Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: _Pulse_    24/09/2017    1 recensioni
[Dal Capitolo 2]
«Come sta?», gli chiese Alex, rompendo quel silenzio che l’avrebbe fatta diventare matta se sommato all’innocente bellezza degli occhi di Merlino.
«Molto meglio. Ora dorme».
«Bene. Come hai detto che si chiama?».
«Artù».
«E tu e lui… vi conoscete da molto?».
«Da sempre».
Alex sollevò di scatto gli occhi e trovò i suoi luminosi, anche se velati di lacrime. Si chiese se fosse il caso di continuare con quell’interrogatorio o se fosse più opportuno aspettare che fosse Merlino a parlarle di lui. Dopotutto l’aveva soccorso – se non salvato – e l’aveva ospitato a casa sua: qualche informazione in più era un suo diritto, se la meritava.
Ma forse l’unica vera ricompensa che desiderava era proprio quella che Merlino le offrì, prendendole inaspettatamente una mano e stringendola forte tra le sue, facendo sì che i loro occhi si incatenassero.
«Ti sei tuffata nel lago per aiutarlo, vero?».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
27. The sword in the stone


Cathleen si girò nel letto ed aprì un'occhio, trovandosi di fronte ad un Artù già sveglio, con le spalle contro la testiera del letto e lo sguardo assorto.
«Ehi», lo riportò alla realtà, sventolandogli anche una mano davanti agli occhi.
«Buongiorno», la salutò lui dopo aver sbattuto le palpebre, abbozzando un sorriso.
Scivolò di nuovo sdraiato sul letto e l'abbracciò, per poi posarle dei lievi baci sul collo pallido in confronto ai capelli rosso sangue.
Il paramedico mugugnò deliziata, poi gli chiese: «Da quanto tempo sei sveglio?».
«Mezz'ora, circa. Pensavo a quello che mi hai detto ieri a proposito di Abby... Davvero potrebbe non farcela?».
Ormai tutta la magia era svanita, perciò Cathleen sciolse l'abbraccio e si girò sulla schiena a guardare il baldacchino sopra le loro teste, cupa in viso.
Il suo silenzio fu meglio di una risposta per Artù, il quale riprese: «Una volta Mark mi ha detto di temere che Abby non sarebbe più uscita dall'ospedale e non voglio che accada».  
All'improvviso il suo umore migliorò, tanto che riuscì persino a sorridere. «Che cos'hai in mente?».
Artù ricambiò e si avvicinò al suo orecchio per sussurrarle quello a cui aveva pensato, quindi attese il suo responso.
Cathleen ci rifletté un po' su, ma dopotutto non c'era molto su cui riflettere: l'idea di Artù era buona ed era certa che sarebbe stato il modo giusto per creare un bel ricordo, magari uno degli ultimi.
«Dovremo parlarne con i dottori che hanno in cura i ragazzi e chiedere il permesso alle loro famiglie, ma per quanto mi riguarda il tuo piano è promosso», esclamò alla fine, prima di prendergli il viso tra le mani e baciarlo a stampo sulle labbra.
Artù avrebbe voluto approfondire, ma il paramedico si sottrasse ridacchiando.
«Scusami, ma la natura chiama».

Dopo la capatina in bagno di Cathleen, entrambi scesero al piano inferiore per fare colazione. Merlino era già sveglio, mentre Alex, dopo il turno di notte, era collassata sul divano e non si era più mossa.
«Che cosa stai facendo?», gli domandò Artù entrando in cucina, cogliendolo nel patetico tentativo di vedere qualcosa attraverso i cristalli.
Lo stregone sospirò ed allontanò le mani per strofinarsi gli occhi. «Niente, non ci riesco. È come se mi avessero tagliato fuori».
«Benvenuto tra noi», esclamò Cathleen, battendogli una mano sulla spalla.
Merlino le porse la tazza per il secondo giro di caffé ed aspettò che Artù finisse di mangiare e che si vestisse, poi salutarono il paramedico e andarono al lavoro.
Sulla strada, Artù spiegò a Merlino ciò a cui aveva pensato e lo trovò d'accordo.
«I bambini saranno felici di uscire un po'. Abby in particolare ne ha proprio bisogno».
«È quello che pensavo».
«Prima di chiedere ai signori Morris però è meglio parlarne anche con Alex».
«Va bene. A proposito... che cos'ha deciso di fare?».
Merlino si strinse nelle spalle, gli occhi fissi oltre il parabrezza della Pininfarina. «Questa sera andiamo a prendere Excalibur. Non abbiamo scelta: se Freya riuscirà davvero a risvegliare i poteri dormienti di quei ragazzi, Alex dovrà potersi difendere».
«Sai... Credo anche io sia la nostra unica possibilità», disse Artù, sorprendendo non poco il mago. «E adesso che è a conoscenza della magia nera di Morgana potrà cercare di combatterla».
«Forse», soffiò Merlino, rimanendo comunque preoccupato.
All'agriturismo i due si separarono per svolgere le loro mansioni, ma le loro menti rimasero fisse su Alexandra, la quale da un giorno all'altro si era ritrovata con tutto il peso del mondo sulle spalle.

***

Alex aprì gli occhi e riconobbe immediatamente Avalon, anche senza la nebbia che di solito nascondeva alla vista la sua isoletta centrale con la torre diroccata, un semplice cumulo di pietre.
Quella mattina l'acqua era uno specchio su cui si riflettevano il cielo azzurro e le nuvole bianche e soffici come zucchero filato e Alex trovò tutto così strano che iniziò a sospettare che stesse per accadere qualcosa di grosso.
«Noi siamo pronti», disse una voce gentile alle sue spalle, la voce di Merlino.
Indossava un completo scuro, con tanto di cravatta, e le sorrideva malinconico, gli occhi lucidi di lacrime. Dietro di lui c'erano Artù, Cathleen e persino Mark in sedia a rotelle, a loro volta elegantissimi e dalle espressioni addolorate. Nelle retrovie, ai confini del bosco, c'erano i ragazzi che Darrell aveva visto con Freya, ma al posto di Jake c'era una giovane donna afroamericana, quella che probabilmente era stata reclutata a Glasgow.
Alex abbassò gli occhi e si accorse che anche lei indossava una mise da funerale: un lungo vestito nero con il corpetto stretto e tempestato di brillanti e un velo trasparente che le copriva il decolté e le si intrecciava intorno al collo.
Poi si accorse dell'auto funebre e della bara al suo interno e si sentì tremare da capo a piedi. Probabilmente venne preso come un cenno d'assenso, perché Merlino, Artù, il ragazzo dai capelli scoloriti e Mark stesso la tirarono giù e la portarono fino alla riva del lago, dove una barchetta era stata trasformata in un letto di foglie e fiori freschi.
Mark cadde in ginocchio accanto alla bara, scoppiando a piangere senza ritegno, graffiando la verniciatura del legno e gridando il nome di Abby.
Alex sarebbe scoppiata a piangere a sua volta se lo squillo del campanello non l'avesse sbalzata fuori da quella visione e l'avesse svegliata, tanto improvvisamente da ritrovarsi ad annaspare, seduta sul divano nel salotto di Merlino.
«Ehilà, bella addormentata», la salutò Cathleen, diretta alla porta. Prima di aprire però la guardò con espressione quasi materna: «Sei pallida come un fantasma... Hai avuto una visione?».
Alex sospirò e si passò le mani sul viso, cercando di cancellare ciò che aveva visto, ma non servì a molto. Nel frattempo Cathleen aveva aperto la porta, mostrando un Darrell in divisa e con un sacchetto della Caffetteria Begum in mano.
«Fisher», esclamò stupita. «Che ci fai qui?».
«Alexandra è in casa? Devo parlarle».
Cathleen si fece da parte riservandogli un'occhiata sospettosa e Alex si alzò in piedi, appiattendosi frettolosamente i capelli gonfi sulla testa.
Rimasero a guardarsi da lontano fino a quando Darrell non gettò un'occhiata a Cathleen, facendole capire che voleva parlare con lei in privato.
Il paramedico sollevò le mani in segno di resa: «Okay. Io sarò in cucina, nel caso in cui abbiate bisogno di me».
Lanciò un'eloquente occhiata all'infermiera, la quale si irrigidì sul posto e si schiarì la gola, facendo segno a Darrell di accomodarsi.
«A cosa devo il piacere?», gli chiese quando trovò il coraggio di aprire bocca.
«Io, uhm... ti ho portato un caffé e una fetta di torta ai semi di papavero. La signora Begum ha detto che è la tua preferita».
Alex strabuzzò gli occhi, incredula. «E per quale motivo l'hai fatto?».
Il cuore le era salito fino alle corte vocali, rendendo la sua voce più acuta del solito, ma poi il pensiero di Merlino e delle dure parole dell'agente la convinsero a rispedirlo al suo posto e ad esclamare in tono pungente: «Sei venuto ad arrestarmi per aver mentito ad un pubblico ufficiale? O per intralcio alla giustizia?».
«Potrei, ma non lo farò», rispose Darrell pacatamente, posando il sacchetto sul tavolino. Quindi si sedette sulla poltrona alle sue spalle e senza interrompere il contatto visivo spiegò: «Avevi ragione, a proposito dei campi. E sono venuto a scusarmi: ho sbagliato a dire che quelli come voi non dovrebbero esistere».
Alex abbassò gli occhi, fingendo di interessarsi a ciò che c'era nel sacchetto della caffetteria. «Mi fa piacere sentirtelo dire. Accetto le tue scuse».
«Questo non vuol dire che abbia cambiato idea su tutto il resto», aggiunse l'agente. «Non tutti sono come te, Alexandra. Non tutti utilizzerebbero la magia per fare del bene e Freya ne è l'esempio. Per questo credo che la magia dovrebbe continuare ad essere... bandita. Il mondo sta andando in rovina? Potremmo iniziare a prendercene più cura, a trovare delle soluzioni alternative grazie alla scienza. E se non cambierà nulla pazienza, è il ciclo della vita».
Alex non riuscì a rispondere, troppo spiazzata dal suo ragionamento. Una sgradevole sensazione le strinse lo stomaco e pensò a Uther Pendragon: lei non l'aveva conosciuto, ovviamente, ma Morgana era stata come una figlia per lui fino a quando non aveva scoperto di esserlo davvero. Quello che provò fu forse uno strascico del rancore non ancora del tutto svanito nei confronti del re di Camelot: anche lui aveva combattuto la magia per tutta la vita, ma che cosa sarebbe successo se invece di Nimueh avesse incontrato una strega buona? La sua opinione sarebbe cambiata? O forse, semplicemente, certe persone non potevano tollerare la presenza di individui capaci di fare cose straordinarie? La gelosia, l'invidia e la paura del diverso erano stati d'animo più che moderni e Alex li capiva, ma non le appartenevano. Per questo accettò la sua presa di posizione e prendendo un sorso di caffé gli chiese che cos'avesse intenzione di fare.
Il poliziotto si alzò dalla poltrona col classico cappello bombato tra le mani e sospirò rassegnato. «È mio dovere proteggere e servire, perciò vi aiuterò a fermare Freya. Dopodiché, se mai ne uscirò vivo, mi farò trasferire da qualche altra parte e mi dimenticherò ogni cosa».
Alex annuì, senza nemmeno provare a convincerlo a ripensarci.
L'aveva visto quando era stata alla caverna dei cristalli con Merlino: aveva chiaramente visto Darrell impugnare Excalibur ed alzarla al cielo, perciò in qualche modo avrebbe partecipato alla battaglia. Dopo che Cathleen le aveva raccontato di come Merlino era riuscito a far scappare Hala e Baqi fingendosi un demone, era certa che si sarebbe avverata anche quella visione. E riguardo al trasferimento... era meglio così.
Quindi si alzò per accompagnarlo alla porta e lo ringraziò per la colazione, nonostante fosse passata da un pezzo l'ora di pranzo. Si congedarono in modo molto formale e l'infermiera lo guardò percorrere il vialetto per raggiungere la volante, fino a quando non le venne un sospetto riguardante le sue ultime parole.
«Ehi, Darrell».
L'agente si voltò e la guardò, in attesa.
«Che vuol dire: "Se mai ne uscirò vivo"?».
Darrell aprì la bocca con un sorriso amareggiato sulle labbra, ma il suo cellulare iniziò a squillare e prima di rispondere alla telefonata scosse il capo, facendole segno di dimenticarsene.
Alex rimase sulla porta fino a quando non lo vide salire sull'auto e partire lasciando sullo sterrato dietro di sé una nuvola di polvere. Allora rientrò in casa per trovarsi subito analizzata dallo sguardo intenso di Cathleen.
«Che cos'era quello?», le chiese con le mani sui fianchi e il naso arricciato.
Alex sospirò e tornò sul divano, dove si lasciò cadere a peso morto. Il paramedico però non si perse d'animo e continuò a farle pressione perché parlasse e alla fine l'ebbe vinta: l'infermiera confessò tutto, assicurandole che non provava nulla di serio per Darrell, che era solo attrazione fisica e che lui era stato piuttosto chiaro riguardo a come la pensava su quelli come lei e su cosa avrebbe fatto una volta sventato il piano di Freya.
«Ehi, non voglio giudicarti», la rassicurò Cathleen, scavalcando lo schienale del divano per scivolare al suo fianco. «Penso solo che dovresti parlarne con Merlino, essere onesta con lui».
Alex dovette ammettere che Merlino era stato sincero riguardo a Freya, al sentimento che provava per lei e che in un angolo del suo cuore ancora ardeva. Lei l'aveva accettato ed era certa che anche lo stregone non ne avrebbe fatto un dramma, consapevole che la sua vera età e il destino a cui andava incontro non erano a suo favore. Il vero motivo per cui Alex pensava che dirglielo sarebbe stata una pessima, pessima idea, era perché era sicura che Merlino non l'avrebbe solo perdonata, ma avrebbe addirittura provato a convincerla che Darrell era la scelta migliore per lei, che doveva provarci, che se erano rose sarebbero fiorite... Non poteva permetterlo, in nessun modo. Gli aveva chiesto di sposarlo e l'avrebbe fatto, non poteva rimangiarsi la parola data.

***

«Agente Fisher? Oh, grazie a Dio l'ho trovata. Ascolti, ho appena ricevuto una chiamata da Hala».
Abby guardò la nonna camminare avanti e indietro davanti al suo letto, con una mano a sistemarsi compulsivamente i capelli bianchi.
La ragazzina sapeva per filo e per segno che cos'era successo due giorni prima alla cappella dell'ospedale, perché Hala e Baqi fossero scappati senza nemmeno prendere le loro cose dall'agriturismo, e sapeva anche che Darrell era a conoscenza della verità, e si sentiva uno schifo nel dover mentire a sua nonna, specialmente quando la vedeva agitarsi in quel modo. Avrebbe voluto dirle che i gemelli stavano bene, o che lo sarebbero stati dopo molte sedute di terapia, e che sarebbe potuto accadere loro molto di peggio.
«No, nulla del genere. Mi ha detto che lei e suo fratello stanno ritornando in Pakistan, che vogliono riavvicinarsi alla loro cultura, al loro Dio. Ma è una cosa senza senso! Non hanno mai mostrato questo interesse prima d'ora, anzi hanno sempre fatto di tutto per allontanarsi dalle tradizioni della loro famiglia. Ho paura che ci sia qualcuno con loro, magari un membro di quei gruppi fondamentalisti...».
Abigail sospirò e scorse Mark arrivare di gran carriera sulla sua sedia a rotelle. Quando i loro sguardi si incrociarono, la ragazzina gli fece segno di aspettare fuori per via di sua nonna.
«Che vuol dire che non potete fare niente? Le dico che mi sembrava impaurita! Le tremava la voce, le... Sono certa che non sia un allontanamento volontario, agente. Va bene. Va bene, grazie lo stesso».
Daisy terminò la chiamata con un gesto brusco ed ebbe quasi l'impulso di scagliare il cellulare fuori dalla finestra, ma si calmò e si accorse del ragazzino fuori dalla camera. Si sciolse in un sorriso e si avvicinò alla nipote per posarle un bacio sulla fronte.
«Vado a sbollirmi un po', okay?».
Abby sorrise seguendo la nonna con lo sguardo mentre usciva dalla stanza e passava accanto a Mark, dandogli una gentile pacca sulla spalla. Il ragazzino entrò col viso rosso tanto quanto la bandana da motociclista che portava legata in testa e tirò il freno a mano una volta accanto al letto.
Le sembrava nervoso, come se volesse dirle qualcosa ma fosse bloccato, e Abby stava per chiedergliene il motivo, quando lui l'anticipò.
«Che è successo?», le domandò, indicando col pollice dietro di sé.
Nemmeno a lui poteva dire la verità e questo le faceva più male ancora, se possibile.
«Hala ha chiamato, poco fa, per dire che lei e Baqi stanno bene e che non dobbiamo preoccuparci. Ma mia nonna non si arrenderà facilmente, continuerà a cercarli anche senza l'aiuto della polizia».
«Se hanno detto che stanno bene che senso ha preoccuparsi tanto?».
Abby si strinse nelle spalle. «Non credo lo faccia per loro, infatti. È una scusa per tenersi occupata, per non pensare a...».
«A te», concluse per lei Mark, sporgendosi oltre la sbarra per stringerle la mano.
«Sta soffrendo molto», la difese, abbassando gli occhi.
«Stiamo soffrendo tutti. La vita è un'enorme sofferenza in cui a volte, se siamo fortunati, ci capitano cose belle».
Abigail alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a trattenere una risata. «Sei il solito ottimista, vedo».
«Sai, quando ho scoperto di avere il linfoma di Hodgkin ho pensato: "Ecco, questo è il momento peggiore della mia vita. Da qui in poi farà tutto più schifo del solito". Ma mi sbagliavo. Il cancro mi ha veramente regalato momenti fantastici: ho conosciuto il mio migliore amico, ho conosciuto te... E tu sei la cosa più bella che mi sia mai capitata».
Abby aveva le lacrime agli occhi: non si sarebbe mai aspettata una dichiarazione del genere da parte di Mark, il duro più duro dell'ospedale. Certo, sapeva che non era veramente così, che la sua era solo una facciata, però... Ricordava fin troppo bene com'era stato all'inizio, quando entrambi avevano capito di essere più che amici: lui non aveva voluto saperne, per paura di soffrire, e lei gli aveva detto che era stupido, che non potevano vivere nella paura. Ora che Abby sapeva di essere spacciata, le loro posizioni si erano decisamente invertite.
«Voglio presentarti alla mia famiglia come la mia ragazza», esclamò ancora Mark. «Non che il loro parere mi interessi, ma... voglio che lo sappiano. Voglio che tutti in questo ospedale sappiano quanto sono fortunato».
«È da pazzi». Abby scosse il capo, troppo scioccata per dire qualcosa di più articolato.
«Allora sono felice di essere pazzo», rispose Mark, alzandosi dalla sedia a rotelle per sporgersi su di lei e baciarla sulle labbra.

***

Alex era andata a casa sua per controllare che fosse tutto a posto e per riempire un'altra valigia di vestiti e di oggetti personali da portare da Merlino.
La sua camera ormai era quasi completamente spoglia e tutto le sembrava così vuoto... Tanto da ricordarle il periodo successivo alla morte di sua madre.
La sua mancanza si era sempre fatta sentire, nonostante le avesse provate tutte per colmarla. Aveva raccolto dalla strada il piccolo Artù, cercando di contrastare la solitudine, ma ora anche lui se n'era andato. No, in realtà era stata colpa sua: lei l'aveva lasciato a Keith quando era sotto l'influenza negativa di Excalibur. Certo, avrebbe sempre potuto riprenderselo, ma non le sembrava giusto: anche quel micetto aveva bisogno di qualcuno che lo amasse come meritava e lei, prossima a compiere il proprio destino, non era la persona adatta.
Dopodiché era andata al supermercato per prendere quello che Cathleen le aveva scribacchiato su un foglietto e poi, finalmente, era tornata a casa dello stregone, dove come una brava casalinga aveva riordinato e fatto partire la lavatrice.
Durante quelle operazioni aveva trovato un quadernetto dalla copertina di pelle, una delle prime Moleskine forse, e sfogliandolo velocemente aveva capito che si trattava di una specie di diario, o al massimo di una biografia. Aveva anche letto di sfuggita il nome di Emrys, ma non era lui il narratore di quella storia. Quando si era trovata tra i piedi la fotografia in bianco e nero che ritraeva medici ed infermieri davanti a quello che sembrava proprio la vecchia versione del suo ospedale, allora aveva capito tutto quanto: in quella foto c'erano Louise McTrusty e Merlino, all'epoca dottore, e quel diario era senza alcun dubbio della donna.
L'aveva rimesso dove l'aveva trovato, decisa a non rivangare il passato, e aveva finito di pulire, rifiutando persino l'aiuto del paramedico pur di tenersi impegnata il più a lungo possibile, fino al ritorno di Merlino e Artù.
Alla fine però la curiosità era stata troppo forte e aveva ceduto, leggendo pagina dopo pagina col cuore in gola, tifando per Louise ed Emrys e al contempo tremando di gelosia. Era stato allora che aveva scoperto chi fosse in realtà Louise, una verità così scioccante che si era ritrovata con le lacrime agli occhi, le gambe strette al petto e il diario abbandonato sul letto di Merlino.
Era rimasta lì rannicchiata a lungo, chiedendosi come potesse Merlino essere sopravvissuto ad una cosa del genere, con che forza ogni giorno si recasse all'ospedale e guardasse Abby, così simile alla donna che aveva tanto amato.
Aveva perso la cognizione del tempo e a riportarla alla realtà fu proprio il mago, il quale bussò piano sullo stipite della porta aperta per annunciarsi.
«Ehi... Cath ha detto che sei qui da sola da ore. Che cos'è successo?».
Ma la bionda non dovette rispondere, perché lo sguardo di Merlino cadde sul diario.
«Alex, non...».
«Perché non me l'hai detto?», gli chiese con la voce ancora nasale per via del pianto e lo sguardo invece fiero, coraggioso. «Sapevo che Louise era stata l'ultima tua storia importante, ma... ma questo».
«Era proprio quello che cercavo di evitare», confessò lo stregone, abbassando il capo. «Sai, è facile dire: "Sei immortale, wow, che figata". Ma non è così... Fino ad ora non credo che tu ci abbia mai dato la giusta importanza, non ti eri pienamente resa conto di ciò che sono: un essere che ha vissuto più di millequattrocento anni. Ho visto coi miei occhi cose che gli storici pagherebbero oro per conoscere, ho sentito i primi vagiti e gli ultimi respiri di così tante persone... e ci ho provato a starmene da solo, a non affezionarmi a nessuno, sapendo che prima o poi avrei dovuto dirgli addio, ma è impossibile. Gli esseri umani non sono fatti per stare da soli. E Louise... Louise ha buttato giù ogni mia barriera. Ero così stanco e lei così... viva».
Merlino abbozzò un sorriso e si sedette di traverso ai piedi del letto, prese la fotografia tra le mani e ne accarezzò un angolo.
«Era così intelligente, generosa, forte... Non aveva paura di niente. Abby le assomiglia moltissimo ed è un vero peccato che non si siano mai conosciute».
«Se fosse ancora viva, avrebbe quasi cento anni», fece il conto Alex.
«E invece è morta nel 2002».
«Tu... tu eri con lei?».
Merlino infilò la fotografia nel diario, evitando il suo sguardo, ed annuì con un cenno del capo. «Nessuno della sua famiglia la andava mai a trovare in quell'ospizio, nemmeno i suoi figli».
«La signora Chapman...». Alex sgranò un po' gli occhi ed incrociò le gambe, sporgendosi verso di lui. «È per questo che l'hai sempre evitata. Tu... tu sapevi perfettamente chi era Abby quando l'abbiamo conosciuta. Lei lo sa?».
Il mago annuì di nuovo, in silenzio. Alzò gli occhi per incrociare quelli dell'infermiera e timidamente le chiese: «A che cosa stai pensando?».
«Non lo so, io... Abby poteva essere la tua pronipote». Alex si strinse nelle spalle. «Come fai a convivere con tutto questo?».
Merlino le rivolse un sorriso venato di tristezza. «Non posso fare altrimenti. Ti sembrerà insensibile da parte mia, ma la vita va avanti comunque: puoi decidere di restare fermo oppure cercare di fare ancora qualcosa di buono.  Sono rimasto fermo troppo a lungo, dopo la morte di Louise. Sono rimasto fermo fino a quando non ti sei avvicinata a me, sotto quel diluvio, per darmi il tuo ombrello».
Alex sentì nuove lacrime pungerle gli occhi e fece del suo meglio per ricacciarle indietro.
«Tu hai risvegliato la mia voglia di vivere, di lottare per ciò che abbiamo di più caro. E non ti ho mai raccontato di Louise perché non volevo che tu pensassi che fossi un rimpiazzo: non lo sei, Alex; non lo sei mai stata. Non so dire se l'amore che provo per te è lo stesso che provavo per Louise, ma di una cosa sono certo: ora ci sei tu al mio fianco e ti terrò stretta, finché tu lo vorrai».
A quel punto Alex era così confusa ed emotivamente fragile che non riuscì più a controllarsi: lasciò che le lacrime le scorressero libere sulle guance e si gettò tra le braccia del mago, il quale la strinse forte a sé e la cullò fino a quando non parve calmarsi. Allora le prese il volto tra le mani per asciugarlo e dopo averle sistemato i capelli dietro le orecchie infilò una mano nella tasca della felpa per tirare fuori un cofanetto di velluto rosso. Lo riconobbe all'istante, come riconobbe l'anello all'interno: un semplice cerchio d'oro e un piccolo rubino, un solitario diverso e particolare, proprio come la donna a cui era stato regalato - sua madre.
Alex boccheggiò, sentendo i polmoni andarle in fiamme, e sollevando gli occhi incrociò quelli di Artù e Cathleen, fermi sulla porta. Da quanto tempo erano lì?
«Qualche tempo fa mi dissi che se dovevo chiederti di sposarti dovevo farlo perché avevo tutte le intenzioni di continuare a vivere, di invecchiare ancora con te. Alexandra Greenwood-Pendragon, vuoi combattere il destino al mio fianco, come marito e moglie?».
L'infermiera rischiò di annegare negli occhi azzurri di Merlino, nei propri sensi di colpa e nelle insicurezze. Quella mattina si era detta che avrebbe tenuto fede alla propria promessa di sposarlo, ma in quel momento, dopo la storia di Louise...
Alzò lo sguardo ed incrociò ancora una volta quello di Cathleen, la quale sgranò un poco gli occhi e le fece segno di dire quel maledetto sì. Alex però non ci riuscì, ricordando ciò che le aveva detto dopo che si era confidata: essere marito e moglie comportava essere sinceri l'uno con l'altra, sempre, e lei aveva un paio di segreti che ancora non era riuscita a confessargli.
«Alex, ti senti bene?», le domandò Merlino, apprensivo.
No, non stava affatto bene. Era così disgustata da se stessa che probabilmente fu quella la causa per cui sentì il pranzo risalirle lungo l'esofago e dovette scansare prima Merlino e poi Artù e Cathleen per fiondarsi in bagno e rimettere.

Merlino chiuse il cofanetto con uno schiocco e lo strinse tra le mani, lo sguardo fissò di fronte a sé.
«Io... io vado a vedere come sta Alex», sussurrò Cathleen, dando una pacca sul sedere ad Artù perché raggiungesse il mago e lo confortasse.
Il re di Camelot si avvicinò incerto, con le mani nelle tasche della tuta, e quando fu seduto al suo fianco esclamò: «Sono sicuro che non stia vomitando per la tua proposta».
Merlino gli rivolse un'occhiata tagliente, tanto intimidatoria che per un attimo ebbe paura di venire scagliato dall'altra parte della stanza.

Cathleen bussò e non ricevendo alcuna risposta si azzardò ad entrare in bagno, dove trovò Alex intenta a tirare lo sciacquone.
«Non voglio parlarne», mormorò ancor prima che potesse aprire bocca.
I lineamenti del paramedico si indurino. «Ah no? Molto comodo».
«Non voglio parlarne ora», specificò allora l'infermiera, chinandosi sul lavandino per lavarsi il viso.
Cathleen però non mollò e si avvicinò tanto da comparire nello specchio insieme alla bionda.
«Ascoltami. Ascoltami attentamente, okay? Nella situazione in cui siamo, non puoi sprecare un solo secondo. Voglio dire... domani potrebbe essere tutto finito, per quello che ne sappiamo! Tu ami Merlino, lo so. E lui ama te, alla follia, perciò digli la verità su Darrell, o qualsiasi cosa ti abbia impedito di dire di sì, e poi sposatevi. Te ne pentirai per tutta la vita, altrimenti».
Alex guardò la rossa negli occhi per una dozzina di secondi, in silenzio, poi la superò ed uscì dal bagno. Cathleen alzò gli occhi al cielo e sospirò affranta, seguendola con lo sguardo fino a quando non corse giù per le scale.

***

Merlino non sapeva proprio cosa pensare. Insomma... era stata lei alla fine di chiedergli di sposarlo. Che ci avesse ripensato? Dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che aveva scoperto, non l'avrebbe biasimata se avesse cambiato idea. Nemmeno lui si sarebbe mai sposato se avesse ragionato con la testa anziché col cuore.
Il sole stava calando e se volevano recuperare Excalibur dovevano farlo prima dell'arrivo del buio, sfruttando il fatto che durante le ore di luce Freya si riposava: essendo stata collegata alla spada per secoli, era certo che da sveglia avrebbe avvertito maggiormente quello che avevano in mente.
«Vado a cercare Alex», esclamò allora, alzandosi da tavola.
Non si era nemmeno presentata a cena.
«Non credi che dovresti... darle un po' di spazio?», gli chiese Artù.
Merlino lo fissò con un sorriso appena accennato sulle labbra. «Apprezzo lo sforzo, ma so come prendere voi Pendragon».
Prima di uscire dalla porta finestra che dava sulla veranda, esclamò:  «Ci vediamo tra venti minuti alla caverna di cristallo».
Merlino si inoltrò nella foresta e non fu difficile seguire le tracce lasciate da Alex. Da giovane era stato una frana a caccia, ma nel corso degli anni e grazie agli insegnamenti di Artù era migliorato. Anzi, era stato proprio grazie ai suoi insegnamenti se più di una volta non era morto di fame.
Scorse Alex addossata contro il tronco di un albero che dava su una leggera pendenza, con una balestra tra le mani, puntata verso un coniglietto ritardatario. Da dietro, con i capelli legati perché non la infastidissero, sembrava la copia femminile di Artù. Ricordava quanto il solo ed unico re si imbestialiva quando a causa della sua imbranataggine faceva scappare tutte le prede, ma decise di correre ugualmente il rischio: pestò di proposito un ramo secco e Alex sobbalzò, per poi voltarsi di scatto e puntargli contro la balestra.
«Sono solo io», disse Merlino, alzando le braccia.
L'infermiera-cacciatrice rilassò le spalle e sospirò, quindi si sistemò la balestra sulla schiena e porse una mano allo stregone, il quale l'afferrò senza esitazione.
«Dove andiamo?», le domandò, lasciandosi guidare giù dalla pendenza.
«Sei venuto a dirmi che dobbiamo andare a prendere Excalibur, giusto?», gli domandò, ma non attese la sua risposta. «Non voglio che la spada influenzi i miei pensieri, perciò è meglio se parliamo ora».
«Alex, non devi giustificarti...», iniziò a dire Merlino, ma la ragazza si voltò di scatto e si ritrovarono a guardarsi negli occhi ad una distanza davvero minima, coi loro nasi che si sfioravano e le labbra ad un soffio da quelle dell'altro.
«Stai zitto, Merlino».
«Lo sai che tutte le volte che me lo dici mi viene in mente Artù, vero?».
L'infermiera abbozzò un sorriso e riprese a camminare, fino a quando non giunsero in una specie di gola, dove su entrambi i lati si ergevano pareti rocciose ricoperte di felci e muschio. Un luogo perfetto per un'imboscata.
Lì Alexandra aveva composto un cerchio con delle pietre e aveva raccolto diversi rami secchi. Quando realizzò che voleva accendere un fuoco, Merlino si sentì tremare le ginocchia: le conversazioni più importanti e profonde della sua vita si erano svolte davanti alle fiamme scoppiettanti di un falò, tra cui la sua confessione ad Artù.
Perso com'era nei ricordi, non aveva nemmeno fatto in tempo a chiederle se aveva bisogno di aiuto. Ma d'altronde aveva anche dimenticato che ora esistevano gli accendini.
Alex gli fece segno di sedersi al suo fianco, su un telo che doveva aver preso dal fienile e che aveva sistemato davanti ad un paio di rocce lisce.
«Mi dispiace per come mi sono comportata oggi pomeriggio», esordì l'infermiera, gli occhi fissi sulle lingue di fuoco e le ginocchia strette al petto. «È solo che la tua storia con Louise...».
«Forse farti la proposta ufficiale in quel momento non è stata un'idea così brillante», commentò Merlino, facendola sorridere.
«E poi l'anello di mia madre... Come l'hai avuto?».
«Tuo padre. Gli ho confessato che avevamo intenzione di sposarci, che volevo la sua benedizione e lui... lui ha fatto molto di più». Tirò fuori il cofanetto, ormai con lui ovunque andasse, e ne accarezzò il velluto rosso. «Ce l'ho da un paio di settimane, ma non sono mai riuscito a dartelo prima perché anche io sono stato sul punto di tirarmi indietro. Il diario di Louise era a casa della signora Chapman e sono stati Hala e Baqi a riportarlo qui, a farlo leggere a Abby. Ho dovuto raccontarle tutta la storia e rivivere quegli anni mi ha sopraffatto. Pensavo di non poterti più sposare, di fare un torto a te oltre che a Louise, ma poi Artù mi ha riportato in carreggiata. Il fatto è che è una tua scelta, Alex. Io sono quello che sono e il mio passato non posso cambiarlo. Posso però... possiamo decidere che cosa fare del nostro futuro».
Alex sorrise commossa, ma quella volta non versò lacrime. Concedendosi un respiro profondo, disse: «Mia madre ha sempre creduto nelle anime gemelle. Io ero scettica  a riguardo. Lo sono stata fino a quando non ho conosciuto te, a quella festa di Capodanno. Quando i nostri sguardi si sono incrociati... non c'era più nessun'altro per me. Tu sei la mia anima gemella, ne sono certa. Ed è per questo che non capisco come possa essere successo...».
Merlino corrugò la fronte, sentendo il proprio vecchio cuore iniziare a battere più forte nel petto. «Che cosa?».
«Io ho... ho provato qualcosa per Darrell», confessò, sentendosi più leggera nel momento stesso in cui diede fiato a quelle parole per troppo tempo trattenute.
Accorgendosi dello sguardo perplesso di Merlino, si affrettò ad aggiungere: «Attrazione fisica, tutto qui».
«Wow. Cioè... Ammetto che è un bel ragazzo», disse alla fine.
«Merlino! Sii serio».
Lo stregone scrollò le spalle, lasciando che un sorriso affiorasse sulle sue labbra. «Potrei fargli bere una pozione che lo faccia diventare calvo, o con le pustole...».
Alex era a dir poco sconcertata. «Stai dicendo che... che saresti disposto a questo pur di toglierlo dall'equazione?».
«Certo», rispose il mago, fissandola di nuovo con la fronte corrugata. «Come pensavi che avrei reagito?».
«Pensavo che tu... che sapendolo mi avresti spinta tra le sue braccia, ritenendo che fosse meglio per entrambi».
Merlino capiva il suo punto di vista: aveva passato così tanto tempo a sminuirsi, a dirsi che la propria felicità non contava, che doveva tenere le persone lontane per la loro di felicità... L'aveva fatto anche con Alex, per anni, ma non era più disposto a vivere una vita di solutidine per colpa dei custodi della magia e dei loro piani.
«Sei stata tu a farmi cambiare idea», le rispose alla fine. «E non ho intenzione di spingerti nelle braccia di nessun altro, solo nelle mie».
Alex venne sopraffatta da Merlino, il quale si era sporto su di lei e l'aveva baciata appassionatamente, prendendola per i fianchi come a sottolinearne il possesso.
Erano stesi pericolosamente vicini al fuoco ma Alex non lo sentiva nemmeno, a causa di quello che le bruciava di nuovo dentro: il fuoco dell'amore.
Ecco cos'era, ecco perché si era infatuata di Darrell: non si sentiva abbastanza desiderata, i fatti e le scoperte dell'ultimo periodo avevano spento la passione che provava per lo stregone, e lei l'aveva cercata altrove fantasticando sull'agente Fisher, tutt'altro che la sua anima gemella.
«Sappi che non vi farò più stare nella stessa stanza», le mormorò Merlino all'orecchio, mentre le sbottonava i jeans. «E che ti punirò, se ti sorprenderò a guardarlo».
Alex rise, sapendo che Merlino non sarebbe mai stato in grado di fare una cosa del genere, proprio come lei non sarebbe mai stata in grado di uccidere un coniglietto con una balestra.
«Se le punizioni saranno così, allora non farò altro che guardarlo», rispose con lo stesso tono, seguendo Merlino con lo sguardo mentre scivolava con la lingua sul suo addome, girava intorno all'imbelico e raggiungeva la sua intimità.
Alex inarcò la schiena e si aggrappò al telo, cercando di non gemere troppo forte per non spaventare tutti gli animali della foresta.
«Comunque voglio diventare tua moglie», riuscì a dire ad un tratto.
Merlino alzò il capo, gli occhi luminosi di felicità. «Davvero?».
Alex rise e puntellandosi su un gomito lo prese per i capelli e lo riportò a fare quello che stava facendo tra le sue gambe, rispondendo: «Sì, stupid- oooh!».

***

«Ma dove sono finiti quei due?», borbottò Cathleen, camminando nervosamente di fronte ad Artù, il quale da una decina di minuti aveva iniziato a guardarla e a pensare ad un modo con cui farle la domanda che gli ronzava in testa da un paio di giorni e che ora più che mai, vista la situazione di Merlino e Alex, gli bussava alle pareti del cranio, desiderosa di uscire.
«Dagli un altro po' di tempo», rispose, stringendosi le mani. «Torna a sederti».
Il paramedico sbuffò e lo raggiunse, ma anziché sedersi al suo fianco sulla roccia piatta che quasi faceva da panchina naturale si accomodò per terra, tra le sue ginocchia, in modo da appoggiare la testa sul suo addome.
Artù divenne rosso come un peperone, ancora destabilizzato da quell'epoca in cui tutto era permesso, niente era considerato fuori luogo o impudico.
«Sei strano. Di solito non sopporti i ritardatari», esclamò ad un tratto Cathleen, cercando di guardarlo negli occhi gettando indietro la testa.
«Sapevamo che la loro conversazione sarebbe potuta durare più del previsto...», tentò di giustificarsi, ma il paramedico colse la bugia e sorrise furbescamente, voltandosi e mettendosi sulle ginocchia, così che i loro volti arrivassero quasi alla stessa altezza.
«Qual è la verità?», gli chiese, con quella malizia negli occhi che in primo luogo gli aveva fatto girare la testa. Come se non bastasse, iniziò anche a giocare col piercing alla lingua, prendendolo tra i denti bianchissimi.
«La verità...», boccheggiò, trovandosi senza saliva da deglutire.
Cathleen gli infilò le mani tra i capelli, avvicinando ancora di più il viso al suo. Le loro labbra si sfiorarono quando gli chiese: «Avanti, non farti pregare».
«Io pensavo... pensavo che potremmo farlo anche noi».
Il paramedico si accigliò e si allontanò di un paio di centimetri. «Fare che cosa?».
Artù deviò il suo sguardo, trovandosi in enorme imbarazzo. Poteva affrontare mostri, eserciti, ma le donne... ah, sarebbero sempre state il suo tallone di Achille.
«Artù, di cosa stai parl-?».
«Potremmo sposarci  anche noi», sputò fuori tutto d'un fiato.
Cathleen non disse nulla per un'eternità e quando si mosse lo fece per alzarsi ed allontanarsi a braccia conserte, dandogli le spalle.
Il silenzio della rossa lo stava ferendo come milioni di piccoli spilli infilzati uno dopo l'altro nel suo cuore già provato e Artù si maledisse per aver aperto bocca. Non avrebbe mai dovuto venirsene fuori con un'idea così stupida: erano appena diventati una coppia e sapeva che nel mondo moderno il matrimonio non era obbligatorio - tanto che avevano già consumato - però... se avesse avuto davvero una seconda chance, allora era con Cathleen che voleva trascorrere il resto di quella sua seconda vita.
Ringraziò il cielo quando sentì dei rumori provenire da dietro delle rocce e poi scorse Merlino e Alex camminare verso di loro, mano nella mano e con due sorrisi stupidi sulla faccia. Sull'anulare sinistro della bionda brillava l'anello di fidanzamento che era stato di sua madre.
Buffo come loro avessero risolto ogni loro problema mentre lui aveva appena rischiato di rovinare il suo fragile rapporto con Cathleen.
«Scusate il ritardo», esclamò Alex, scendendo per prima dalla roccia che aveva usato come scalino.
«Io non mi scuso affatto», replicò Merlino, seguendola subito dopo ed indicando orgogliosamente ai due il rubino che le aveva messo al dito.
Cathleen si congratulò con un applauso poco convinto, poi si avvicinò alla porta blindata della caverna dei cristalli e disse: «Il sole sta tramontando e abbiamo una spada da tirare fuori dalla roccia».
Merlino la fissò confuso fino a quando non si dedicò ad Artù. Quest'ultimo non sapeva come spiegargli il disastro che aveva combinato, neanche se ne avessero avuto il tempo.
Alex raggiunse l'entrata e sbloccò i meccanismi come Merlino le aveva insegnato, mentre i due ancora si lanciavano occhiate silenziose. L'ex re di Camelot avrebbe davvero voluto che il mago cancellasse con la magia quei cinque minuti prima del loro arrivo, ma sapeva fin troppo bene che non sarebbe mai successo.
«Entriamo?», domandò ad un tratto l'infermiera.
Merlino rinunciò a capire i suoi gesti - non era mai stato portato - e dopo avergli dato una pacca d'incoraggiamento sulla spalla raggiunse la sua futura moglie.
Artù chiuse la fila, trovandosi alle spalle di Cathleen; gli sarebbe bastato allungare una mano per accarezzarle le spalle e la sua cascata di bellissimi capelli rossi, eppure la sentiva lontanissima. Rischiò quasi di finirle addosso quando si fermò di colpo, col fiato mozzato per via dei cristalli azzurri che illuminavano la grotta. Si fermò in tempo, con le mani alzate come se intorno a lei ci fosse stato un campo elettromagnetico.
«Questo posto è sempre stato qui?!», sussurrò Cathleen col naso all'insù, incredula.
Merlino sorrise, intenerito forse dal poco senso della sua domanda. «Sì, qui la magia è forte e ha continuato a vivere».
«È incredibile. Posso...?».
Merlino aprì la bocca, ma non riuscì ad articolare una risposta. Così fu Alex ad intervenire, sorridendo gentilmente al paramedico: «Ma certo, fai pure».
Cathleen alzò un braccio per raggiungere un grappolo di cristalli e li sfiorò con la punta delle dita, chiuse gli occhi e dopo qualche secondo li riaprì, con la delusione dipinta sul viso.
«Pensavo ci fosse un po' di magia anche dentro di me», spiegò scrollando le spalle.
Artù non riuscì più a resistere e le posò una mano sulla spalla, sentendo una scossa percorrergli la pelle fino a raggiungergli il cuore. La rossa si voltò per guardarlo negli occhi, sulla difensiva.
«A me non dispiace che tu non abbia la magia».
Il suo sguardo divenne ancora più tagliente. Si sottrasse alla sua presa e bofonchiò: «Grazie tante», prima di allontanarsi e superare Alex e Merlino, i quali scossero leggermente il capo nella sua direzione.
Non era quello che voleva dire. O forse sì. In fondo aveva trascorso metà della sua vita con la paura della magia, alimentata per anni da suo padre, ed era colpa di esseri magici se erano in quel pasticcio, perciò era anche comprensibile il suo sollievo. Quello che però non aveva avuto il tempo di dire era che per lui era già speciale ed unica, che l'amava così com'era.
Artù ci rinunciò e a testa bassa li seguì fino allo stretto cunicolo da cui provenivano i bagliori dorati di Excalibur, risvegliata dalla presenza di colei che l'aveva impugnata dopo più di quindici secoli.
La grotta non era grande come la precedente e Artù sentiva mancargli l'aria ad ogni passo, ma quando fu al cospetto della spada si sentì subito meglio: il potere che irradiava era davvero fortissimo.
Guardò Alex avvicinarsi alla roccia sulla riva della falda come ipnotizzata, con gli occhi sbarrati e il fiato corto.
«Che le prende?», chiese a Merlino, preoccupato.
«Il richiamo della spada», rispose e senza perdere tempo l'afferrò per un braccio perché i loro sguardi si incrociassero. Ci volle un po', e diversi schiocchi di dita, prima che Alex sbattesse le palpebre e tornasse da loro.
«La spada... è così forte».
«Non è più forte di te», esclamò Artù, sorprendendo entrambi.
Prese Alex per le spalle e sorridendo chinò un poco il capo perché i loro sguardi fossero perfettamente allineati. «Non lasciarti piegare dalla volontà di qualcun altro, mai».
L'infermiera ricambiò il sorriso e con rinnovata determinazione tornò a concentrarsi sulla spada. Il bagliore si intensificò, ma Alex strinse forte i pugni lungo i fianchi e rimase lucida.
«Merlino?», lo chiamò, allungando una mano verso l'elsa.
«Sono qui».
«Se dovessi venire sopraffatta...».
«Non succederà, okay? Troveremo un modo per impedirlo».
Alex guardò lo stregone, poi cercò gli occhi di Artù e infine quelli di Cathleen. C'erano anche altre persone che avrebbe voluto accanto in quel momento, per contrastare la forza di Excalibur con l'affetto dei suoi cari, quindi se li immaginò: Abby, Mark, suo padre e... l'ombra della donna misteriosa? Un battito di ciglia ed era scomparsa.
Respirò profondamente ed afferrò l'elsa: un'onda d'energia magica le attraversò il corpo con la potenza di un fulmine e la sua testa scattò all'indietro, ma Alex si batté per dominarla: finalmente avrebbe avuto la possibilità di capire quanto fossero servite le lezioni dello stregone.
Pensò a tutto il bene che avrebbe potuto fare, al suo desiderio di liberare Merlino e Artù da quel destino ingiusto, di avere una famiglia, di essere felice...
"Puoi avere molto di più", le sussurrò la spada con voce melliflua, simile a quella di Morgana ma più metallica.
Alex respinse la magia nera che cercava di corromperla e sussurrò l'incantesimo su cui si era tanto esercitata, quindi piantò un piede sulla roccia per fare leva ed estrasse Excalibur. Per un attimo scorse il suo viso sulla lama riflettente della spada, dalla parte in cui non vi erano quelle strane incisioni, e quasi sobbalzò scorgendo le proprie iridi dorate. L'immagine però cambiò in fretta, mostrandole il volto di Morgana in corrispondenza del proprio.
Alex quella volta rischiò di perdere davvero la presa sull'elsa, ma Artù la raggiunse e l'aiutò a tirare fuori dalla roccia quel che rimaneva di Excalibur. Consapevole che mai l'avrebbe lasciata cadere, si abbandonò al suo corpo, stremata, e lasciò che l'oscurità calasse sui suoi occhi.

Cathleen era risalita verso la superficie mentre Artù e Merlino si occupavano di una Alex ancora incosciente. «Ho bisogno di un po' d'aria», aveva detto prima di lasciarli.
«Si riprenderà?», domandò il re di Camelot, sfiorando il volto della sua sola erede.
«Sì, il suo corpo sta metabolizzando tutta la magia che ha assorbito», spiegò Merlino. «La prima volta Alex non sapeva di dover contrastare qualcosa ed Excalibur non le ha opposto resistenza, si è semplicemente lasciata raccogliere dal fondo di Avalon».
«Quindi che cosa facciamo?».
Il mago sospirò e si appoggiò alla parete alle sue spalle, la testa di Alex sulle gambe e una mano ad accarezzarle teneramente i capelli. «Aspettiamo».
Artù non fu felice di quella risposta, ma anche lui si mise comodo al fianco dello stregone.
«Che cosa fate?», gli domandò però quest'ultimo. «Non andate da Cathleen?».
Il sovrano si massaggiò la fronte. «Non so se è la cosa giusta da fare».
«Ma che cosa è successo?».
Artù gli fece un riassunto dei suoi ultimi scivoloni e si sentì ancora una volta così stupido da voler prendere a testate la parete di roccia dietro di lui. Si rifiutò di guardare Merlino negli occhi, preferendo fissare il dito che stava torturando con uno dei suoi anelli.
«Forse sono stato affrettato, ma... Se avessi potuto, avrei sposato Ginevra ancor prima di diventare re. Ora che non ho niente e nessuno a vietarmelo, ho pensato...».
«Capisco», lo interruppe il mago. «Ma Cathleen ha già ricevuto una proposta di matrimonio e poco dopo ha visto quel sogno andare in frantumi. Presumo che abbia paura che succeda di nuovo».
«Cosa mi consigli di fare, Merlino?».
Lo stregone abbozzò un sorriso, ripensando a tutti i consigli che gli aveva dato a Camelot e che puntualmente non aveva ascoltato. «Beh, credo che ignorare la questione non vi aiuterà in alcun modo: se quello che provate è sincero, allora dovreste affrontare l'argomento».
«Come avete fatto tu e Alex questa sera?».
«Proprio così. Alex mi ha spiegato quello che l'ha frenata e ora siamo a posto. La sincerità è sempre la soluzione».
Artù annuì brevemente e si alzò usando la spalla di Merlino come appoggio. Lo stregone aprì la bocca in un grido muto e il solo ed unico re sorrise, tirandogli anche un calcetto su uno stinco.
«Vedo che trovate ogni volta modi diversi per dimostrare gratitudine», bofonchiò, proprio mentre Alex iniziava a svegliarsi, accartocciando il viso in un'espressione sofferente.
«Merlino?», lo chiamò con la voce impastata, sollevando appena una mano.
Lo stregone fece segno ad Artù di andare e si chinò a baciarle la fronte, sussurrando: «Sono sempre qui».
Artù lo lasciò a spiegarle cos'era successo e risalì nella grotta. Sperava davvero che Cathleen fosse uscita, così da poter respirare un po' d'aria fresca, invece si era semplicemente seduta nell'angolo rozzamente arredato da Merlino.
«Ehi», esclamò avvicinandosi.
La rossa abbassò gli occhi su di lui e ricambiò con un semplice cenno del capo, per poi tornare col naso all'insù, più interessata ai cristalli che a quello che aveva da dirle.
Artù si schiarì la gola con un finto colpo di tosse e senza sedersi disse: «Senti, non sono bravo in queste cose. Esprimere i miei sentimenti... non è proprio il mio forte. Però non voglio che tu pensi che abbia detto quelle cose senza averci pensato. Ci ho pensato tanto, Cathleen. E non dico che dobbiamo farlo ora, o domani, ma se sopravvivremo... io voglio stare con te».
Cathleen si alzò dalla consumata sedia a sdraio, ma Artù non ebbe il coraggio di incrociare il suo sguardo: sapeva che se l'avesse fatto non avrebbe più detto una parola.
«Ti ho già detto che non avrei mai immaginato di innamorarmi di nuovo, e che soprattutto non avevo idea di potermi innamorare di una persona così diversa da Ginevra... Ma tu sei speciale ed è un dato di fatto: ti amo, così come sei. Non hai la magia, ma la verità è che non ti serve: sei la persona più forte e determinata e pazza e...».
Artù era così impegnato a fissarsi le scarpe e a parlare a ruota libera che non si era minimamente accorto che Cathleen si era avvicinata, un passo dopo l'altro. Lo realizzò quando ormai aveva il suo corpo addosso, le sue braccia allacciate al collo e la sua bocca sulla propria. Chiuse gli occhi, espirando profondamente dal naso, e la strinse forte a sé circondandole la vita.
Quando Cathleen si scostò per riprendere fiato, gli accarezzò le guance ed abbozzò un sorriso beffardo. «Scusami, sono una stupida».
«Non dire così».
«Dico solo la verità. È che mi hai ricordato terribilmente Zachary: anche lui ha tirato fuori la proposta così, come se nulla fosse. E ho pensato... ho pensato che se non ho mai portato la fede è perché se n'è andato prima del tempo. Non voglio che succeda un'altra volta, Artù».
Merlino ci aveva preso, ancora una volta. Lui sì che capiva le donne!
Il solo ed unico re non poteva prometterle che tutto sarebbe andato per il meglio, che avrebbero entrambi avuto una seconda chance, perché non lo sapeva. Si limitò allora a stringerla forte.
«Giusto questa mattina ho detto ad Alex che non doveva sprecare neanche un minuto con Merlino e so che risulterò ipocrita, ma non me la sento. Non potrei sopportarlo, se...».
La voce di Cathleen si incrinò e Artù le posò un bacio tra i capelli, annuendo.
Merlino e Alex avevano tutte le intenzioni di sposarsi prima della loro battaglia col destino, o almeno così pensava di aver capito, ma comprendeva anche la scelta di Cathleen: avrebbe combattuto al suo fianco, ma non voleva farsi illusioni nel caso in cui le cose fossero finite male. Non poteva biasimarla.
«Ce la faccio, ce la faccio».
Entrambi sciolsero l'abbraccio e si voltarono sentendo la voce di Alex, la quale comparve per prima nella caverna di cristallo. Alle sue spalle Merlino reggeva Excalibur, al sicuro nel suo fodero.
«Come ti senti?», le chiese il paramedico.
Alex sbuffò, ravvivandosi i capelli sul lato destro della testa. «Come se mi fossi appena fatta una dose. E non di roba leggera».
«Ti passerà presto», la rassicurò il mago, posandole una mano alla base della schiena. Quindi alzò il capo verso Artù, chiedendogli con un solo movimento di sopracciglia come fosse andata con Cathleen.
Il biondo abbozzò un sorriso ed annuì col capo in risposta: avrebbe preferito sentire qualcos'altro dalla rossa, ma non era colpa sua se aveva già sofferto così tanto per via del destino. Come portatore di speranza, doveva essere il primo a credere che insieme sarebbero riusciti a sormontare qualsiasi ostacolo.
Tutti e quattro uscirono dalla grotta e furono costretti a tirare fuori le torce per via del buio che rendeva il bosco impraticabile.
«No, aspettate», esclamò Alex, cercando lo sguardo di Merlino per ottenere la sua approvazione.
«E va bene», rispose questo, intuendo ciò che voleva fare e cacciando via il senso di inquietudine che lo assaliva ogni volta che vedeva Alex, la sua normalissima Alex, praticare la magia. Se era difficile per lui, Artù stava ancora peggio: il timore che quei poteri quasi illimitati inquinassero il suo animo gentile, proprio come era successo a Morgana, era tanto da gelargli il sangue nelle vene.
«Raccogliete dei pezzi di legno», ordinò l'infermiera e quando tutti e tre ne ebbero uno in mano sorrise soddisfatta, facendo in modo che le punte di quelle fiaccole di fortuna si toccassero.
Chiuse gli occhi per trovare la concentrazione e quando li riaprì i suoi occhi dorati fecero correre un brivido lungo le spine dorsali di tutti e tre.
«Leohtbora», sussurrò e le fiamme arsero all'improvviso sulle punte delle loro torce, solo che si ingrossarono e si alzarono per almeno mezzo metro.
«Uoh, uoh, così è troppo!», gridò Artù, ma Alex era già andata in panico.
«Non riesco a fermarle!».
Merlino allungò una mano per prenderle il gomito ed avere la sua attenzione. «Controlla il battito del tuo cuore, respira profondamente».
Artù si ritrovò a guardare lo stregone e la sua erede inspirare ed espirare in sincronia, mentre la torcia che aveva in mano si stava consumando rapidamente. Troppo rapidamente.
«Adesso immagina di contenere le fiamme. Ce la puoi fare: sei tu a controllare la magia, non il contrario».
La bionda chiuse di nuovo gli occhi, la fronte corrugata per la concentrazione, e lentamente le fiamme si abbassarono.
«Bravissima», si congratulò Merlino, sporgendosi per avvolgerle un braccio intorno alle spalle e baciarla sulla guancia.
Alex sorrise, ma il suo viso era provato ed imperlato di sudore. «Non pensavo fosse così difficile controllarla».
«È solo una questione di allenamento. Hai visto gli effetti di una magia incontrollata: è molto pericolosa e poi, cosa più importante, ti consumerebbe».
Artù deglutì a quelle parole, immaginando Alex avvolta dalle fiamme magiche, e desideroso di cambiare argomento esclamò: «Torniamo a casa».
Nessuno ebbe da ridire.

***

Abby aveva i crampi allo stomaco da quanto aveva riso. Non trascorreva una giornata così spensierata da anni e doveva tutto a Mark.
Si accoccolò meglio nell'incavo della sua spalla e gli accarezzò il petto, in corrispondenza del suo cuore scalpitante.
«Grazie», sussurrò, sollevando appena il capo per poterlo guardare negli occhi.
«Oh sì, certo, mia madre ti ha raccontato le cose più imbarazzanti della mia infanzia e ora mi ringrazi», la canzonò, fingendosi offeso.
Abby però lo ignorò completamente: fece scivolare la mano dal suo petto al suo viso e si sporse per baciarlo sulle labbra.
Se qualcuno fosse entrato nella sua stanza in quel momento, trovandoli a scambiarsi effusioni su quel letto troppo piccolo per entrambi, si sarebbero beccati una ramanzina epica. Eppure nessuno dei due ci pensò.
Per la prima volta in assoluto, Mark osò sfiorarle il seno da sopra la maglietta e Abby inarcò la schiena per sentirlo più vicino. Le loro lingue si erano appena sfiorate, timidamente, quando sentirono un lieve bussare contro il vetro accanto alla porta. Sobbalzarono e il ragazzino rischiò di cadere giù dal letto, ma alla fine riuscirono a ricomporsi prima che la porta si aprisse mostrando un dottor Ellis in jeans e dolcevita.
«Scusate, ho interrotto qualcosa?».
«No! No, assolutamente! Che cosa avrebbe dovuto interrompere?», farfugliò Mark, rosso come la sua bandana, mentre scendeva dal letto per sedersi sulla sua sedia a rotelle.
Abby trattenne a stento una risata e sollevò una mano quando il ragazzino le augurò la buonanotte. Una volta uscito, Abigail si abbandonò contro i cuscini e nonostante l'eccitazione sentì la stanchezza piombarle addosso come un'incudine.
«Sai, siete proprio una bella coppia», esordì Keith, trascinando la sedia di plastica al capezzale del suo letto.
«Ma?», chiese Abby, notando il suo tono insicuro.
Il medico si strinse nelle spalle. «Non lo so, non pensi che nelle vostre condizioni...?».
«Abbiamo il cancro e la nostra vita è segnata, ma per il tempo che abbiamo meritiamo di essere felici».
Il suo ragionamento non faceva una piega e Keith annuì con un cenno del capo, abbassando gli occhi.
Si comportava in modo strano, ma Abby non gli mise alcuna fretta. Ne approfittò per chiudere gli occhi e riposare un po'. Quando li riaprì non aveva idea di quanto tempo fosse passato, ma Keith era ancora lì, intento a cercare le parole.
«Si tratta di Hala?», gli domandò a bruciapelo, con voce assonnata.
Gli occhi del dottor Ellis finalmente si mostrarono e quello che vi vide non le piacque: dolore, delusione, rabbia... Aveva fatto centro.
«Questa mattina ho ricevuto una sua telefonata, ma non ho fatto in tempo a rispondere. È da allora che provo a ricontattarla, ma scatta sempre la segreteria».
Abby sospirò e si spimacciò il cuscino sotto la testa. «Ascolta, Keith... Non devi prenderla sul personale, okay? Tu non c'entri nulla».
«Di che cosa stai parlando? Dov'è Hala? Lei non se ne sarebbe mai andata così, di punto in bianco, lasciandosi tutto alle spalle!».
«Non lo so. Davvero», disse la verità. Quella era la parte più facile, dopotutto. «Ha chiamato anche mia nonna questa mattina e le ha detto che lei e Baqi stanno tornando in Pakistan, a riscoprire le loro origini».
«Ma... ma non ha senso!», balbettò, gli occhi di ghiaccio sgranati per lo shock.
«Non lo dire a me».
Keith si alzò e ancora una volta Abby si ritrovò a fissare l'ennesima persona che faceva avanti e indietro davanti al suo letto. Di quel passo avrebbe avuto un fossato tra lei e la finestra.
«Pensavo che lei fosse quella giusta, quella con cui ricominciare dopo Alex...».
«Mi dispiace tanto», rispose Abigail ed era sincera: tutti meritavano una seconda chance, persino Keith.
«C'è qualcosa che proprio non mi torna... Posso parlare con tua nonna? Devo sapere che cosa le ha detto, le esatte parole».
La ragazzina annuì. «L'ultima volta che l'ho vista era in sala comune coi genitori di Mark».
«Grazie. Riposati ora».
Lei l'avrebbe fatto anche prima, se non si fosse trovata nei panni di Dottor Stranamore. Non glielo disse, si limitò a sorridere e a salutarlo con un debole cenno della mano. Quindi chiuse gli occhi e sprofondò tra le braccia di Morfeo, il quale le parve avere le fattezze di Mark.

***

«Quindi ora che si fa?», domandò Cathleen ad un tratto, rompendo il silenzio che si era creato in quella cucina. Seduti ognuno ad un lato del tavolo, fissavano la spada nel suo fodero: Artù con le mani sotto il mento, Alex tra i capelli e Merlino davanti alla bocca, intrecciate a mo' di preghiera.
Lo stregone sospirò e guardò la bionda, seduta al capotavola alla sua sinistra. «Tu come ti senti?».
«Ancora in me», affermò seriamente, senza distogliere lo sguardo da Excalibur. «Non ho manie di potere, né voglio distruggere qualcosa».
Merlino la osservò a lungo, poi decise di fare la prova del nove: «Allora non ti dispiacerà se la tengo io».
Ancora prima che Merlino potesse sfiorare il fodero, Alex sfilò la spada ed alzandosi in piedi gliela puntò contro, gli occhi assottigliati e le labbra arricciate in un ringhio muto.
«Alexandra!», gridò Artù alzandosi a sua volta, con le mani protese in avanti.
L'infermiera sbatté le palpebre e tornò in sé, realizzando ciò stava facendo. Lasciò cadere la spada sul tavolo e si intrecciò le mani dietro alla testa, come a volersi arrendere alle manette.
«Non posso oppormi, è troppo forte», mugugnò e si lasciò cullare dalle protettive braccia di Merlino, il quale si era avvicinato per confortarla nonostante lui stesso avesse bisogno di sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene.
Artù afferrò l'elsa ed osservò il piatto della spada nel tentativo di scorgerci la stessa magia nera che permeava il frammento che aveva vicino al cuore. Avrebbe volentieri assorbito anche quella, se fosse servito ad impedirle di influenzare Alex.
«Fino a quando Merlino non troverà un modo per proteggerti, la terrò io», esclamò ponendola nel suo fodero. Era il minimo che poteva fare.
Alex annuì col capo, anche se i suoi occhi mostravano chiaramente quanto fosse contrariata. Vederla così in conflitto era davvero straziante.
«E sei sicuro che non influenzerà te?», gli chiese Cathleen, preoccupata.
«Ne dubito», rispose per lui Merlino. «Excalibur è stata forgiata per lui dal Grande Drago Kilgharrah e non può ribellarsi alla sua volontà».
«Ogni volta che nomini il Grande Drago divento così gelosa che potrei mandarti al Pronto Soccorso, per poi ricordarmi che dovrei portartici io», bofonchiò il paramedico, gettandosi i capelli dietro le spalle. «Sei proprio sicuro che non ci siano più draghi in circolazione?».
Merlino le rivolse un sorriso triste. «Sì, ne sono sicuro. Kilgharrah e Aithusa erano gli ultimi della loro specie, come io sono l'ultimo Signore dei Draghi. Le cose vanno di pari passo».
«Aspetta un momento». Cathleen si portò una mano sulla tempia, fissandolo quasi in cagnesco. «Che vuol dire che sei un Signore dei Draghi? E perché io non ne sapevo niente?».
Merlino si strinse nelle spalle. «Il mio è un titolo che non posso più portare. Come potrei essere un Signore dei Draghi senza draghi?».
«Esattamente come un re senza regno», commentò Artù con amarezza.
Cathleen aprì nuovamente la bocca, ben decisa a non cambiare argomento, ma venne interrotta dall'insistente trillo del campanello.
«Chi può essere a quest'ora?», domandò Alex, mentre andava alla porta.
Sbirciò dallo spioncino e fu molto sorpresa di vedere Keith dall'altra parte. Che cosa ci faceva lì? E perché sembrava così arrabbiato?
«Allora, chi è?», domandò Merlino, sporgendosi oltre la soglia della cucina.
Alex lo guardò con la fronte corrugata per la perplessità. «Keith».
Entrambi rimasero in silenzio, senza sapere che cosa pensare. Alla fine lo stregone la raggiunse ad aprì la porta al suo posto. Il dottor Ellis non gli diede nemmeno il tempo di chiedergli il motivo della sua visita: lo afferrò per la maglietta e gli tirò un pugno sul viso, sbattendolo contro la parete dell'ingresso.
«È tutta colpa tua!», gridò, pronto a colpirlo di nuovo.
Alex però si gettò in mezzo e Keith fu costretto a fermarsi per non farle del male. Non pensava però che la ragazza avrebbe risposto all'attacco, tirandogli un calcio sullo sterno così forte che si ritrovò schiena a terra.
«Che diamine...?», iniziò a domandare Artù, precipitandosi fuori dalla cucina con Cathleen al seguito per via del trambusto. Vedendo Merlino accasciato sul pavimento con una mano sul naso sanguinante, l'ex re di Camelot sentì la rabbia incendiargli le vene ed affiancò Alex per continuare il lavoro, ma Cathleen lo prese per le braccia giusto in tempo.
«Calmiamoci tutti!», gridò il paramedico, tirando indietro anche Alex. «Si può sapere che cosa sta succedendo?».
«È colpa di Merlino se Hala se n'è andata», spiegò allora Keith, il viso ancora accartocciato dall'ira.
«Di cosa stai parlando?», domandò il moro, fissando prima la propria mano sporca di sangue e poi gli occhi gelidi del medico.
«Hala ed io avevamo iniziato a frequentarci, lo sapevi? Tutto andava a meraviglia, pensavo davvero di poter costruire qualcosa con lei, ma ancora una volta tu hai mandato tutto a rotoli!».
«Sei fuori strada, Keith», ringhiò Alex, rischiando di sfuggire alla stretta di Cathleen. Se al suo fianco non ci fosse stato un Artù dai riflessi pronti si sarebbe gettata di nuovo contro il dottore.
«Quando ho saputo che Hala se n'era andata lasciandosi tutto alle spalle ho capito subito che c'era qualcosa che non andava. Ho parlato con la signora Chapman e sai cos'ho scoperto? Hala le aveva detto di essere interessata a Merlino! Questo ovviamente prima che iniziasse ad uscire con me, ma pensaci un attimo... prima Myra, ora Hala... perché tutte le donne che si avvicinano a lui ad un tratto spariscono? C'è qualcosa di sbagliato in lui!», gridò, alzandosi e puntandogli il dito contro. «Ascolta Alex, lo so che tu lo ami ed è difficile, ma credimi: è lui la causa di tutto quello che ci è capitato! Io ho sbagliato, lo ammetto, ma avevo tutte le intenzioni di farmi perdonare e se lui non si fosse messo in mezzo a quest'ora noi due saremmo felicemente sposati! La verità è che Merlino mi odia, l'ha sempre fatto, e ancora adesso me la sta facendo pagare!».
Alex si dimenò ancora, tanto che Artù e Cathleen non riuscirono più a trattenerla. L'infermiera però strinse i pugni, si avvicinò a Keith e guardandolo fisso negli occhi sibilò tra i denti: «Tu mi hai tradita. Per mesi. E se Merlino non si fosse messo in mezzo a quest'ora avrei un divorzio alle spalle, non solo perché l'avrei scoperto ma perché tu non sei mai stato la mia anima gemella. Per quanto riguarda Myra, il motivo per cui se n'è andata lo sai benissimo: il vostro stupido piano di vendetta le si è rivoltato contro e non ha potuto sopportare i sensi di colpa».
«E io non ho mai saputo che Hala era interessata a me. Le avrò parlato sì e no una volta», intervenne Merlino.
Alex avanzò di un altro passo ed intercettando nuovamente lo sguardo di Keith gli indicò la porta ancora aperta: «Mi dispiace che tu sia stato scaricato in questo modo, ma la prossima volta che devi sfogarti con qualcuno, non osare venire a sputare merda sull'uomo che sposerò».
Keith rimase letteralmente a bocca aperta, mentre sul suo viso compariva un'espressione sempre più mortificata. Dopo una dozzina di secondi, abbassò il capo vergognosamente e senza dire una parola voltò loro le spalle per raggiungere la lussuosa Mercedes che aveva lasciato nel vialetto sterrato.
Alex non aspettò nemmeno che salisse sull'auto prima di sbattere la porta e voltarsi verso i suoi amici, i quali la stavano guardando con ammirazione e un pizzico di timore. La verità era che non sapevano se quella che avevano visto fosse la loro Alex o quella influenzata dalla magia nera di Morgana.
Ebbero la loro risposta quando i suoi occhi verdi si riempirono di dispiacere nel vedere del sangue sul volto di Merlino. Con Keith era solamente uscita la forza dei Pendragon.
«Dumbo, stai bene?», gli domandò, infilandosi sotto il suo braccio per scortarlo al piano superiore e aiutarlo a pulirsi.
Merlino rispose affermativamente e gettò il viso sotto l'acqua fredda, mentre Alex si sedeva alle sue spalle, sulla tazza del gabinetto.
«Non è rotto, ma mi uscirà un bel livido», esclamò guardandosi allo specchio ed esaminandosi il setto nasale gonfio.
Alex lo ignorò totalmente, chiedendogli invece: «È vero che non sapevi che Hala era interessata a te?».
Merlino si asciugò il viso e si voltò per ricambiare il suo sguardo con espressione divertita. «Mi stavo giusto domandando quando me l'avresti chiesto. Comunque no, non ne avevo idea. Ma Hala avrebbe potuto inventarselo, solo per mascherare il vero motivo per cui faceva tante domande su di me».
L'infermiera soppesò le sue parole, poi scrollò le spalle e sorrise. «Ah, non importa. Per sua fortuna se n'è andata e non dovrò farla a fettine con Excalibur».
«Alex...», l'ammonì il mago, col capo piegato leggermente a sinistra.
Lei sollevò le mani in segno di resa. «Okay, non è argomento di battute. Capito».
«Alex! Dobbiamo andare!», gridò Cathleen dal piano inferiore.
Merlino gettò uno sguardo all'orologio che aveva al polso per dare ragione al paramedico e si accorse che le lancette si erano fermate poco dopo le venti, ossia quando Alex si era apprestata a tirare fuori la spada dalla roccia. Inutile dire che lo trovò un pessimo segno.
«Devo andare», esclamò Alex, alzandosi per prendergli il viso tra le mani e stampargli un bacio sulle labbra. «Ci vediamo a colazione, okay?».
«Okay. Ti accompagno alla porta, nel caso qualcun altro voglia prendermi a pugni».
«Non ti preoccupare, ti difendo io».
Alex ridacchiò e mano nella mano fecero per tornare di nuovo in salotto, dove trovarono Artù e Cathleen intenti a scambiarsi un bacio appassionato.
«Ehi, andateci piano prima che vi esploda il cuore!», gridò Merlino da metà scalinata. Artù rispose semplicemente alzando il dito medio, un'usanza moderna che gli piaceva ogni giorno di più.
«Sarò lì quando ti sveglierai», lo salutò il paramedico, le guance arrossate per il desiderio.
«A domani», ricambiò furbescamente Merlino.
Prima che uscissero con le loro borse appese alle spalle, Artù si ricordò dell'argomento che non avevano ancora trattato in presenza di Alex.
«Cathleen, puoi parlarle della gita che pensavamo di organizzare?».
«Quale gita?», chiese l'infermiera, gettando uno sguardo in direzione di Merlino.
La rossa le avvolse un braccio intorno alle spalle, costringendola a procedere lungo il vialetto. «Artù ha avuto un'idea geniale! Ti spiego mentre andiamo, altrimenti facciamo tardi».

***

L'ispettore di polizia della Centrale di Newport l'aveva svegliato nel cuore della notte per richiamarlo in servizio: c'era stato un grave incidente sul tratto di autostrada che passava per il loro minuscolo paese, situato tra Caerleon e la stessa Newport, e tutti gli agenti della zona erano stati chiamati sul posto per dare assistenza ai feriti e ai loro parenti, per raccogliere le testimonianze oppure per dirigere il traffico. Ovviamente a lui era toccato l'ultimo incarico.
Faticosamente raggiunse la cucina per prepararsi del caffé con cui tenersi sveglio e poi andò in bagno, il luogo che odiava di più della casa da quando aveva visto l'immagine di Freya nel suo specchio.
Pensava di esserle sfuggito evitando di guardarsi, ma si sbagliava. La sua voce gli rimbombò forte e chiara nella mente, mentre tutto intorno a lui mutava: all'improvviso non si trovava più nel corridoio che collegava la sua camera da letto col soggiorno, bensì in una foresta rischiarata solo dalla luce di alcune fiaccole.
"Tu non dovresti essere sveglio", gli disse, appoggiandosi al tronco di un albero con una mano.
Darrell sentì distintamente la corteccia dura sotto le dita, ma si sforzò di tornare alla sua realtà e si rese conto che ciò che lui stava toccando era una semplice e liscia parete.
«Mi dispiace, cambio di programma», bofonchiò, riprendendo a camminare verso la cucina.
Barcollando raggiunse la credenza e fece per tirare fuori la sua tazza, ma la coscienza di Freya prese ancora il sopravvento e gli fece perdere la presa: la tazza si schiantò sulla terra umida, ricoperta di foglie secche e radici, e nonostante si fosse frantumata in mille pezzi Darrell sentì solo le parole della druida: "Non possiamo stare svegli entrambi: torna a dormire".
L'agente si liberò nuovamente della sua presenza ingombrante, sentendosi sempre più provato, e vide i cocci della tazza sul pavimento della cucina. Era la sua tazza preferita, dannazione!
«Non posso», rispose mentre finalmente riusciva a versarsi del caffé. «Della gente ha bisogno del mio aiuto. Puoi rimandare a domani i tuoi piani malvagi?».
Freya si addossò contro una parete rocciosa e con voce affaticata rispose: "I miei non sono piani malvagi, Darrell. Se nemmeno Alexandra vuole abbracciare il suo destino, allora lo farò io per lei: riporterò la magia nel mondo e tutti mi ringrazieranno, un giorno".
«E come pensi di fare?», le chiese ancora ad alta voce, rendendosi conto all'improvviso di quanto fosse da pazzi. Dio, se la sua vicina l'avesse sentito parlare da solo che cosa avrebbe pensato? «E che cosa c'entrano Jake e gli altri ragazzi?».
Freya guardò nella loro direzione e anche Darrell riuscì a vederli: il ragazzo che tutti credevano scomparso, le due sorelle pel di carota, il senzatetto dai capelli color biondo pallido e l'acquisto più recente, una ragazza afroamericana che doveva essere la più grande del gruppo.
"Loro sono il futuro, Darrell. Presto saprai di che cosa sono capaci".
«E tu scoprirai quello di cui sono capace io», replicò con rabbia. «Adesso fatti da parte, ho del lavoro da sbrigare».
"Ragazzi, c'è stato un cambio di programma: ci accampiamo qui per la notte", Freya si rivolse direttamente al suo piccolo esercito. Quindi tirò fuori un piccolo specchio dalla tasca della giacca e gli mostrò il proprio viso provato, ma sorridente. "A presto, Darrell".
Il poliziotto sentì il collegamento interrompersi come se qualcuno avesse appena staccato una spina dal retro del suo cervello e dopo un breve momento di stordimento sospirò sollevato. Finì il caffé e una volta indossata la giacca si chiuse la porta di casa alle spalle.

***

Alex aveva già fatto il giro di ronda, due volte, e Cathleen non si era ancora fatta viva.
Stava sfogliando una rivista dietro il bancone del ricevimento, in quella serata finalmente tranquilla nel reparto di oncologia ma capitata proprio nel momento sbagliato. Nello stato in cui si trovava, avrebbe dato di tutto per un po' d'azione, per potersi distrarre da tutto quello che le vorticava nella testa: i suoi timori riguardo a Excalibur, la scenata di Keith e soprattutto la gita di cui avevano parlato brevemente in auto.
Come sospettava, Artù aveva pensato di portare i bambini dell'ospedale, in particolare Abby e Mark, all'agriturismo dei signori Morris per poter trascorrere una serata diversa al di fuori delle mura dell'ospedale. Proprio come aveva visto nel suo sogno premonitore. Lo stesso sogno in cui aveva incontrato per la prima volta la donna misteriosa che a quel punto non poteva che essere Morgana.  
Il trillo che segnalava un'emergenza in una delle camere la fece scattare in piedi. Se fosse arrivato da quella di Mark e Danilo non sarebbe stata così preoccupata - loro lo suonavano quasi per gioco - ma la ragazzina non l'avrebbe mai fatto se non fosse stato assolutamente necessario. E nelle sue condizioni attuali, voleva dire che c'erano guai in vista.
Entrò nella stanza insieme ad una collega e trovò Abby nel bel mezzo di una crisi respiratoria, altrimenti chiamata anche dispnea - una delle varie conseguenze dell'anemia provocata dalla leucemia.
«Abby? Abby, siamo qui, sei stata bravissima», la tranquillizzò Alex, accarezzandole la fronte imperlata di sudore ed infilandole al dito il pulsiossimetro mentre la collega correva ad accendere il respiratore.
«Ecco qua», disse ancora Alex, sistemandole sul naso e la bocca la mascherina con l'ossigeno.
Col viso alzato verso il monitor, notò che il battito cardiaco non esitava a scendere. Si voltò verso la collega e le sussurrò: «Vai a chiamare la dottoressa, non possiamo somministrarle nulla senza la sua approvazione».
«Non sussurrare Alex, ti sento», rantolò Abigail, portando una mano su quella che teneva la mascherina.
«L'hanno chiamata poco fa dal Pronto Soccorso per un'emergenza», la informò la collega.
«Per quale motivo? Lei non lavora al Pronto Soccorso!».
La collega si strinse nelle spalle, leggermente intimorita dal suo sguardo carico d'astio. «A quanto pare il dottor Ellis non è venuto al lavoro questa sera».
Alex strinse i denti, giurando che quella volta nessuno l'avrebbe fermata se per colpa sua fosse successo qualcosa ad Abby.
«Tu chiamala lo stesso!», ordinò, cacciandola fuori dalla stanza.
Rimaste sole, Alex cercò di ingannare l'attesa parlando con Abigail: «È proprio una fortuna che questa sera tua nonna non ci sia. Ti immagini? Avremmo dovuto ricoverare anche lei per questa sciocchezza».
Abby avrebbe riso, se solo non fosse stata impegnata ad immagazzinare ogni più piccola particella di ossigeno proveniente dalla mascherina.
«Ehi, ho sentito che oggi hai fatto la conoscenza ufficiale dei genitori di Mark», continuò, cercando di celare il nervosismo: dove diavolo era la dottoressa? Ma soprattutto, chi diavolo pensava di essere Keith? Solo perché aveva ricevuto una delusione amorosa allora si sentiva autorizzato a non presentarsi al lavoro? Quanti anni aveva, quindici?!
«È un passo importante, sai?».
Abby chiuse gli occhi d'ossidiana e una lacrima le sfuggì dall'angolo di quello sinistro, finendole tra i corti capelli scuri. «Non posso andarmene ora... Non ho preparato i vostri messaggi».
«Non te ne andrai ora, non sotto i miei occhi», esclamò Alex, lasciandole la mano solo per correre a prendere una siringa di eritropoietina. Non aveva l'autorizzazione a somministrargliela, ma non le importava: avrebbe affrontato qualsiasi conseguenza a cuor leggero se avesse aiutato Abby a superare quella crisi.
Iniettò il farmaco direttamente nella flebo ed attese che facesse effetto col cuore in gola, gli occhi fissi sul monitor. Passarono interi secondi in cui credette di morire, ma alla fine i parametri si stabilizzarono e Abby tornò a respirare regolarmente, anche se il viso le rimase pallido e stremato.
Fu allora che entrò la dottoressa, ancora con la cuffietta da sala operatoria in testa. Esaminò prima le condizioni di Abby, poi le rivolse un'occhiata e le fece segno di seguirla fuori. Alex sospirò con un sorriso affranto, pronta a ricevere una delle peggiori lavate di testa della sua carriera, ma prima di uscire lasciò una carezza sul volto di Abby, la quale aprì un poco gli occhi e si tolse la mascherina per sussurrarle un «Grazie» che le scaldò il cuore. Sì, non se ne sarebbe mai pentita.
E non le venne nemmeno chiesto di farlo, dato che la dottoressa non si arrabbiò con lei, anzi le fece i complimenti per la sua tempestività: certo, per regolamento avrebbe dovuto aspettarla, ma se lo avesse fatto davvero Abby avrebbe potuto soffrire conseguenze ancora peggiori.
«Hai il fegato giusto per correre i rischi del mestiere, Alexandra. Sarai un'ottima dottoressa un giorno», le disse prima di tornare ad occuparsi della ragazzina.
Alex aveva l'umore così alle stelle che quando finalmente Cathleen la raggiunse la trovò con un stupido sorriso dipinto in faccia. Stupido perché, se ne sarebbe accorta presto, era probabile che non avrebbe mai avuto un futuro come dottoressa.
«Scusa il ritardo. C'è stato un grave incidente sulla M4, due morti e sette feriti e... Cosa c'è da sorridere in quel modo? Sei inquietante».
L'infermiera le fece un breve riassunto di ciò che era successo e Cathleen si congratulò, certo, ma la maggior parte della sua attenzione venne catturata dalle condizioni attuali di Abigail.
«È stabile. Probabilmente oggi si è stancata troppo».
«Dannazione, non ci daranno mai il permesso di portarla fuori da qui», mugugnò il paramedico, scura in volto.
Alex perse finalmente il sorriso, ricordando il proprio sogno. «Come è nata quest'idea?».
«Qualche tempo fa Mark ha confidato ad Artù di temere che Abby non potesse più uscire dall'ospedale e viste le sue condizioni pensavamo di farle questo regalo: un giorno di normalità all'aria aperta. Secondo te abbiamo qualche possibilità?».
Alex sapeva per certo che l'avrebbero fatto, ma decise di non dirle la verità. Si strinse nelle spalle e rispose: «Non lo so, vedremo. Più tardi faccio un tentativo con la dottoressa, okay?».
Cathleen dovette subodorare qualcosa, ma si limitò ad annuire.
Stavano tornando ognuna al proprio lavoro, quando il paramedico esclamò con stizza: «Ah, sai chi non si è presentato al lavoro questa sera, gettando il Pronto Soccorso nel caos?».
«Keith. Ho saputo», rispose stringendo i pugni lungo i fianchi. «E ho tutta l'intenzione di fargli un altro discorsetto».
Cathleen le rivolse un sorriso quasi perfido, chiamando l'ascensore. «Questa volta io non ti fermerò!».

***

«Pendragon... Pendragon!».
Artù aprì di scatto gli occhi e tutto ciò che vide fu una fitta oscurità. Provò a muoversi, ma non ci riuscì. Allora provò a gridare aiuto e fu allora che si rese conto di essere sott'acqua: il freddo l'aveva intorpidito a tal punto da impedirgli di capire che il motivo per cui in realtà non poteva muoversi erano le alghe che gli stringevano i polsi e le caviglie, incatenandolo al fondale melmoso del lago di Avalon.  
Chiuse la bocca per non perdere più bolle d'ossigeno e si guardò intorno, alla ricerca della voce che l'aveva chiamato. Ad un tratto scorse dei puntini luminescenti avvicinarsi e si dimenò con più vigore, smuovendo la sabbia nel tentativo di trovare qualcosa di appuntito con cui tagliare quelle alghe e risalire verso la superficie.
«Vi avevamo avvertiti, Pendragon».
I puntini luminosi smisero di muoversi freneticamente tra le correnti e Artù, nonostante non li avesse mai visti prima, capì che si trattava degli Sidhe, creaturine umanoidi paragonabili alle fate, solo molto più raccapriccianti e potenti.
Artù si chiese se anche loro potessero parlare telepaticamente e dato che non aveva molte altre alternative decise di provare: "Che cosa volete?".
«Qui non si tratta di noi, ma dell'equilibrio del regno di Avalon. Emrys ha iniziato qualcosa, quando ha desiderato che l'anima di Freya non morisse: l'ha resa una custode e i suoi poteri hanno protetto le porte che separano il regno dei vivi da quello degli spiriti. Il nostro popolo non può tenerle chiuse ancora a lungo, siamo troppo vecchi e deboli. Dovete riportare qui Freya al più presto!».
"E una volta restituita Freya che cosa succederà? Che ne sarà di me?!"
L'anziano Sidhe iniziò a svanire, avviluppato nella sua sfera di luce azzurra.
"Rispondimi!"
«Il tuo destino non mi compete, Artù Pendragon. Noi abbiamo fatto solo quello che ci è stato chiesto di fare, impedendo al tuo spirito di attraversare le porte di Avalon perché un giorno potesse tornare a camminare nel regno dei vivi».
"Chi ve l'ha chiesto?", domandò ancora Artù, sentendo improvvisamente i suoi polmoni raggrinzirsi per la mancanza d'aria e i battiti del suo cuore rallentare. Lottò per rimanere sveglio, per liberarsi da quella sua prigionia, mentre si ostinava a chiedere chi ci fosse in realtà dietro tutta la storia del suo ritorno.
Il nugolo di Sidhe rispose quasi in coro, allontanandosi e lasciandosi dietro solo oscurità: «Colei che vede il passato, il presente e il futuro; colei che tutti noi serviamo: la Triplice Dea».
Artù avrebbe voluto rispondere che lui non serviva proprio nessuno, ma perse i sensi.

«Artù! Artù, svegliatevi!».
Il re prese un'enorme boccata d'ossigeno ancor prima di aprire gli occhi.
«Artù, state bene?», gli domandò Merlino, inginocchiandosi al suo fianco con le mani posate sulla bocca e gli occhi umidi di lacrime. «C'è mancato così poco...».
Artù fece per mettersi seduto, ma le forze lo abbandonarono e lasciò ricadere il capo sul cuscino bagnato.
«Che cosa è successo? Ero sul fondo del lago, gli Sidhe...».
Merlino si alzò per esaminarlo da più vicino, apprensivo come una madre. «Di che parlate? Avete avuto un attacco, esattamente come le altre volte. Ho sentito dei lamenti e sono corso subito, vedete?». Recuperò il prototipo, dentro il cui cristallo si agitava un agglomerato di magia nera.
Artù si portò le mani sul volto, trovandolo sudato e freddo tanto quanto le acque di Avalon. «No, io... Non so se era un sogno o qualcos'altro, ma ero legato sul fondo del lago e ho parlato con gli Sidhe».
«E che cosa vi hanno detto?».
«Che Avalon ha bisogno di una custode che tenga chiuse le porte del regno degli spiriti».
Lo stregone si sedette al suo fianco, sospirando stancamente. Si massaggiò il viso e dopo qualche secondo di silenzio si gettò rassegnato le mani sulle ginocchia. «Okay, quindi non solo dobbiamo sventare il piano di Freya, ma dobbiamo costringerla a tornare ad Avalon per evitare un'invasione di fantasmi. Come se non avessimo abbastanza problemi...».
«C'è dell'altro», fu costretto a dire Artù, nonostante non gli facesse piacere infierire. «Ho provato a chiedere che cosa mi succederà, ma... l'unica che potrebbe rispondermi è la Triplice Dea. C'è lei dietro tutto questo, Merlino».
Il mago non sembrò sorpreso e Artù in altre circostanze si sarebbe arrabbiato, ma era troppo stanco. Il sole non era ancora sorto fuori dalla finestra, per questo decise di rimandare.
Come se gli avesse appena letto nel pensiero, Merlino si alzò e gli rimboccò le coperte dicendo: «Tornate a dormire. Sono qui accanto, se avete bisogno».
Artù annuì debolmente e si riaddormentò ancor prima che il moro si fosse socchiuso la porta alle spalle.

***

«Ciao».
Alex si portò il cellulare all'orecchio destro e si tolse frettolosamente la sigaretta di bocca per rispondere: «Ehi, che velocità! Eri già sveglio?».
«Sì, Artù ha avuto un attacco questa notte e non sono più riuscito a prendere sonno».
«Artù ha avuto un attacco questa notte», ripeté l'infermiera, toccando il braccio di Cathleen.
Il paramedico gettò via la sigaretta, nonostante anche lei l'avesse appena accesa, e le fece segno di avviarsi verso l'auto. Alex però tirò fuori le chiavi e gliele lanciò, dicendo: «Inizia ad andare, vi raggiungo tra un po'».
«Cosa, perché?», domandarono all'unisono Merlino e Cathleen.
«Artù è già in buone mani. Io devo occuparmi di una questione in sospeso».
La rossa rinunciò a capire e si allontanò, ma lo stregone, dall'altro capo del telefono, insistette: «Di che stai parlando?».
Alex si ravvivò i capelli e scese dalla rampa per allontanarsi dai colleghi che avrebbero potuto sentire la sua conversazione.
«Keith... Questa notte era di turno, eppure non si è presentato. Ho provato a chiamarlo, ma mi ignora».
«Forse dovresti fare altrettanto, non credi?».
«Mi conosci, sai che non posso farlo».
«Già... Sempre a cercare rogne, voi Pendragon! Stai attenta, okay?».
Alex abbozzò un sorriso. «Certo. Ah, Merlino!».
«Dimmi».
«Ho accennato la questione "gita" alla mia caporeparto: riferirà ai dottori e ci farà sapere. Non sembrava molto ottimista, visto quello che è successo...».
«Che cos'è successo?».
«A casa ti racconto, okay?».
«Okay...».
«Ti amo», esclamò Alex e non aspettò nemmeno la risposta del mago prima di chiudere la telefonata e, borsa in spalla, incamminarsi verso il quartiere residenziale della loro minuscola cittadina.

Keith Ellis viveva in una villetta a pochi chilometri dell'ospedale, dalla facciata bianca e col tetto spiovente dalle tegole blu scuro. Annesso c'era anche il garage, davanti a cui era parcheggiata la Mercedes su cui l'aveva visto salire la sera prima.
Sollevata che l'auto fosse ancora lì, aprì il cancello in legno infilando una mano tra i pali della staccionata ed iniziò a percorrere il vialetto in ciottolato, quando Keith in persona uscì dalla porta con una sacca da ginnastica sulla spalla.
«Alex», esclamò con la fronte aggrottata per lo stupore. «Che cosa ci fai qui?».
«Non ti sei presentato al lavoro questa notte».
Sul volto di Keith fece la sua comparsa un piccolo e confuso sorriso. «Ed eri... preoccupata per me?».
«Preoccupata? Piuttosto infuriata!».
L'infermiera si portò le mani sui fianchi e sostenne il suo sguardo mettendocela tutta per dimostrarsi arrabbiata, ma la verità era che le sue intenzioni di prenderlo nuovamente a calci si erano affievolite nel corso delle ultime ore, sostituite invece dall'apprensione: si era messa nei suoi panni e aveva realizzato che al suo posto avrebbe probabilmente reagito alla stessa maniera.
«Ascolta... Mi dispiace per ieri sera», esordì il dottore, raggiungendola a metà vialetto. «Non ero in me».
«Già, l'avevo notato. Hai intenzione di andare in palestra a sfogarti ancora un po'?».
Keith posò gli occhi sulla borsa che Alex stava indicando con un sorriso sbarazzino sul volto e scosse il capo. «Sto partendo».
La sorpresa si palesò sul volto dell'infermiera. «Partendo? E dove vai?».
«A cercare Hala». Il medico le posò entrambe le mani sulle spalle e ancor prima che potesse replicare aggiunse: «Lo so che è assurdo, ma devo farlo. Forse non la troverò, ma almeno farò chiarezza su di me, su come voglio che sia la mia vita».
Le rivolse un tiepido sorriso, quindi la invitò ad abbracciarlo. Alex ricambiò la stretta, troppo sconvolta per fare altro.
«Sarei passato da te tra poco per lasciarti Mr. Palla di pelo», esclamò mentre la conduceva con sé verso la porta.
Artù era già nel suo trasportino, che miagolava triste, e quando l'infermiera ne afferrò il manico riuscì a chiedere: «Sei sicuro che sia la cosa giusta? Lasciare tutto?».
«La verità? No, non ne sono sicuro», rispose con sincerità. «Ma ci ho pensato molto e... sai, forse è questo posto ad allontanare le persone. Ho sempre avuto l'impressione che ci fosse qualcosa di diverso qui... Forse non è per tutti».
Keith non poteva sapere quanto avesse ragione e Alex preferì non rivelarglielo. Lo guardò chiudere la porta di casa e poi consegnarle le chiavi, chiedendole di darle a suo padre quando si sarebbe precipitato a mettere a ferro e fuoco tutta la città per dare un senso alle azioni di suo figlio.
Era già seduto dietro il volante, quando Keith le rivolse un tenero sorriso ed accennando all'anello di fidanzamento le disse: «Ti auguro tutta la felicità di questo mondo, Alex; te la meriti».
L'infermiera sollevò la mano libera per salutarlo e quando fu lontano sollevò il trasportino per guardare negli occhi il piccolo Artù. Si erano finalmente ritrovati, ma a che prezzo? La storia con Keith era stata la più intensa che avesse mai avuto prima di incontrare Merlino e nonostante tutti gli sbagli, tutto il dolore, ne avrebbe sentito la mancanza. Era stata una stupida a non dirglielo, soprattutto ora che il loro tempo era agli sgoccioli e la battaglia contro Freya imminente. Chissà, forse aveva perso la sua unica occasione per dirgli addio.
Rimuginando su tutto questo, Alex si incamminò verso la villa di Merlino. Scelse di passare lungo la pista ciclabile che portava ad Avalon e una volta di fronte alla distesa d'acqua sormontata dalla solita nebbia, un brivido le corse sotto la pelle.
C'era qualcosa che non andava, in ciò che stava vedendo: la torre al centro dell'isola era in piedi, a differenza di ciò che le aveva visto nel suo ultimo sogno. Perché ne aveva viste solo le rovine e quali sarebbero state le conseguenze?
Ansiosa di scoprirlo, riprese a camminare.


________________________________________________________________


Ciao a tutti! :)
Mi scuso per il ritardo con cui ho postato questo capitolo, perdonatemi!
Grazie a chi ha letto fino a questo punto e a chi riuscirà a seguire la storia fino alla fine, dato che ormai non manca moltissimo alla battaglia finale con Freya.
Grazie per il supporto e la pazienza, davvero. Alla prossima!

P.S. I termini e le azioni mediche citate sono il frutto di informazioni trovate su Wikipedia, perciò mi scuso con tutti i lavoratori del settore se ho fatto qualche strafalcione.

Vostra,

_Pulse_
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: _Pulse_