Capitolo
III
Ore 11.00 – Casa
Irina aprì la porta
di casa sua e gettò le chiavi sulla mensola dell’entrata. Il silenzio che
regnava le diceva che non doveva esserci nessuno, e che suo padre e i suo fratelli erano usciti.
Posò la borsa a
terra ed entrò in soggiorno: il tavolino davanti al televisore era invaso da
cartacce e bottiglie vuote. Molto probabilmente i resti della
colazione di suo padre.
Si sedette sul
divano, il volto tra le mani. Era esausta, e aveva un cerchio alla testa. Per
fortuna Sandra, la signora che le faceva da baby-sitter, le aveva tenuto Tommy
per la notte e poi lo aveva portato all’asilo, perché lei era davvero troppo
stanca per occuparsi di lui. Erano due giorni che non riusciva a dormire nemmeno
il minimo indispensabile.
Intanto, un’altra
lezione era andata. Non le piaceva fare assenze all’università, più che altro
perché le scombinava tutta la giornata… Non che i suoi giorni fossero normali,
ma almeno riusciva ad avere una sorta routine.
Con un sospiro si
alzò e raggiunse il bagno al piano di sopra. Accese la luce della specchiera e
si guardò.
I capelli castani,
leggermente mossi, le ricadevano spettinati sulle spalle, e il viso era
palesemente affaticato. Sotto gli occhi scuri c’erano ombre nere, a testimoniare il fatto che nelle ultime notti non avesse
dormito molto.
Scostò una ciocca
di capelli, e con fastidio notò un segno rosso sul collo sottile, un segno che le aveva lasciato William. Passò una mano sopra,
come sperando di poterlo cancellare, e aprì il rubinetto del lavandino.
Un’altra notte se
n’era andata, l’ennesima notte a fare la parte della ragazza dello Scorpione, a
indossare la maschera che in quanto numero 3 della Black List doveva portare. Nella
lista delle regole che doveva rispettare c’era anche quella: fare esattamente
tutto quello che lo Scorpione voleva, e lui voleva che
lei fosse la sua ragazza. Gli apparteneva, lo sapeva, e non poteva tirarsi
indietro. In gioco non c’era solo la sua vita…
Il cellulare
squillò, rompendo il silenzio e i pensieri di Irina. Per un momento pensò di
non rispondere, poi andò in camera sua e lo afferrò senza nemmeno guardare chi
fosse.
<< Cosa c’è?
>> disse, seccata.
<< Ma dove cazzo sei finita, Irina?! >> gridò Max dall’altra
parte del telefono, << Perché non rispondevi?!
>>.
<< Stavo
dormendo >> mentì lei, << Non ho sentito il telefono. E comunque ti
avevo detto di non aspettarmi, dopo la gara >>.
Max sembrava
furioso e preoccupato al tempo stesso. La ragazza si accorse che si tratteneva
a stento.
<< Dove eri?
>>.
<< Sono
rimasta al Gold Bunny fino
alle cinque, poi sono tornata a casa >> mentì Irina, << Mi sono
addormentata e mi sono svegliata poco fa >>.
Era solo una
piccola parte della verità. Erano rimasti al Gold Bunny fino alle quattro, poi erano andati a casa
di William…
<< Mi hai
fatto preoccupare da morire >> disse Max, << Stai bene? >>.
<< Si, sto bene… Ma smettila di chiedermi se sto bene, non ho
due anni >> rispose Irina, cercando di apparire dura. << Perché mi
chiami adesso? >>.
Max non rispose
subito. << Bè, stamattina mi ha telefonato un
tipo… Diceva che ti ha visto ieri sera alla gara, e che vuole parlarti…
>>.
<< Sei
sicuro? >> ribatté Irina, perplessa, << Chi era? >>.
<< Non lo so,
e sinceramente non so nemmeno come ha fatto ad avere
il mio numero di telefono >> disse Max, seccato, << Mi ha detto che
ti conosce, e che ha bisogno di vederti >>.
<< Tu cosa
gli hai detto? >> chiese Irina, curiosa.
<< Gli ho
detto che se aveva tutta questa fretta di incontrarti doveva venire questo
pomeriggio alla mia officina, ma che non sapevo se saresti venuta o no
>>.
Irina tacque un
attimo, poi disse: << A che ora? >>.
<< Alle tre
>>.
<< Aspettami,
ci sarò. Sono curiosa di vedere chi è >>.
Irina chiuse la
telefonata, e lasciò il cellulare sul letto di camera sua. In realtà non le
importava molto di sapere chi fosse il ragazzo che diceva di conoscerla: più o meno tutti quelli che stavano nel giro delle corse
clandestine sapevano chi era. Lei, invece, voleva solo chiudere quella
conversazione con Max, perché non stava affatto bene. Aveva
voglia di andarsene a dormire veramente, per scoprire che quello che stava
vivendo era solo un brutto sogno.
Andò in bagno e
aprì il rubinetto della doccia, e senza nemmeno aspettare che l’acqua si
scaldasse si infilò sotto il getto.
C’erano due
fissazioni, nella vita di Irina: una erano le mani, che curava in modo maniacale, con le unghie sempre perfettamente limate a smaltate
di rosa perlato, e l’altra era quella di lavarsi.
Era fissata con la
doccia: la faceva almeno una volta al giorno, anche se
non ne aveva bisogno. E a volte passava ore dentro l’acqua, lo sguardo perso e
la mente spenta, cercando di sentirsi più pulita di quanto in realtà non fosse.
Forse pensava che le gocce gelide che scivolavano sulla sua pelle potessero
cancellare il tatuaggio a forma di fenice che aveva sulla schiena, poco sotto
il collo, con il quale si era inflitta da sola e
consapevolmente la sua condanna; o quello sul fianco, minuscolo e visibile solo
quando era completamente svestita, a forma di fiore nero, che la marchiava come
proprietà dello Scorpione. Oppure… Oppure pensava solo che l’acqua potesse
lavare la sua anima e farla tornare quella di una volta.
Ma in quel momento,
l’unica cosa che le veniva in mente era che il suo era un mondo fatto di bugie
e segreti, tenuti stretti dentro la sua anima perché troppi per
poter essere rivelati.
Due ore dopo, Irina
si alzava dal letto, diretta al ristorante di Larry Nichols,
nella periferia est della città.
L’Audi TT nera
sfrecciava sul lungomare, i finestrini aperti e la radio accesa che trasmetteva
una canzone di Anastacia, la sua cantante preferita. Il sole splendeva sulla
spiaggia e l’odore salmastro del mare arrivava alle narici di Irina come un
balsamo tentatore. Ancora qualche settimana e il tempo sarebbe
stato perfetto per fare il bagno.
Lasciò l’auto
parcheggiata sotto una palma, sapendo che le ci sarebbe voluto poco tempo per
sbrigare la faccenda. Attraversò la strada e raggiunse il ristorante “La
Lanterna sul mare”, un locale piccolino ma ben tenuto. L’insegna diceva
“chiuso”, ma lei bussò comunque alla porta.
Un attimo dopo, un
uomo anziano comparve sulla soglia, il grembiule bianco sporco e l’espressione
spaventata.
<< Ehm…
Buongiorno Fenice >> disse a bassa voce.
<< Buongiorno
>> salutò Irina, << Posso entrare? >>.
L’anziano annuì e
la fece entrare nel locale. Subito dopo chiuse in fretta la porta, controllando
che nessuno li avesse visti.
Irina guardò la
sala del ristorante, con l’arredamento nuovo e perfettamente pulito. Non c’era
nessuno a parte loro due, ma sentiva il rumore di stoviglie lavate provenire
dalla cucina.
<< Ehm…
>> cominciò Nichols, stringendosi le mani preoccupato, << Lo so che sono indietro, ma…
>>.
Irina guardò
quell’uomo in là con gli anni, che tentava disperatamente di mandare avanti la
propria vita, quando lei vi aveva rinunciato tanto tempo prima. Sospirò.
William aveva
prestato del denaro a Nichols, per permettergli di
aprirsi quel piccolo ristorante insieme alla moglie. Il problema era che il
tasso che lui applicava era quello dello strozzino. La somma iniziale era di
25.000 dollari; ora gliene doveva 100.000.
<< Lo
Scorpione vuole i suoi soldi >> disse, << Avrebbe dovuto pagare due
settimane fa, giusto? >>.
Non c’era minaccia
nella sua voce, ma il vecchio sembrò comunque terrorizzato. Si strinse ancora di più le mani, balbettando.
<< Lo so, ma…
Ma non ci riesco a pagare tutto… Il ristorante non fa molti affari… Pagherò, ho
solo bisogno di tempo… >>.
A Irina fece pena
quell’uomo: aveva creduto di rifarsi una vita con quel ristorante, ma aveva
sbagliato già dall’inizio. Chiedere un prestito allo Scorpione era l’ultima
cosa che avrebbe dovuto fare.
<< Si calmi,
per favore >> disse Irina, << Non sono qui per farle del male… Le
sto solo dicendo che deve sbrigarsi a pagare, altrimenti rischia di trovarsi
molto presto faccia a faccia con lo Scorpione
>>.
Odiava fare la
parte della strozzina, e William lo sapeva. L’aveva mandata lì per punirla del
fatto di avergli risposto male la sera prima.
Nichols sembrava sull’orlo
delle lacrime. << Io… Io… Non farà del male alla mia famiglia… >>
mormorò, << Non ho i soldi, in questo momento, ma
pagherò! Lo giuro >>.
Irina sospirò.
Sapeva cosa voleva dire avere problemi di denaro: lei stessa ogni mese doveva
fare i conti con le spese che a mala pena riusciva a coprire con gli introiti
delle gare. E sapeva anche cosa voleva dire avere un debito da pagare…
<< Senta, il
massimo che posso fare è ritardare ancora un po’ il pagamento >> disse,
<< Posso darle altre due settimane, ma non di più. Trovi i soldi, in
qualche modo. Per quindici giorni può ancora tirare un sospiro di sollievo, ma
la prossima volta potrei non essere io a venire a trovarla >>
L’uomo annuì
vigorosamente, mostrando un sorriso tirato. Era terrorizzato dalla sua
presenza, perché chi era in affari con lo Scorpione
sapeva che lei era una delle persone più vicine a lui. Ma
diversamente da William, lei non era nata per fare la criminale: davanti a
quell’uomo spaventato non era in grado di infierire. Lo avrebbe aiutato, se
solo lei stessa non avesse rischiato la pelle.
Irina sorrise
timidamente, cercando di apparire dolce. << Non si preoccupi. Per due
settimane le prometto che non nessuno verrà a trovarla >> disse, <<
Lei cerchi di trovare i soldi, intanto io farò tutto il possibile per evitare
che la prossima volta venga lo Scorpione stesso… Se riesco
tornerò io, va bene? >>.
<< Grazie…
>> balbettò l’uomo, << Io… Grazie, Fenice… >>.
Irina si schernì.
<< Non mi ringrazi >> mormorò, avviandosi verso l’uscita dal
locale, << Non ha proprio nulla di cui essermi grato. Piuttosto, cerchi
di trovare quei soldi… Ah, mi chiami per nome, per favore >>.
Senza aggiungere
altro, uscì dal ristorante, tornando sul marciapiede sgombro. Raggiunse l’auto
a passo rapido e salì.
Un’altra faccenda
era stata sbrigata. Ora poteva tornarsene a casa e dormire ancora qualche ora.
Si ricordò
all’improvviso di una cosa, e prese il cellulare che aveva lasciato sul sedile
in bella vista.
“Sono tornata tardi ieri sera. Ci vediamo domani a lezione” scrisse, poi inviò
il messaggio a Jenny. Molto probabilmente avevano immaginato perché non fosse
andata all’università, ma era sempre meglio avvisarle. Potevano anche pensare
che avesse avuto qualche incidente.
Ore 15.00 – Officina
Irina aspettava davanti
alla saracinesca aperta del garage dell’officina di
Max, mentre lui era chino sul cofano aperto di un pick-up rosso scolorito,
cercando di capire perché continuasse a fermarsi ogni tre chilometri. Antony, il suo amico e socio, si era infilato sotto una
Chrysler 300c, e al momento di lui si vedevano solo i
piedi e la cassetta degli attrezzi.
Dopo aver sbrigato
la faccenda di Nichols aveva
dormito ancora qualche ora, e poi si era recata all’officina dell’amico,
lasciando la Punto ben nascosta nel garage di casa.
<< Cosa avete fatto ieri sera? >>
chiese Max, gettandole una rapida occhiata prima di tornare a esaminare il
motore del pick-up. Si era guardata allo specchio, quella mattina, e
sapeva di non avere un bell’aspetto.
<< Siamo
andati al Gold Bunny, come
al solito >> rispose Irina, << Alla fine si sono ubriacati tutti, e
me ne sono andata prima che crollassero addormentati sui divanetti… >>.
Guardava l’albero
del vialetto senza vederlo. Odiava mentire, ma non voleva che Max sapesse tutto
quello che faceva…
<< Almeno ti
sei divertita? >> chiese Max.
Irina si rabbuiò.
L’ultima volta in cui si era divertita non la
ricordava nemmeno. << Un po’ >> rispose, evasiva.
Antony sbucò da sotto
l’auto, la faccia nera e le mani unte di olio. Aveva i capelli lunghi e come
sempre spettinati, di uno strano color castagna; la carnagione scura e gli
occhi come due pozzi bui, e il naso schiacciato che lo faceva assomigliare a un
peruviano. In realtà era messicano.
<< Dannata
macchina >> borbottò, cercando di pulirsi la faccia, << Quello
spende cinquantamila dollari di auto, e poi non gli fa cambiare le pastiglie
dei freni… >>
Irina ridacchiò
davanti all’espressione scocciata di Antony, ma
soprattutto davanti alla sua faccia tutta nera. Il ragazzo si ripulì le mani e
salì sulla Chrysler.
<< Vado a
fare un giro di prova >> disse, << Ci vediamo tra poco >>.
Proprio mentre la
300c spariva dietro un angolo, Irina sentì il rumore di un motore provenire
alle sue spalle. Si voltò, e fu piacevolmente stupita di vedere che l’auto che
sopraggiungeva sinuosa come un felino era
Si stampò in faccia
un sorriso beffardo e aspettò che l’auto si fermasse nel vialetto davanti
all’officina di Max, assaporando il lieve rombo del motore da 420 cavalli, in
quel momento tenuto al minimo. I vetri neri le nascondevano il pilota, e non
poté fare a meno di provare un po’ di curiosità.
La portiera si aprì
senza un rumore, e il misterioso ragazzo uscì dalla BMW. E lei non poté fare a
meno di spalancare gli occhi.
Alexander
Went chiuse la porta della macchina con un movimento
fluido, uguale e al tempo stesso diverso da come lei lo ricordava. Alto,
capelli neri spettinati e occhi di un azzurro ghiaccio, era bello come lo era
stato al College. Era cresciuto ancora di qualche centimetro, ma aveva sempre
il suo solito bel fisico muscoloso e asciutto. Sorrise,
mostrando i denti perfetti e bianchissimi, nel suo intramontabile ghigno
lupesco.
<< Tu?! >> esclamò la ragazza, sorpresa.
Xander la guardò
divertito, poi rispose: << Avevo detto di conoscerti >>.
Irina aveva
conosciuto Xander al College, e lui era più grande di
lei di quattro anni. Il ragazzo era sempre stato il più bello dell’istituto,
oltre che un incredibile combina guai, ma complice
l’avvenenza e la simpatia, riusciva sempre a cavarsela nelle situazioni più
assurde. Si conoscevano poco, e solo perché lei era diventata complice per qualche
minuto di uno scherzo del suo gruppo ai danni di un loro compagno veramente
rompiscatole. Da quella volta si salutavano per i corridoi, con enorme invidia
delle sue amiche. Quando poi lui aveva finito il College, non lo aveva più
rivisto da quelle parti. Dovevano essere passati almeno cinque anni.
<< Cosa ci
fai qui? >> chiese Irina. Si sarebbe aspettata di tutto, ma non di certo
lui.
<< Mi sembra
evidente che non sono il bravo ragazzo che sembravo a scuola >> rispose Xander, senza abbandonare il suo sorriso divertito.
Max scrutava Xander come se fosse un intruso venuto da Marte. Era
evidente che non fosse felice di vederlo, anche se non sapeva di chi fosse.
<< Vi
conoscete? >> domandò, rivolto a Irina.
Lei annuì. <<
Non dirmi che ti sei dato alle corse clandestine! >> aggiunse poi,
guardando il nuovo arrivato.
<< Bé,
nemmeno tu mi sembravi il genere di ragazza che si
diverte a fare scorribande notturne per la città >> ribatté Xander, strappandole un sorriso.
Irina abbassò un
attimo la testa, riconoscendo nelle sue parole un fondo di verità, poi disse:
<< Credevo fossi andato a lavorare con tuo padre in qualche multinazionale
automobilistica, o una cosa del genere… Non mi aspettavo di vederti ancora qui
in mezzo a noi comuni mortali, dopo il College >>.
Xander rise. << In
un certo senso, ho molto a che fare con le auto >> rispose, dando una
manata alla BMW, << Ti ho visto ieri sera. Sei davvero brava >>.
<< Lo sono
abbastanza da non farmi ammazzare >> disse lei, incrociando le braccia,
<< Ma non sono nulla in confronto ad alcuni
piloti di qui >>.
Era la verità: veniva considerata molto brava, nel suo giro, ma c’era gente
contro cui lei non si sarebbe mai messa. Se lei si faceva degli scrupoli,
quando gareggiava, altri non facevano altrettanto.
Max sembrava morire
dalla voglia di inserirsi nella conversazione, e disse rivolto alla ragazza:
<< Vuoi entrare dentro? >>.
<< Sì, è meglio… >> disse Irina, << Ti dispiace se parliamo
all’interno? >>.
Xander annuì e la seguì
dentro l’officina, nella parte dove prima c’era la
Chrysler: sul pavimento campeggiava ancora una grossa chiazza d’olio. Irina
afferrò uno sgabello e ci si sedette, mentre Max chiudeva il cofano del pick-up
e abbassava la saracinesca.
<< Come mai
tutta questa segretezza? >> chiese Xander, più
divertito che preoccupato.
<< La persona
per cui lavoro potrebbe passare di qui e vederti. E potrebbe pensare che ti
stia aiutando, visto che intuisco che vuoi gareggiare >> rispose secca
Irina.
Xander sembrò non capire,
ma lei lo zittì prima che potesse chiedere spiegazioni. << E’ così, vero?
>>.
<< Sì
>> rispose lui, mentre Max tirava fuori da un piccolo frigorifero
incastrato in un angolo alcune birre << Voglio entrare nel giro >>.
Irina afferrò la
bottiglia di Corona che il meccanico le porse, poi disse: << Qui non si
scherza. Se vuoi veramente entrare “nel giro” devi
darti da fare. E soprattutto ti servono parecchi soldi >>.
<< Quelli non
mi mancano >>.
Irina fece una
smorfia: era sempre stato particolarmente benestante. L’auto da ottantamila e passa dollari lo dimostrava. << Lo sapevo già. Il
punto è che hai due possibilità: o rimani tra le file dei piloti da quattro
soldi oppure, se sei veramente bravo, puoi entrare del giro dei “big”, e farti
una reputazione. Ma sei vuoi diventare qualcuno devi
mettere in conto che qui comanda lo Scorpione… >>.
<< E sarebbe?
>> chiese Xander, interessato e per niente
intimorito.
<< William Challager. E’ il numero 1 della
lista dei ricercati, ed è lui che fa le regole. Tra noi piloti ci chiamiamo
tutti con soprannomi, per evitare di farci riconoscere dalla polizia. Lui è lo
Scorpione. Finché non lo conoscerai di persona dovrai
chiamarlo così. Non credo di svelarti una novità dicendoti che è il figlio di
George Challagher, il proprietario di mezza Las Vegas
e di tutti i casinò di queste parti >>.
<< Lo so già.
Prima di venire qui mi sono informato un po’ in giro.
Non è certo la prima volta che gareggio >>.
Irina accavallò le
gambe, incrociando le braccia dietro la testa. << Qui non è come dalle
altre parti. I piloti più forti che ci sono fuori dallo Stato non durerebbero
nemmeno un giorno. Qui non si fanno problemi a sbatterti giù da un burrone
mentre gareggi… Qui anche la polizia ha paura di loro >>.
<< Non mi
spaventano >> ribatté Xander, << Non sono un novellino. Sono anni che corro >>.
Irina guardò
l’espressione sicura del ragazzo, in piedi davanti a lei. Ritrovarselo davanti
era già di per sé una sorpresa; sapere che voleva anche gareggiare era ancora
più insolito.
<< Qual è il
tuo obiettivo? >> domandò Irina, cercando di capire cosa volesse da lei. <<
Di preciso, perché vuoi correre da queste parti? >>. Gli sembrava
assurdamente sicuro di sé, e la cosa quasi la divertiva. Prese il suo bicchiere
in attesa della risposta.
<< Voglio
spodestare Challagher dal primo posto della Black List >>.
Irina si soffocò
con un sorso di birra. << E’ impossibile! >> disse. << Potrai
anche essere bravo, ma non puoi sperare di battere
William. Nessuno ci riesce da anni >>.
<< Perché non
dovrei riuscirci? >> domandò Xander, beffardo.
<< Perché lui
è spietato! Tu non hai idea di cosa sia capace di fare, quando corre. Se non ti
batte per bravura, ti batte in astuzia. Per lui non
esistono regole, quando gareggia: non si fa problemi a
farti fuori, se vuole >>. Irina lo guardò, sperando che lui scherzasse,
ma Xander non diede segno di spaventarsi.
Era la verità,
quello che aveva appena detto. Da quando era entrata a far parte del giro dello
Scorpione, William non aveva mai perso una gara. Già arrivare a lui era
difficile; batterlo diventava quasi impossibile.
<< Sembri
conoscerlo bene >> ribatté Xander, provocatorio.
<< Qui lo
conoscono tutti, almeno di fama >> disse lei, piccata, << Questo
semplicemente perché è lui che decide se puoi o non puoi
fare parte del suo gruppo. Controlla tutte le gare clandestine dello Stato,
oltre ad avere una rete di affari da far impallidire chiunque. Tra lui e suo
padre controllano tutta la regione >>.
Attese che Xander mostrasse qualche sorta di sorpresa, ma lui rimase
impassibile.
<< Sei sicuro
di quello che vuoi fare? >> chiese, guardandolo di sottecchi.
<< Non sarei
qui, altrimenti >>.
La ragazza lo fissò
per un momento, cercando di capire se Xander in
quegli anni avesse per caso perso il senno della ragione. Le sembrava lucido, e
anche troppo sicuro: poteva essere anche bravo, ma nessuno, nemmeno lei,
avrebbe mai osato sperare di battere William Challagher.
Non così presto.
C’erano diverse
cose che non le tornavano: possibile che uno come lui
si divertisse a fare gare clandestine rischiando il carcere? Oltretutto, perché
tornare proprio a Los Angeles, quando faceva la bella vita a New York?
<< D’accordo
>> disse alla fine Irina, << Se è quello che vuoi, non sarò io a
fermarti. Ma non dirmi che non ti avevo avvertito
>>.
Xander sorrise.
<< Non
capisco però perché hai voluto vedere me >> continuò Irina, << E
non credo sia solo una rimpatriata tra vecchi compagni di scuola >>.
<< Ho bisogno
che tu mi dia qualche dritta >> rispose Xander,
<< Sono nuovo del posto, e devo sapere come funzionano le cose da queste
parti. Oltretutto, mi sembra di capire che qui siete, diciamo, un po’ “chiusi”
>>.
Irina capì a cosa
si riferiva: per poter sfidare i piloti più forti
della regione bisognava avere una certa reputazione. E anche solo per correre
nelle gare organizzate dallo Scorpione bisognava avere
le conoscenze giuste. Tutto per evitare la polizia, ed eventuali infiltrati.
<< Di regola
non dovresti essere già davanti a me, infatti >> disse Irina, << Io
incontro solo quelli che arrivano abbastanza in alto… Non certo i nuovi arrivati
come te >>. Sorrise, sapendo che aveva capito che non stava dicendo sul
serio. In realtà era una bugia: se poteva, cercava di incontrare e far
desistere da propositi impossibili tutti i piloti che arrivavano lì e
decidevano di entrare nel gioco. Ma questo William non
lo sapeva.
<< Quindi stai ai piani alti? >> chiese Xander, divertito.
<< In un
certo senso… >>
Max
ricomparve all’improvviso, mentre fuori si sentiva il motore acceso di un’auto:
doveva essere Antony: << Sono le quattro
passate… >> disse rivolto a Irina.
Lei guardò
l’orologio: doveva andare a prendere Tommy all’asilo. << Mi ha fatto
piacere rivederti, ma in questo momento ho un impegno che non posso rimandare
>> disse alzandosi, << Se vuoi veramente gareggiare, ci sono un
paio di regole che devi conoscere, e che posso spiegarti. Domani a casa mia,
alle due e mezza di pomeriggio. Max ti darà
l’indirizzo e il mio numero di telefono >>.
Raggiunse Max che
apriva la saracinesca, inondando di luce l’officina.
<< Dagli il numero del Nokia, non l’altro, per favore >>
gli disse.
Max annuì ed
entrambi la seguirono fino alla TT, parcheggiata dall’altro lato della strada.
<< Ci vediamo domani, allora >> disse Irina, rivolta a Xander << Puntuale, per favore >>.
Stava per chiudere
la portiera dell’auto, ma la voce di Xander la fermò.
<< Ehi, un’ultima domanda >>, disse serio, << E tu cosa ci
fai qui? >>.
Irina non lo guardò
mentre rispondeva, ma fissò il contagiri della macchina. << Sicuramente
non sono qui per il tuo stesso motivo >> rispose, e chiuse la porta.
Senza aspettare
altro, infilò la prima e partì diretta a casa.
Ore 17.12 – 5° strada
Xander percorreva la 5°
strada ben al di sopra del limite di velocità imposto
dai segnali. Era diretto a casa sua, e teneva il cellulare ancora in mano.
Aveva appena comunicato alla centrale che era riuscito a entrare in contatto
con la ragazza e che era andato tutto come previsto.
Il piano originale
prevedeva che lui si facesse strada tra i piloti a
suon di gare, facendosi notare ed entrando nel giro giusto di conoscenze, fino
ad arrivare allo Scorpione. Quando però aveva scoperto che Irina, alias Fenice,
era tra i piloti clandestini, lui e White avevano deciso di provare a entrare
in contatto con lei, sperando di velocizzare la cosa, visto
che lei sembrava avere una certa influenza, da quelle parti.
Doveva ammettere però
che era rimasto colpito. Prima di qualche settimana non avrebbe mai immaginato
di trovare Irina invischiata in qualcosa del genere. Non la conosceva alla
perfezione, ma sapeva che non era il tipo da diventare una criminale. E la
frase che gli aveva detto poco prima di andarsene confermava il suo sospetto
che lei non fosse lì per piacere.
La ricordava come
una ragazza allegra e forse un po’ timida, e con un carattere abbastanza forte.
Sapeva che aveva alle spalle una situazione familiare non facile, ma non era
mai stata una ribelle. A scuola si era sempre comportata bene, senza mai
catalizzare l’attenzione su di sé.
Adesso sembrava
tutto il contrario.
Aveva un’auto
italiana bianca, che già di per sé attirava l’attenzione. Disputava gare
clandestine con un’abilità al volante inusuale per una
donna. Ed era invischiata in un giro di droga e affari loschi come una delle
peggiori criminali.
“Dì anche che è diventata
davvero bella”
pensò.
Sorrise,
ritrovandosi a pensare una cosa del genere. Non aveva mai notato quella cosa,
all’epoca del College, forse perché in quel periodo era attirato da ragazze più
stupide e decisamente più “facili”. Era stato un
adolescente cretino anche lui.
E molto
probabilmente non era l’unico a pensarlo. L’espressione del suo amico Max
mentre si sforzava di dargli il numero di telefono e l’indirizzo di Irina, era
stata molto eloquente.
Svoltò a destra,
ripensando alla faccia che aveva fatto Irina quando lui sembrava voler chiedere
spiegazioni riguardo alla sua sicurezza. Sembrava stanca, ed era evidente che
non volesse svelare molto di sé. Forse si stava sbagliando, ma quella ragazza
nascondeva qualcosa, e di sicuro non era più quella che ricordava lui all’epoca
della scuola.
Ore 17.12 – High Street
Irina guidava
diretta a casa, il cellulare nella mano sinistra e la destra che stringeva il
volante. Seduto nel suo seggiolino, Tommy mangiucchiava la sua merenda con il
biberon pieno di succo di frutta nella manina.
<< Perché lo
hai invitato a casa tua? >> chiese Max al telefono, << Rischi di
farti beccare da tuo padre >>.
<< Mio padre
e i miei fratelli domani non ci sono, vanno via tutta la giornata. Non mi interessa cosa fanno, basta che non ci sono in casa. E
poi è l’unico posto sicuro che conosco, dopo casa tua >>.
<< Appunto,
perché non a casa mia? >> ribatté Max. << Non lo conosci nemmeno.
Potrebbe essere pericoloso… >>.
<< Non dire
scemenze, Max >> sbottò Irina, << Lo conosco. Andavamo a scuola
insieme, ed è uno a posto. Almeno, lo era. Comunque, non ha importanza. Voglio
capire perché è qui, e perché vuole cercare di spodestare William >>.
<< E’ solo un
riccone senza cervello >> disse Max, << Non ci sono altre
motivazioni. E’ esattamente come tutti quelli del nostro giro: vuole solo farsi
vedere. Probabilmente spera che tu lo aiuterai a scalare la lista. Non è il
primo e non sarà di certo l’ultimo >>.
<< Non credo.
Sono sicura che c’è qualcosa sotto… nessuno con un po’
di cervello si getterebbe a capofitto in una serie di gare qui a Los Angeles
senza essere più che preparato >> Irina controllò Tommy nel suo
seggiolino. << O è diventato uno sventato, oppure ha in mente
qualcos’altro >>.
In effetti, Xander era sempre stato particolarmente spericolato, ma non
era certo stupido. Non poteva non sapere di stare rischiando della grossa.
<< Vuoi che
venga da te, domani? >> chiese Max.
<< No, se ci sei anche tu sicuramente non mi dirà nulla di più di quanto
non abbia detto oggi >> rispose Irina, << E comunque ho un idea. Ci
sentiamo >>.
Mezz’ora dopo, parcheggiava la TT davanti a un negozio di informatica
dimesso e trascurato. Prese Tommy in braccio ed entrò dentro,
richiudendosi pesantemente la porta alle spalle.
<< Ehila, bambina >> disse con voce strafottente l’hacker Greg Thile, vedendola
entrare. Era chino sul lungo tavolo che occupava quasi tutto il negozio, sopra quello che poco prima doveva essere un pc
fisso ma di cui rimaneva solo lo scheletro vuoto.
Quando sentì come
l’aveva chiamata, Irina fece una smorfia. Aveva tanti di quei soprannomi, in
giro, che ormai aveva perso il conto: li odiava tutti,
dal primo all’ultimo, e avrebbe tanto preferito che la chiamassero per nome,
una buona volta. Tuttavia, quello era quello che detestava di più: la
chiamavano bambina, quando bambina non lo era mai
stata.
<< Ciao Greg
>> lo salutò lei, di malavoglia.
Greg Thile era un informatico di trentacinque anni, e viveva con
gli introiti che quel negozio di computer gli dava. Tanti anni prima aveva
allargato il suo business a qualcosa di più lucroso e decisamente
fuori legge: la ricerca di informazioni su chiunque e su qualunque cosa.
Thile si alzò e tirò
fuori un portatile Sony di ultima generazione da una borsa nera nascosta in un
angolo, adagiandolo sul tavolo.
<< Chi cerchiamo
questa volta? >> chiese, sardonico.
Tommy guardava
meravigliato i vari componenti informatici che c’erano
sugli scaffali, mettendosi le mani in bocca. Molto probabilmente avrebbe tanto
voluto toccarli, se Irina non lo avesse tenuto in braccio.
<< Alexander Went >> disse lei, tirando fuori il portafogli.
<< Alexander Went… Bene, bene >> borbottò Thile,
pigiando sulla tastiera, << Nuovo di queste parti? >>.
<< Forse
>> rispose evasiva Irina, << Voglio sapere da dove arriva, se ha
gareggiato da altre parti, e se è noto alla polizia. Le solite cose >>.
Thile porse la mano
aperta, e la ragazza vi appoggiò un fascio di banconote.
<< Come al solito non ti ho mai vista da queste parti, ne ho mai
sentito parlare di Alexander Went >> recitò,
intascando i soldi, << Ti telefono quando ho trovato qualcosa >>.
Annuendo, Irina
uscì dal negozio e tornò in macchina.
Il perché di tutta
quella segretezza era solo uno: William.
Irina lavorava per
lo Scorpione, ma lo faceva per necessità. E lui sapeva che nonostante l’avesse
in pugno, non poteva fidarsi completamente di lei.
Ore 19.00 – Casa
Il telefono squillò
crudele mentre Irina tentava di aprire la porta di casa con Tommy in braccio e
le buste della spesa tra le mani. Adagiò velocemente le borse in cucina e prese
il telefono.
<< Pronto
>>.
<< Sono Greg,
Irina >>.
<< Hai già
fatto? >> chiese lei, stupita.
<< Sì, e ho
scoperto delle cose interessanti >> rispose Thile.
<< Sembra che questo Alexander abbia un parco
macchine più vasto di un autosalone >>.
<< Cosa intendi? >>.
<< Mi sono
infilato nei siti di gare clandestine estere, e sembra abbia disputato un
numero incredibile di corse: è stato a New York, a Boston… >> spiegò Thile, << E, cosa ancora più importante, le ha vinte
tutte. Da quello che però risulta, ha usato almeno una decina di macchine
diverse >>.
Irina rimase
colpita, ma non si preoccupò più di tanto. Non era poi molto strano che avesse
soldi a palate e che fosse un talento. Le premeva sapere altro.
<< E negli
archivi della polizia hai guardato? >> chiese.
<< Non c’è
alcun dato su di lui >> rispose Hacker, <<
Sembra che non sia mai stato segnalato da nessuno. Ho controllato bene, ma
nemmeno un’auto che ha usato è stata registrata. Deve essere veramente bravo a
dileguarsi, perché negli ultimi tempi ci sono stati diversi arresti dalle parti
in cui è stato >>.
Irina non ci mise
molto a giungere alla conclusione più ovvia, la stessa
che aveva fatto qualche ora prima.
<< E’ un
poliziotto >> disse, più che altro a se stessa.
<< No,
bambina, non lo è >> ribatté Thile, << Ho
guardato la lista dei membri del corpo di polizia, e
lui non c’è. Quello che ti ha dato potrebbe essere un nome falso >>.
<< No, ci
conoscevamo già anni fa. Il nome è giusto >> Irina appoggiò sul ripiano
della cucina una scatola di biscotti, sovrappensiero. << Sei sicuro che
non ci siano segnalazioni da parte della polizia locale? Nemmeno William
potrebbe essere in grado di eludere così bene gli sbirri… >>.
<< Bé, a
essere sincero, una segnalazione c’è >> disse Thile,
con una strana voce, << Sul sito della polizia federale gli pende una
taglia di 1.000.000 di dollari >>.
Irina si immobilizzò. “Non è
possibile” pensò, “Solo William ha
una taglia del genere”.
<< Stai
scherzando, vero? >>.
<< No, non
scherzo. Quel tipo potrebbe essere più forte dello Scorpione, ma è come un fantasma.
Sembra pulito. Non ci sono sue tracce da nessuna parte. Dove passa non rimane
nulla su di lui >>.
Irina guardò fuori
dalla finestra, scioccata. Xander stava nascondendo
qualcosa, e lei voleva capire cosa. C’erano già stati poliziotti infiltrati tra
di loro, ma erano tutti iscritti nella lista che aveva controllato Thile…
<< Grazie
>> disse, << Se scopri qualcos’altro di interessante,
telefonami >>.