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Autore: Inevitabilmente_Dea    20/09/2017    0 recensioni
I Radurai, o quello che ne rimane, hanno finalmente attraversato il Pass Verticale che li ha catapultati in una nuova realtà che tutti ormai avevano dato per scomparsa.
Finalmente Elena, i Radurai e tutti gli altri Immuni hanno la possibilità di ricostruire la loro vita da zero, lontano dalle grinfie della W.I.C.K.E.D. e lontani dagli obbiettivi violenti del Braccio Destro.
Torture, esperimenti e sacrifici sono finalmente terminati.
Ora esiste solo una nuova vita da trascorrere in un luogo sicuro e privo di Eruzione. Un vero e proprio paradiso terrestre.
Ma se qualcosa arrivasse a turbare anche quello stato di quiete, minacciando nuovamente i ragazzi?
Se in realtà la corsa per la sopravvivenza non si fosse mai fermata?
Dopotutto nulla è mai come sembra.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gally, Minho, Newt, Nuovo personaggio, Teresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Ero rimasta in ginocchio a fissare il cielo per talmente tanto tempo che alla fine avevo smesso di guardare veramente. Se prima stavo attenta al movimento delle nuvole e il mio sguardo veniva catturato dagli uccelli passeggeri, ora riuscivo a malapena ad elaborare che il cielo fosse azzurro. Ma forse la cosa più strana non era nemmeno quella. La cosa strana era che dentro di me avevo tante di quelle emozioni contrastanti e forti che alla fine non provavo nulla, come se tutte quelle sensazioni si annullassero a vicenda, lasciandomi però con una calma fastidiosa e terrificante. Per mia sfortuna conoscevo quello stato. La calma prima della tempesta. Un po' come succedeva quando il cielo stava per sfogare la sua rabbia con lampi e pioggia, ma prima di farlo se ne rimaneva in silenzio, immobile. Perfino gli uccelli smettevano di volare e tacevano. Poi con una velocità estrema il cielo si ricopriva di uno strato grigio, come se fosse stato invaso da ruggine, ed era allora che tutto prendeva una piega pessima, con tanto di tuoni e pioggia fitta.
Ma nel mio caso, io non ero il cielo in attesa di sfogare la sua pioggia. No, io ero la tempesta in persona.

Sentii come un crack, come se qualcosa di meccanico dentro di me si fosse rotto all'improvviso e una perdita d'acqua avesse iniziato a riempirmi fino a soffocarmi. La calma che mi accompagnava iniziò a macchiarsi sempre più e per un attimo giurai di aver visto il cielo tingersi di nero, come se ci fosse stato un grosso black out. Solo dopo essermi sfiorata una guancia con il palmo tremante compresi che la pioggia avesse avuto la meglio.
Non era uno di quei pianti chiassosi, con tanto di singhiozzi e urla. Era silenzioso e lento, ma anche distruttivo e devastante. Era come se tutte le mie energie stessero scivolando via insieme alle lacrime. Iniziai a tremare e ben presto capii che fosse la rabbia o forse la debolezza a farmi ciò.

Lasciai cadere l'arco a terra e conficcai le unghie nel terreno. Un singhiozzo mi spezzò la schiena e uscì soffocato dalle mie labbra, rompendo per un secondo il silenzio attorno a me.
Avevo fallito.
Avevo permesso alla W.I.C.K.E.D. di portarmi via Hailie ed Elizabeth. Avevo promesso di proteggerle e non ci ero riuscita.
Perchè ero così debole?

Serrai il pugno e lo alzai in aria per poi abbatterlo di nuovo sulla terra. Ripetei l'azione con sempre più forza fino a quando la mia mano iniziò a dolermi. A quel punto lanciai un grido.
Non mi accorsi nemmeno di stare urlando fino a che la gola non iniziò a farmi male.

Basta. Ordinai nella mia mente, con voce ferma e rigida. Sentii la mia voce rompersi ad un certo punto e le mie lacrime bloccarsi negli angoli dei miei occhi, come se qualcuno avesse messo in pausa il mio pianto. Poi tutto cessò.
Allentai la presa sull'erba, mi pulii le mani sui pantaloni e mi scostai una ciocca di capelli ribelli da davanti agli occhi, incastrandola dietro il mio orecchio. Una calma inquietante si calò su di me ed iniziai a comportarmi come se la crisi precedente non fosse nemmeno esistita. E nonostante fossi io stessa a compiere quelle azioni, mi spaventai. Il fatto che mi stessi muovendo a rallentatore, come se avessi tutto il tempo del mondo a disposizione, mi terrorizzava. Eppure non riuscivo a velocizzare i miei spostamenti, forse perchè avevo paura di rovinare la calma che ero riuscita a costruire falsamente attorno a me cercando di mascherare il tornado, o forse perchè ogni mio muscolo pesava come fosse costituito di catrame secco e polveroso.

Impiegai tutte le mie forze per alzarmi in piedi e quando ci riuscii mi voltai verso il bosco. Lo fissai a lungo, cercando di decidere cosa fare esattamente. 
Basta. Mi ripetei nella mente, con un tono che non ammetteva repliche.
Avrei voluto correre tra gli alberi finchè tutto lo stress e la rabbia fossero spariti o almeno finchè i miei piedi lo avrebbero permesso, invece afferrai l'arco e camminai in tutt'altra direzione.

Basta. Avevo pianto, gridato, preso a pugni l'erba, insultato me stessa e perso abbastanza tempo. Era ora di mettere da parte i sentimenti e agire. Sapevo che dovevo riuscire a spegnere tutto ciò che provavo finchè non fossi riuscita a ritrovare ciò che avevo perso, in modo da essere impassibile nella vittoria e nella sconfitta, nella tristezza e nel dolore.
Dovevo riuscire a mettere tutta me stessa nel tentativo di cercare ciò che mi era stato rubato, dovevo trovarlo e poi metterlo in salvo. Solo a quel punto avrei potuto riattivare i miei sentimenti come una macchina, permettendomi di distrarmi e di perdere tempo in emozioni inutili che ogni volta non facevano altro che danneggiarmi.

Individuai il corpo di Stephen ancora steso a terra e lo raggiunsi per poi inginocchiarmi al suo fianco. Sentii qualcuno parlarmi e chiedermi cose in modo confuso e veloce. Ignorai ogni parola molto facilmente dato che le mie orecchie sembravano essersi spente assieme ai miei sentimenti. Presi il volto del ragazzo e sollevando la sua testa delicatamente la appoggiai sulle mie ginocchia con affetto. Gli accarezzai la guancia e fissai i suoi occhi chiusi, sembrava dormire e la sua espressione era così rilassata che assomigliava ad un angioletto, con tanto di capelli bianchi.

Scostai una sua ciocca da davanti i suoi occhi e la mischiai al resto di ciuffi spettinati, scoprendo la ferita sulla sua tempia destra. La osservai attentamente e parte le gocce di sangue che coprivano la maggior parte della superficie della ferita, non sembrava nè profonda nè mortale. Doveva solo essere disinfettata e curata prima che si infettasse, ma il ragazzo sarebbe sopravvissuto.
Mi chinai lentamente verso di lui e appoggiai le mie labbra sul suo orecchio. "Troveremo Hailie e la porteremo indietro. Lei e tutti gli altri bambini, te lo prometto."
Sapevo che il ragazzo non mi poteva sentire, ma non mi importava, forse dirlo ad alta voce era una rassicurazione anche per me.

Sollevai la testa in cerca di Matthew e solo quando alzai lo sguardo in alto mi accorsi che Thomas mi stava ancora parlando con aria preoccupata e spaventata, gesticolando come non lo avevo mai visto fare.
"Vai a chiamare Matthew." fu tutto quello che gli dissi, ignorando completamente tutto ciò che disse prima di quella mia frase. "Digli di cercare chiunque abbia bisogno di cure e di portarlo in infermeria. Portalo prima da Stephen, a Gally ci penso io."
Thomas fece per aprire la bocca e replicare, ma sollevai un dito in aria e lo interruppi, dandogli altri ordini con una calma costante e terribilmente spaventosa. "Quando hai fatto vai a liberare tutti e ordina di fare lo stesso. Quando siete tutti pronti vi voglio qui. Tutti. Non uno più non uno meno."

Appoggiai Stephen delicatamente a terra e poi mi alzai in piedi, mettendomi l'arco sulle spalle. Nel momento in cui feci per andarmene un'idea geniale mi balzò in mente e finalmente il mio petto si liberò di un peso. Sorrisi per un secondo, poi tornai terribilmente seria.
"Oh." mormorai, attirando di nuovo l'attenzione del ragazzo che ora con occhi spalancati mi fissava preoccupato, come se fossi diventata un fantasma. "Se vedi Teresa dille che la cerco e che le devo parlare."
Non aggiunsi altro e mi incamminai in direzione di Gally, cercando di accelerare il passo senza però riuscirci più di tanto. Era come se mi mancasse la grinta o l'energia per fare quel passo di qualità.

Sorpassai qualche persona ancora legata e prima di inginocchiarmi vicino a Gally mi asciugai le guance ancora bagnate con il palmo. Tirai su col naso e fissai il ragazzo in attesa di capire se stesse respirando ancora. Quando vidi la sua pancia alzarsi e abbassarsi ritmicamente tirai un sospiro di sollievo, ma giusto per essere sicura di aver visto bene portai l'indice e il medio sul suo collo, premendo delicatamente sulla vena per captare il battito cardiaco. 
Una volta constatato che anche quello fosse regolare, cercai di sistemare i suoi capelli tutti drizzati in aria per via della scossa elettrica che aveva ricevuto, cercando di ignorare la puzza di bruciato che il ragazzo emanava. Osservai attentamente il suo corpo in cerca di qualche ferita e quando notai un lungo taglio sul braccio mi apprestai ad analizzarlo. Questo, a differenza della ferita di Stephen sembrava un po' più profondo, in particolare nella parte iniziale. Sicuramente qualcuno gli aveva lanciato un coltello mentre si stava muovendo, con la conseguenza che la lama non si era conficcata in un solo punto, ma era scivolata su tutta la pelle per poi andarsi ad infilzare da qualche altra parte. Diedi una veloce occhiata alle mani di Gally e individuai il pugnale a poca distanza dalle sue dita, sull'erba. Lo raccolsi e poi mi sollevai, mantenendo gli occhi sul suo volto.

Sollevai lo sguardo in cerca di qualcuno che mi potesse aiutare a trasportare Gally e quando trovai due uomini abbastanza forti li chiamai a me, spiegando la situazione e chiedendo di portare il ragazzo e qualsiasi altro ferito in infermeria.
Dopodichè mi voltai e iniziai a liberare chiunque si trovasse ancora legato a quelle stupide corde, dicendo ad ognuno di non allontanarsi troppo e di rimanere insieme.

Avevo ormai liberato una ventina di persone quando notai una figura snella e pallida camminare in mia direzione. Dopo aver messo a fuoco la sagoma e dopo aver riconosciuto Teresa mi sbrigai a tagliare le corde legate attorno ai polsi di una donna e mi alzai alla svelta, andandole in contro.
"Thomas ha detto che..."
"Sì." la interruppi subito. "Ho bisogno della tua intelligenza." 
Teresa sorrise timidamente, ma sul suo volto c'era ancora traccia di tristezza e abbattimento. "Hai presente il chip che hai creato?" domandai, aspettando poi che la ragazza annuisse per continuare. "E' possibile riuscire a ricevere il segnale a lunga distanza?"
Teresa aggrottò le sopracciglia, ma subito dopo il suo volto si illuminò di gioia, facendomi capire che la ragazza aveva già intuito a cosa volevo arrivare. "Se anche solo uno dei bambini si ricordasse di mandare l'allarme con il chip, allora..."

"Allora tu riceverai il segnale, ti segnerai le coordinate e potremmo partire seguendo le loro tracce." finii, annuendo e accennando un sorriso contenuto. Non volevo essere felice, non ancora. Avevo solamente avuto una brillante idea, ma ciò non significava nulla. Tutto avrebbe potuto fallire, per quanto mi riguardava: i bambini avrebbero potuto non ricordarsi del chip; la W.I.C.K.E.D. avrebbe potuto toglierlo o convertirlo nuovamente; il segnale ricevuto avrebbe potuto variare con il passare del tempo e non essere quello definitivo. Tutto era possibile e non volevo rischiare di cantare vittoria prima ancora di iniziare la battaglia. Era da stolti.

"D'ora in poi ogni secondo potrebbe essere buono. Vado subito a prendere gli auricolari. Il segnale potrebbe arrivare in ogni momento d'ora in poi." mi informò la ragazza, già correndo a gran velocità verso la sua abitazione.
Mi morsi il labbro cercando di soffocare un sorriso. Non avevo tempo per le emozioni, ora dovevo concentrarmi sul gestire quella situazione al meglio.

Mi guardai attorno e individuai un uomo più o meno sulla quarantina. Senza pensarci due volte lo chiamai a me e gli chiesi di spargere la voce che quella sera tutti si dovessero presentare in spiaggia per discutere della situazione e per decidere come agire. Dopo che lo vidi annuire, lo ringraziai e mi sbrigai a raggiungere Matthew nell'infermeria. 
Non sapevo quante persone fossero ferite, ma in ogni caso sapevo che delle mani in più non facessero mai male.

Quando varcai la soglia della stanza mi bloccai sul posto: c'erano diverse persone stese a terra, altre sedute con la schiena contro la parete, alcune piangenti e altre con l'espressione più avvilita che avessi mai visto. Tutti erano feriti, chi meno con un piccolo taglio sul collo, chi più con un coltello piantato sulla spalla o i segni evidenti di una granata elettrica.
Passai lo sguardo per la stanza cercando Matthew, ma vidi solo Violet e qualche altra persona che non avevo mai notato prima correre da un paziente all'altro con il sudore sulla fronte. Con una camminata veloce raggiunsi la ragazza e lei non appena mi vide lasciò a terra tutto ciò che aveva in mano per venire ad abbracciarmi.

"Dio santo, Elena. Stai bene? Sei ferita?" mi domandò preoccupata analizzando attentamente il mio collo. "Hai ancora i segni rossi delle luride mani di quel..." 
Le sorrisi e raccolsi i suoi palmi nei miei. "Violet, sto bene, tranquilla. Dov'è Matt?"
La ragazza storse la bocca, non molto convinta della mia affermazione, ma lasciò perdere e si guardò attorno esausta, asciugandosi la fronte con il braccio. "E' andato a prendere qualche erba medica, tornerà presto."
Mi morsi il labbro e il mio sguardo cadde su una donna seduta nell'angolo della stanza, lo sguardo vuoto di chi si é perso per non tornare piú, le braccia prive di vita lasciate morte lungo i fianchi e sul pavimento, un profondo taglio sullo zigomo destro e diversi segni di graffi sul petto. Il respiro mi si bloccó in gola quando realizzai che probabilmente io non ero l'unica ad aver perso qualcuno in quella giornata.
Mi morsi il labbro e poi presi un profondo respiro.
"Bene così, allora diamoci da fare." mormorai con voce decisa, arrotolandomi le maniche lungo le braccia.

Stavamo ormai lavorando da ore, correndo da un letto all'altro, curando ferita dopo ferita, rassicurando i pazienti, buttando via garze intrise di sangue e cucendo tagli profondi, ma nonostante il passare del tempo quella giornata sembrava non voler finire mai.
Finii di arrotolare una benda attorno al gomito di un signore sulla quarantina, poi mi discostai lentamente e gli sorrisi incoraggiante, ricordandogli di non fare sforzi troppo pesanti per evitare di riaprire la ferita.
Feci per passare ad un altro paziente quando sentii Violet alzare la voce, spazientita. "Senta, mi dispiace, ma se lei non mi lascia aiutarla io non posso fare nulla." 
Sollevai lo sguardo preoccupata e ben presto la individuai, notandola in piedi intenta a sbracciare davanti alla signora seduta a terra che avevo precedentemente notato per il suo stato fisico ed emotivo.

Mi incamminai verso di loro quando la mia amica parló ancora. "Abbiamo parecchio lavoro da fare quindi se non ha intenzione di lasciarmi fare il mio lavoro allora dovrebbe alzarsi e levare il..."
"Violet." la richiamai in modo delicato, appoggiando una mano sulla sua spalla e interrompendola. "Ci penso io, okay?" 
La ragazza strinse le labbra, visibilmente stanca e frustrata. "Ma lei non..."
"Sei stanca, Violet. Lo siamo tutti, qui. Ma ora ci sono meno persone da curare e sono certa che io e Matt abbiamo la situazione sotto controllo, quindi perché non vai a mangiare qualcosa e poi a farti una bella dormita?" 
La ragazza abbassó esausta lo sguardo. "Sì." concesse alla fine. "Suppongo che sia una buona idea. Devo anche andare a controllare come sta Minho, quindi va bene." mi informó con voce debole, quasi come se non si fosse resa conto di stare parlando ad alta voce.
Si grattó la testa in modo distratto, poi mi rivolse un debole sorriso e tornó in sé. "Grazie, El. Vedi di non incaspiarti troppo, okay?"
Ricambiai il sorriso e annuii sincera, osservandola poi lasciare la stanza.
Puntai lo sguardo sulla donna ancora seduta a terra con lo stesso raccapricciante sguardo negli occhi.
Mi inginocchiai accanto a lei e lanciai un'occhiata alle bende e al disinfettante che Violet aveva abbandonato a terra accanto a lei.
Lanciai un'occhiata ai suoi palmi rivolti verso l'alto, anche loro abbandonati a se stessi.

Non sempre le ferite si curano con ago e filo. Pensai tra me e me.
Osservai di nuovo le dita della donna e quasi automaticamente mi ritrovai a stringerle forte alle mie.
"Mi dispiace."
La donna sollevó lo sguardo, quasi sorpresa. "Come?"
"Mi dispiace per tua figlia." mormorai ancora.
Lei strinse le labbra e mi scrutó con attenzione per poi correggermi. "Figlio. É un maschio." le sue labbra tremarono. "Come fai a..."
"Sapere che hai perso qualcuno oggi?" domandai, rubandole le parole di bocca. "Quasi tutti hanno perso qualcuno oggi e le espressioni sul volto spesso parlano per noi." 
Lei serró le labbra. "Si chiamava Allen."
"Elizabeth ed Hailie." replicai, sorridendo malinconica e afferrando il disinfettante.
"Sorelle?"
Annuii senza nemmeno pensare alla parola e al suo significato. Non eravamo sorelle di sangue, certo, ma le avrei protette con la mia stessa vita perché facevano parte della mia vita, della mia famiglia.
"Me lo hanno strappato dalle braccia." ricordó lei, sfiorandosi con le dita i graffi sul petto e rivelandone altri lungo le braccia.
Le afferrai la mano e le passai sopra il disinfettante con delicatezza, vedendola abbandonarsi alle mie cure, quasi come se quel contatto le stesse dando sollievo dal dolore.

"Ti prometto che faremo di tutto pur di riprendere ciò che ci è stato sottratto." la rassicurai, passando a curare le ferite sul suo petto.

La donna rilasciò una risata amara, spenta e priva di ogni sorta di divertimento. "Ragazzina, stai parlando della W.I.C.K.E.D., non di una normale associazione." il sorriso debole si spense sulle sue labbra e il suo volto si rabbuiò, diventando spento e accentuando le rughe attorno i suoi occhi e sulla sua fronte. "Io non abbraccerò mai più il mio bambino e tu non rivedrai più le tue sorelline. L'unica cosa che possiamo fare è sperare di continuare a vivere la nostra miserabile vita nella speranza che la W.I.C.K.E.D. non torni a farci visita."

Interruppi le mie cure e scostai la mano indaffarata a disinfettare le ferite, portandomela al petto come se mi fossi scottata. Come poteva una persona perdere la fiducia in così poco tempo? Come poteva qualcuno gettare la spugna ancora prima di aver provato? Come poteva una madre mettere da parte la scomparsa del proprio figlio per continuare a vivere?

Aprii la bocca per replicare, ma la donna parlò ancora, lasciandomi con ancora più delusione nel cuore. 

"Si conquista solo una cosa alla volta, bambina cara." mormorò alzandosi in piedi e guardando il vuoto davanti a sè, senza abbassare lo sguardo verso di me. "Abbiamo avuto la libertà, non possiamo anche chiedere la felicità. Ogni cosa ottenuta ha un prezzo e questo è ciò che dobbiamo pagare per essere fuggiti dalla W.I.C.K.E.D."

E con la stessa espressione vuota e priva di ogni sentimento, la donna iniziò a muoversi verso l'uscita. Rimasi a fissarla allibita finchè la sua figura si fece sfocata e si mischiò alla folla ancora presa dal caos.

Ogni cosa ha un prezzo, ma non vale solo per noi. Ripetei nella mia mente, per poi alzarmi in piedi e pulirmi i pantaloni in modo distratto. Ora è il momento che la W.I.C.K.E.D. paghi il suo debito.

*Angolo scrittrice*

HEY-HEY-HEY-HEYYY!

I'm back! Vi sono mancata? Spero di sì, perchè voi mi siete mancate un sacco.

So che aspettavate questo capitolo da più di un mese, ma questa nuova vita richiede molto dal mio corpo e dalla mia mente, perciò anche quando ho qualche momento libero è molto difficile scrivere qualcosa di sensato e coinvolgente.

Probabilmente avrete un sacco di domande da farmi, perciò sbizzarritevi nei commenti! Cercherò di rispondere meglio che posso o magari potrei farci un piccolo capitolo se le domande sono tante.

Nel frattempo ci tengo a dirvi due piccole cose:

1) Sto scrivendo una specie di diario di sopravvivenza, dove appunto ogni giorno cosa faccio e come mi sento, in modo che mi ricorderò per sempre questa esperienza. Ma poi ho pensato: perchè non condividerla? Perciò il progetto è, una volta tornata in Italia e dopo essermi messa in pari con lo studio arretrato, di pubblicare questo piccolo diario in modo che ognuno di voi possa vivere la mia stessa esperienza attraverso i miei occhi. Chissà, magari un giorno sarà anche un aiuto per i prossimi exchange students!

2) Vi assicuro che qui sto bene, quindi non preoccupatevi per me. I primi giorni è stato difficile, molto difficile, ma ogni giorno le cose migliorano e a volte ho i miei momenti di nostalgia. La scuola è difficile, ma solo per la lingua, perchè i test sono mooolto semplici. Lo sport è anche quello difficile, ma quella è colpa mia: ho scelto corsa e, non avendo mai camminato in vita mia, ora mi ritrovo a dover partecipare a gare lunghe 3 miglia con atleti molto preparati. Be' se devo scegliere tra la fatica per una sola mezz'ora tre volte a settimana e il tornare rotolando in Italia per via del mio peso esagerato, scelgo la prima con tanto di fiato corto in allegato!

Perciò, se avete domande sulla mia esperienza (o anche sulla storia, perchè no), bombardatemi nei commenti e sarò felice di rispondervi!

Mi siete mancate, lettrici del mio cuore 

Baci,

sempre vostra Elena ღ

 

 

   
 
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