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Autore: ValeriaLupin    21/09/2017    1 recensioni
"Il primo bacio di Teddy era avvenuto quando aveva quattro anni ed era stato uno scoccare di labbra goffo e innocente: un gioco fra lui e Victoire, accompagnato dalle risate scroscianti di genitori e amici.
Era uno di quei giochi che, crescendo, possono diventare pericolosi. Così, crescendo, smisero di giocarci, finendo per evitare persino di parlarsi: divennero due semplici estranei."
Ted e Victoire, immersi nella fragilità e nell'incertezza dell'adolescenza, si scoprono diversi e simili, come fossero sempre stati solo due estranei.
Dal quarto capitolo:
"«E così, eccoci qui» mormorò Ted, spezzando il silenzioso cantare dei grilli «due Prefetti fuori dai Dormitori oltre l'orario consentito»."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dominique Weasley, Harry Potter, James Sirius Potter, Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Harry/Ginny, James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Questo capitolo lo voglio dedicare a StrangerGirl, questo è il mio personale ringraziamento per aver speso un po' del tuo tempo in quella recensione che mi ha scaldato il cuore. 
Grazie.


Capitolo due: Una brutta sorpresa

 

 


 
“L'atto di disubbidienza, in quanto atto di libertà, è l'inizio della ragione.”
Erich Fromm

 

Dopo il viaggio, lo smistamento e i doveri da Prefetto cui aveva diligentemente adempiuto, Teddy si sentiva distrutto. Si era letteralmente gettato a peso morto sul suo letto a baldacchino appena entrato nel dormitorio maschile, mentre gli altri si rilassavano sul proprio già da qualche ora.
D’un tratto spalancò gli occhi, evitando così di addormentarsi ancora vestito, e balzò in piedi, dandosi del cretino. «Merda, Rick!» esclamò dispiaciuto «non ti ho neanche salutato!» e, dicendolo, lo abbracciò e sorrise, constatando che lui non se l’era presa più di tanto.
«Quei bambini mi distruggono ogni volta» si giustificò con l’amico.
«Certo, tre mesi che non ci vediamo e tu mi dimentichi, comprensibile» rispose l’altro a mo’ di battuta, ma Ted sapeva che era in parte serio.
Borbottò che era ridicolo e doveva piantarla, ma, a dire la verità, non aveva più forza neanche di parlare, voleva solo chiudere gli occhi e affondare la testa nel suo cuscino, sperando di svegliarsi riposato per il primo, terribile, giorno di scuola.
Una speranza che venne presto infranta quando, mentre metteva in ordine le sue cose, chiese a Kavin di sua madre.
Calò un silenzio pesante, come se tutti trattenessero il respiro dentro quella stanza stipata di letti e bauli, come se Ted si fosse perso un tassello fondamentale del discorso. Kevin lo guardava con occhi trasparenti e acquosi, sembrava stesse fissando negli occhi uno sconosciuto e prendendo una decisione, a un tempo.
«È morta» soffiò al silenzio, nella penombra il suo sguardo divenne perfido e deciso.
Gli occhi di Ted si riempirono di lacrime, scosse la testa, sconvolto.
«Quando?» sussurrò, la voce che gli raschiava la gola e quel silenzio che gli forava i timpani. Nessuno diceva una parola, nessuno faceva un respiro rumoroso, preservavano quel silenzio con tanta cura che per un attimo si chiese se avesse sbagliato a spezzarlo.
«Quasi un mese» gli rispose. Il suo sguardò vagò sul pavimento e Ted non poté fare a meno di sentirsi tradito, ferito da quella omissione.
«Credevo di… di essere importante per te, un amico»
«Anch’io credevo di esserlo per te» ribatté, alzando la voce
«Lo sei!» lo sovrastò Ted, quasi urlando «Ci sarei stato per te, se tu me lo avessi detto». Ma non servì, Kevin aveva la delusione nello sguardo pieno di lacrime e lui non capiva da dove provenisse. Il ragazzo si lisciò i capelli neri con una mano, lasciando che l’eco della voce di Ted si spegnesse, rendendo le sue parole così vuote da perdere ogni significato.
«Nelle lettere eri tutto preso dal propormi scherzi da fare quest’anno» riprese poi «non sono riuscito a scriverlo, non volevi parlare d’altro…».
«Non ti rendi conto?» sputò Ted «Mi hai cacciato dalla tua vita, neanche fossi un conoscente qualunque, questo mi ha feri-»
«Ah, non lo so» lo interruppe Kevin, urlando «deve essere la stessa sensazione di vedersi arrivare lettere su lettere che non dicono nulla e non vogliono affatto farlo, ciarlare di scherzi era solo un modo per non parlarmi» lo accusò, alzandosi «avevi qualcosa da dire, si percepiva, ma non volevi condividerlo con me!».
«Be’, forse non mi sentivo pronto a dirlo a nessuno» strillò in risposta
«E forse io avevo qualcosa di più importante da dirti!»
«Come potevo saperlo?»
«Lo avresti capito se solo fossi stato attento alle mie lettere. Io l’ho fatto con le tue…» ringhiò lui «Ma a te non fregava niente!».
«Questo non è vero, lo sai» glielo disse con voce più calma, ridotta quasi a un sussurro, il respiro in gola e gli occhi lucidi. Lo guardò a lungo, il senso di colpa che si faceva strada dentro di lui «Mi dispiace» aggiunse con voce rotta, prima di abbandonare il Dormitorio e oltrepassare la Sala Comune di Tassorosso, senza guardarsi indietro.
 
Una volta uscito si inoltrò nelle cucine e gli elfi lo accolsero con grande gioia ed entusiasmo. Lui sorrise a tutti, di un sorriso finto e triste, ma abbracciò quelli cui era più legato: Menica e Tollet. La prima era un’elfa magra come un giunco, con la schiena ingobbita dall’età e due occhi color caramello. Faceva parte di quegli elfi che avevano deciso di vestire in modo diverso dal tradizionale straccio legato intorno alla vita; grazie alle numerose battaglie del C.R.E.P.A., divenuta un’associazione di grande importanza grazie alla presenza del padrino fra gli attivisti, gli elfi erano ora in possesso di numerosi diritti. Il diritto alla libertà, per primo, che si era tradotto in diritto a servire, perché questa era la volontà della maggior parte di loro: in pochi si erano avventurati in altri mestieri e quasi nessuno aveva preso strade opposte a quella della loro natura servile.
Menica era minuta persino per essere un’elfa e indossava strati su strati di maglie e pullover per rendersi leggermente più tonda, portava anche dei pantaloni larghi che si tirava sulla vita ogni volta che le scendevano al di sotto, mostrando le mutande a fiori gialli.
“Dovrei regalarti una cintura” la canzonava bonariamente, di tanto in tanto.
Ted le era così affezionato che la aveva regalato un bastone da passeggio cui poggiarsi mentre era nelle grosse cucine. Tollet era invece un elfo dal pelo rosso e la testa squadrata, talmente buffo da risultare ridicolo a guardarlo, eppure aveva una mente così acuta che spesso lo aveva aiutato con i suoi compiti. Tollet era un gran lettore e amava l’arte delle pozioni, scoprire i benefici delle erbe, i poteri degli intrugli più complessi. Era un ottimo pozionista, talmente bravo che a Ted era sembrato un grande spreco tenerlo dentro le cucine di Hogwarts.
Col tempo, però, aveva capito che Tollet era particolarmente legato a quel posto; vi aveva vissuto gran parte della sua vita e abbandonarlo avrebbe significato lasciare indietro tutti i suoi affetti, compresa la madre, morta appena qualche anno prima. Lei aveva lavorato come cuoca per tutta la sua vita, immersa nei vapori e nelle spezie di quella cucina, portandolo con sé e lasciando che leggesse i libri della fornita biblioteca della scuola.
“Qui sono cresciuto e qui invecchierò” soleva dire Tollet con un sorriso.
“Saresti un perfetto Corvonero” lo stuzzicava qualche volta lui.
Menica, dopo averlo abbracciato a lungo, gli allungò qualche moneta dorata e una barretta di cioccolato fondente, come al solito.
«Credevo non saresti venuto fino a domani sera» gracchiò l’elfa, tirandosi i pantaloni sulla vita. “Eppure ha preparato comunque i galeoni e il cioccolato” aveva pensato Ted, allargando il sorriso, mentre gli altri elfi saltellavano, in fermento, e gli offrivano qualche pietanza avanzata dalla cena.
«Ne avevo bisogno stasera» fece lui. Sì, aveva bisogno di un po’ di calore e che fosse umano o elfico, a lui non faceva alcuna differenza.
Tollet, invece, era in un angolo lontano dal trambusto, immerso in una lettura concentrata. Quando aveva captato la voce di Ted, aveva chiuso il tomo e si era alzato dal suo sgabello accanto al fuoco per salutarlo con un abbraccio energico e riempirlo di domande.
«Come stai?»
«Bene», ma Tollet era un tipo molto perspicace e arricciò il lungo naso nel sentire il tremito della sua voce
«È successo qualcosa?» gli domandò l’elfo, con tatto
«Nulla di grave» lo rassicurò Ted prima di ringraziarlo «verrò anche domani».
L’elfo annuì, intuendo che Ted, quella sera, se ne sarebbe andato presto per stare solo e riflettere. E così fu, il ragazzo salutò e ringraziò tutti prima di uscire, con la promessa che sarebbe tornato l’indomani per stare con loro un po’ più a lungo.
Una volta chiusa la porta-dipinto alle sue spalle, cercò nelle tasche e estrasse la bacchetta.
«Lumos» mormorò e la punta si illuminò dandogli la possibilità di aprire la barretta e vedere la strada che stava percorrendo, addentando il cioccolato a piccoli morsi. Lasciò che i suoi piedi lo guidassero da soli, senza minimamente essere attento a dove era diretto.
Si fermò solo molto più tardi, davanti la targa placcata in oro in memoria dei caduti in guerra, oltre i loro nomi v’era una sezione di ringraziamento speciale a coloro che erano morti in difesa di Hogwarts, nella battaglia finale che aveva segnato la vittoria definitiva contro l’Oscuro Signore. Ted alzò la bacchetta, inondando di luce i nomi sotto la dicitura “Ai caduti nella battaglia di Hogwarts”. Fra loro scovò il nome di sua madre e quello di suo padre, lontani, in ordine alfabetico, come su un elenco telefonico.
Ted lasciò cadere il braccio lungo il fianco, la bacchetta stretta nel pugno che illuminava il pavimento, rivelandone scheggiature e imperfezioni cui non aveva mai fatto caso prima d’allora. Restò a fissarle per minuti interi, senza fare il minimo rumore, finché uno scricchiolio, come quello di una suola vecchia, lo destò da quella condizione apatica, facendogli perdere un battito. Se qualcuno l’avesse trovato lì, in giro per il castello a notte inoltrata, si sarebbe beccato una punizione e avrebbe fatto perdere una ventina di punti alla sua Casa.
Si guardò intorno, circospetto, muovendo la bacchetta davanti al viso e cercando la fonte del rumore. Lo avvertì nuovamente, perfettamente chiaro e limpido, pareva il cigolio della finestra al suo Dormitorio. Si rilassò, concludendo che doveva essere un rumore del castello: una finestra, una porta, Pix forse, ma pur sempre un suono lontano e facilmente fraintendibile.
Mosse qualche passo, sincronizzandovi il respiro per sedare la paura e presto si trovò accanto alle serre. All’interno, attraverso il materiale rigido e trasparente, nonostante l’oscurità in cui era immersa, si potevano scorgere piante verdi e rigogliose, altre gialle che si arrampicavano sulle pareti come ragnatele, piccoli arbusti immersi nel terreno, un angolo della serra risaltava agli occhi, illuminato da luci artificiali (una magia piuttosto semplice) per quella vegetazione che aveva bisogno di un apporto di luce maggiore rispetto alle altre. Il professor Paciock si occupava di quella serra come di un figlio, per cui non si sarebbe sorpreso nello scoprire che la controllasse anche di notte. Dunque, quando intravide una figura slanciata al suo interno, fu colto da un’ansia incontrollata.
Aveva un buonissimo rapporto con il professore di Erbologia, ma non credeva che sarebbe venuto meno ai suoi doveri di professore in onore della loro amicizia. Non era il tipo da infrangere le regole futilmente.
Poi lo sentì. Di nuovo quel rumore, più vicino e più chiaro. Era un singulto e avvicinandosi, alla lieve luce artificiale, capì a chi appartenesse. Victoire Weasley piangeva, accarezzando distrattamente le fragili foglie di dittamo, con le esili spalle che sobbalzavano a ogni respiro rotto e le guance arrossate dal vento fresco.
Vedendola così, Ted non avrebbe mai detto cosa stava per fare di lì a qualche secondo; se ne stava lì, seduta accanto ai vasi di mandragole, facendo penzolare le gambe dal ripiano cui si era accomodata. D’un tratto la ragazza si portò le mani alla testa, infilando le dita fra i capelli biondi, come se cercasse di reprimere un forte mal di testa. Invece balzò a terra con ferocia, spingendo dal ripiano i vasi di mandragole, dittamo, orclumpo e qualsiasi cosa potesse raggiungere. Alcune giovani mandragole cominciarono a piangere quasi all’istante.
Ted si portò le mani alle orecchie proprio mentre lo faceva anche Victoire, evitando così di svenire. La ragazza, in preda al panico, sferrò un ultimo calcio a un vaso che aveva gettato a terra e corse fuori dalle serre, tenendosi le mani ancorate alle orecchie.
Fu così che Victoire lo vide, appena fuori dalle serre, con un’espressione in viso che doveva essere piuttosto spaventata. Lei, con ancora il viso bagnato, si limitò a fermarsi a guardarlo ancora più preoccupata, prima di scappare senza dire nulla.
Ted la imitò: corse dal lato opposto, svoltando nei corridoi illuminati dalla sua bacchetta con una velocità tale che sentiva le suole delle sue scarpe sgommare, fischiando, sul pavimento del castello. Giunse alla Sala Comune di Tassorosso senza incontrare nessun professore, miracolosamente salvo da ogni possibile provvedimento avrebbero potuto prendere in caso l’avessero scoperto. Si scaraventò sulla poltrona, chiudendo gli occhi e respirando con affanno. In quel momento, giacendo sudato davanti al camino spento, gli si dipinse davanti l’immagine di Victoire mentre si fermava dinnanzi a lui: i capelli disordinati che le ricadevano per metà sul volto accaldato e lentigginoso, gli occhi ancora rossi di pianto, le labbra semiaperte che indicavano sorpresa. Una brutta sorpresa.
Ted si addormentò così, su quella poltrona sfondata nel tepore della Sala Comune di Tassorosso, con l’odore di cannella a solleticargli le narici e il volto di Victoire la mente.



Noticine: Ciao a tutti! Bentornati <3
Spero che la storia vi stia piacendo e, se così non è, che non abbiate problemi a farmelo notare :) Vi sta incuriosendo Victoire? Chissà quale sarà stato il motivo del suo gesto... e il litigio di Ted con Kevin sembra piuttosto pesante, tanto da turbarlo quasi più del suo incontro con Victoire. 
Ah e povero Professor Paciock :')
Ringrazio infinitamente Algiel12, Deidara7, Guilty Pleasure, InTheMiddleOfNowhere, Selenion e, nuovamente, StrangerGirl per aver messo la storia fra le seguite, ma anche Dio_dei_Fluff per aver inserito la storia fra le ricordate. Spero di non deludere le vostre aspettative :)
Fatemi sapere se vi sta piacendo e alla prossima!
Bacioni :*


 
   
 
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