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Autore: LazySoul    07/10/2017    3 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto del capitolo precedente: Diana lancia addosso a Xavier un reggiseno, poi fugge dalla nonna, che le racconta della sua gioventù e del suo vagabondaggio per i boschi prima di incontrare quello che poi sarebbe diventato il suo compagno per la vita. La nonna suggerisce a Diana di chiedere a Xavier aiuto nel combattimento e la ragazza segue il suo consiglio.
Buona lettura!



 

Capitolo IX: Giri in moto e magliette scomparse


 

Mercoledì e giovedì furono giornate prive di avvenimenti entusiasmanti.

La scuola fu monotona, Isabel continuava a non volermi dare una risposta definitiva per sabato, dicendo che doveva pensarci e doveva trovare una scusa decente con i suoi genitori: «D, ci stiamo imbarcando in una missione suicida, mi concedi un po' di tempo per organizzare le ultime cose prima di dire addio al mondo? Il testamento non si scrive da solo», era stata l'ultima risposta che avevo ricevuto da Sab quando ci eravamo salutate sull'autobus giovedì.

Il mercoledì pomeriggio l'avevo passato a casa di Frida, una villetta pulita e graziosa, in cui avevo fatto la conoscenza della signora Martinez, una signora sui quaranta con un seno prosperoso e un sorriso gentile. Frida era la sua esatta copia di vent'anni più giovane. Passammo l'intero pomeriggio a lavorare, portandoci avanti col lavoro, tanto che a mio parere avremmo anche potuto passare il sabato pomeriggio a poltrire, la ricerca era praticamente già conclusa. Frida però voleva raggiungere la perfezione e mi diede appuntamento per sabato alle quindici, dicendomi che prima di prepararci per la festa dovevamo assolutamente aggiungere ancora qualche riga al nostro progetto.

Una volta tornata a casa mercoledì sera, scoprii che avevamo ospiti a cena; papà aveva avuto la brillante e poco gradita idea di invitare i Picard per passare una serata insieme. Era stato snervante trovarsi seduta allo stesso tavolo di Michel, che continuava a lanciarmi sguardi intensi e occhiolini, Francine, che faceva battute taglienti e provava a farsi notare da Kyle, Xavier che studiava le dinamiche e rideva sotto i baffi e Kyle che ignorava o fingeva di ignorare il tutto, perso nel suo mondo.

Con Xavier non ero riuscita più a parlare; passava tutto il suo tempo nei boschi o a visitare appartamenti in giro per la città, sembrava intenzionato a ignorarmi o forse voleva semplicemente tenermi sulle spine. Il problema era che il suo odore era completamente scomparso da camera mia; mamma mercoledì pomeriggio aveva avuto la brillante idea di spalancare le finestre nelle camere, per far cambiare l'aria e, oltre a ritrovarmi a dormire in una ghiacciaia quella notte, non avevo nemmeno avuto la possibilità di lasciarmi cullare dall'odore di sandalo e cannella che adoravo tanto.

Quindi dovetti trovare una soluzione alla questione, non potevo passare le notti in bianco, ne andava della mia salute e, dato che Xavier non si faceva mai vedere in giro, decisi di prendere in prestito da camera sua una maglietta a caso e nasconderla sotto il mio cuscino. Giovedì notte dormii come un pascià; missione compiuta.

La giornata di Venerdì si rivelò essere più entusiasmante delle altre.

Appena sveglia mi ritrovai con la maglietta di Xavier arrotolata intorno alla testa e un sorriso ebete stampato in volto. Il fatto che nemmeno il rumore fastidioso della sveglia fosse riuscito a scalfire il mio buon umore voleva dire solo una cosa: la situazione era più grave di quanto pensassi.

Ma non diedi troppo peso alla faccenda, era bello svegliarsi felici, una volta tanto.

Ripiegai accuratamente la maglietta sotto il cuscino, aspettai il mio turno per il bagno e poi mi vestii con la testa tra le nuvole; un paio di jeans, una felpa a caso, le scarpe e lo zaino.

Il buon umore aumentò quando realizzai che era venerdì e le ultime due ore avrei avuto educazione fisica, per non parlare del fatto che mancava solo più un giorno al weekend e quindi alla festa a casa di Paul Ling.

Lo stato estatico in cui mi trovavo si dissolse quando trovai ad attendermi in cucina Michel, un sorriso a illuminargli il viso e un sacchetto di carta in mano.

«Buongiorno, Diana, oggi ti porto a scuola io», annunciò, facendomi l'occhiolino e facendo sorridere in modo malizioso mamma, che stava preparando il caffè.

Ero troppo assonnata e di buon umore per litigare; gli stralci del sogno a cui ero stata strappata ancora intorpidivano i miei neuroni e senza la mia dose mattutina di caffeina ero reattiva quanto un bradipo morto.

«A scuola?», ripetei, studiando Michel dalla testa ai piedi con la fronte aggrottata.

Alle mie spalle comparve Kyle, già pronto per scuola, con i capelli sciolti che gli ricadevano in onde disordinate sulle spalle: «Hey, Mick», salutò il suo amico: «Riesci a darci un passaggio allora?»

Michel annuì: «Sì, mia sorella ci aspetta in macchina».

Ah, all'equazione si sarebbe aggiunta anche Francine?

Rivissi un'ultima volta il sogno, cercando di tornare al buon umore che avevo avuto fino a pochi secondi fa, ma non funzionò.

Dissi addio all'onirica figura di Xavier, che aveva passato la notte con me, cullandomi tra le sue braccia e sussurrandomi parole sdolcinate che avrebbero fatto cariare i denti a tutti i presenti, compresa quella romanticona di mamma, e mi rassegnai ad affrontare la realtà.

«Io prendo l'autobus», dissi semplicemente, appollaiandomi accanto a mamma e quindi alla caffettiera come un avvoltoio su una carcassa.

«Oggi c'è lo sciopero dei mezzi pubblici», disse Michel, sorridendo sornione: «Non lo sapevi?»

Ebbi un fugace ricordo di Isabel che mi diceva qualcosa di simile il giorno prima, aggiungendo che lei si sarebbe fatta accompagnare in macchina da sua madre.

Guardai l'orologio, era troppo tardi per andare a scuola a piedi, sarei arrivata di sicuro in ritardo. Accidenti.

«Prendo la bici», farfugliai, riempiendomi generosamente una tazzina di caffè.

Kyle rise: «Le strade sono ghiacciate, questa notte ha nevicato».

Aggrottai ancora di più la fronte e, appoggiata al bancone della cucina, mi bruciai la lingua col caffè.

"Addio giornata felice e priva di tristi avvenimenti, sei iniziata bene, ma ora stai perdendo colpi", mi lagnai con rassegnazione, sospirando.

Stavo per accettare svogliatamente il passaggio di Michel, quando entrarono in cucina Xavier e papà, entrambi con un sorriso smagliante sulle labbra.

Il primo perse il buon umore appena vide il giovane Picard, il secondo invece sembrò ancora più felice, mentre raggiungeva l'intruso e gli tirava una gentile pacca sulla spalla. Per una volta sperai papà usasse tutta la sua forza e gliela spaccasse.

«Michel, qual buon vento?», lo accolse papà, facendogli segno di sedersi.

«C'è lo sciopero dei mezzi, accompagno io Kyle e Diana a scuola oggi».

«Ah, davvero?», chiese papà, lanciandomi un'occhiata a dir poco imbarazzante, mancava solo che ci unisse in matrimonio seduta stante, con tanto di pianti commossi di mamma e petali di fiori lanciati in aria da Edith.

«Diana non te l'ha detto?», chiese Xavier, cogliendomi di sorpresa mentre mi passava il suo casco, che aveva al braccio fino a pochi secondi prima: «Le avevo proposto di accompagnarla io in moto oggi».

Afferrai il casco senza pensarci, guardandolo confusa.

Magnifico, ora dovevo anche scegliere chi deludere: papà, mamma, Michel e Kyle o Xavier?

Aprii bocca per fermare quel teatrino, avrei preferito andare a piedi e prendermi una nota per il ritardo, piuttosto che farmi tirare da una parte all'altra, manco fossi stata un osso conteso da due cani: «Ma io non ho paura del ghiaccio, voglio andare in bici».

«La moto con la neve non è molto sicura», disse mamma, passando la tazza fumante di caffè a papà.

Quel suo commento mi fece alterare, se avessi voluto andare in moto, con Xavier, ci sarei andata, neve o non neve. Non avevo bisogno del suo permesso. O sì?

«Dipende dalle capacità del motociclista», borbottai, affogando i miei dispiaceri nella droga, dicasi anche caffè amaro.

Vidi O'Bryen sorridere delle mie parole, mentre mamma mi fulminò: «Preferirei che tu andassi in macchina con Michel».

Probabilmente se mamma fosse rimasta zitta e mi avesse fatto decidere da sola, avrei finito coll'abbandonare il casco di Xavier e seguire Picard e mio fratello fuori casa, senza fiatare.

Ma la sua imposizione mi diede fastidio. Non sopportavo di ricevere ordini e quello, anche se velato da apprensione, era un ordine. E poi era palese che la sua preferenza era dettata dal fatto che era la fan numero uno di Michel; fosse stato lui a proporre di andare in moto, mamma non avrebbe fiatato.

Finii il caffè, presi una fetta biscottata e la addentai, poi, col casco stretto sotto braccio e un'espressione agguerrita in volto, mi voltai verso Xavier: «Andiamo o faremo tardi».

«Diana!», esclamò mamma, facendomi voltare un'ultima volta verso di lei, ma non la feci parlare, precedendola: «Il fatto che a te piaccia di più la macchina non vuol dire che per me sia lo stesso. Ci vediamo dopo, buona giornata!»

Afferrai Xavier per la manica della giacca, tirandomelo dietro: «Signor Wood, signora Wood, buon lavoro», disse, mollando la sua tazza sul tavolo e seguendomi in corridoio.

Aveva un sorriso compiaciuto sulle labbra, mi preoccupai immediatamente di farglielo sparire, tirandogli una gomitata nello stomaco: «Cos'hai da ridere?»

Xavier tossì e gemette per il colpo che gli avevo inferto, portandosi una mano sulla zona offesa: «Ho una domanda», annunciò, continuando a fare versi gutturali per lasciarmi intendere che stava soffrendo molto: «Anzi, più di una».

Uscii di casa, mentre Xavier passava dal garage per recuperare la moto.

Parcheggiata sul vialetto di casa vidi la macchina grigio metallizzato di Michel, seduta sul posto del passeggero c'era Francine, che si limava tranquillamente le unghie.

Avrei voluto raggiungerla e spaventarla, magari intavolare una bella discussione, insultarla giusto il minimo indispensabile per migliorare la giornata.

Il portone del garage alle mie spalle si aprì e l'odore di Xavier mi invase le narici.

Fu in quel momento che mi resi conto che dovevo liberarmi assolutamente della sua maglietta nascosta sotto il mio cuscino. Non andava bene quello che stavo facendo; assecondare l'attrazione che provavamo l'uno per l'altra non avrebbe portato a nulla di buono. Dovevo disintossicarmi, non aumentare la dose giorno dopo giorno.

«Stai venendo con me solo per fare un dispetto a tua madre?», chiese, affiancandomi.

"Ah, giusto, ha detto di volermi fare delle domande", ricordai, alzando gli occhi al cielo: "Peccato che io non abbia voglia di rispondere".

Indossai il casco, chiudendo il gancio sotto al mento, poi mi sistemai bene la giacca e lo zaino; non volevo rischiare di perdere nulla per strada.

«Lo prendo per un sì», disse mentre saliva a cavalcioni sulla moto e allungava una mano nella mia direzione.

Sapevo che si stava solo comportando gentilmente e che le sue intenzioni erano buone. Certamente voleva aiutarmi a salire dietro di lui, ma io non ero dell'umore giusto.

Avevo perso il mio buon umore quando avevo trovato Michel in cucina, quando avevo visto il modo in cui mamma e papà l'avevano accolto, come se fosse stato il mio fidanzato.

Quello che mi dava terribilmente fastidio era che papà non mi aveva riferito la richiesta di Michel di potermi corteggiare e fare poi di me la sua compagna per la vita. Certo, io conoscevo i fatti perché avevo origliato la loro conversazione, ma mi sarebbe piaciuto che mettessero subito le carte in tavola con me. Avrei voluto che papà mi prendesse da parte il giorno dopo e mi riferisse le parole di Michel. Avrei voluto che papà, prima di dire di sì a Michel, avesse parlato con me e chiesto il mio parere.

«Diana?»

La voce di Xavier, profonda e divertita mi riportò alla realtà, facendomi allo stesso tempo ricordare il sogno di quella notte.

Una gomma magica cancellò dalla mia mente gli ultimi cinque minuti. Ero di nuovo contenta; avevo dormito bene, cullata da un sogno incantevole e inebriata dal forte odore del ragazzo che a mezzo metro di distanza mi stava ancora porgendo la sua mano.

Senza pensarci l'afferrai, senza perdere il contatto visivo con gli occhi chiari di Xavier.

Mi issai sulla moto dietro di lui, portando poi le mani sulle sue spalle per tenermi.

In quel momento Kyle e Michel uscirono di casa, quest'ultimo non sembrava particolarmente felice.

Mi dispiaceva per lui, non sapevo se i sentimenti che diceva di provare per me fossero veri o meno, e la mia intenzione era proprio quella di non alimentare false speranze.

Forse una ragazza normale gli avrebbe dato una chance.

Peccato che io non lo fossi.

Xavier avviò il motore poi, cogliendomi alla sprovvista, spostò le mie mani dalle sue spalle alla sua vita: «Stringiti forte», mi consigliò, sovrastando il rombo del motore.

L'istante dopo eravamo partiti.

Ebbi la soddisfazione di vedere la faccia oltraggiata di Francine mentre le passavamo davanti, poi l'ambiente intorno a me si fece confuso.

Xavier guidava come un pazzo, tutto quello che potevo fare era artigliargli la giacca e sperare di sopravvivere.

In fondo lo conoscevo da qualche giorno, troppo poco per fidarsi di una persona. Perché avevo accettato il suo invito ad andare in moto con lui?

Ah, già, volevo far arrabbiare mamma e rifiutare il passaggio di Michel. Accettando la proposta di Xavier avevo preso due piccioni con una fava.

Per fortuna il suo odore di sandalo e cannella riuscì a tranquillizzarmi, tanto che rilassai i muscoli, appoggiando il capo contro la sua schiena e chiusi gli occhi, godendomi il tepore del suo corpo contro il mio.

Quando finalmente ci fermammo davanti alla scuola ringraziai la mia buona sorte per avermi concesso di sopravvivere.

«Tu sei pazzo», lo informai, mentre staccavo le mani dal suo corpo e scendevo dalla moto.

Gli restituii il casco e lo vidi sorridere: «Ammettilo che ti è piaciuto», disse, facendomi l'occhiolino.

Alzai un sopracciglio: «Perché non avrebbe dovuto, mi piace rischiare la vita», farfugliai con tono sarcastico, mentre lo fissavo contrariata.

Il suo sorriso si allargò ulteriormente, mettendo in mostra le sue fossette. Maledette tentatrici!

Per non rischiare di saltargli addosso, decisi di allontanarmi, dirigendomi verso l'ingresso del liceo, dove speravo di trovare Isabel ad aspettarmi.

«Dopo la lezioni di educazione fisica vorrei parlarti, ho una risposta da darti».

Fermai la mia fuga, voltandomi verso Xavier; aveva la sua borsa in una mano, il casco nell'altra, i capelli scuri spettinati e le labbra erano atteggiate in un sorrisetto.

«Perché non ora?», gli chiesi.

Il problema era che mi conoscevo; avevo già aspettato due giorni, aspettare ancora sette ore mi avrebbe portata alla pazzia. Dovevo saperlo, subito.

Xavier rise, raggiungendomi in poche falcate: «Perché ora devo andare in palestra, non posso arrivare in ritardo, sono il professore».

Mi superò, incamminandosi dalla parte opposta rispetto a dove dovevo andare io.

Non gli avrei permesso di fuggire così facilmente.

«Non è giusto!», mi lamentai, seguendolo e afferrandolo per la manica della giacca: «Xavier!», lo chiamai, cercando di fermare la sua avanzata.

Si fermò di botto, voltandosi verso di me: «Dopo», mi fece un buffetto sul naso: «Non dare spettacolo».

Le mie guance iniziarono a scottare dall'imbarazzo, mentre allontanavo la sua mano con uno schiaffo: «Non trattarmi come una bambina».

Il sorriso scomparve dalle labbra di Xavier, sostituito da una smorfia: «Pensavo fosse chiaro», mormorò, tenendo il tono di voce basso, gli occhi verdi erano colmi di un'emozione indecifrabile. Sembrava stesse parlando con se stesso e non con me.

Mi prese la mano, trascinandomi all'interno della palestra, per poi chiudere entrambi nella stanza in cui veniva riposta l'attrezzatura sportiva.

Ritrovarmi in uno spazio chiuso con lui non era nei piani. Avevo provato a liberarmi dalla sua stretta prima che fosse troppo tardi, ma non c'ero riuscita ed ora ero lì, rinchiusa in uno stanzino con lui.

Il suo odore era ovunque. Sarei mai riuscita a disintossicarmi?

Inizialmente c'era una considerevole distanza di sicurezza tra di noi, poi scomparve.

Le sue mani erano sulle mie guance, calde e forti, il suo viso a pochi centimetri dal mio.

«Non penso che tu sia una bambina», disse, sfiorando il suo naso contro il mio.

Lo sentii inspirare il mio odore, poi le sue mani lasciarono il mio viso, per scivolare lungo le mie spalle e le mie braccia, le sue labbra si posarono pericolosamente vicino alle mie.

Sentivo la pelle bruciare al suo tocco.

Il suo sguardo si posò prima sul mio occhio destro, poi su quello sinistro: «Pensavo fosse chiaro che quando ti guardo, non vedo una bambina».

In quel momento, forse per ciò che aveva detto o forse per il modo in cui l'aveva detto, avrei voluto eliminare le distanze e baciarlo.

Non mi ero mai sentita una donna. Non mi ero mai vista bella o affascinante o seducente. Io non ero come Francine; sempre attenta ai vestiti, al trucco e ai capelli.

Lo sguardo di Xavier e le sue mani sulla mia pelle mi facevano sentire una donna.

Ad un tratto mi chiesi cosa vedesse in me. Tutti vedevano una ragazzina che doveva ancora crescere, bassa, vestita come un maschio, senza curve, con un occhio grigio e l'altro color nocciola. Cosa vedeva lui?

Il suono della campanella fece sussultare entrambi.

Lo allontanai, ricordandomi di dover andare a lezione e di non aver tempo per flirtare con lui.

Xavier non mi trattenne, fece un passo indietro, con le braccia lungo i fianchi, aveva le mani chiuse a pugno.

Aprii bocca, avrei voluto dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma le mie corde vocali sembravano aver deciso di scioperare.

«Vai», mi disse, indicando la porta.

Annuii e non me lo feci dire due volte, pronta a fuggire da quella stanza troppo piccola, dal suo odore troppo buono e da quella situazione troppo soffocante.

Arrivai in classe in ritardo, Mrs. Fairchild, l'insegnante di storia, mi accolse con una calorosa occhiataccia che, se ne avesse avuto il potere, avrebbe potuto bruciarmi viva.

Raggiunsi il posto libero accanto a Isabel e mi sedetti con l'eleganza di un ippopotamo.

La mia amica mi guardava con uno sguardo a metà tra il curioso e il sospetto, poi un sorriso malizioso comparve sulle sue labbra: «É l'odore di Xavier quello che sento su di te?»

La sua domanda era palesemente retorica, non aveva bisogno di risposte, sapevamo benissimo entrambe che sì, quello era l'odore di O'Bryen.

Con le guance bollenti per l'imbarazzo mi tolsi la giacca e tirai fuori dallo zaino il quaderno e l'astuccio, ignorando Sab e i suoi occhi che seguivano ogni mio movimento.

«Ha per caso qualcosa a che vedere con il musetto triste che sfoggiava Michel poco fa, mentre faceva scendere dalla sua auto quell'oca di sua sorella?», rincarò la dose Isabel, mentre tamburellava con la matita sul banco.

Non si sarebbe arresa facilmente, non fino a quando non avessi confessato tutto.

Sospirai, cercando di tornare ad avere un battito cardiaco normale. La mente però era ancora rallentata dall'effetto degenerante che l'odore e il tocco di Xavier avevano su di me.

Solo in quel momento mi ricordai di non essere riuscita nel mio intento: non mi aveva detto se aveva intenzione o meno di insegnarmi a combattere.

Aggrottai le sopracciglia. Stavo cominciando a comportarmi come una ragazzina stupida, dovevo smetterla. Non ero immune al fascino di Xavier, quello ormai era stato tristemente constatato, tutto quello che potevo fare era cercare di non lasciare che questo mi sconvolgesse troppo la vita.

Dovevo assolutamente liberatemi della maglietta che gli avevo rubato e che usavo come copertina di Linus per dormire. Sì, quella sarebbe stata la prima cosa che avrei fatto una volta tornata a casa quel giorno.

«É una storia lunga, Sab, dopo», cercai di calmare la mia amica e guadagnare un po' di tempo per riorganizzare le idee.

«Va bene», disse semplicemente, senza insistere. Sapeva di avermi in pugno, tutto quello che doveva fare era aspettare che avessimo un po' di tempo durante la giornata per chiacchierare da sole.

Quel momento arrivò durante l'ora di pranzo, quando venni letteralmente trascinata dalla mia amica a uno dei pochi tavolini doppi della caffetteria: «Siamo solo tu ed io, sputa il rospo».

Con rassegnazione e tanta pazienza e imbarazzo, le raccontai tutto; le dissi del sogno, della maglietta, di Michel, del passaggio in moto e dello stanzino dell'attrezzatura sportiva, tentando di non tralasciare nessun dettaglio.

Isabel ascoltò tutto con gli occhi sbarrati e un'espressione famelica in volto; faceva paura.

«Quindi ancora non ti ha detto se ha intenzione di insegnarti a combattere o meno», disse, affondando la forchetta nel piatto in modo indignato.

«No, ma ha detto che lo farà dopo l'ora di educazione fisica», dissi, mangiucchiando l'hamburger che avevo nel piatto con circospezione; ero già stata avvelenata una volta, non volevo ripetere l'esperienza.

Sab annuì: «Ti porta lui a casa?»

Arrossii e storsi le labbra: «Non lo so e sinceramente non penso di voler ancora salire su quella moto. Guida come un pazzo, prende le curve troppo velocemente e...»

Alzai lo sguardo, guardandomi intorno, cercando tra i volti che infestavano la caffetteria le parole per descrivere la pessima guida del nostro professore di educazione fisica.

Fu in quell'istante che incrociai un paio di occhi verde chiaro che mi scrutavano dal tavolo dei professori.

Arrossii, ma non distolsi lo sguardo.

Aveva sentito tutto quello che avevo raccontato a Isabel?

Concentrandomi, provai a sentire cosa stessero dicendo la professoressa di inglese e quella di pittura al suo tavolo, ma non riuscivo a distinguere le parole.

Tirai un sospiro di sollievo e, per renderlo partecipe della mia contentezza, gli feci la linguaccia.

Distolsi lo sguardo quando lo vidi ridere sotto i baffi e tornai a concentrare tutta la mia attenzione su Sab.

«Allora», iniziai, giocherellando con la forchetta: «Deciso qualcosa per domani sera?»

Isabel sorrise e addentò un pezzo di hamburger: «Ho detto ai miei genitori che vado a dormire da Frida Martinez, che ci sei anche tu e che abbiamo in programma una tranquilla serata tra ragazze a guardare un film romantico».

Il mio volto s'illumino, poi le sue ultime parole mi fecero storcere il naso: «Film romantico? Io? Ti hanno creduto?»

Isabel scoppiò a ridere e mi lanciò contro una fogliolina d'insalata che, dall'aspetto, sembra aver smesso di essere commestibile da almeno tre giorni.

Che schifo.

«Mia mamma è convinta che dietro alla tua maschera da maschiaccio si celi un animo dolce e romantico».

Le rilanciai la foglia d'insalata nel piatto e alzai gli occhi al cielo: «Tua mamma ha visto troppi film».

Isabel scoppiò a ridere, annuendo: «Non posso darti torto».

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi il sorriso tornò ad addolcire i lineamenti di Sab: «Io dormo con te nel bosco, ma tu metti un vestito alla festa di Paul Ling».

Fu il mio turno di scoppiare a ridere, talmente forte da attirare l'attenzione dei tavoli vicini. Quando ritrovai il controllo avevo le lacrime agli occhi: «Isabel, sai benissimo che non accadrà mai».

La mia amica alzò gli occhi al cielo.

Non sembrava particolarmente offesa o dispiaciuta, era più che altro rassegnata.

«Alla festa di Primavera?», chiese, facendomi gli occhi dolci.

Stavo per dirle che no, neanche alla festa di Primavera avrei messo un vestito, ma lei me lo impedì: «Probabilmente alla festa di Primavera ci sarà anche Xavier tra gli altri professori a controllare che tutto vada bene. Sicura di non voler mettere un vestito? Nemmeno per Xavier?»

Assottigliai lo sguardo e le sorriso: «Sono sicura».

Isabel sospirò: «Vedrò di farti cambiare idea».

«Puoi provarci, ma non ci riuscirai», le risposi, sorridendo affabilmente.

Dopo pranzo avevamo l'ultima lezione della settimana: educazione fisica.

Il professore O'Bryen ci fece rimanere in palestra - dicendo che il terreno era ancora umido per la neve della sera prima e che quindi non sarebbe stato saggio uscire - organizzando una corsa ad ostacoli e una partita a basket.

Passai la maggior parte del tempo a chiacchierare con Frida e Sab a proposito della festa del giorno dopo, venendo rimproverata un paio di volte da Xavier; ovviamente ogni volta che accadeva Francine sorrideva da orecchio a orecchio.

Quando la lezione finì, mi diressi con Sab verso gli spogliatoi, ma la voce di Xavier mi fermò: «Signorina Wood, posso chiederle di darmi una mano con gli ostacoli e il resto del materiale? Con il suo aiuto finiremo in un battibaleno».

Isabel mi fece l'occhiolino: «In bocca al lupo», sussurrò prima di raggiungere Frida.

«Molto divertente!», le urlai dietro, alzando gli occhi al cielo.

Lei e mio fratello avevano lo stesso senso dell'umorismo.

Raccolsi uno degli ostacoli con la mano destra e un altro con la mano sinistra e iniziai a trasportarli verso lo stanzino dove io e Xavier avevamo "chiacchierato" quella mattina.

Li posai accanto agli altri appoggiati contro la parete e uscii, recuperai altri due ostacoli e li sistemai al loro posto. Continuai così fino a quando non misi ogni cosa in ordine.

Nel frattempo Xavier aveva passato quel tempo a scrivere qualcosa sul registro di classe, senza aiutarmi minimamente.

Stavo per andarmene, infastidita dal suo comportamento, quando la sua voce mi bloccò: «Diana?»

Sospirai e mi voltai verso di lui, aveva il registro sotto braccio e mi stava facendo segno di raggiungerlo accanto alla cattedra sul bordo campo.

«Sì?», chiesi, incrociando le bracci al petto, fermandomi ad un metro da lui. Era meglio mantenere una certa distanza di sicurezza; sapevo che era pericoloso l'effetto che aveva su di me e tutto quello che potevo fare per contrastarlo era non avvicinarmi troppo.

«Non mordo», disse, alludendo alla distanza tra di noi.

«Lo so. Sto bene qui», risposi, cercando di mantenere un minimo di contegno. Dalla mia posizione, riuscivo lo stesso a sentire il suo odore, la prossima volta mi sarei dovuta ricordare di aumentare lo spazio tra di noi; un metro non era abbastanza.

«Ho preso una decisione», disse, recuperando la dietro la cattedra la sua borsa e caricandosela a spalle: «Se vuoi imparare a combattere, ti insegnerò quello che so».

Sorrisi.

Mi ero ripromessa di rimanere seria, di non lasciare trapelare nessuna reazione, sia in caso di rifiuto, sia in caso di risposta affermativa, ma non ci riuscii. Avrei voluto raggiungerlo e buttargli le braccia al collo, stringerlo e ringraziarlo, ma non lo feci, preferendo mantenere le distanze.

«Quando iniziamo?», gli chiesi emozionata, seguendolo mentre si dirigeva verso l'uscita della palestra.

Si fermò davanti agli spogliatoi e io feci lo stesso: «Cambiati, così ti riporto a casa», disse semplicemente, prima di scomparire oltre la porta del suo studio.

Negli spogliatoi femminili erano rimaste circa cinque ragazze, tra cui Frida.

Mi svestii e rivestii in fretta, decisa a non far aspettare troppo O'Bryen e a tartassarlo di domande fino a quando non avessi ottenuto tutte le risposte che cercavo.

«Ci vediamo domani, Frida», salutai la mia amica, prima di issarmi lo zaino in spalle e uscire dallo spogliatoio.

Xavier era già uscito, a quanto pare era riuscito a cambiarsi più in fretta di me e mi aspettava accanto alla sua moto.

«Allora, quando cominciamo?», gli chiesi, afferrando il casco che mi porgeva e indossandolo.

«Vedremo», disse semplicemente, aiutandomi a salire dietro di sé e spostando le mie mani, appoggiate sulle sue spalle, intorno alla sua vita.

«Tieniti», disse semplicemente, prima di partire.

Tenere gli occhi chiusi non aiutava molto, sentivo comunque l'aria fredda e percepivo chiaramente la velocità in cui era lanciato il veicolo. Avevo però un pizzico di fiducia in più in Xavier; un po' perché aveva promesso di insegnarmi a combattere, un po' perché mi aveva fatta sentire bella e desiderabile dentro lo stanzino della palestra quella mattina.

La sorte fu nuovamente dalla mia parte; sopravvissi al viaggio in moto.

Mentre Xavier ritirava la moto in garage, provai nuovamente a chiedergli quando avremmo potuto allenarci, ma lui rispose vagamente di nuovo, facendomi innervosire, stavo per andarmene scocciata in camera mia, quando le sue parole mi bloccarono.

«Oh, Diana, un'ultima cosa».

Mi voltai verso di lui, in attesa di sapere cosa volesse ancora: «Hai visto per caso in giro una delle mie magliette bianche? Non riesco a trovarla da nessuna parte».

Dallo sguardo nei suoi occhi capii che sapeva tutto e per la vergogna sentii il mio volto bruciare.

«No», dissi semplicemente, facendo un passo indietro: «Non l'ho vista».

Dieci secondi dopo ero fuggita come una codarda in camera mia, ma nemmeno la porta chiusa alle mie spalle mi impedì di sentire la risata divertita di Xavier.



****

Cari lettori e care lettrici, eccovi un nuovo capitolo, anche questo direi pieno di avvenimenti importanti: Diana ladra di magliette, Michel aspirante autista, i genitori di Diana che palesemente sperano che lei e Picard si mettano insieme, Xavier che guida la moto come un pazzo, la scena nello stanzino degli attrezzi, Isabel che accetta di dormire nel bosco con Diana e poi Xavier che le dice finalmente di sì.
Spero che abbiate tempo e voglia di lasciarmi un commento e di votare il capitolo!
Al prossimo sabato!
LazySoul

 
  
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