?-

-Il suo nome era Kaneki, non ricordi? Kaneki Ken.-

-Già. E quindi?-

-E quindi quel ragazzo si è salvato solo perché gli sono stati trapiantati degli organi di ghoul. È diventato un ghoul lui stesso alla fine, a causa di quegli organi.-

Il cuore mi batteva più forte, mi girava la testa.

-Non vorresti dirmi che sono diventata un ghoul!- urlai, sbattendo forte le mani sul materasso.

Un fitta mi pervase i gomiti, poi le braccia, le spalle, fino a sentirla nel collo. Il dolore mi fece lacrimare gli occhi.

-Tratta bene questo corpo che abbiamo salvato, per favore. Non sei ancora pronta per questi gesti avventati.-

Uta cercò di sfiorarmi, ma io ritrassi immediatamente la mano.

-Dimmi cosa mi avete fatto!-

-Non ti abbiamo trasformata in un ghoul. Abbiamo pensato di fare una prova. Ti abbiamo iniettato il mio sangue. Non è come un organo, poteva ammazzarti oppure salvarti, in ogni caso il suo effetto non sarebbe stato duraturo. Ti ha salvato la vita, accelerando la tua guarigione, ma non ti ha sicuramente trasformata. Ti sentirai strana per un po’ di tempo. Magari stai anche male, ma di certo ti salverai.-

 

Come dovevo sentirmi? Quell’uomo mi aveva salvata, eppure non riuscivo a non disprezzarlo. Appena vedevo quei suoi occhi scarlatti mi prendeva l’istinto di scappare, come una preda davanti al suo assassino.

Scappare.

Volevo solo andarmene.

 

Fu così che nonostante i dolori lancinanti raccattai i miei (pochi) averi e mi feci strada verso una fantomatica uscita. Non sapevo dove andare ma notai con sollievo che la porta era aperta. Non volevano davvero tenermi rinchiusa.

Passo per passo, mi addentrai in un corridoio lunghissimo. Moquette per terra e tante porte di legno ai lati. Un tipico edificio occidentale. I miei piedi nudi affondavano leggermente nel pelo della moquette e man mano che andavo avanti sentivo sempre più l’odore di fresco. Per il resto era tutto in semi oscurità, odore di deodorante, quasi asettico. Niente di più.

Finalmente trovai una scala, legno scuro, ebano forse, nello stesso stile del letto che tanto bene avevo conosciuto. Non era molto grande ma c’era una cura per i dettagli quasi maniacale. Tutto il corrimano era intarsiato con piccoli fiori.

Salii e finalmente, dopo giorni, vidi quella che poteva sembrare vera luce. Mi feci più piccola nella mia vestaglia, trovata ai piedi del letto. Mi copriva appena. Ero scalza. Come avrei fatto a uscire?

-Allora infine ce l’hai fatta!- esclamò una voce vicina.

Uta si nascondeva dietro un angolo. Quella sala probabilmente era soltanto una stanza di passaggio. Non c’era niente, tranne una porta alle sue spalle.

-Potrei andare?- chiesi timidamente.

Non volevo offenderlo, avevo solo bisogno di scappare.

-Certo. Non posso procurarti delle scarpe, però. Ti chiamerò un taxi e ti lascerò qualcosa per coprirti. Penso che qualsiasi cosa andrà bene. Ora però devi rimanere qui, non posso farti uscire al momento.

 

Così aspettai. In piedi, dolorante, finché non entrò Uta con un immenso trench scarlatto, a dirmi che il mio taxi mi stava aspettando. Me lo regalò. Io tornai a casa, immensamente felice, spaventata, e un po’ rammaricata dall’aver sfruttato così tutta quella gentilezza.

  
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