Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: iamnotgoodwithnames    18/09/2017    2 recensioni
"Al cuore non si comanda, non c’ha mai creduto ai modi di dire, non li ha mai voluti prendere neppure in considerazione, assurde frasi dette, ripetute così tante volte, da così tante bocche diverse, da perdere significato; da diventare banali cliché.
Eppure, alla fine, c’è rimasto incastrato anche lui in uno stupido cliché.
Al cuore non si comanda, si ripete, cercando di perdersi nel buglio di sogni che non sono mai piacevoli, cercando di dimenticare che, suo malgrado, la sua intera vita, per colpa di due iridi d’un pungente azzurro cielo, è diventata un banalissimo, insopportabile, cliché."
[Theo x Liam][Introspettiva][Slow Build][Spoiler!6A][Slice Of Life][Missing Moments][OC][OFC x Greenberg / Mason x Corey]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Corey, Liam, Liam Dunbar, Mason, Nuovo personaggio, Theo Raeken
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Moonbeams Bonds'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
~ Chapter Seven : Meet, Again ~
 


“quando lo hai capito?”


Esmeralda ha un’abitudine particolare, resta in silenzio per minuti e poi, d’un tratto, sputa fuori domande prive di contesto, lasciando fluttuare parole astratte nella confusione di minuti indecisi e Theo, alle stranezze della castana, si è abituato; ma a questa non riuscirà mai


“cosa?”


È costretto a chiedere, rovistando nel cassetto che è ormai diventato suo, cercando tra le magliette quella più scura da confondersi nella notte


“che preferisci i ragazzi – sorride priva di pregiudizi Esme, afferrando il pacchetto di sigarette lasciato giacere al tavolo – alle ragazze”

“non lo so – sospira la chimera, che una risposta davvero non ce l’ha – sempre saputo”


La castana arriccia il naso, in quella buffa espressione che assume ogni qual volta si sofferma a soppesare risposte, valutando se poterne essere soddisfatta


“e lo hai mai detto a qualcuno?”


Evidentemente, sorride sghembo Theo, la sua risposta non era sufficiente, solleva le spalle afferrando la maglietta più nera tra le tante


“a te”

“soltanto?”

“e a chi altro avrei dovuto dirlo? – si veste rapido, aggiustandosi i capelli arruffati – dovevo organizzare una festa?”

“si chiama coming out – ridacchia Esme, sfilando una sigaretta dal pacchetto – in genere sì fa”


Theo la osserva divertito, seguendola all’esterno della roulotte, afferrando le chiavi dell’auto prima di richiudersi la porta alle spalle e sedersi, alla vecchia poltrona sfilacciata e consumata dal tempo, in attesa


“è come se l’avessi fatto”


Dice poi, ricordando il giorno in cui si trovò costretto ad ammettere di non provare interesse, non sessuale quanto meno, nei confronti della mezzana delle sorelle Petrescu chiarendo i dubbi del capo famiglia ed ottenendo il permesso di condividere la roulotte senza rischiare di essere ucciso nel sonno


“uhm – cerca di farsi bastare le risposte Esme, portandosi la sigaretta alle labbra – però eri un po’…qual è l’equivalente maschile per puttanella?”


Soffia una risata lieve tra la coltre di fumo, sa perfettamente che la chimera non si offenderà, hanno imparato a conoscersi in quei quasi due mesi di convivenza


“non avevo di meglio da fare”


Arcua un sopracciglio scettica Esmeralda, inspirando nicotina tra le labbra carnose e Theo allunga indice e medio in una muta richiesta, prontamente assecondata, dalla castana che gli porge la sigaretta


“Clayton è stato il tuo unico e primo ragazzo?”


A volte, inspira catrame la chimera, le domande superano un confine invisibile che preferirebbe non dover oltrepassare.
È inconsapevole, è la curiosità, la spontaneità che spingono Esme a chiedere, se soltanto sapesse, se conoscesse tutta la verità che ancora si nasconde dietro i racconti del passato Theo è certo che non chiederebbe più, che resterebbe al margine di quell’invisibile confine.

Ma non può, non deve, perderebbe anche l’ultima, rinata, speranza se confessasse ogni peccato che macchia la sua pelle, ogni stilla di sangue che ha sporcato le sue mani, perderebbe Esmeralda, perderebbe i Petrescu; perderebbe una vita nuova che non credeva neppure di volere così tanto intensamente e non può permetterselo, non ora che ha compreso di averne davvero bisogno.


“non stavamo insieme – non ne hanno avuto tempo, si corregge la chimera – ma credo che…lo fosse”


Non ne ha mai avuto la certezza, gli è stato impedito saperlo, si è imposto di non chiederselo mai.
Si era persino giurato che non ne avrebbe conservato neppure la memoria, ma il subconscio è un parassita che infesta i sogni ed una notte, svegliatosi di soprassalto, soffocato tra ricordi che aveva con fatica rimosso si è visto costretto ad affrontare anche l’unica nota serena di un’adolescenza sporca di menzogne ed inganni


“eravat…”

“Theo muovi il culo – grida Maximilian, interrompendo qualsiasi cosa la sorella stesse per dire – e sbrigati, abbiamo solo un’ora”


Esmeralda sospira un sorriso, tornando ad impossessarsi della sigaretta, salutando la chimera con un cenno fugace del capo ed un solare


“qualsiasi stronzata stiate per fare non fatevi beccare, i soldi per la cauzione non ce l’ho”


Un ghigno di strafottente sicurezza è tutto ciò che ottiene in risposta da Theo, che ha fatto l’abitudine anche a questo, agli espedienti improvvisati per racimolare denaro, alle furtive rapine di mobili ed elettrodomestici e beni di prima necessità troppo cari per le economie dei Petrescu, agli incontri di box truccati, agli inganni innocenti di una famiglia che lotta contro la peggiore delle minacce prive di volto; la povertà.
E alla fine, si dice inserendo la chiave al cruscotto, non è poi così diverso da ciò che gli è sempre riuscito meglio nella vita, infondo non e poi così tanto male aiutare. 
 
 
~~~~~~~~~~

 
Non poteva prevedere che, nei suoi quattordici anni già sporchi di sangue innocente, avrebbe incontrato per la prima volta l’amore.

Non sapeva che forma avesse, che suono producesse, che aspetto possedesse, non sapeva e non credeva neppure esistesse davvero; l’amore.

Lo ha riconosciuto poi, nei mesi a venire, quando lo perse per sempre, quando lo sporcò  di sangue.

Era solo sesso, si è ripetuto così tante volte che non ci crede più.

Erano solo corpi da usare nella noia di giornate troppo lente, si è detto così tante volte da non crederci più.

La prima volta, la seconda, persino la terza era solo sesso, incontri occasionali, nascosti in luoghi improbabili, ma poi tutto cambiò; così velocemente che Theo neppure se ne accorse.

Ceco all’amore, ceco ai sintomi, alle conseguenze.

È stata colpa sua, colpa di Clayton, se lo è urlato contro nelle notti insonni di incubi; e non è mai riuscito a convincersene davvero.

Theo glielo aveva detto, non voleva sapere, nulla, neppure il suo cognome, né i corsi di studio, l’età o quanto alto fosse; non voleva sapere niente doveva restare un corpo privo d’identità.

Clayton, mai sottomesso, mai intimorito, Clayton col coraggio di un incosciente aveva, invece, deciso di dirgli tutto, ogni cosa, persino la più insignificante, persino il nome del suo gatto.

Lo ricorda ancora Theo, aveva riso davvero quel giorno.

E poi, era successo, gli aveva detto tutto, anche lui, ogni cosa, persino la peggiore, persino il nome di quella sorella a cui aveva rubato il cuore anni fa.

Si erano ascoltati, si erano compresi, trovati, senza paura, senza giudizi, senza timore alcuno si erano fidati, avevano demolito ogni barriera, sorpassato ogni confine, per incontrarsi in una terra di mezzo in cui loro, e loro soltanto, erano regnanti indiscussi; ma si paga a caro prezzo la libertà.

La verità, la sincerità, è un difetto da punire.

L’amore è un errore da correggere.

La cura migliore al fallimento è prevenirlo, è questo ciò che devono aver pensato i Dottori quando in una fredda notte di ottobre, come nel peggiore degli scherzi di halloween, glielo hanno fatto trovare legato ad una lastra di acciaio, terrorizzato ad implorare pietà, a gridare, a pregare di essere aiutato.

Ululava il vento, congelava l’asfalto, appassivano i fiori, si spegneva il mondo intero mentre Clayton moriva sotto lo sguardo impotente di Theo.

Altro sangue, innocente, a macchiare gli artigli per cui aveva commesso talmente tanti crimi da aver smesso persino di considerarsi poco più di un ragazzino.

Quella notte cessò d’essere persino umano, perché forse solo gli animali sarebbero in grado di uccidere la persona, l’unica, a loro più cara o, forse, neppure le bestie saprebbero farlo; nessun essere vivente potrebbe riuscirvi.

Ed ha smesso di essere anche vivo, quel giorno.

L’ultima catena da spezzare, l’ultimo difetto da rimuovere, l’inevitabile inganno dell’amore, quel giorno i Dottori l’hanno rimosso; l’errore.

Prima che potesse ammetterlo, prima che potesse provarlo, prima ancora che potesse percepirlo sotto pelle.

Glielo hanno portato via, come un giocattolo pericoloso da tenere lontano da bambini troppo piccoli ed ingenui che finirebbero con il soffocarvici; eppure Theo in quel sentimento mozzato, troncato a metà, ci è soffocato lo stesso quel giorno.

Ed i volti tornarono a perdere forma, i corpi tornarono ad essere privi d’identità.

E Theo tornò ad essere, migliorò persino, l’esca perfetta per prede ignare cavie da laboratorio; come topi intrappolati.

Non si fece più domande, non si concesse più la curiosità di provare cosa significasse essere umano, si dimenticò persino cosa fosse prima di divenire un esperimento riuscito.

Si disse che bastava, che con il mondo aveva chiuso.

Si disse che lo scopo segreto dei Dottori, ora, era anche il suo.

Si disse menzogne ed inganni.

Quel giorno Theo morì e rinacque.

Quel giorno, nei suoi quindici anni macchiati di sangue innocente, sporchi di sentimenti da buttare, nacque un Theo diverso; irriconoscibile persino nel riflesso allo specchio.

Quel giorno Clayton Curtis, occhi di bosco e capelli d’ali di corvo, pelle di luna e labbra di ciliegia, morì trascinandosi nella tomba l’ultimo briciolo, l’ultima stilla, d’umanità rimasta incastrata nel petto di una chimera trasformata nell’incubo da cui mai più si sarebbe potuta liberare. 

 
~~~~~~~~~~

 
L’unica cosa di cui, attualmente, Liam sente il bisogno è mettere qualcosa tra i denti, masticare ed azzittire l’incessante brontolio che ne agita lo stomaco.
Da quando Scott lo ha morso ha cominciato a capire quel modo di dire : “avere una fame da lupi”
A quanto pare è una conseguenza, la meno spiacevole, dell’essere un mannaro.
Se esiste un Dio che benedica il genio che ha inventato la pizza, si dice Liam, azzannando la fetta stretta tra le dita, la lieve musica che aleggia all’interno del diner fa da sottofondo alle parole che si scambiano, da minuti di incessante chiacchiericcio, Mason e Corey.
Qualche pettegolezzo che il mannaro non ha alcuna voglia di ascoltare, non finché non avrà divorato almeno altri quattro o cinque pezzi di pizza che, seppur surgelata e precotta, riesce comunque ad attenuarne la fame.
E  continuerebbe ad ignorare gli amici se soltanto non si sentisse costretto, quanto meno, a sollevare lo sguardo e fissare un Mason sorridente, stringergli le dita attorno all’avambraccio ed indicare con un cenno rapido della nuca la cameriera


“te la ricordi? – sussurra, mentre il mannaro volge l’attenzione al soggetto in questione – è quella del vassoio”

“sì, sì – biascica Liam, deglutendo un boccone di mozzarella ed impasto – me la ricordo”


Anche la giovane, sorriso cordiale e capelli raccolti in una crocchia sformata, passo leggiadro ed allegro,  ora ferma al loro tavolo, con una caraffa colma di caffè,  sembra ricordare


“ehi”

“ciao”



Sorride impacciato il mannaro, afferrando un tovagliolo, pulendosi via olio dalle dita ancora unte


“posso portarvi altro?”


Chiede la castana, la voce servizievole di chi è abituata a lavorare come cameriera, i tre clienti scuotono il capo all’unisono


“solo il conto – aggiunge Mason – per favore”

“no, offro io – un tiepido sorriso le plasma gli angoli delle labbra – per quella volta…”


Spiega poi impacciata, fili castani ondeggiano incorniciandole il volto in onde delicate, e Liam vorrebbe dirle che non è necessario, ma l’incessante suono meccanico che giunge ovattato dalla piccola tasca al lato del corto grembiule bianco panna glielo impedisce.
Esmeralda tituba, guardandosi attorno, accertandosi che il direttore non possa vederla rispondere alla chiamata


“pronto?”


Esita in un soffio sottile, tra le iridi nocciola si formano nubi inquiete


“come? Sì…sì arrivo subito”


La caraffa in vetro poggiata al tavolo, le dita ancora strette attorno al cellulare, le tremano le mani e Liam riesce a sentirlo il sentore della paura impregnare ogni centimetro di quella pelle olivastra, i sensi sviluppati captano ogni mutamento d’emozione nel silenzio che li circonda.


“Greenberg”


Grida Esmeralda, volgendo il busto al collega, questi si volta sfoggiando un sorriso sornione che affievolisce non appena si scontra con il tremolio che agita le iridi della giovane


“puoi coprirmi? – chiede in un sussurro – devo andare, per favore inventati qualcosa”

“casini in famiglia?”


Chiede soltanto Greenberg, il tono pacato di chi sa cosa sta accadendo, di chi conosce situazioni che altri non possono neppure riuscire ad immaginare e la castana sospira, socchiudendo gli occhi


“vai – le dice poi – Esmy”


La richiama prima che questa possa voltargli le spalle


“metà della paga resta a te comunque, appena finisco qui ti chiamo, okay?”


Si scambiano un sorriso lieve, tenue, delicato e l’odore della paura scivola leggero sulla giovane, coperto dal profumo della calma, anche se non avesse avuto i sensi di un mannaro Liam sarebbe stato comunque in grado di intuire, di leggere, in quelle iridi nocciola illuminate da fioca luce di gratitudine la sicurezza che, quelle poche parole, sono stata in grado di infonderle.

E senza neppure concedersi il tempo di respirare Esmerlada scioglie il fiocco che le cinge la vita, gettando il grembiule affianco alla caraffa di vetro, ancora poggiata al tavolo, le gambe si muovono veloci, corre lasciando che la porta d’ingresso sbatta, tra i cardini che la sorreggono, alle sue spalle.
Gli occhi di Liam riescono a seguirla, attraverso i vetri trasparenti che lo circondano, per alcuni minuti ed è certo, mentre la guarda correre tra le auto parcheggiate, che l’unico mezzo che possiede sono le sue stesse gambe.

Che sia la follia del colpo di fulmine, si chiede Corey cercando di giustificare il frenetico tentativo di Liam di calcolare il prezzo esatto della cena, decidendo infine di lasciare forse più del dovuto al tavolo


“dove stai andando?”


È costretto ad urlarglielo Mason, balzando in piedi come una molla agitata, avanzando rapido verso la sagoma dell’amico che, magari perché è così che funzionano gli amori a prima vista si dice ancora Corey, è già all’esterno del locale.
Non ha neppure bisogno di chiederlo la chimera, si lascia trascinare da Mason tra le macchine ferme di fronte al piccolo locale, a seguire un Liam improvvisamente sordo ai richiami.


“aspetta”


Grida Mason, aggrappandosi alla portiera del lato passeggeri dell’auto dell’amico, aprendola ancora in movimento, saltando quasi al suo interno, millimetricamente imitato da Corey


“dove stiamo andando? – chiede, aggiustandosi al sedile posteriore – e perché abbiamo così tanta fretta di andarci?”

“già, esatto – concorda Mason, volgendo l’attenzione all’amico – che ti prende?”


Non risponde Liam, lo sguardo concentrato alla strada, a scrutarne ogni angolo, le dita strette attorno al volante ed il piede premuto, decisamente troppo, al pedale dell’acceleratore.
Le domande degli amici non raggiungono neppure i timpani, ogni suono è escluso, l’intero udito è alla ricerca di passi nella notte, l’olfatto setaccia l’aria dal finestrino aperto, sperando di trovarvi il medesimo odore che ha Esmeralda.
Quel sentore di un qualcosa, qualcosa di noto, di incredibilmente ed indefinibilmente conosciuto, qualcosa che l’istinto mannaro reclama, che cerca, che vuole raggiungere contro ogni logica ed ogni tentativo di resistenza; l’istinto non segue più la razionalità.

E poi, finalmente, lo sente, lo trova; quell’odore che il lupo interiore ha setacciato.
Non c’è voluto poi molto, solo qualche metro, il locale è ancora visibile dallo specchietto retrovisore.
Una frenata brusca, Mason deve spingere i palmi contro il cruscotto per evitare di scontrarvisi, Corey decide che, almeno questa volta, la cintura di sicurezza va assolutamente allacciata


“Es…Esta…Essie – maledice la sua pessima memoria Liam, gridando nomi casuali dal finestrino, sbracciandosi verso la giovane – vuoi un passaggio?”


Rinuncia alla fine, passando direttamente all’offerta d’aiuto che la castana, senza neppure esitare, accoglie annuendo energicamente.
Il fiato corto, il respiro mozzato, il cellulare stretto tra le mani poggiate al petto, l’odore pungente della paura, dell’ansia, della disperata angoscia colpisce come un pugno allo stomaco i sensi del mannaro non appena Esmeralda si siede affianco a Corey


“dove devi andare?”

“Beacon Hills Hospital”


Mormora tra un respiro e l’altro e Liam annuisce soltanto, ingranando la marcia, accelerando forse più del dovuto.
È breve, silenzioso, pesantemente denso il tragitto.

E la preoccupazione che anima le iridi nocciola della giovane le impediscono persino di notare i tre seguirla sin all’interno della sala d’accettazione del pronto soccorso, lo sguardo cerca tra i presenti volti noti ed in un sospiro spezzato, in un singulto nascosto dietro al palmo delle mani premute contro le labbra, l’intero mondo si ferma in quel singolo istante


“Esme!”


Un ragazzino, occhi neri come pozze scure velati di lacrime, le corre incontro cingendole i fianchi


“come sta? Dove sono gli altri?”


Un bisbiglio appena percepibile la voce di Esme rotta da singhiozzi, iridi appannate da lacrime trattenute scrutano la sagoma di un ragazzo, di qualche centimetro più alto di lei, che affianca il bambino ancora avvinghiato alle sue gambe


“Bianca è con Irina, sta cercando di tranquillizzarla – dice, poggiando una mano alla spalla del più piccolo – e Max…non sappiamo ancora come sta”


È un soffio amaro quello che dischiude le labbra del ragazzo, Esmeralda inspira, innumerevoli volte, strofinando via alcune lacrime dagli zigomi, la mano ancora poggiata alla nuca del bambino stretto a lei


“Val, che cazzo avete combinato?”

“un cazzo di niente – vibrano d’ira le iridi caramello del giovane – ha detto che quelli sono spuntati dal fottuto nulla e…l’hanno conciato male, ma…Theo gli ha fatto il culo, l’ha portato lui Max qui, mi ha chiamato appena l’hanno portato dentro”


Un fulmine, una saetta nel cielo scuro, un flash che abbaglia le iridi, i pensieri, la mente di Liam.

Una coincidenza, si ripete.

Una banalissima casualità, si dice.

Eppure negli occhi di Mason legge il medesimo dubbio che attanaglia la sua mente, eppure l’istinto gli suggerisce la logica deduzione a cui Corey persino sembra essere giunto.

Ed un tratto quell’odore, quell’odore sottile, quasi impercettibile, ma persistente che aleggia attorno alla sagoma di Esmeralda assume un significato specifico, cessa di essere solo un odore, un sentore, e si trasforma, diventa l’odore, il suo odore; l’odore di Theo.

Quasi come se la sua mente l’avesse chiamato nel silenzio la sagoma della chimera s’avvicina a passi rapidi, un bicchiere in plastica marrone stretto tra le dita ed un gesto di gentilezza in cui Liam non avrebbe mai immaginato di poterlo raffigurare; neppure nelle più rosee delle sue fantasiose speranze.
E resta paralizzato, incatenato al suolo, il mannaro ad osservarlo chinarsi lieve, sfiorare appena la spalla del minore tra i presenti e porgergli una cioccolata ancora fumante tra le dita, sollevandosi poi a poggiare una mano all’esile spalla della castana.

È tutto così intimo, così strano.
Liam i sente di troppo, si sente invadente, fuori luogo, estraniato ed esterrefatto da ogni piccolo dettaglio.
Come guardare in uno specchio che riflette un universo differente, alternativo, in cui loro sono ancora loro, ma diversi; si dice Mason affiancando l’amico.


“dovremmo lasciali soli”


Mormora, cercando di mantenere un tono di voce appena percepibile, sperando di non spezzare l’intimità che è certo necessiti la situazione, ma non è abbastanza; non per orecchie geneticamente modificate.
È un guizzo fulmineo, un’istante di smarrimento, un bagliore d’azzurro oceano che colpisce il volto di Liam, uno schiaffo che lo fa ricadere, bruscamente, alla realtà.
Deglutisce a vuoto Theo, impossibilitato a distogliere l’attenzione da quelle iridi di cieli sereni traversate da nubi di tempesta.


“chi cazzo sono questi?”


Chiede allora, nel confuso silenzio, Valerian indicando, senza mascherare fastidio, i tre estranei.

Ed il mondo cessa ancora una volta di girare, tutto si ferma nuovamente, e a Theo sembra quasi di poterla sentire una voragine aprirsi sotto i suoi piedi, e a Liam pare quasi di poterlo udire il suono del suo cuore che lotta tra le costole; minacciando di squarciargli il petto. 


Amici.

Così li ha chiamati, difficile leggerne il battito cardiaco, ma è piuttosto certo Theo che siano poco più che conoscenti per Esmeralda; ma infondo ha importanza? 
Inspira la chimera, poggiato contro il muro, chiedendosi da quanto stanno attendendo notizie che sembrano non voler giungere, volge lo sguardo ad Esme seduta al suo fianco, indossa ancora la divisa da cameriera


“lo conosci?”


Chiede la castana, sentendo lo sguardo di Theo su di sé, un fugace segno in direzione di Liam, ancora immobile, quasi fastidiosamente piazzato, tra il corridoio d’ingresso e le sedie in sala d’attesa.


“sì – annuisce lieve la chimera – Esme…”


Il concitato movimento dei presenti in attesa spezza le parole tra le labbra di Theo, l’attenzione rivolta al dottore appena sopraggiunto, una cartella ricolma di scritte tra le mani, gli occhi stanchi, si sfila la mascherina dalle labbra schiarendosi la voce


“come sta?”

“sta bene?”

“possiamo vederlo?”


“fortunatamente non ha riportato fratture gravi – spiega il dottore, cercando di placare l’oceano di domande – ma dovrà restare a riposo ed evitare sforzi per i prossimi giorni”

“può tornare a casa?”


Prende la parola Valerian, momentaneo capofamiglia, l’uomo dinnanzi a loro scuote il capo, abbozzando un piccolo sorriso rassicurante


“preferiamo che resti qui questa notte, per ulteriori accertamenti – allunga la mano in direzione del maggiore dei figli Petrescu – domani mattina verrà rilasciato”

“la ringrazio”


Un sospiro di sollievo si leva nell’aria, Timotei stringe le minute dita della sorellina, ancora avvinghiata al ventre di Bianca che sorride ad occhi socchiusi, poggiando una mano alla spalla del fratello


“resterò io – dice questi, scostando una ciocca bionda dal volto della sorella – riportali a casa, saranno stanchi”


Bianca annuisce soltanto, mimando un grazie tra le labbra dischiuse, volgendo poi il busto ad Esmeralda


“vieni con noi?”


La castana tituba, scambiandosi uno sguardo fugace, di muta complicità, con Theo


“vi raggiungiamo lì”


Chiarisce poi, scompigliando i corti capelli color cioccolato di Irina, osservandoli allontanarsi lentamente.
Nel silenzio che ne segue gli occhi glauchi della chimera si posano per istanti interminabili alla statica sagoma di Liam, Mason e Corey ancora al suo fianco, nell’imbarazzo di una situazione che avrebbero preferito evitare.


“grazie”


Spezza il silenzio Esmeralda, sorridendo grata al mannaro


“vi ho rovinato la cena – si scosta una ciocca castana dagli occhi, tossicchiando una risata impacciata – ve ne devo una”


Le labbra di Liam si muovono, ma solo silenzio ne fuoriesce, boccheggia imbarazzato, grattandosi il resto della nuca, abbozzando un tiepido sorriso di cortesia


“figurati”


Dice Mason, afferrando le spalle dell’amico


“credo sia meglio andare – aggiunge poi, lo sguardo ondeggia dalla giovane al mannaro – è stato un piacere incontrarti di nuovo, ci vediamo in giro”

“certo e grazie ancora”


Sorride gentile Esmeralda, osservandoli trascinare Liam oltre le porte d’uscita, è sempre stata piuttosto abile nell’intuire emozioni inespresse, questione d’abitudine, ed il titubare del mannaro, le iridi chiare attraversate da un tempesta di sentimenti, lo sguardo tremulo, l’incertezza dei passi; qualcosa di non detto.
Qualcosa che forse può trovare voce tra le corde vocali di Theo, le iridi dell’amico hanno la medesima tempesta in loro


“lo conosci bene – afferma, affiancandolo sino al parcheggio – non è vero?”


Annuisce soltanto la chimera, cercando le chiavi dell’auto tra le tasche dei jeans sgualciti


“quand’è stata l’ultima volta che vi siete visti?”

“circa tre mesi fa– inspira Theo, posizionandosi al sedile del guidatore – credo”


No, ne è certo.
Ha contato i giorni, le ore, i minuti trascorsi dall’ultima volta in cui i loro sguardi si sono incrociati.
La mente lo ha fatto, senza neppure aver bisogno del suo permesso, un conteggio inconsapevole di una mancanza nostalgica taciuta dall’orgoglio.
Il ricordo tenuto muto, segreto, nascosto in angoli della mente che Theo si era ripromesso di non esplorare; mai più.


“è un tuo amico?”


Una domanda che non ha risposta certa, qualsiasi cosa la chimera possa dire suonerà come una menzogna comunque.


“non lo so”


Con Esmerlada ha smesso di mentire, da mesi, è diventata la famiglia che non si è mai dato la possibilità di avere, la seconda opportunità che non merita, la redenzione che non credeva di poter avere, il giusto cammino che non ha mai percorso.
Con lei non vuole mentire, ma ci sono parole, frasi, verità che è difficile dire.
Ci sono sentimenti che è difficile ammettere, persino a sé.
Un tempo le raccontò di un ragazzo, di qualcuno d’importante, di un rapporto mai definito lasciato sospeso nello spazio di silenzi e spera, mentre la guarda aprire la porta della roulotte che condividono, che possa collegare i pezzi mancanti tra le sue parole; che possa riuscirsi senza che la sua voce debba farlo.


“è molto gentile”


Dice la castana, sedendosi al bordo del letto, lanciando le scarpe consumate al suolo


“sembra il tipo di persona che aiuterebbe chiunque – sorride, raccogliendo i capelli in una coda storta – tipo eroe d’altri tempi”


Forse, si dice Theo guardandola svestirsi, ha collegato ogni tassello del puzzle che le ha lasciato


“credo somigli un po’ al ragazzo di cui mi hai parlato”


Si distende al letto Esmeralda, la maglietta verde militare, troppo grande per l’esile figura, le copre appena l’inguine, poggia la schiena alle fredde lamiere della vettura, la nuca adagiata alla piccola finestra e lo sguardo perso ad analizzare il cielo che s’intravede dalla sottile fessura


“gli somiglia – conclude poi, accavallando le lunghe gambe – perché è lui”


Ne era certo, era sicuro che lo avrebbe capito, qualsiasi sia il suo segreto riesce sempre a leggere tra le righe, tra gli sguardi, tra i pensieri inespressi, di persone Theo nella sua vita ne ha incontrate tante, ma abili a leggere segnali invisibili come lei mai molte; forse è persino l’unica che abbia mai conosciuto ad essere in grado di svelarne ogni menzogna o inganno.
Deglutisce annuendo la chimera, adagiando le scarpe al lato destro dello stretto letto, indossando la solita tuta logora, sedendosi al fianco della castana


“non lo hai salutato”


Gli fa notare, lanciandogli una fugace occhiata in tralice, di quasi materno rimprovero e Theo sbuffa un sorriso sghembo, acerbo


“mancanza di tempo”

“cazzate – soffia Esmeralda, afferrando il cellulare poggiato tra le coperte – ti è mancato il coraggio”


Lo corregge, rigirandosi il telefono tra le dita, una chiamata persa e tre messaggi, fa scorrere l’indice tra i cristalli liquidi sbloccando lo schermo


“e anche a lui – aggiunge, picchiettando frasi di risposta – ma credo gli abbia fatto piacere rivederti”


Sarebbe bello, davvero, poterle credere.
Dirle che forse, solo forse, ha ragione.
Ma i segnali che il corpo di Liam mandava era troppi, troppo intensi, troppo confusi, persino per i sensi sviluppati di Theo, c’erano così tanti odori che distinguerne il significato era quasi impossibile.
Rabbia, stupore, ansia, tristezza, gioia.

Forse Esme ha ragione, magari Liam era davvero felice di vederlo, ma è certo Theo che lo era solo per quell’assurda e fastidiosa questione della responsabilità; lo stesso motivo per cui gli aveva detto che non poteva andarsene da lui.
Ed una felicità simile non è ciò che vuole, se lo era detto anche la sera in cui se ne andò.
Il suono sgradevolmente acuto di una chiamata in arrivo distrae i pensieri della chimera, riportandolo alla realtà


“è Greenberg – sorride lieve Esme – tutta questa faccenda è solo rimandata”


Dice, lasciando scorrere la cornetta verde tra i cristalli liquidi, portandosi il telefono all’orecchio


“ehi”


Il cuore della castana compie un salto, una capriola nel petto, si ferma e poi riparte, al ritmo di un tamburo impazzito; sbuffa un sorriso sghembo la chimera passandosi le dita tra i capelli ormai divenuti quasi fastidiosi che gli ricadono alla fronte.
La osserva disegnare cerchi a terra, in un avanti e indietro sovrappensiero, le labbra piegate in un espressione di luminosa spensieratezza è l’abilità innata di Greenberg, pensa Theo, in qualche modo sa sempre come farla stare meglio; potrebbe crollare loro il mondo addosso eppure riuscirebbe comunque a farla ridere.
A volte, involontariamente, qualcosa, un pensiero insidioso, si fa strada nella mente della chimera; l’invidia.
Invidia quello che loro hanno, perché Theo sa, conosce la verità della sua vita, che non c’è un Greenberg anche per lui, nascosto da qualche parte nel mondo; non c’è, semplicemente non può esserci.

Resta a fissare il soffitto della roulotte, ricoperto di foto, c’è l’intera famiglia Petrescu appesa con fili di nastro adesivo colorato, c’è tutta la loro storia, ogni posto in cui hanno vissuto, ogni istante immortalato lì; su pellicola lucida.
Chissà che fine hanno fatto le sue di foto, se lo chiede da un po’ Theo se esistono ancora tracce della sua infanzia da qualche parte o se, invece, sono andate perdute assieme a tutto ciò che prima era.
Quando ha scelto di fidarsi dei Dottori, quando ha scelto di seguirli, di diventare ciò che è stato, ha dovuto abbandonare la casa in cui era cresciuto, i luoghi a cui si era abituato, se li è dovuti lasciare alle spalle e la famiglia, quella, l’ha dovuta distruggere.
Spezzarla, schiacciarla, calpestarla, nei primi mesi si ripeté che andava fatto, che infondo era persino giusto, una vendetta, una rivincita, per anni il senso di colpa è rimasto muto, sepolto da altro, poi è arrivato il tempo di morire, di venire trascinato all’inferno, di guardare negli occhi vitrei di Tara, di sentire le costole spezzarsi e piegarsi ed il cuore, il cuore di sua sorella, pulsare tra le mani della legittima proprietaria.

E ad ogni costola rotta, ad ogni risveglio, un pezzo di coscienza tornava, un ricordo riaffiorava, la memoria risorgeva, la triste primavera di un condannato all’eterna dannazione; è lì che lo ha trovato il senso di colpa.
Da quando l’inferno lo ha sputato, rigettandolo con violenza, le colpe sono diventate macigni pesanti da trascinare, le memorie ferite destinate a sanguinare in eterno, forse, si dice lisciandosi il petto, è questa la vera condanna.

Passare la vita nella consapevolezza di ciò che è stato, del dolore che ha causato, delle sofferenze che ha generato, della paura che ha rappresentato.
Passare il resto dei suoi giorni a chiedersi come sarà, quando davvero morirà, per sempre, tornare lì, all’inferno, nella certezza che ad attenderlo ci sarà ancora Tara che brama il suo cuore; quel cuore che le spetta per diritto di nascita.
Magari è questa la condanna, la giusta condanna.

Inspira, schiarendosi la voce, aggiustandosi al materasso


“voleva sapere se stavo bene – dice Esme, sdraiandosi affianco alla chimera – e ricordarmi che domani passerà a portarmi lo stipendio”


Farfuglia un “gentile” di circostanza Theo, scivolando tra le coperte


“grazie – soffia la castana, poggiando la nuca al cuscino – per aver aiutato Max, se sta bene è solo grazie a te”

“dovreste dirgli di smetterla d’immischiarsi con i Madison”

“i Mad Son – ridacchia amara Esme, sistemandosi sul lato sinistro – ci abbiamo provato, è inutile, al cuore non si comanda”


Sbuffa un mezzo sorriso acerbo la castana, chiudendo gli occhi, cercando di scacciare l’angoscia della serata appena passata, rifugiandosi nei sogni.
Theo inspira, annuendo impercettibilmente, ripetendosi quelle parole.

Al cuore non si comanda, non c’ha mai creduto ai modi di dire, non li ha mai voluti prendere neppure in considerazione, assurde frasi dette, ripetute così tante volte, da così tante bocche diverse, da perdere significato; da diventare banali cliché.
Eppure, alla fine, c’è rimasto incastrato anche lui in uno stupido cliché.

Al cuore non si comanda, si ripete, cercando di perdersi nel buglio di sogni che non sono mai piacevoli, cercando di dimenticare che, suo malgrado, la sua intera vita, per colpa di due iridi d’un pungente azzurro cielo, è diventata un banalissimo, insopportabile, cliché.



 


 
Salve, eccomi di nuovo qui...
Premetto che questo capitolo non mi convince un granché, ma era da tempo che volevo pubblicarlo ed è abbastanza di passaggio, direi. 
Finalmente Theo e Liam si sono incontrati, in una cirostanza non proprio piacevole, grazie ad Esme che è diventata una specie di punto d'unione tra i due personaggi. 
E, non me ne vogliate, ma non potevo lasciar fuori Greenberg da tutto ciò; gli ho voluto dare un ruolo. Inoltre ho deciso, arbitrariamente, che in questa storia Theo ha avuto già esperienze con lo stesso sesso e che è, iù o meno, dichiaratamente gay; se volete tirarmi addosso pomodori fate pure. 

Spero che il capitolo possa piacervi e che i personaggi siano ancora sufficientemente IC. 

Grazie a tutti coloro che aggiungono tra i preferiti/seguiti/ricordati e grazie ai reconsori. 
Grazie anche ai silenziori lettori,
grazie a tutti
e alla prossima. 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: iamnotgoodwithnames