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Autore: Thalassa_    11/10/2017    3 recensioni
Tre solitudini a confronto. Tre casi in cui dalla sofferenza è emerso l'eroismo.
[Raccolta Multifandom]
Ci sono cose che nessuno vede, cose sbagliate. Sono lì, evidenti, sotto gli occhi di tutti, talmente evidenti che ci si chiede come sia possibile che nessuno abbia visto prima, che nessuno abbia fatto niente. Ci si fanno tante domande, dopo.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Fratelli Elric


Il tenente colonnello Mustang aveva ventisei anni, grandi ambizioni e nessuna simpatia per i bambini. Ne aveva visti morire troppi, durante la guerra.
Tamburellava nervosamente le dita sul legno, cercando di non sbuffare per l’esasperante lentezza del viaggio. Il vecchio che guidava il carretto dovette accorgersi della sua impazienza, perché disse gentilmente:
“Vi prego di scusarmi, ma qui in campagna le automobili sono molto rare”.
“Non c’è problema” rispose il tenente, cercando di rilassarsi, “anche questo ha il suo fascino”.
L’uomo che guidava il carretto parve soddisfatto della risposta e continuò a conversare amabilmente. SI chiamava Warren. O forse Walden? Era Riza che si occupava di quisquilie come i nomi al posto suo. Si preoccupava di un sacco di cose. Riza non era mai stata in guerra.
Rispose distrattamente alle domande di Warren, finché una parola non catturò la sua attenzione. “Piccoletti?” domandò scandalizzato. “Come sarebbe a dire, piccoletti?”
Scrutò freneticamente il documento. Dichiarava inequivocabilmente Villaggio di Resembool, Edward Elric, 31 anni, e Alphonse Elric, 30
“Nossignore” si incaponì Warren, scuotendo la testa. “Ne ha undici di anni, e suo fratello è un anno più piccolo”.
Mustang si rivolse con disperazione a Riza.
“Vista la situazione posso solo dedurre che il documento è errato” disse secca, con il sopracciglio alzato. La sua risposta lo gettò nello sconforto. Non poteva credere di aver viaggiato fino a quell’angolo sperduto di mondo a bordo di un carretto per un paio di ragazzini che con un po’ di fortuna avrebbero saputo trasmutare i propri trenini giocattolo.
Quando varcò la porta della ridente villetta in legno a due piani, capì che non avrebbe potuto essere più in errore. Rimase sulla soglia, paralizzato dall’orrore, incapace di distogliere la vista dal lago di sangue secco che si estendeva sul pavimento.
Esplorò la casa lentamente, senza dire una parola, sordo alle domande di Riza. La casa era deserta. Quando ebbe terminato la perlustrazione, disse una sola frase.
“Dove sono i fratelli Elric?”
 “Se non sono qui, saranno a casa della signora Rockbell” rispose allegramente Warren, che li stava aspettando fuori. Non era voluto entrare ed era parso molto a disagio alle insistenze del tenente. Probabilmente in paese si diceva che la casa fosse maledetta, o qualcosa del genere.
“Mi porti da lei” ordinò bruscamente. “È una parente stretta?”
“No, signore” rispose Warren, evidentemente confuso dal suo repentino cambio di atteggiamento. “È solo una vicina, la miglior fabbricante di automail della zona. I bambini sono orfani, signore”.
Dopo un paio di minuti, il carro accostò per farli scendere. Mustang quasi saltò giù mentre era ancora in corsa, e si precipitò alla porta. Venne ad aprire una donnetta anziana, con gli occhi miopi strizzati dietro gli occhialetti rotondi e i capelli grigi raccolti stretti sulla sommità della testa.
“Mi faccia entrare, signora Rockbell” intimò, costringendola a spostarsi. Sentì Riza scusarsi sospirando per i suoi modi, ma non gli importò. Solo dopo aver verificato che non ci fosse traccia di bambini nella stanza rivolse nuovamente la sua attenzione alla padrona di casa. La donna stava scrutando con cipiglio sospettoso le loro uniformi. “Che cosa vengono a fare qui dei militari?” domandò, più rivolta a sé stessa che a loro.
“Sono il tenente colonnello Roy Mustang, alchimista di stato” si presentò autorevolmente. “Stiamo cercando i fratelli Elric”.
La donna arricciò il naso in una smorfia di disgusto. “Maledetti cani dell’esercito” borbottò tra sé “sapevo che un giorno sareste arrivati anche qui”.
La vecchia ci disprezza, pensò amaramente Mustang. E francamente, come darle torto?
“Mia figlia e mio genero” annunciò la vecchia, e indicando con un gesto della mano le fotografie appese alle pareti. “Mia figlia e mio genero” riprese, perforandolo con uno sguardo carico d’accusa, “erano degli ottimi medici. Non hanno mai fatto ritorno dalla guerra di Ishval”.
La vecchia guardò lui e Riza con aria spavalda, come a sfidarli a discolparsi. Mustang si scoprì a fissare una fotografia che ritraeva due giovani sorridenti e nel mezzo una bambina bionda. Distolse lo sguardo, a disagio.
Vide che Riza stava per dire qualcosa, scusarsi di nuovo, forse. “Sono qui per parlare con i fratelli Elric” disse bruscamente. Come a dire: non sono interessato alle vecchie storie di famiglia. Lo scopo della mia visita è l’unica cosa che conta. Dalla sua voce aveva lasciato trapelare tutta l’impazienza che provava nei confronti di quell’incontro. Doveva sapere… non poteva credere che…
Riza sollevò un sopracciglio con evidente disapprovazione per i suoi modi ruvidi. Non sarebbe stato più delicato…? gli avrebbe sicuramente suggerito più tardi. Riza non era mai stata in guerra, ma questa donna sì, questa donna aveva la guerra negli occhi e perciò non si risentì. Storse la bocca e disse, semplicemente:
“Se li conosco bene, hanno origliato tutta la conversazione. Venite pure fuori, ragazzi”.
La porta che dava sul corridoio, che fino a quel momento era rimasta accostata, si aprì. Dalla penombra emersero due figure talmente male assortite da far apparire il loro ingresso surreale. Un cavaliere in armatura, con la celata abbassata, spingeva la sedia a rotelle di un bambino a cui mancavano un braccio e una gamba. Teneva la testa china sul petto. Mustang si sentì raggelare. Non era il primo bambino mutilato che vedeva – tanti, troppi per colpa sua, non si sarebbe mai lavato quel sangue dalle mani – ma questo bambino era mutilato nell’espressione, nello sguardo. Gli era stata strappata l’innocenza.
Prima di rendersene conto, si trovò faccia a faccia con il bambino. “Sono stato a casa vostra” urlò, strattonandogli la maglietta. “Volete spiegarmi cos’avete combinato?”
Sentì la sua stessa voce come dall’esterno, un’accusa dopo l’altra, mentre il bambino lo guardava con quegli occhi terribili.
“Scusi.”
Il tenente si girò, meravigliato nello scoprire che quella voce dolce e acuta proveniva dall’armatura.
“Ci perdoni, la prego”. Il cavaliere continuava a parlare con la voce di un bambino. Fu quello, più di tutto, ad ammutolirlo.
Chiese a Riza di lasciarlo solo con i fratelli Elric. Quella era una storia che poteva essere raccontata solo tra alchimisti.
Fu Alphonse a parlare, per quasi tutto il tempo. Il dolore nella sua voce era palpabile. Quando arrivò il momento, prese l’elmo in mano, rivelando l’armatura vuota. Il tenente si lasciò sfuggire un’espressione di sgomento. La visione dei due fratelli così profondamente lacerati gli lasciò un turbamento che non provava da anni.
La rabbia, sentimento a lui così familiare, continuava a ribollire nel suo stomaco, ma non li accusò più. Era evidente che quei bambini cercavano una sola cosa, che non era mai stata loro concessa: comprensione.
Al termine dell’incredibile racconto, fece rientrare la vecchia, a malincuore, perché era la cosa più vicina a un tutore che avessero. Mustang elencò loro i privilegi riservati agli alchimisti di Stato, sforzandosi di pensare a loro esclusivamente come a risorse dell’esercito. La sua voce era monotona, professionale.
Alphonse, tra i due, era il più pacato, ed era naturalmente quasi impossibile da sconfiggere in combattimento. Edward era un alchimista eccezionale e Mustang vide in lui lo scintillio di una fiamma quasi estinta che improvvisamente riprende a crepitare.
Era ormai l’imbrunire. “Edward ha bisogno di riposo” gracchiò la vecchia Pinako. “Alphonse, accompagnalo nella sua stanza”. Il tenente salutò i due ragazzi, raccomandando loro di presentarsi al quartier generale di East City se avessero deciso di accettare l’offerta. Quando furono usciti, non diede segno di volersi alzare dalla sedia.
Lui e la vecchia si scrutarono a lungo, in silenzio. Il tenente Mustang aveva ripreso la sua solita espressione fredda e distaccata, ma la sua mano destra era stretta in un pugno serrato. Sapeva che le unghie avrebbero lasciato il segno sul palmo.
“Com’è stato possibile?”
La vecchia non rispose subito. Si limitò a guardare nel vuoto, masticando la pipa che teneva nell’angolo della bocca.
“Non so nulla di alchimia” rispose infine. “Non avevo idea che stessero architettando qualcosa di così pericoloso. Se avessi avuto una minima idea, io…”. La sua voce si spense.
“Ma ha lasciato che due bambini vivessero completamente soli dopo la morte della madre” ribatté il tenente, implacabile.
Le gote avvizzite della vecchia si tinsero di rosso. “Sembravano in grado di cavarsela da soli…li invitavo sempre qui a mangiare, ma poi loro insistevano per tornare a casa, e io… non sono i miei nipoti, dopotutto”. Lo sguardo del tenente sembrava innervosirla. “Io devo occuparmi di Winry, ora che i suoi genitori non ci sono più. Devo occuparmi di Winry…loro non sono i miei nipoti, dopotutto…”
Mustang non rispose, ma spostò ostentatamente lo sguardo su una delle fotografie appese alla parete. Accanto alle foto dei due medici, c’era un’altra fotografia che ritraeva tre testoline bionde, due bambini e una bambina che si abbracciavano stretti.  
La vecchia seguì il suo sguardo. “Se ne vada!” urlò, scattando in piedi in un moto di rabbia e indicando la porta. “Se ne vada!”. La sua voce era rotta dal pianto.
Mustang se ne andò.
“Torniamo a Central City, signore?” domandò Warren, che lo aspettava con il suo carretto fuori dalla porta. Riza era già pronta per partire.
“Un attimo, c’è ancora una cosa che devo vedere”.
Quando entrò per la seconda volta nella casa dei fratelli Elric, non sapeva bene cosa stesse cercando. Girò per le stanze, cercando di immaginare come la casa fosse apparsa vuota agli occhi di due bambini che hanno perso la loro mamma. Arrivato alla biblioteca, riconobbe al primo sguardo la prova che aveva inconsciamente cercato, qualcosa che non aveva notato durante la sua visita di qualche ora prima.
Prese in mano il pezzetto di carta lasciato negligentemente come segnalibro in un manuale di alchimia. Lo studiò per qualche istante, poi lo accartocciò nervosamente e se lo mise in tasca.
Sapeva che avevano avuto bisogno di ingredienti particolari. La lista era scritta con una calligrafia rotonda, infantile, il tipo di grafia che sarebbe naturale trovare su una pagina di diario su cui è stata trascritta una filastrocca, o una lista di parole da imparare: A come Automail, B come Bosco, eccetera. Di certo da una grafia del genere non ci si aspettano parole come salnitro o zolfo.
La vecchia non aveva notato nulla. La loro maestra, che avrebbe dovuto guidarli e istruirli, non aveva notato nulla. Nessuno, a quanto pareva, aveva notato nulla.
Il tenente cercò di figurarsi la scena. Due bambini sugli otto anni entrano in farmacia e iniziano a snocciolare una lista di richieste alquanto peculiare. Forse qualcuno li conosce di vista come orfani e figli di un alchimista. Nessuno si chiede a cosa serva loro il salnitro. Nessuno si chiede perché non siano a scuola. Nessuno si chiede chi si prenda cura di loro, e curiosamente la risposta è proprio: nessuno.
I bambini spuntano allegramente alcuni punti dalla loro lista, pagano e escono. Nessuno ha notato nulla.
Mustang uscì dalla casa e raggiunse Riza e Warren, più determinato che mai. “Possiamo andare”.
Il tenente Mustang aveva ventisei anni, grandi ambizioni e non aveva tempo da perdere. Non gli erano mai piaciuti i bambini.
 
 
 
 
Note
Le prossime due puntate a settembre, dicevamo…ehm. Scusatemi moltissimo il ritardo e imparerò a non fare più promesse sulle scadenze. La genesi di questa storia è un po’ particolare: l’ho scritta senza andare a rileggere la scena e di conseguenza poi ho dovuto limarla parecchio per renderla compatibile con la scena del manga. Consideratelo un ampliamento di quanto ci viene mostrato, con qualche licenza.
Nel capitolo, mi ostino a chiamare Pinako “la vecchia” perché la scena è filtrata dal punto di vista di Mustang.
Spero di sentire presto le vostre opinioni.
Thalassa_

 
   
 
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