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Autore: Arny Haddok    26/09/2017    2 recensioni
Dal testo "Signori e Signore. Bambini e Bambine. Benvenuti. Il circo itinerante Hound's Wonders è felice di ospitarvi per questa magica serata natalizia! Questa sera sarete in mia compagnia, e insieme ammireremo meraviglie di altri mondi, creature bizzarre e evoluzioni che nemmeno potete immaginare! Questa sera, signori miei, la destinazione del nostro indimenticabile viaggio è una sola... DESTINAZIONE MERAVIGLIA!"
I personaggi di Sherlock catapultati nell'universo del circo.
[CircusAU] Accenni di [Teen!lock]
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao Ciao Ciao a tutte! Aggiorno la sera per varie ragioni, ma facciamo finta di niente. Vi aspetto alla fine per le cose importanti.
Forza circensi miei!


On The Wire
 
Capitolo ottavo
Skinny love 


 
 
Con un maglione di lana e la coperta a proteggersi, Sherlock raggiunse la sua tenda, dove poco dopo fece il suo ingresso anche John di ritorno dalla colazione.
- Se vuoi qualcosa da mettere sotto i denti posso andarla a prendere. – intento a finire il suo pane tostato, Watson si preoccupò di chiudere al meglio l’entrata per evitare che il freddo si facesse sentire più del necessario. 
- Ci ha già pensato Mycroft…  grazie. – appena sveglio, suo fratello aveva insistito perché mangiasse, cosa che di solito evitava con la scusa di sentirsi appesantito. La realtà era che la mattina presto le persone riuscivano a farlo innervosire ancora più facilmente. 
- Per ieri notte… beh, non so perché l’ho fatto, ma l’ho fatto e basta. Spero di non averti infastidito, anche se sembravi stare abbastanza bene rispetto a quando ti ho trovato. – il funambolo aveva l’intera scena in mente, senza che potesse essere interrotta da nulla, ma le ultime battute dell’amico lo lasciarono senza parole per qualche attimo. Dovette ricostruire l’avvenimento, o almeno, quei frammenti che ricordava: allora non era stato Mycroft a trascinarlo e condurlo al riparo, ma John, con le spalle gracili e con la stanchezza addosso – Mi hai spaventato. Avevi gli occhi vuoti, non so se riesci ad immaginarlo ma… avevo paura. – 
Sherlock lo guardava avvolto nella coperta seduto sulla sua branda, giramenti di testa che non gli lasciavano tregua e una strana sensazione nel petto. Il cuore gli batteva più velocemente, e fu costretto ad abbassare la testa così che i riccioli potessero coprirgli il volto evidentemente a disagio. Non gliene aveva mai parlato ed erano mesi che condividevano uno spazio angusto come quello dove si trovavano in quel momento. Era passato troppo tempo perché la sua risposta potesse apparire spontanea e non ragionata – Sei la terza persona che mi vede in quello stato. Mycroft ha sempre cercato di tenerlo nascosto e io non ho fatto nulla per impedirglielo. Cosa avrebbero pensato di me sapendo che ho bisogno di farmi? – 
- Ne hai bisogno? – la voce di John interruppe la replica del moro – Sherlock, non ho mai conosciuto qualcuno con un talento simile al tuo, e ieri ho quasi creduto fossi morto. Morto, oddio, nemmeno riesco ad immaginare una cosa del genere! – stava gesticolando e la sua espressione lasciava trasparire limpidamente il suo trattenersi – Non m’interessa che cosa potrebbero pensare gli altri, ok? Voglio solo sapere perché. – si fermò in piedi di fronte al circense con le mani sui fianchi e uno sguardo che non ammetteva stronzate. 
Il giovane Holmes sospirò cercando di fare meno rumore possibile – Andrew. Ti ho parlato di lui, forse anche troppo, e non so esattamente cosa mi succede quando penso troppo al mio maestro. Mycroft riesce solo a dirmi “è stata una persona importante, quindi è normale che tu ti senta male quando lo ricordi”, ma so che non basta, eppure non riesco a capire cosa mi manca. Dovrei provare nostalgia, no? È quel sentimento che le persone normali provano nel ricordare una bella persona o un bel momento. Io invece mi sento male. –
- Quante volte è successo? – non sapeva come replicare alla storia di Andrew, aveva troppa paura di dire qualcosa di sbagliato, soprattutto dopo che aveva scoperto che la “dipendenza” di Sherlock era causata da quello. 
- Negli ultimi mesi non ne ho più avuto bisogno. – non voleva ammettere che John lo aveva distratto dalla sua sofferenza – Ma sono diversi anni che succede. – ora non poteva fare a meno di chiedersi che cosa il suo amico pensasse di quella situazione, o forse di lui. Come lo reputava ora che era a conoscenza del suo problema più grande?
Il volto del più basso, ancora inchiodato in piedi al centro tra le due brande, non era cambiato troppo, ma si scorgeva un alone di tristezza nei suoi occhi: non era pietà o delusione, ma un insieme di preoccupazione e interesse. Assottigliò le labbra e si lasciò cadere su un baule alla sua sinistra, scorgendo così il viso scavato e pallido del suo amico – Sherlock, se mai dovesse capitare di nuovo, di sentirti in quel modo, ti prego, chiamami. Sono tuo amico, e come tale ti posso proteggere, o almeno provarci… non ho mai avuto persone a cui confidare tutto quello che mi passava per la testa, nemmeno a Stanford ho raccontato tutto quello che invece ho detto a te. Ti posso considerare l’amico più stretto che ho. – sperava che il suo sguardo incrociasse quello del funambolo, e così accadde. 
Non era però uno sguardo leggero, limpido. Sherlock stava piangendo silenziosamente e i suoi occhi erano gonfi a causa delle lacrime. Si era commosso perché aveva capito di non essere più solo, che quella mano che si era posata sulla sua fronte la notte precedente era reale. Allo stesso tempo stringeva con le mani la coperta come se la paura che lo aveva sconvolto durante l’esibizione potesse tornare a prenderlo. John vedeva un bambino solo e al buio. Si alzò e abbracciò il suo amico, che continuò a piangere. 
 
 
___
 
 
Il circo si esibì per più serate consecutive, senza che Sherlock potesse partecipare, anche se le sue parole esprimevano tutto il suo disappunto riguardo quella situazione. John, che lo teneva d’occhio dalla sua branda, concordò con Mycroft che non sarebbe stato il caso di farlo salire sul cavo per un po’, e il direttore della compagnia, soprattutto lui, s’impuntò perché la loro decisione venisse rispettata. Aveva già assistito a episodi simili in passato, ma questa volta era accaduto a distanza di parecchio tempo rispetto alle precedenti, e il fisico del fratello ne aveva risentito per diversi giorni. Watson, che in altre occasioni si sarebbe schierato silenziosamente dalla parte del funambolo, insistette perché si riposasse e si lasciasse aiutare nelle situazioni più disparate. 
A Moriarty la situazione divertì parecchio: rideva al pensiero del giovane medico che girava freneticamente per l’accampamento in cerca di un bicchiere d’acqua o di chissà cosa. Tutti i componenti dell’Hound’s Wonders sapevano perfettamente che, quando voleva, Sherlock sapeva essere una prima donna peggiore di una ballerina della scala in attesa di salire sul palco per il primo spettacolo. In tutto questo, il presentatore stava comodamente seduto su un cassone ad immaginarsi Molly Hooper invasa dalla gelosia nei confronti di quel ragazzo piuttosto basso. Voleva esserci lei al suo posto, ma divertirsi torturando ancora quella povera fancuilla non era un’idea che lo allettava come all’inizio, anche se di questo era stata Irene a convincerlo. Inoltre, avevano altro cui pensare, come sistemare il discorso di presentazione ora che il loro formidabile funambolo era costretto dietro le quinte.
 
 
___
 
 
L’agente di polizia giunse finalmente alla cartoleria dopo aver chiesto indicazioni con la sola descrizione dell’insegna e dell’indirizzo. Il negozio era modesto, semplice, e ciò che saltava all’occhio era sicuramente quell’elefante rosso che incuteva un certo timore a causa della tinta scurissima degli occhi. La vetrina era allestita con quella poca merce di un certo valore che la cartoleria offriva, tra cui una stilografica, qualche quaderno rilegato in pelle di seconda mano, inchiostri di almeno quattro colori diversi, e un paio di piume. Lestrade si soffermò ben poco all’ingresso, e si chiuse la porta a vetri alle spalle con una certa velocità, quel pachiderma non lo faceva certo sorridere, e il suono di un campanello accompagnò tutti i movimenti del nuovo cliente. Benché la zona di Londra in cui la bottega si trovava era tra le più infelici, e la spoglia vetrina non aiutasse il grigiume dell’ambiente, il negozio era perfettamente ordinato e pulito, con diversi punti di colore che catturavano immediatamente l’attenzione. Un signore anziano ma particolarmente arzillo, quasi saltellava nel raggiungere il bancone, con un sorriso rilassato e due occhi vivi, rimpiccioliti da un paio di occhiali tondi e spessi. Era alto e snello, e Gregory si rese conto di sorridere a sua volta, forse rincuorato nel vedere una persona serena nel mezzo di tutta quella tensione che si trovava quotidianamente intorno. 
- Signore, questa è la mia modesta attività: cercate qualcosa in particolare, oppure qualche carta da lettera? – una voce comune, ma con un tono curato.
- A dire la verità, signore, avrei una richiesta molto particolare, ma temo che non abbia molto a che fare con un possibile acquisto… - il volto del proprietario espose un’espressione curiosa. Non era molto comune trovare un ragazzo così giovane e con un argomento insolito da trattare, avrebbe intrattenuto quel discorso volentieri. 
- Mi dica, mi dica. Cercherò di essere esauriente per quanto mi sarà possibile. – e così dicendo, allargò il sorriso e inclinò leggermente il capo verso sinistra. 
- Tempo fa ho ricevuto questa cartolina, - Lestrade estrasse dalla cartella di cuoio scuro una busta con tutte ciò che aveva raccolto per il caso da lui stesso definito “Trovare John Watson”. Con i nomi doveva ancora fare pratica – e mi pare che il luogo fotografato, non sia molto distante dal vostro negozio. Quindi mi sono recato qui per saperne di più. – a questo punto la cartolina era sul bancone di alburno di quercia. 
Il commerciante sistemò gli occhiali sul naso spingendoli verso gli occhi, e sollevò con cautela la fotografia – Questo posto è oltre questa via, e questa cartolina la vendo da molti anni. Sono veramente pochi i clienti che ne acquistano però, sa, tutta quest’agitazione per la guerra rende le persone meno propense a viaggiare, quindi questo genere di prodotti rimangono invenduti ultimamente. Ha bisogno di altro? – 
L’agente era davvero sollevato dalle parole dell’anziano: il negozio era quello giusto e poche persone acquistavano cartoline negli ultimi tempi; questo significava che tra quei pochi, c’era sicuramente la persona che stava cercando, cioè quella che gli aveva inviato quella seconda corrispondenza. In più, il proprietario era realmente disponibile – Registra le vendite, signor… -
- Bryan, il mio nome è Bryan. Non mi piace che mi si chiami per cognome e no, non sono solito registrare le vendite, a meno che non si tratti di oggetti di un certo valore, anche se il suo non mi sembra il caso. Però è difficile che dimentichi i clienti, sa, sono così pochi… - ovviamente Gregory non poté non pensare ad una sola soluzione: se avesse l’attività in qualsiasi altro punto della città sarebbe stato molto meglio. 
- Mi rende davvero un ragazzo fortunato, signor Bryan. – cominciò sorridendo – Si ricorda chi può aver acquistato questa cartolina? – sapeva di stare chiedendo parecchio, ma riponeva una certa speranza in quell’uomo, del tutto infondata. I suoi modi gli ispiravano fiducia. 
- Sono cose che dovrei tenere per me, ragazzo, ma non posso certo nascondere il fatto che questa sua “irruzione” – si aiutò con le dita per enfatizzare il termine – mi abbia migliorato non solo la giornata, ma anche l’intera settimana! Spesso capita che qui si fermino solo giovanotti in cerca di china, o di una boccetta d’inchiostro per il proprio padre, invece ho qui di fronte quello che mi pare essere un mistero, e non posso certo lasciare che il mio interesse scemi nella sola vendita di carta da regalo, le pare? – Lestrade scosse la testa lentamente – Quindi è questo che ricordo: una donna, giovane certo, avrà avuto meno di trent’anni, non molto alta per la statura che una donna dovrebbe avere, capelli neri raccolti sul capo. Era elegante, questo è certo, con una pelliccia scura. Non riesco a ricordare le scarpe, mi perdoni, ma alle mani aveva un paio di guanti di pelle neri. Uscì solo con questa cartolina, ma né l’avevo mai vista, né la rividi più. – 
- La ringrazio infinitamente, signore. Queste informazioni mi saranno sicuramente utili… se posso porle un’ultima domanda: quando è successo? – domandò sporgendosi impercettibilmente verso il suo interlocutore.
- Era inverno, Gennaio. Un freddo che gelava le strade. – 
-Grazie. Spero di non averla disturbata troppo, signor Bryan. Le auguro di poter accontentare qualche cliente in più. – e così dicendo, l’agente, dopo aver risistemato la fotografia nella busta e la busta nella cartella a tracolla, fece un passo verso la porta, prima che la sua attenzione fosse richiamata dalla voce del proprietario.
- Se posso… che cos’è successo con quella cartolina? – un tono decisamente educato, diverso da quello chiacchierone di qualche attimo prima. 
- È scomparso un ragazzo e questo pezzo di carta potrebbe aiutarmi a scovarlo. – Gregory sorrideva mostrando i denti, come non faceva da tempo. A questo punto, piegò la maniglia e uscì dal negozio pienamente soddisfatto.
Bryan lo aveva colpito positivamente, e di rado si trovavano persone così disponibili a parlare, soprattutto con la guerra che si muoveva verso l’Inghilterra a piena potenza. La gente era spaventata e si chiudeva nelle proprie abitazioni, conversando il meno possibile, e gettando un’occhiata sospetta so ogni sfortunato passante obbligato a sentirsi gli occhi di qualche abitante curarlo dalla finestra del secondo piano. Se quel commerciante non fosse esistito, qualcuno doveva inventarlo, a questo pensò Lestrade, sistemandosi la tracolla di cuoio alla bell’e meglio sulla spalla sinistra. 
 
___ 
 
 
Mycroft fece chiamare suo fratello nella propria tenda prima di cena. Non avevano ancora discusso di ciò che era successo, e un dialogo urgeva ad entrambi. Questa era una delle loro abitudini più fondate: quando accadeva qualcosa di grave o d’importante, questo qualcosa doveva essere condiviso, soprattutto se uno dei due era coinvolto personalmente. In questo caso era Sherlock ad essere stato coinvolto, e il maggiore dei fratelli Holmes non sapeva cosa aspettarsi dalla chiacchierata che stavano per affrontare.
Il funambolo entrò con una certa freddezza scostando il pesante tessuto che ricopriva la parte interna dell’ingresso e si sedette. Era solito tenere un atteggiamento distaccato, ma in quell’occasione faticava al solo pensiero di dover soppesare parole ed espressioni facciali con una certa minuzia. Stava molto meglio, fisicamente si era ristabilito, e quel pomeriggio aveva rimesso finalmente piede sul cavo senza che né John né lui lo vedessero, approfittando della pausa pranzo per infilarsi nel tendone e fare giusto una volta andata e ritorno con il pavimento a parecchi metri d’altezza.
Il “colloquio” iniziò con i loro classici convenevoli, e dopo poco il direttore della compagnia diede la battuta d’inizio a quella che, per il ragazzo dagli occhi celesti, non sarebbe stata una conversazione delle più piacevoli – Ora che è passato qualche giorno, vorresti spiegarmi che cosa ti ha portato a infilarti quel delizioso ago nel braccio? – cercava invano di nascondere quella preoccupazione che lo aveva da sempre accompagnato con un’ironia spicciola. Mycroft teneva a suo fratello, ma il problema che entrambi presentavano era il mostrare quest’affetto latente, sempre coperto da un velo d’indifferenza e apparente disinteresse. 
- Sai che da tempo non assumevo nulla, Mycroft. Questa volta però è successo qualcosa di diverso. Mentre ero sul cavo, durante l’esibizione, ho iniziato a tentennare, come se non mi risultasse più cosi semplice camminare. Mi sono distratto, e sai benissimo che non mi capita mai. – il suo viso era teso, e la sua volontà di mostrare espressioni apatiche restava stretta in quel groviglio di dita che continuava a muovere con impazienza e agitazione. Non gli piaceva starsene seduto su quelle scomode sedie di legno, troppo lontano dallo scrittoio per poterci poggiare le braccia, e per cui suo fratello aveva tanto insistito.
- Consapevole che non ti capita mai, perché questa volta sì? Deve essere accaduto qualcosa di grave. – lo fissava con sguardo serio, ma negl’occhi si intravedeva quel bisogno di sapere, di avere la situazione sotto controllo perché tutto potesse tornare al suo posto. 
Sherlock ricambiò lo sguardo di suo fratello con uno più prevedibile: aveva deciso che avrebbe raccontato tutto, senza omettere nulla. Aveva le pupille leggermente dilatate e le labbra in continuo movimento – Il pomeriggio mi stavo allenando come sempre prima di uno spettacolo. È entrato Moriarty, e dopo essersi accomodato in cavea ha cominciato a parlarmi, solo che non mi stuzzicava, non voleva la solita risposta acida da parte mia. Ha parlato di Andrew, Mycrfot. Mi ha chiesto se ne ero mai stato geloso, e io ho iniziato a sentire una strana sensazione. A quel punto ho accelerato per raggiungere la piazzola di sicurezza e lui stava uscendo. La sera avete sentito tutti la sua presentazione, no? Quella mi ha disturbato ancora, di nuovo. – aveva parlato velocemente, spostando gli occhi in diverse direzioni, incapace di mostrarsi tranquillo.
Dall’altro lato dello scrittoio, il direttore era rimasto a mani giunte sulla superficie di legno ascoltando il breve racconto del ricciolo. Da una parte c’era Jim che aveva smosso qualcosa, toccando un tasto dolente, probabilmente consapevole, almeno parzialmente, dell’effetto che avrebbe avuto sul ragazzo; dall’altra Sherlock, che non era riuscito a mantenere la concentrazione perché gli erano tornati alla mente i ricordi che aveva del suo maestro. In quel momento, Mycroft, era sinceramente tentato di commentare la fragilità emotiva che suo fratello aveva mostrato, rispetto ad altre situazioni che, dal canto suo, parevano peggio. Non lo fece. Se era arrivato a tal punto di assumere cocaina non si trattava sicuramente di una stupidaggine: il funambolo era intelligente, sveglio, e conosceva le sue potenzialità meglio di chiunque altro dentro a quella compagnia di artisti. Il dubbio che si fece rapidamente strada tra quei ragionamenti fu uno solo, e riguardava il loro presentatore. Era parte della troupe dai tempi in cui loro zio era direttore, e mai aveva contestato le decisioni di Mycroft, così come mai si era intromesso in affari che non lo riguardavano. Era bravo a svolgere il suo compito, e il massimo che era in grado di fare era usare le proprie capacità linguistiche al meglio, svelandosi un abile conversatore nei momenti in cui una buona chiacchierata era tutto ciò di cui si sentiva il bisogno. Possibile che Moriarty avesse parlato troppo? 
Ovviamente lo aveva fatto, ma il problema poteva essere Sherlock, magari non era al massimo della forma il giorno della prima. 
 
 
A qualche tenda di distanza, Moriarty stava discutendo con Irene.
 I due si conoscevano da anni e fu lo stesso presentatore a farla conoscere a Mycroft una volta entrato di ruolo come direttore. Entrambi lavoravano in ambito artistico, e la contorsionista non si era fatta ripetere la proposta una seconda volta: era stata invitata ad entrare nella compagnia, e in poche ore aveva lasciato il circo in cui lavorava per sollevare pensati valige e caricarle nel bagagliaio di un’automobile. Aveva avuto la fortuna di incontrare Jim qualche anno prima, e di ritrovarlo per un periodo di fermo degli spettacoli a Londra. La prima volta ebbe il piacere di ascoltarlo nella lettura in teatro di alcuni passi di “Moby Dick”. L’aveva colpita il modo in cui aveva ringhiato attraverso le minacce del capitano ad un uomo del suo equipaggio.
“- Ammazzare – esclamò Queequeg  contorcendo il volto tatuato in un’espressione di sovrumano disprezzo. – Ah! Lui pesce piccolissimo; Queequeg non ammazzare pesci così piccolissimi; Queequeg ammazzare grande balena! –
- Stai ben attento – ruggì il capitano, - io ammazzare te, cannibale che non sei altro, se fai un altro scherzo del genere qui a bordo. Perciò stai ben attento -” 
Poche battute, eppure efficaci. La sua espressione l’aveva colta alla sprovvista, ed ebbero modo di parlare e discutere delle proprie storie: il ragazzo era uno studente che passava parecchio del suo tempo a preparare serate teatrali o discorsi introduttivi alle compagnie che si esibivano sia in opere classiche, sia in altre più moderne. La signorina Adler, invece, proveniva da una famiglia di artisti di strada abbastanza conosciuta nel panorama dell’intrattenimento, ed era cresciuta come una di loro. Fin da bambina aveva frequentato gli amici dei genitori che le avevano insegnato come comportarsi di fronte al pubblico, come mantenersi allenata e tutto ciò che potesse rivelarsi utile nel suo futuro di circense. Un giorno trovò un ingaggio, e dopo poco entrò a far parte di una troupe di nuova formazione. Rincontrare Jim un anno dopo, che nel frattempo era stato notato da Holmes per la sua peculiare capacità linguistica, fu uno degli accadimenti più fortunati della sua giovane carriera, e fu accolta nell’Hound’s Wonders in brevissimo tempo anche grazie alla buona fama che Moriarty si era costruito tra i suoi compagni, che le si avvicinarono senza timidezza.
Era passato moltissimo tempo da quell’incontro, e il presentatore non aveva mai perso la sua passione per la lettura, così come quella per l’organizzazione e la zizzania. Amava alla follia disturbare le persone, infastidirle, danneggiarle in certi casi, e in Irene aveva trovato un ottima compagna. Era capitato raramente che fosse resa partecipe delle azioni vere e proprie, ma calcolavano insieme le mosse successive, le parole giuste. Lei non se lo aspettava, dal ragazzo perso nella recitazione, nello studio letterario: credeva di aver trovato un giovane con interessi lontani dalle scienze, buono e gentile. Ciò che accadde nei mesi successivi la sconvolse, in qualche modo, ma aveva deciso che Jim non era una così cattiva compagnia, e insieme a lui e alla sua esuberanza, si divertiva. Solo in un’occasione si era pentita, e ancora in quel periodo non poteva far altro che ripensarci e darsi della stupida, per non aver evitato quella tragica conclusione, per non averne colto i segnali.
Holmes era morto, o meglio, era stato ucciso. 
Doveva semplicemente allontanarsi da Londra, e così aveva fatto, eppure continuava a insistere, sul fatto che non aveva colpe, che potevano continuare a passarla liscia in tribunale, ma che prima o poi qualcuno avrebbe parlato, e loro avrebbero fatto una brutta fine. A quel punto Moriarty si era stancato, e mentre gli altri si erano già scordati di quei lunghissimi processi, Jim aveva dato l’ordine di premere in grilletto. 
Li aveva aiutati, consigliandoli su come far cadere tutte le accuse nei loro confronti, creando alibi e nascondendosi per non dover testimoniare. Tutto però, con la certezza che nessuno sarebbe morto alla fine di quella storia. Quando il presentatore era rientrato nella sua tenda con sguardo brillante e sorriso soddisfatto, aveva capito immediatamente che qualcosa era andato storto, ma i processi si erano conclusi, Holmes se n’era andato, i loro compagni di malefatte si erano dileguati. Cercò di dimenticare quell’espressione, ma non ci riuscì mai. 
- A cosa stai pensando? – si stava sistemando il nodo della cravatta davanti ad un piccolo specchio. Tra poco sarebbero usciti per la cena, e come sempre doveva essere impeccabile, o perlomeno, un gradino sopra gli altri.
- Nulla d’importante, stavo ricordando qualche stupida storia. – abbassò leggermente il volto restando seduta su un baule con le braccia incrociate sulle gambe accavallate.
- Speravo in qualche colpo di genio. – sorrise – Dici che una giacca possa servire? – 
- Se stai parlando di quella nera con i bottoni rossi allora sì, serve. – ricambiò il sorriso attraverso il riflesso dello specchio e si alzò in piedi, aspettando il presentatore che, recuperato l’indumento, la raggiunse. 
 
 
 
“To avoid complications
She never kept the same address
In conversation
She spoke just like a baroness
Met a man from China
Went down to Geisha Minah
Then again incidentally
If you're that way inclined
 
Perfume came naturally from Paris
For cars she couldn't care less
Fastidious and precise
 
She's a Killer Queen”
 
Queen – Killer Queen



 
Spazio (in)utile: ed è con questa canzone dei Queen che chiudo questo capitolo... strano? Sono la prima a dire che non mi convince per niente, ma piuttosto che lasciar perdere preferisco così. Irene si è ricordata di qualcosa d'importante nell'ultima parte, e credo possiate tratte da soli le vostre conclusioni, oppure farvi venire in mente qualcosa di nuovo. Sherlock e John sono lentissimi (ed è colpa mia I know, faccio tanta fatica con loro due), ma Watson si sta impegnando per entrambi, soprattutto ora che il funambolo non è proprio a posto. Lestrade lo vedo troppo come un baldo giovane super-educato con tutti, dopotutto, anche nella serie è difficile vederlo alterato (il massimo che fa è dare calci alle gomme dell'auto e schiacciare quasi Donovan nella portiera e noi ancora ci chiediamo perché non è andato fino in fondo). 
Ora, la solita solfa: la scuola ha già cominciato con la pressione (soprattutto "psicologica"), e io sono nata stanca. Tra una cosa e l'altra, questo capitolo l'ho scritto nel giro di due settimane, con una confusione in testa che proprio non mi serve in questo momento della narrazione, e sono veramente fuori fase. Se a tutto questo sommiamo gli allenamenti... beh, immagenate voi. So che ci sono situazioni peggiori di questa, so che ci sono persone che si impegnano a fondo pur di portare avanti un lavoro, una passione, ma lasciarvi dei capitoli di 1200 parole, inconcludenti, senza una buona caratterizzazione... proprio no. 
Ergo, l'idea è questa: stoppare, bloccare la pubblicazione settimanale fino a quando non ho pronto un capitolo lunghissimo e che chiuda una prima parte della storia. Al massimo dividerlo in varie parti quando arriverà il momento di postarlo, altrimenti niente, un mattone. 
Devo smetterla di fare queste digressioni che non interessano a nessuno. 
Vi chiedo scusa. Davvero. 

P.s. Se c'è qualcuno che volesse, senza imopegno, farmi da beta, VI MANDO UNA TORTA VI GIURO. 
P.p.s. ho aperto un account Wattpad (so che in tanti lo odiano, me compresa), e ho pubblicato una sorta di passatempo, se volete fare un salto: Arny_Haddok 

Adieu



 
 
 
 
 
 
 
   
 
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