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Autore: Roscoe24    07/10/2017    5 recensioni
“Ahi,” si lamentò, toccandosi la fronte. Ci sarebbe spuntato un bel bernoccolo, se lo sentiva.
“Oh santi numi!” sentì esclamare e poi di nuovo il botto metallico dello sportello che veniva chiuso. Alec aveva ancora le mani sulla fronte, quindi non poteva vedere chi fosse il suo interlocutore. La verità era che si stava vergognando così tanto di essersi comportato come un tale imbranato che non aveva il coraggio di togliersi le mani dal viso.
“Ehi, là sotto. Tutto bene?” lo sconosciuto appoggiò le mani sui polsi di Alec, il quale percepì il tocco caldo contro la sua pelle. Curioso, si liberò la faccia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alec si svegliò a causa della voce di sua madre che li chiamava fuori dalla porta della loro camera, accompagnando il tutto con un insistente bussare. In altre circostanze avrebbe trovato la cosa irritante, ma dopo la serata che aveva passato in compagnia di Magnus, sarebbe riuscito a sopportare anche la cena di Natale e tutte le domande insistenti dei parenti ficcanaso che gli chiedevano in continuazione come mai non avesse una ragazza. Più volte era stato tentato di rispondere che era gay solo per vedere che faccia avrebbe fatto la prozia Eloide, che tra tutti era quella più insistente e più vecchia, bigotta  e retrograda quanto il suo caro nipotino Robert.
Sorrise, mentre apriva gli occhi – lo stesso non si poteva dire di Jace che stava già imprecando sotto voce, la testa nascosta tra il materasso e il cuscino – e ripensava, con un’euforia che cresceva sempre di più, al suo primo bacio, che era stato accompagnato da molti altri, tutti ugualmente belli, se non di più.
“Alec! Jace! Alzatevi!” ordinò Maryse, non una traccia di rabbia nella voce, solo il tono secco degli ordini, quello freddo che non ammette repliche. Alec sentì il rumore dei suoi tacchi scandire ogni passo mentre si allontanava per andare a bussare anche alla porta di Isabelle.
“Odio la domenica,” bofonchiò Jace, il cuscino ad ovattare la voce.
Alec no. O almeno, non odiava quella domenica specifica.
“Odio dover andare a messa,” continuò Jace, “A pregare un Dio che non crede in noi.”
“Jace, adesso esageri.”
“Perché non mi posso riposare? Non ha creato il settimo giorno per riposarsi? O era una cosa riservata solo ed esclusivamente a Lui?”
“Non ne ho idea. E onestamente, non mi interessa. È troppo presto per intavolare discussioni del genere!”
Allungò la mano verso il comodino per afferrare il cellulare e vedere che ora fosse. Quando illuminò il display e notò un messaggio di Magnus, un sorriso spontaneo aprì il suo viso.
“Ma a quanto pare non è troppo presto per sorridere come un idiota davanti ad uno schermo.”
Alec lo ignorò e sbloccò il display. Jace non avrebbe rovinato il suo buon umore con le sue frecciatine taglienti.

> From: Magnus, 08.13
Buongiorno, zuccherino…

Ma se c’era una cosa che a Jace non piaceva era essere ignorato, così saltò fuori dal suo letto per gettarsi al fianco di Alec, spintonandolo per farsi spazio. Alec, all’inizio restio a muoversi, dovette cedere all’invadenza di suo fratello che altrimenti l’avrebbe spiaccicato.
“Cosa ti scrive?”
“Non penso siano affari tuoi.” Rispose Alec, le mani a coprire lo schermo dagli occhi curiosi di Jace.
“Eddaaaaiii” Jace si sporse verso Alec, che alzò una mano in alto, tenendo il cellulare lontano dal fratello. Ma Jace era sempre stato uno che non si arrendeva, quindi balzò sulle ginocchia, piantandone uno su una coscia di Alec, il quale soffocò un gemito di dolore e piazzò uno scappellotto sulla nuca del biondo con la mano libera.
“Ahi!”
“Ahi lo dico io, ho settantacinque chili addosso!”
“Ehi,” gli fece l’occhiolino, “sono i settantacinque chili migliori che potrai trovare.”
“Su questo ho forti dubbi.”
“Oh, certo,” cominciò, intrecciando le proprie mani tra di loro e portandole sotto il mento, sbattendo teatralmente le lunghe ciglia dorate, “Perché il peso ideale sopra di te sarebbe Magnus, vero?”
Alec lo fulminò, gli occhi ridotti a due fessure strettissime: “Ti odio.”
“Vuoi negare? O vuoi farmi credere che avete passato tutta la serata in cucina solo a raccontarvi le favole?”
Alec roterò gli occhi al cielo, consapevole che Jace l’avrebbe torchiato fino a che non avesse vuotato il sacco.
“Non nego un bel niente, Jace. E no, non ci siamo raccontati le favole.”
Jace sbatté le mani in uno schiocco secco: “Lo sapevo!” gridò euforico, “Lingua?”
Alec arrossì, sebbene non riuscisse a trattenere una risata genuina davanti all’espressione carica di aspettativa del fratello. “Sì.”
“Non ti chiederò com’è stato perché è una cosa da ragazze. Ma sono felice per te, fratello.” Jace si sporse per dargli una pacca sulla spalla, prima di alzarsi dal letto di Alec e avviarsi alla porta. “Ti lascio al tuo messaggio.” Il biondo gli fece l’occhiolino prima di sparire fuori dalla camera.

> To: Magnus, 08.17
Buongiorno…
> From: Magnus, 08.17
Ti ho svegliato?
> To: Magnus, 08.18
No, tranquillo… ci ha pensato mia madre.
> From: Magnus, 08.18
E come mai? Non ha mai sentito parlare di sonni di bellezza?

Alec rise allo schermo mentre digitava il messaggio seguente.

> To: Magnus, 08.18
E tu hai mai sentito parlare di famiglie estremamente religiose e della messa della domenica?
> From: Magnus, 08.19
Sembra orribile.
> To: Magnus, 08.19
Non lo è poi così tanto… o almeno mi convinco che sia così. Non credi?
> From: Magnus, 08.19
Mi definisco un agnostico, raggio di sole. E tu?
> To: Magnus, 08.20
Secondo me lassù qualcuno c’è. Jace è fermamente convinto del contrario, io no. Penso ci sia un Dio. Anzi, credono ce ne siano molti, in base alla religione che gli uomini scelgono di seguire. Trovo più difficile credere negli uomini, onestamente.
> From: Magnus, 08.20
Quanto sei profondo, pasticcino.
> To: Magnus, 08.20
Non prendermi in giro, adesso…
> From: Magnus, 08.21
Non ti prendo in giro, anzi, ritengo tu sia molto più ragionevole di tante altre persone. Direi che il tuo discorso ha senso: fidarsi degli uomini è tremendamente difficile, se non impossibile, a volte. È molto più facile trovare conforto in un Dio che forse non incontreremo mai e che almeno non potrà mai deluderci.
> To: Magnus, 08.21
Chi ti ha deluso, Magnus?

Gli chiese di getto, convinto che quel messaggio fosse applicabile a scene di vita più quotidiana, ordinaria, diversa dalla misticità religiosa.

> From: Magnus, 08.22
Questo, crostatina, è un discorso che riprenderemo. Magari più in là. Magari non via messaggio.
> To: Magnus, 08.22
Certo, scusa. Non volevo essere indiscreto.
> From: Magnus, 08.22
Non scusarti… ho bisogno di tempo anche io per certe cose, ma non potevi saperlo.
> To: Magnus, 08.22
Ma ora lo so. E ti darò tutto il tempo che vorrai.
> From: Magnus, 08.23
Grazie, Alexander.
> To: Magnus, 08.23
Non devi ringraziarmi. Pazienza, ricordi? La cosa vale per entrambi.

Jace fece capolino in camera, un ciuffo biondo a tagliargli il viso.
“Detesto interromperti, ma giù di sotto sembra si stiano preparando all’Apocalisse!”
Alec alzò gli occhi dal display: “E come mai?”
“Cosa ne so, a quanto pare Padre Aldertree ha anticipato la messa.”
“E quindi?”
“Quindi papà è impaziente. Non sia mai che i Lightwood arrivino in ritardo, rischiando di non essere notati dalla comunità.”
“O essere notati per il loro ritardo imperdonabile di tre minuti e mezzo.”
Jace scoppiò in una risata fragorosa a cui si unì anche Alec. C’era complicità tra loro, come se una parte della loro anima fosse legata a quella dell’altro, rendendoli, almeno in parte un’unica persona. Erano uguali e diversi allo stesso tempo. Erano complementari, venuti al mondo per completare l’altro.

> To: Magnus, 08.26
Devo andare, rischio la flagellazione. Ci sentiamo più tardi.
> From: Magnus, 08.27
Certo, fiorellino. A più tardi <3

Era un cuore, quello?
Certo.
Ed era un sorriso, quello che stava allargando il viso di Alec in maniera così ampia da essere ritenuta umanamente impossibile?
Certo.

*

Victor Aldertree era un uomo alto, di colore e con un carisma che attirava ogni persona della comunità a seguire i suoi sermoni. Era giovane, con folti ricci castani e scuri occhi profondi come due pozzi. Aveva l’abitudine di accogliere personalmente i suoi parrocchiani, stando davanti alla porta della Chiesa – che veniva chiamata anche l’Istituto per via delle stanze adibite all’educazione cattolica adiacenti ad essa – stringendo le mani a chiunque e dando loro il benvenuto. Alec lo aveva adocchiato da lontano, con la sua tunica bianca e verde, mentre sorrideva alla signora Herondale, la sua preside.
Per nessuno dei due il ragazzo provava simpatia.
“Alec!”
Mentre provava una profonda e sincera simpatia per la proprietaria di quella voce.
“Aline!” Il moro le sorrise mentre la ragazza si gettava tra le sue braccia. La strinse forte a se in un abbraccio stritola costole. “Come stai?”
“Bene, e tu?”
Alec scrollò le spalle: “Bene!”
Aline Penhallow aveva abitato di fronte a casa Lightwood fino ai quattordici anni, poi i suoi genitori avevano insistito per mandarla in un collegio femminile dall’altra parte della città, convinti che in quel modo la figlia si sarebbe concentrata meglio sullo studio, senza essere distratta da cose come i ragazzi. Quello che i coniugi Penhallow ignoravano era che Aline non si sarebbe interessata ai ragazzi nemmeno se con un contatto con il genere maschile avesse salvato la razza umana dall’estinzione. Non le piacevano. E, anche se lei non l’aveva mai detto, Alec lo sapeva. Lo aveva letto più volte negli occhi scuri di Aline ogni volta che, da ragazzina, guardava incantata Isabelle, leggendo nel suo sguardo cupo la stessa sofferenza del suo quando guardava Jace. Gli occhi di Aline trasudavano lo sconforto e la consapevolezza che si hanno solo quando si capisce di avere una cotta per qualcuno di eterosessuale.
E forse anche lei sapeva di Alec, ma nessuno dei due aveva detto nulla, semplicemente perché il loro rapporto non sarebbe cambiato se ne avessero fatto parola. Si volevano bene ed erano riusciti a legare fin da subito.
“Come va a scuola?”
“Mi piace,” rispose Aline, incurante, “Solo che mi manca stare qui. Mi mancate voi Lightwood.”
Aline tornava solo per i week-end, passando la maggior parte del tempo con i genitori e la famiglia. In questo modo, non aveva molte occasioni di passare il tempo con i suoi amici prima di ripartire per la sua scuola.
“Anche a noi manchi, Aline.”
“Che mi venga un colpo se quella non è Aline Penhallow!” gridò Isabelle euforica, correndo verso di loro con Jace e Max appresso. Alec fece giusto in tempo a vedere lo sguardo rigido dei loro genitori, visibilmente contrariati dal comportamento esuberante della figlia, prima di concentrarsi su Iz, che, impeccabile nel suo abito rosa antico, si destreggiava tra la folla in attesa di entrare in chiesa, ondeggiando sui suoi tacchi verniciati in pendant con il vestito. Come facesse a non impiantarsi nel terreno morbido del giardino davanti alla struttura sacra, Alec proprio non lo sapeva. Forse Isabelle era magica.
“Izzy!” rispose Aline con altrettanto entusiasmo, abbracciando la ragazza. Si strinsero entrambe in un amichevole abbraccio, comunicandosi tutta la nostalgia che avevano una dell’altra. Isabelle e Aline avevano molto legato, da piccole, diventando inseparabili, fino a quando, appunto, Aline non aveva dovuto trasferirsi tre anni prima.
“Come stai?” domandò Iz, mentre Aline salutava Jace e Max.
“Bene, ma come dicevo ad Alec, mi mancate.”
“Dovremmo fare qualcosa la prossima volta che torni. Sgattaioli dalla presa dei tuoi genitori e fuggiamo da qualche parte!”
Aline rise: “Sicuro, come se fosse possibile. Ma se dovessi riuscire ad evadere, mi farebbe molto piacere.”
“Potremmo sempre inscenare un finto rapimento,” propose Jace.
“Sì, una cosa tipo: entriamo in casa tua bendati e ti trasciniamo fuori dalla tua stanza!” gli diede corda Iz.
“Sareste dei pessimi banditi, lo sapete? Come spieghereste la mia presenza in casa vostra?”
“A quello ci può pensare Alec,” disse Jace, alzando le spalle.
“E certo, voi fate casini e io li devo sistemare. Chissà come mai questa cosa mi risulta familiare!” rispose Alec ridendo.
Aline si lasciò trascinare dall’entusiasmo, sentendo una familiare stretta al petto causata dalla mancanza. Quando era partita e aveva dovuto rinunciare ai Lightwood, i migliori amici che avesse mai avuto, aveva avuto l’impressione che le staccassero un pezzettino di cuore.
Avrebbe voluto trovare il modo di dirglielo, di far sapere a quei ragazzi quanto fossero importanti per lei, ma sua madre, Jia, si avvicinò a loro per informarli che era arrivata l’ora di entrare. Così, senza che si dicessero niente, si avviarono insieme all’entrata della chiesa.

*

La funzione terminò intorno alle undici del mattino, ma i Lightwood si trattennero fino verso mezzogiorno, dal momento che Robert e Maryse erano impegnati a parlare con persone che conoscevano da molto tempo ed erano attivi nella comunità religiosa, proprio come loro. Jace pensava che assomigliassero ad una specie di setta segreta che non accettava nessuno che non reputassero alla loro altezza. Alec, invece, li vedeva solo come una manciata di bigotti, ciechi a qualsiasi cosa non fossero le loro antiquate convinzioni e rigide regole comportamentali.
Persone che l’avrebbero flagellato se avessero saputo la verità su di lui, reputandolo una vergogna, un abominio. L’aveva sempre saputo. Era sempre stato consapevole che ai loro occhi sarebbe stato visto sbagliato – perché era così che parlavano degli omosessuali, erano sbagliati –  ma si stupì nel costatare che non gli importava più di sapere cosa avrebbero potuto pensare di lui. Non lo faceva più stare male il pensiero che qualcuno potesse trovarlo sgradevole solo perché provava attrazione per individui del suo stesso sesso. Quella comunità, quelle persone che predicavano amore, ma erano talmente incoerenti da accettarlo sotto un’unica forma, non avevano il diritto di possedere la sua felicità. Ne tanto meno di privarlo della sua felicità. Non era giusto che si ergessero a giudici, decidendo cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato perché l’unico che poteva scegliere cosa fosse giusto e sbagliato per se stesso era Alec.
Non importa cosa pensa papà, Alec. L’importante è cosa pensi tu di te stesso.
E Jace aveva avuto ragione da vendere, quella sera. L’unico che poteva governare il timone della nave che era la sua vita era solo ed esclusivamente Alec.
Quella costatazione lo riempì di tranquillità, di una pace interiore che sentiva crescere intorno al suo cuore giorno dopo giorno. Quella pace, sapeva, che una volta raggiunta totalmente l’avrebbe aiutato a trovare tutto il coraggio necessario per fare coming out.
Si sentiva diverso. Stava cambiando. Stava crescendo.
E in parte quel merito era di Magnus, che nel giro di pochissimo tempo era riuscito a mostrargli un lato del mondo che pensava non avrebbe mai visto, facendolo sembrare meno crudele, meno spietato.
Sorrise, mentre pensava a lui e, istintivamente, estrasse il cellulare dalla tasca.

> To: Magnus, 12.07
Central Park, oggi pomeriggio. Cosa ne dici?
> From: Magnus, 12.07
È un appuntamento?
> To: Magnus, 12.07
Devi dargli per forza un nome?
 
> From: Magnus, 12.08
Beh, sì. Devo sapere cosa mettermi, zuccherino.

Alec scosse la testa, sul viso un sorriso che non aveva intenzione di scomparire.

> To: Magnus, 12.08
Non sapevo che a Central Park avessero un dress code.
> From: Magnus, 12.08
Non sapevo sapessi l’esistenza di parole come dress code, raggio di sole.
> To: Magnus, 12.09
Pensavi vivessi in una caverna?
> From: Magnus, 12.09
Certo che no, sciocchino. Ma il tuo gusto in fatto di moda è pessimo, lasciatelo dire.
> To: Magnus, 12.09
Mi prendi in giro, adesso? Attento, o dovrò trovare il modo per farti perdonare di questa scempiaggine.
> From: Magnus, 12.10
Perché mi sembra di vivere un déjà-vu?
> To: Magnus, 12.10
Perché era quella l’intenzione. Allora, Central Park?
> From: Magnus, 12.10
Sai, girasole, se fossi qui con me avrei sicuramente trovato un modo per farti stare zitto.
> To: Magnus, 12.10
Questo perché detesti essere stuzzicato.
> From: Magnus, 12.11
Sbagli, caramellina, io adoro essere stuzzicato. Da te in particolare. E dalla tua bocca.
 
Alec arrossì fino all’attaccatura dei capelli mentre leggeva quel commento, le guance che andavano in fiamme come se un incendio avesse preso residenza sul suo viso e si stesse allargando sempre di più.

> To: Magnus, 12.11
Non mi hai ancora risposto, però. Cosa dovremmo dedurre da ciò, io e la mia bocca? Che ti sei già stancato di noi?
> From: Magnus, 12.11
Non dire stupidaggini, passerotto. Mi stancherò di te quando alle pantere cresceranno spontaneamente le branchie. Ti sembra possibile?
Tu, io e tutta l’abbondante carrozzeria che ti porti appresso ci vedremo questo pomeriggio a Central Park.


Alec dovette fare uno sforzo titanico per non esplodere in una risata proprio davanti alla chiesa, dove il gruppetto che stava analizzando poco prima e dal quale si era allontanato, stava ancora parlando.

> To: Magnus, 12.11
Mi sembra perfetto. Ci sentiamo più tardi per i dettagli.
> From: Magnus, 12.11
Certo, fiorellino!

*

“La vuoi sapere una cosa?” gli domandò Magnus, la testa nascosta nell’incavo del suo collo. Alec sentì ondate di brividi percorrergli tutto il corpo, non appena il respiro di Magnus gli sfiorò la pelle.
Era una giornata bellissima – non bella come Magnus, rifletté Alec – il sole di inizio ottobre lasciava un piacevole tepore sui visi di due ragazzi sdraiati sull’erba del parco ancora verde, a differenza delle foglie che coloravano le chiome degli alberi che li circondavano, che erano un’esplosione di colori: giallo, rosso, arancione. Alec pensò con una punta di tenerezza che se ci fosse stata Clary, con loro, avrebbe cominciato a guardarsi intorno curiosa, i suoi occhi avrebbero colto ogni dettaglio di ogni minima sfumatura e le sue mani avrebbero cominciato a fremere impazienti, desiderose di avere a portata di mano pennelli e tela per imprigionare per sempre quella bellezza naturale in un quadro. Si era affezionato a Clary. Era una brava ragazza, voleva bene ad Izzy e amava Jace con tutta se stessa. E lui non poteva che essere felice di avere incontrato una persona che facesse stare così bene entrambi i suoi fratelli.
Appoggiò le labbra sulla fronte del maggiore, in un gesto che gli venne istintivo, come se fosse una conseguenza naturale dell’azione poco prima compiuta da Magnus.
“Certo.”
Sdraiati su un plaid che Magnus aveva appositamente portato perché non accettava la possibilità che i suoi fantasmagorici vestiti potessero macchiarsi d’erba, il ragazzo orientale si accoccolò meglio vicino ad Alec, il quale lo circondò con un braccio.
“Sono felice non ti abbiano flagellato.”
Alec si lasciò andare ad una risata: “Beh, onestamente anche io.”
“Non mi vuoi dire perché ho rischiato di veder deturpato il tuo bellissimo corpo?”
“Non sai se il mio corpo è bellissimo, Magnus. Fossi in te non alzerei troppo le aspettative, potresti rimanerne deluso.”
“Sciocchezze. Sei bellissimo, io lo so.”
“Sei troppo sicuro di te.”
“E tu troppo insicuro.”
“Potrei avere un enorme bitorzolo sulla pancia!”
“Ce l’hai?” domandò Magnus, facendo scorrere un dito nella zona nominata. Alec trattenne il respiro, ma si godette la sensazione calda ed elettrica che quel contatto gli provocava. Magnus gli faceva quell’effetto solo toccandolo sopra i vestiti. Non voleva pensare a cosa avrebbe provato se, eventualmente, un giorno, l’avesse toccato sotto i vestiti. Era sicuro che gli avrebbe mandato in tilt tutti i circuiti nervosi.
“No. Ma ho una cicatrice sulla schiena.”
Magnus parve interessato: “Davvero?”
Alec annuì: “Colpa di Jace.”
“Come mai la cosa non mi sorprende?”
Il moro rise e Magnus sentì la risata raggiungergli il cuore. “Racconta.”
Alec parve pensarci un po’ su, come se volesse richiamare alla memoria quell’episodio specifico. “Avevamo… sette, al massimo otto anni, penso. Stavamo correndo in bicicletta, nessuno dei due troppo particolarmente bravo, dal momento che avevamo da poco abbandonato la bici a rotelle. Jace, già competitivo in tenera età, ha avuto la brillante idea di saltare un muretto vicino a casa nostra. Facciamolo, Alec! continuava a dire e io gli rispondevo che era una cattiva idea – sei un fifone pappamolle, mi insultava e allora volevo solo dimostrargli il contrario. Così, con l’incoscienza di quell’età, abbiamo improvvisato una rampa con una tavola di legno trovata dietro casa nostra e l’abbiamo sistemata in modo da darci la spinta necessaria per saltare il muretto. Il risultato è stato tragico: prima di saltare, ho sbandato, sono scivolato dal sellino della bici e sono caduto all’indietro. La mia schiena è finita dritta sul muretto, ma, come se non bastasse, la spinta mi ha fatto cadere verso il marciapiede e mentre cadevo ho preso l’unico spuntone nel muro che mi si è conficcato nella pelle e mi ha lasciato una bella ferita. Mia mamma si è spaventata così tanto che ci ha tenuto in punizione per tre settimane. Tre settimane. Diceva che eravamo stati fortunati perché quello spuntone avrebbe potuto persino danneggiarmi la spina dorsale.”
“Disgraziato!” gli disse Magnus, sfiorandogli una guancia con il naso.
Alec ridacchiò: “Un pochino.”
“Vi siete dati una regolata, almeno, crescendo?”
“Se lo chiedi, significa che non conosci Jace.”
“Se tuo fratello è un pazzo con istinti omicidi-suicidi non vuol dire che debba coinvolgerti!”
“Ti stai preoccupando per me, Magnus?” gli domandò, giocando con i suoi capelli.
“Devo?” ritorse l’altro, allacciando lo sguardo a quello di Alec. Il moro gli sorrise con dolcezza e posò delicatamente le proprie labbra sulle sue.
“No. So badare a me stesso.”
“Bene, ma terrò comunque d’occhio tuo fratello.”
Alec rise e lo strinse a sé. Magnus si sistemò ulteriormente al suo fianco, incastrandosi ancora di più.
“Avevano anticipato la messa.” Disse Alec, dopo qualche istante passato in silenzio.
“Cosa?”
“Il motivo della mia quasi flagellazione. Avevano anticipato la messa e stavo ritardando.”
“Oh…” Magnus parve sorpreso.
“Già. La mia famiglia… i miei genitori,” Alec fece una pausa, un lampo di tristezza attraversò il suo viso, corrompendo la serenità che quella giornata stava portando, “Mio padre, in particolare, sono molto devoti, religiosissimi. Vanno in chiesa, partecipano a tutti gli eventi organizzativi, beneficienza, cose così… hanno… hanno un’idea specifica della religione e dei suoi dogmi. Più mio padre ad essere onesto… è lui quello più incanalato.”
Magnus lo vide deglutire, come se fosse faticoso far uscire quelle parole dalla gola. Stava per dirgli che non era necessario parlarne se non voleva, ma Alec riprese.
“È lui che ritiene che l’omosessualità sia sbagliata, contro natura. È fermamente legato all’idea di famiglia uomo-donna e un sacco di figli. Non che la parte del sacco di figli sia sbagliata, anche a me piacciono le famiglie numerose. È solo la sua mentalità che mi spaventa. Mia madre si irrigidisce ogni volta che l’argomento viene casualmente fuori, quindi penso che nemmeno lei impazzisca per i gay. Il che rende tutto estremamente difficile. Non mi vergogno di quello che sono, ho solo paura di sentirmi respinto da due persone per me importanti.”
Magnus rimase qualche istante in silenzio, dando ad Alec la possibilità di aggiungere altro, se avesse voluto. Ma quando realizzò che non l’avrebbe fatto, allora parlò.
“Avete bisogno di tempo. Tu ne hai bisogno per trovare tutto il coraggio dentro di te per aprirti completamente. Loro avranno bisogno di tempo per capire che indipendente da chi potrai mai amare, in vita tua, rimani sempre lo stesso, meraviglioso, Alec.”
“Non è così facile.” Alec, nonostante il peso che gravava sul suo cuore, feroce come un animale a digiuno davanti ad una preda facile, abbozzò un sorriso davanti alle parole confortanti di Magnus.
“Nessuno ha mai detto che lo sia. Finché esisterà pregiudizio, esisterà la difficoltà.”
Alec si voltò in costa per appoggiare la fronte a quella di Magnus, in quel gesto familiare che gli infondeva tranquillità.
“A volte vorrei fossero tutti come Iz, o Jace. È stato così facile con loro. Ad entrambi non è cambiato granché dopo che avevo detto loro come stavano le cose. Anzi, non è cambiato proprio nulla. Per loro basta che sia felice.”
“Esistono più persone che la pensano come i tuoi fratelli di quante ne credi, Alexander.”
“Lo so, suppongo… vorrei solo che due di quelle persone fossero i miei genitori.”
Magnus abbassò lo sguardo, un lampo doloroso ad attraversargli il viso. “Vorremmo sempre cose diverse, quando determinate situazioni riguardano i nostri genitori.”
Alec si inserì nel campo visivo di Magnus, abbassandosi un poco finché quest’ultimo non rialzò lo sguardo su di lui. Gli sembrò perso, come se stesse ripercorrendo una strada che conosceva, ma anche lo stesso tempo lo portava verso lo smarrimento.
“Cosa c’è, Magnus?”
Il maggiore scosse la testa in un segno di diniego e nascose il viso nel petto di Alec, che lo circondò con le braccia e cominciò ad accarezzargli la schiena con movimenti lenti e rassicuranti. Gli sembrava così fragile, in quel momento; una sensazione che mai avrebbe associato a Magnus che, in tutta la sua gloria, sembrava sempre in procinto di spaccare il mondo, invincibile, intoccabile. Ma a quanto pareva, la sua era solo la corazza di qualcuno che ha sofferto tanto e ha imparato, nonostante il dolore, a sollevarsi, a stare in piedi a testa alta e a non temere il mondo per nessun motivo. Magnus era come la fenice che, dopo la morte, risorge dalle proprie ceneri più forte di prima.
“Non me lo devi dire, se non vuoi.” Gli baciò la fronte e gli appoggiò il mento sopra alla testa, nel modo che aveva di proteggere coloro a cui teneva dai brutti pensieri. Lo faceva con Iz quando da bambina correva nel suo letto, convinto che la loro vicinanza sarebbe stata abbastanza forte da allontanare gli incubi. E adesso lo stava facendo con Magnus. Gli avrebbe fatto scudo con il proprio corpo se avesse significato avere la possibilità che i suoi tormenti lo abbandonassero almeno per un po’.
“Ho paura a dirlo, ma vorrei. Credimi, Alexander, vorrei.”
“Va tutto bene,” sussurrò, “Me lo dirai quando sarai pronto. Io non vado da nessuna parte.”
“Ma tu…” cominciò Magnus, la voce ovattata dalla camicia di Alec, “Tu ti sei aperto e-”
“Quando vorrai farlo, lo farai anche tu, Magnus. Non c’è una data di scadenza, per dirsi certe cose. Come non bisogna parlare di certi argomenti solo perché uno di noi due l’ha fatto.”
Magnus portò le sue braccia intorno al busto di Alec, aggrappandosi alla sua schiena con forza, come se in quel momento fosse l’unica cosa che gli impedisse di farsi trascinare nell’abisso delle acque nere e gelide che gli soffocavano il cuore, era la sua sana boccata d’ossigeno, la sua ancora contro quella tempesta che lo strascinava sempre a fondo ogni volta che ricordi legati al suo passato tornavano a galla.
“Non ti merito neanche un po’, Alexander.”
“Questo non lo devi dire mai.” Alec lo tirò indietro per le spalle per fare in modo di guardarlo in viso. “Mai. Hai capito?”
Magnus, gli occhi lucidi che trattenevano il pianto, annuì.
“Vieni qui, adesso.” Alec lo tirò a sé, chiudendolo tra le sue braccia, simili alla fortezza che protegge la principessa – il principe, in questo caso – dal drago. Alec l’avrebbe fatto a pezzi a mani nude, quel drago, se fosse stato necessario. Nessuno avrebbe mai fatto del male al ragazzo che adesso stringeva tra le sue braccia. Non l’avrebbe mai permesso perché l’avrebbe protetto ad ogni costo, da chiunque. Anche dai demoni che sembrava abitassero nella parte più profonda di lui e gli avvelenavano quel cuore che, Alec lo sapeva, altro non meritava che cose belle.

*

Dopo aver passato una ventina di minuti in silenzio, Magnus, ancora con il viso nascosto nel petto di Alec, gli chiese se aveva voglia di camminare un po’ per Central Park e Alec accettò.
Stavano camminando in silenzio, circondati dal rumore degli animali nascosti nei cespugli o negli alberi, dal chiacchiericcio dei passanti, dalle note di canzoni che arrivavano alle loro orecchie, cantate a squarciagola e accompagnate da una chitarra leggermente scordata. Ma niente di ciò che sentiva era ciò che Alec voleva udire. Voleva sentire di nuovo la voce di Magnus, che invece si era chiuso in un apparente mutismo, probabilmente a disagio dopo quello che era successo. Alec lo sentiva, lo leggeva nel modo in cui i suoi ambrati occhi felini guardavano ovunque tranne che nella sua direzione. D’istinto, gli afferrò la mano, facendo intrecciare le loro dita, incurante di poter essere visto da qualcuno che avrebbe potuto riferire quella verità ai suoi genitori. Non gli importava granché, in quel momento l’unica cosa che voleva era dimostrare a Magnus che c’era ed era lì per lui, che lo rispettava, e che era pronto ad ascoltare quando e se avesse voluto parlare. Quello era il modo silenzioso che aveva Alec di dire a Magnus che andava tutto bene e non aveva da preoccuparsi di nulla. Magnus strinse la presa e posò con cautela i suoi occhi su Alec.
“Stai bene?”
Magnus annuì.
Ma Alec sapeva che non era vero, lo sentiva dentro. Era impensabile essere così arroganti, rifletté. Perché era davvero arrogante da parte sua credere di poter sapere cosa passasse per la testa di qualcuno che conosceva da così poco. Ma per come la vedeva lui, Magnus era tutto tranne che uno sconosciuto. Si sentiva legato a quel ragazzo come se fossero stati plasmati dallo stesso pezzo di cuore e avessero costruito, intorno a quel frammento comune, il resto dei loro corpi. Era una cosa che non si poteva ignorare, questa. Indipendentemente dal tempo che avevano passato insieme, Alec sentiva di conoscere Magnus, di riuscire a percepire ciò che gli passasse per la testa. E l’unica cosa che voleva fare, in questo momento, era allontanare quella nebbia che stava circondando Magnus e lo stava portando sempre più a fondo. Se non si sentiva di condividere con lui qualsiasi cosa fosse la cosa che lo rattristava così tanto, Alec quantomeno voleva provare a distrarlo.
“È arrivato il momento di parlare di musica.”
Magnus gli accennò un sorriso confuso e per Alec fu una specie di traguardo.
“Di musica?”
“Certo, non ne abbiamo ancora parlato. Non mi sembra un argomento da sottovalutare, ti pare?”
Magnus ridacchiò ed Alec quasi riuscì a vedere la luce del sole che alimentava l’energia vitale di Magnus squarciare quell’oscurità che l’aveva circondato.
“No, non va sottovalutato affatto.”
“Bene,” convenne Alec, “Allora, nomina una canzone che ti piace ascoltare.”
Magnus parve pensarci su e poi rispose: “The Kill.”
Alec la conosceva, quella canzone. Poteva cantarne le parole a memoria, tante erano le volte che l’aveva ascoltata. E poteva quasi immaginarsi Magnus farsi trascinare dalle stesse parole che avevano invaso anche il cervello di Alec una miriade di volte.
I tried to be someone else but nothing seem to change, I know now this is who I really am inside.
Chissà se anche Magnus aveva provato ad essere qualcun altro nella sua vita, ma si era reso conto che niente cambiava, dal momento che cercare di essere qualcun altro non è la soluzione a nessun tipo di problema. Chissà se aveva combattuto per poter avere la libertà di mostrarsi per chi era veramente. Chissà quante battaglie aveva dovuto affrontare e quante ne aveva vinte, chissà quante ne aveva perse.
“È una bella canzone.”
Magnus parve riacquistare un po’ del suo solito malandrino brio e gli lanciò un’occhiata laterale.
“Lo credi davvero o lo dici solo per quel figo di Leto?”
“Dipende da che Leto intendi.” Scherzò Alec, sebbene la sua opinione sulla canzone fosse sincera.
Magnus si aprì in un sorriso luminoso. Niente oscurità. Non più. Era tornata in basso, in quella parte profonda di sé che Magnus custodiva e che gli avrebbe mostrato solo quando si sarebbe sentito pronto a farlo. Era una vittoria a caratteri cubitali, quel sorriso, come se Magnus stesse tornando a stare bene.
“Jared.”
Alec scosse la testa: “Non ci siamo, Magnus. Per niente.”
Magnus strabuzzò gli occhi, scioccato: “Non ti piace?”
“Non ho detto questo.” Alec gli diede una spallata leggera, giocosa, mentre con il pollice disegnava cerchi sul palmo di Magnus. “Solo che preferisco Shannon.”
“Ma è basso.”
“L’altezza non è un problema, se consideri tutto il resto.”
“Devo essere geloso di un nano da giardino?”
Alec esplose in una risata che lo costrinse a portarsi la mano che aveva libera sulla pancia. Magnus era ufficialmente tornato. Alec si fermò nel bel mezzo del viale che stavano percorrendo e lo tirò a sé.
“Non devi essere geloso di nessuno, Magnus.” Gli accarezzò una guancia, prima di posargli delicatamente le labbra sulle sue, in un bacio leggero e fuggitivo.
“Dove credi di andare?” Magnus parve contrariato dalla sua scelta di allontanare il suo viso dal proprio, così riacciuffò le sue labbra, provocando una risata in Alec, che fu ben felice di assecondare quella richiesta.
“Grazie.” Gli sussurrò poi Magnus, la fronte appoggiata a quella del moro.
“Non so di cosa stai parlando.”
“Sì che lo sai. Non pensare che non abbia capito cos’hai fatto.”
Magnus sentiva crescere dentro di se un sentimento caldo, qualcosa che non provava da tanto tempo: fiducia, gratitudine. Alec si era preso cura di lui in modo silenzioso, ma infondendogli una sicurezza rara per un ragazzo della sua età. Si era fatto carico della sua sofferenza, sebbene non ne conoscesse la portata, abbracciandolo, inglobando quel senso di disagio che abitava in lui e rispettando i suoi silenzi che erano stati appresi, capiti e rispettati. L’aveva rassicurato, cullandolo come si potrebbe fare con un bambino spaventato dall’uomo nero e aveva pazientemente aspettato che la tempesta si quietasse. La bellezza di quel ragazzo non si limitava solo al suo aspetto fisico. Alexander era speciale in un modo che lui stesso non avrebbe mai appreso, ma che Magnus riusciva a vedere chiaramente, nonostante lo conoscesse da poco.
“Sei una specie di stregone, Magnus?”
“Può darsi. Magari un Sommo Stregone, destinato all’immortalità e alla lettura della mente.”
“Adesso esageri.”
“Solo Sommo Stregone va bene?”
Alec rise: “Direi di sì. È più fattibile.”
“Andata, allora.” Concluse soddisfatto Magnus. “Hai fame?”
“Fare presunte magie ti mette appetito?”
“Non sai quanto!”
Alec scosse la testa, “Andiamo, mi hai fatto venire fame per empatia.” Allacciò le spalle di Magnus con un braccio, baciandogli una tempia, mentre quest’ultimo gli circondò la vita.
Insieme, abbracciati in quel modo, si diressero alla ricerca di qualcosa di commestibile che avrebbe pacato i loro stomaci.

Continuarono a camminare fino a quando non uscirono da Central Park, imboccandosi in una stradina che a detta di Magnus era sinistra. Ed Alec capì subito che Magnus con sinistra intendeva una strada il cui asfalto era stato coperto da fieno e paglia. Ben presto entrambi capirono di essere capitati, non si sa come, non si sa perché, nel bel mezzo di una fiera medievale.
“Andiamo via!” esclamò Magnus con orrore, non appena una delle sue preziosissime scarpe di marca (Alec davvero non ricordava di chi fossero, nonostante Magnus gliel’avesse comunicato con orgoglio. Lui proprio non ci sapeva fare con certe cose) aveva sfiorato escrementi equini.
“Perché?”
“Il motivo a pallette che giace in mezzo alla strada non è abbastanza evidente, per te?”
Alec roteò gli occhi al cielo, “Andiamo, potrebbe essere divertente!”
“Calpestare cacca di cavallo? Abbiamo idee divergenti per quando riguarda il divertimento, Alexander.”
“Nessuno trova divertente la cacca di cavallo, Magnus. Ma i cavalli sì.”
“Preferisco cavalcare altro.” Gli lanciò un’occhiata maliziosa che di equivocabile non aveva assolutamente niente.
“Sottile, davvero.” Gli rispose sarcastico, le guance in fiamme, afferrandolo per una mano e trascinandolo dentro alla fiera. Magnus lo lasciò fare e realizzò in quell’esatto momento che per Alexander Lightwood era disposto davvero a fare di tutto. Anche rischiare di rovinare le sue Jimmy Choo.
“Possiamo almeno mangiare, prima?” si lamentò, come un bambino. Alec, di fronte al broncio adorabile di Magnus non seppe trattenersi dal sorridere, sentendo la tenerezza che gli saliva dallo stomaco e andava ad inondargli il cuore, scaldandolo.
“Tutto quello che vuoi.”
“Misura bene le parole, ciambellina. Potrei cambiare idea e decidere che tutto quello che voglio sei tu e potremmo andarcene da questo posto che odora di stalla.”
“Se vuoi davvero andartene ce ne andiamo subito.”
Magnus si stupì di come quelle parole fossero prive di qualsiasi tipo di accusa, o risentimento. Alec sembrava davvero intenzionato ad andarsene, se solo lui avesse voluto. Stava mettendo se stesso in secondo piano, dando implicitamente più importanza alla volontà di Magnus rispetto alla propria. Per questo, Magnus si chiese quante volte gli era capitata nella vita, una cosa del genere. Quante volte aveva messo da parte se stesso per far felice i suoi fratelli senza che ciò gli facesse provare astio nei confronti di nessuno. Alec era altruista nel modo più genuino e puro che potesse esistere.
“No,” Magnus gli chiuse il viso tra le mani a coppa, “Rimaniamo. Andiamo a vedere i cavalli e tutto quello che vuoi. Te ne rubo persino uno, se ti aggrada.”
Alec rise, in quel modo che faceva ridere anche i suoi occhi e faceva impazzire il cuore scalpitante di Magnus, e annuì.
“Magari possiamo rinunciare al furto.”
“Come vuoi, zolletta.”
Zolletta perché stiamo parlando di cavalli?”
“Non mangiano le zollette di zucchero?”
“Questa cosa dei soprannomi ti sta decisamente sfuggendo di mano, Magnus.” Alec sorrideva, mentre scuoteva la testa, arrendevole al fatto che lamentarsi non avrebbe fatto smettere Magnus nella sua impresa di chiamarlo in ogni modo possibile immaginabile, “Vieni, là hanno del cibo!”

Il cibo che placò la fame mostruosa di Magnus – che aveva l’impressione che nel suo stomaco avesse cominciato ad abitare un drago nevrotico ed estremamente suscettibile – fu una quantità imbarazzante di pretzel, prima salati e successivamente dolci, perché non si può dire di no alla cioccolata, nemmeno quando è contenuta dentro a dei panini contorti su loro stessi. Con la pancia piena e più di buon umore, Magnus osservava Alec – cosa che trovava alquanto di proprio gradimento – guardarsi intorno, curioso. Era affascinato da qualsiasi cosa: i banchetti di caramelle, gli stand che vendevano riproduzioni perfette di strumenti, armi e vestiti medievali, i palchi dove uomini e donne in costume ballavano sulle note strimpellate da strumenti a corde, che probabilmente erano i bis-bis-bis-bis-un sacco di bis-nonni del mandolino, da altri uomini anch’essi in costume.
Ma la cosa che più di tutte piacque a Magnus, però, fu vedere lo sguardo eccitato di Alec quando vide i cavalli. Il ragazzo non riuscì a trattenersi: affrettando il passo – e trascinando Magnus con se – si diresse verso gli animali, che venivano lasciati liberi in uno spazio destinato solo ed esclusivamente a loro.
“Eccoli!”
Alec era euforico e Magnus si aprì in un sorriso intenerito. Lasciò la sua mano ed Alec lo guardò con le sopracciglia aggrottate in una muta richiesta di spiegazione.
“Vai, ti raggiungo subito.”
“Non vuoi vederli?”
“Non ho detto questo, Alexander. Tu avviati, io arrivo.”
Alec si adombrò un poco, ma si avviò comunque. Magnus non aveva alcuna intenzione di ferirlo, o di fargli pensare che non aveva voglia di raggiungerlo – perché ne aveva una voglia matta – ma voleva solo avere il tempo necessario per estrarre la macchina fotografica dalla sua borsa a tracolla e immortalare Alexander in tutto il suo splendore. Sarebbe stato un peccato mortale non catturare la bellezza di Alec quel pomeriggio, la sua energia, la sua intraprendenza, la sua genuina voglia di conoscere, guardare, studiare. Il modo in cui si faceva trasportare dalla magia che quel posto comunicava, come se fossero finiti in un’altra epoca dopo un viaggio dentro ad una macchina del tempo. Alexander era arte che camminava e lui da artista aveva delle responsabilità: immortalarlo affinché i posteri potessero essere anche loro testimoni di tale beltà. Dunque, con la macchina fotografica stretta tra le mani, si sistemò per mettere a fuoco la figura di Alec, che si era avvicinato ad un cavallo nero a cui stava accarezzando il muso. L’animale – mica scemo – dava segni di apprezzamento avvicinando la testa verso il ragazzo.
Fu quando Magnus lo vide sorridere al cavallo che scattò la foto. Era un abbozzo grezzo, si trovò a pensare, guardandola nel display. Le luci andavano regolate meglio, ma il risultato gli piacque comunque: Alec era messo a fuoco alla perfezione, la testa incurvata di lato, mentre una mano era sistemata sotto il muso dell’animale, e lo sfondo si sfuocava lasciando l’impressione che non ci fosse altro, al mondo se non i due soggetti dell’immagine. E Magnus capì che la scelta di scattare la foto in quel modo era tutto tranne che casuale: da quando l’aveva conosciuto, infatti, lui non vedeva altro che Alec, come se, in sua presenza, il resto del mondo sparisse, mostrando solo lui. Non aveva fatto altro che pensarlo da quando aveva sbattuto contro il suo armadietto, chiedendosi che tipo fosse e, adesso che lo stava conoscendo, si rendeva conto che mai avrebbe potuto immaginarsi la portata dell’intensità delle emozioni che provava in sua presenza. Il mondo spariva, ma Magnus si accendeva, provando quei sentimenti che il suo passato e le sue precedenti esperienze avevano sepolto da troppo tempo, in fondo a quel cuore fatto a brandelli, che adesso stava cominciando a fiorire di nuovo, battendo più forte che poteva e sprigionando un’energia vulcanica, impossibile da ignorare.
“Che stai facendo?”
Alec lo distrasse dalla sua attenta analisi della foto e dai successivi pensieri che essa avevano generato, portandolo ad alzare gli occhi su di lui. Di certo le foto non rendevano giustizia alla bellezza di quel viso stupendo.
“Guardo te.”
Alec abbassò lo sguardo sul display.
“Oh...”
“Non ti piace?”
Il tono apprensivo nella voce di Magnus fece si che Alec spostasse i suoi occhi su di lui.
“Al contrario. Sei davvero bravo.”
“In realtà è tutto merito del soggetto.”
Alec sbuffò dal naso, un sorriso accennato sulle labbra: “Il cavallo è molto bello, in effetti!”
Magnus alzò gli occhi al cielo, esasperato: “Cosa devo fare con te?”
“Non lo so, dimmelo tu. Cosa vuoi fare con me, Magnus?”
Lo stava provocando? Oh sì, lo stava facendo eccome. E in maniera nemmeno poi troppo velata, diversamente da come ci si aspetterebbe da qualcuno che arrossisce ad ogni minimo complimento. Magnus adorava questa cosa, l’innocenza di Alec mescolata al suo modo di essere spigliato quando meno se lo aspettava.
“Non hai idea delle cose che ti farei, tesoro.”
Se bisognava giocare, tanto valeva che lui lo facesse in grande. Alec arrossì, un’intensa tonalità porpora a colorargli le guance, ma si avvicinò di più al viso di Magnus, chinandosi leggermente verso di lui.
“Finalmente hai trovato qualcosa che non sia troppo imbarazzante.” Gli sussurrò prima di portargli una mano sulla nuca, facendo allacciare le dita ai capelli di Magnus, e baciarlo. Con la mano occupata, portò Magnus a tirare indietro la testa, leggermente, per poter essere lui, questa volta, ad approfondire meglio il bacio e avere più spazio di azione. Non che fosse sicuro che si facesse esattamente così, dal momento che, nonostante gli piacesse tantissimo imparare a baciare Magnus come si doveva, era ancora terrorizzato dall’idea di sembrare una specie di lumaca incontinente. Ma il suono che uscì dalla gola del ragazzo, un misto tra un ringhio d’approvazione e un sospiro strozzato, fece capire ad Alec che tanto male non doveva essere, così le sue labbra continuarono a muoversi in sintonia con quelle di Magnus, fino a che, per mancanza d’ossigeno, non fu costretto a staccarsi.
“Sono…” cominciò Magnus, toccandosi il labbro inferiore con il pollice, “piacevolmente colpito. Ti chiamerò tesoro di continuo, se ogni volta devi baciarmi così.”
Alec tornò rosso, ma si aprì in un sorriso compiaciuto.
“Per me si può anche fare.”
Magnus lo guardò come si guardano le cose belle, quelle che fanno stare bene il corpo e la mente, l’anima e il cuore. Ogni volta che lo guardava, si rendeva conto che mai e poi mai avrebbe rinunciato a lui e che avrebbe passato anche la sua intera vita a cercare di fare felice il ragazzo che gli stava di fronte.
“Anche per me.”
E forse Alec non lo sapeva, ma se Magnus avesse davvero avuto tutta l’eternità a disposizione, l’avrebbe passata con lui.




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Ciao a tutti e ben ritrovati!
Nuovo capitolo, nuova dose di ansia, soprattutto perché le cose si stanno facendo più serie - a tratti - e i due cuoricini si stanno dicendo cose abbastanza importanti e io ho paura di aver rovinato tutto e di fare schifo, perché non sono riuscita a trovare niente di meglio del paragone Conclave/Chiesa e famiglia bigotta. Walk of Shame for me come Cersei Lannister. In questo frangente, fantasia 0 e vi chiedo umilmente perdono.
Venendo al capitolo, cosa ne pensate? Vi è piaciuto almeno un pochino? Volete tirarmi le uova in testa? 
Fareste bene.
Alec è quello che si apre un po' di più e lo fa per primo, proprio come è successo nella serie, dove vediamo le sue problematiche esposte prima di quelle di Magnus, personaggio più misterioso - nei libri lo è ancora di più. E sebbene, da buona furba quale sono, mi sia spoilerata qualcosa, della sua storia si sa ancora pochissimo.. e sono al quinto libro... ma vabbè sto divangando! 
Tornando a noi, ci sarà spazio anche per la storia di Magnus, che nella mia testa sta prendendo una forma sempre più dettagliata. 
Menzione d'onore ai fratelli Leto che, per chi non lo sapesse, sono 2/3 dei 30 Seconds to Mars, autori della canzone citata, The Kill, che amo tantissimo. 
Menzione d'onore pt. 2 ad Aline Penhallow perché secondo me è un bel personaggio e mi piacerebbe vederla molto di più nella serie! 
Come sempre, vorrei ringraziare tantissimo chiunque legga, metta tra le preferite/seguite e trovi anche il tempo di recensire, mi fa davvero un immenso piacere sapere che ci siete, quindi vi abbraccio tutti tantissimo! 
Grazie per essere arrivati fino a questo punto, alla prossima! <3 

 
   
 
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