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Autore: Susannah_Dean    29/10/2017    2 recensioni
Un'esplosione in un quartiere di periferia, un mistero da risolvere e un pericolo da combattere. Una giornata come le altre su Mobius, se non fosse per un passato che non vuole essere dimenticato e dei legami impossibili da spezzare. Riusciranno i nostri eroi a salvare la situazione ancora una volta, o sarà il destino a lasciarli senza scampo?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Knuckles the Echidna, Rouge the Bat, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era tutto troppo grosso.
Per questo, col tempo, si sarebbe convinto di aver sognato tutta la scena. Non era possibile che fosse stato tutto reale, che ci fosse stato un tempo in cui era stato così piccolo da far apparire gigante ogni cosa intorno a lui.
Eppure, così era. Gli alberi sembravano torri che svettavano sopra di lui, e perfino l’erba, bassa com’era, gli creava problemi. I suoi piedi, piccoli e nudi, continuavano ad inciampare in ostacoli invisibili. Angel Island, che pure era la sua casa, l’unico luogo che avesse mai visto, gli appariva così minacciosa e poco familiare da mettergli paura.
Anche la mano che stringeva la sua era molto grande. Le due membra si somigliavano molto, coperte da pelliccia rossa e decorate da due spuntoni, ma quella di Knuckles spariva dentro l’altra, tanto erano diverse le dimensioni. Era un bene, però. Solo una mano così grande e forte poteva impedirgli di cadere ogni pochi metri, o di scappare terrorizzato dai rumori della foresta.
Non sapeva dove stessero andando.  Suo padre aveva detto che era arrivato il momento, ma il momento per cosa? Knuckles certamente non lo sapeva. Sperava solo di non dover camminare ancora a lungo. Cominciava a sentirsi stanco, e suo padre non avrebbe tollerato la richiesta di farsi prendere in braccio. Diceva che lui ormai era troppo forte per comportarsi come un bamboccio.
Per fortuna, dopo pochi minuti l’adulto si fermò e si girò a guardarlo. Il volto era simile al suo, a parte per la barbetta che gli copriva il mento e gli occhi azzurri, ma aveva un’espressione seria che a Knuckles non sarebbe mai riuscito di imitare. Quel viso lo intimoriva, ma era convinto che non avrebbe mai potuto amarne un altro di più.
Anche se sarebbero trascorsi anni prima che lui potesse incontrare un’altra persona.
- Eccoci – disse suo padre, mettendogli le mani sulle spalle. – E’ ora che tu capisca per cosa sei nato.
Era una motivazione come un’altra, ma il bambino continuava a non capire. Cosa significava quella frase? Lui era nato e basta. L’echidna più anziano, però, non aggiunse altro, ma si limitò a spingerlo davanti a sé perché potesse vedere dove si trovavano.
Knuckles guardò e trattenne il respiro, meravigliato.
Davanti a lui c’era un immenso edificio, sufficiente ai suoi occhi per fare da casa ad un gigante. Era vecchio, però, e mancante di molti frammenti. Non aveva nemmeno un tetto. Era un pezzo di edificio, in realtà. Al centro, in cima a una scala altissima, si trovava un oggetto che non riusciva a definire. Sembrava un’enorme pietra, rifinita come quelle che usavano per tagliare la carne, ma era verde, e più somigliante all’acqua opaca di una pozzanghera che alla consistenza di un sasso. Brillava alla luce del sole, ed era la cosa più bella che avesse mai visto.
- Proteggere questo luogo sarà il tuo dovere, ragazzo. – La voce di suo padre lo raggiunse da dietro, e l’adulto gli posò una mano sulla testa. Anche per questo un Knuckles cresciuto avrebbe in seguito classificato la scena come un sogno. Quelle mani non avrebbero mai più avuto un tocco così affettuoso. – Sarà la tua vita, e tutto ciò di cui ti dovrà importare davvero.
Non fece nemmeno una pausa prima di concludere la frase, senza pensare a che peso le sue parole potessero avere sul figlio.
- Certo, se ne sarai in grado.
 
 
Shadow aveva la vaga sensazione di essere stato catapultato all’interno di una soap opera.
Non c’era altra spiegazione. Solo all’interno di qualche melensa serie tv si sarebbero verificate tutte queste apparizioni di parenti dispersi, e ciò avrebbe spiegato anche come lui si fosse trovato bambini semisconosciuti a carico. Tuttavia, sembrava che quella fosse davvero la vita reale, per surreale che potesse sembrare. 
Dall’altra parte del comunicatore, la voce di Rouge tornò, ancora più carica di tensione: - Shadow?
Il riccio si rese conto di aver lasciato passare diversi secondi senza rispondere e si riscosse, cercando di tornare coi piedi per terra. – Ci sono. Questo cambia tutto, vero?
- Già. Ci serve un nuovo piano d’azione, e… - Brusio. – Va bene, va bene. Knuckles dice che non vuole più coinvolgere “quelle teste vuote della nostra agenzia”.
Commovente come adesso fosse l’echidna a confabulare con la sua partner mentre lei parlava con qualcun altro. Non prometteva niente di buono, secondo la sua umile opinione. – E scommetto che tu sei d’accordo con lui.
Rouge sospirò. – È diventato un problema troppo personale, non è vero?
Su questo, Shadow non aveva nulla da eccepire. Lavorare soltanto per vie ufficiali (cosa che comunque avevano smesso di fare da un pezzo) avrebbe richiesto troppe bugie e sotterfugi che li avrebbero solo intralciati. Avevano già problemi a sufficienza, come scoprire da dove fosse spuntato un membro di una specie quasi estinta, per volerne aggiungere ancora.
- Va bene – disse alla fine, dopo aver riflettuto. – Da questo momento siamo per conto nostro. – Strinse i denti prima di continuare, ben sapendo cosa stava per tirarsi addosso. – Chiamate anche Sonic e i suoi amici. Senza l’appoggio dell’agenzia, temo avremo bisogno anche di loro.
Rouge ebbe la buona grazia di non ridere della palese insofferenza nella sua voce, o forse era troppo distratta per accorgersene. – Va bene. Dove ci incontriamo?
Shadow si voltò verso Nadir e Logan. I due bambini lo fissavano ad occhi spalancati, immobili dove lui li aveva lasciati. Era impossibile capire cosa avessero afferrato del loro discorso, ma era innegabile che adesso fossero coinvolti. Se davvero la loro zona era così piena di delinquenti, inoltre, non avrebbe potuto lasciarli lì a cuor leggero, non adesso che erano sotto la sua responsabilità. Restava davvero una sola opzione.
- A casa di qualcuno. Qualcuno che abbia dei letti per gli ospiti, se possibile.
 
 
- Non possiamo parlare con nessuno – annunciò Hecale.
Vector alzò lo sguardo su di lei, sorpreso. Quando la donna gli aveva detto che sarebbe andata a tastare il terreno, con l’idea di radunare tutti nella piazza centrale per discutere il dà farsi, si era aspettato che tornasse vittoriosa, visto con quanta decisione era partita. Invece ora il suo tono rassegnato gli toglieva ogni speranza.
- Perché? – Chiese, alzandosi in piedi. Era rimasto ad aspettarla fiducioso, sicuro che lei avrebbe parlato con la gente e gli avrebbe procurato qualcosa da fare, ma adesso sembrava che sarebbe dovuto tornare a morire di noia. Non poteva andare avanti così. Era un coccodrillo d’azione, lui. Non era in grado di restarsene con le mani in mano troppo a lungo.
- Vedi quel tipo laggiù? Il leopardo, quello che parla con il gruppo di ragazzini?
- Lo vedo – rispose Vector, seguendo la direzione da lei indicata. In effetti, in mezzo alla folla vedeva la sagoma di un leopardo che agitava le braccia e sembrava discutere in modo infervorato con le persone circostanti. Non gli dava l’aria di un tipo troppo affidabile, a dire il vero, ma poteva essere solo un’impressione.
- Si chiama Uriel e ci ha battuti sul tempo. Ha già parlato con quasi tutti, e anche quelli che mi ascolterebbero perché mi rispettano preferiscono seguire lui e i suoi compari. E’ più sicuro, dal loro punto di vista.
- Non capisco. Che potere ha quel tizio su tutti gli altri?
- A parte un carisma che gli esce fin dalle orecchie? E’ uno dei pezzi grossi della gang che controlla la nostra zona. Fanno ridere a confronto di tutte le altre bande che vedi in giro, ma da noi sono la legge.
Hecale lo disse con un’espressione talmente abbattuta che Vector si trattenne dal replicare che a lui le gang facevano un baffo, soprattutto quando si trovavano fuori dal mondo a quel modo. Se una donna come lei, che gli sembrava abbastanza piena di grinta e che evidentemente conosceva tutte le altre persone lì in giro meglio di lui, aveva perso la speranza, difficilmente sarebbero riusciti ad avere la meglio su quegli altri imbecilli.
Non aveva intenzione di gettare del tutto la spugna, però. – Non c’è niente che possiamo fare? Proprio niente di niente?
La lupa fece un profondo sospiro, scuotendo la testa. – Ha già messo qualcuno dei suoi a organizzare la distribuzione di cibo, così che lo diano a chi vuole lui, e ha mandato alcuni dei più giovani ad esplorare i confini, per trovare una via d’uscita. L’unica possibilità per farci ascoltare sarebbe di trovare qualcosa che lui non ha ancora in mano, come una mappa della città o qualcosa di simile, ma dubito che sia rimasto un oggetto del genere.
- Invece sì.
Entrambi si voltarono verso l’origine della voce, sbalorditi. Zenit non aveva praticamente aperto bocca dalla notte precedente, fatta eccezione per alcune risposte monosillabiche che Hecale gli aveva estratto a forza. Nel lasso di tempo in cui la donna lo aveva lasciato da solo con Vector per andare a parlare con qualcuno, il ragazzo non aveva neanche mai alzato gli occhi dalle proprie scarpe, tenendosi il più distante possibile da lui: anzi, ogni volta che il coccodrillo aveva fatto qualche movimento troppo brusco, il giovane leone era sembrato rattrappirsi in sé stesso, come volendo farsi ancora più piccolo e invisibile.
Nemmeno questa volta faceva eccezione. Non appena si rese conto di essere al centro della loro attenzione, Zenit si ritrasse, facendo un passo indietro. – Mi dispiace, mi dispiace, lo so che non devo interrompere quando la gente parla…
- No, no, Zenit, aspetta. – Hecale gli si avvicinò a braccia tese, tentando di rassicurarlo. Vector non la seguì: il comportamento del ragazzo restava un mistero quasi più grosso di quello in cui si trovavano invischiati tutti, ma solo uno stupido non si sarebbe reso conto che la sua presenza non era tanto gradita. Anche ora, con la figura familiare della lupa fra di loro, Zenit lo osservava da sotto quei ciuffi spelacchiati che chiamava criniera, con un’espressione piatta ma paura (paura VERA) negli occhi. Niente di incoraggiante, di sicuro.
- Cosa intendevi dire? – Continuò la donna, incitandolo. – C’è una mappa?
Il ragazzo annuì con foga. – Sì? E dove?
Zenit puntò un dito verso l’alto, costringendoli ad alzare lo sguardo. Stava indicando una delle torri più alte, che svettava sopra gli edifici circostanti e terminava in una punta sottile. Non sembrava molto diversa dalle sue simili, ma Hecale rimase ad osservarla con attenzione prima di voltarsi verso Vector. – Che ne dici?
- Possiamo andare a dare un’occhiata – concesse lui. Non che ci fossero molte altre opzioni: avevano girato la città in lungo e in largo e non era rimasto loro in mano niente. Piuttosto che arrampicarsi in cima a tutti i palazzi a caso, era meglio cominciare da dove poteva esserci qualcosa. Anche i migliori investigatori del mondo avevano bisogno di una traccia per cominciare. – Fai strada, ragazzo.
Quest’ultimo non sembrava molto convinto, ma sgusciò comunque fuori dalla stretta di Hecale e si diresse a passo rapido verso l’edificio che aveva indicato. I due adulti si scambiarono un’ultima occhiata, poi si affrettarono a seguirlo.
Come tutti gli altri palazzi, la torre non aveva porta, ma soltanto una tenda. Quando Vector riuscì ad attraversarla, Zenit si stava già inerpicando su per una scala a chiocciola in fondo alla stanza. – Accidenti – sibilò fra i denti, rendendosi conto di non aver pensato ad una cosa. – Quante scale ci sono?
- Cinque piani. Li ho contati – rispose la voce del leone sopra di lui. Il moccioso doveva essere salito ancora mentre lui esitava.
- Già, ci scommetto che lo hai fatto. – Vector si voltò verso Hecale, appena entrata dietro di lui. – Ce la farai?
La donna sbuffò, lanciandogli un’occhiataccia. – Non sono ancora così vecchia, giovanotto – replicò, prima di superarlo e di cominciare a salire a sua volta. Vector non poté fare altro che seguirla, perché rinunciare a quel punto avrebbe significato farsi battere da una signora di una certa età, e il suo orgoglio non avrebbe retto a tanto. Meglio mettersi a correre su per cinque piani di scale, a conti fatti.
Si rese conto ben presto che non c’era da preoccuparsi. Dopo lo scatto iniziale, Zenit iniziò ben presto a rallentare, come sentendosi in dovere di aspettarli. O, più che altro, di aspettare Hecale. Anche quando si fermava, era sempre pronto a ripartire non appena la donna raggiungeva lo scalino sotto il suo. Vector non era molto più indietro, ma la storia cominciava a diventare fastidiosa. Davvero aveva intenzione di scappare da lui salendo per una scala? Era un colpo basso verso una persona così poco in forma. – Ehi, ragazzino, puoi aspettare anche me, sai? Non ho intenzione di mangiarti quando ti raggiungo – esclamò alla fine, fermandosi a riprendere fiato.
La testa di Zenit spuntò oltre l’orlo della rampa, un paio di metri sopra di lui. C’era poca luce, perciò era difficile capire che espressione avesse, ma la sua voce arrivò chiara e forte. – No?
Ora, l’intenzione di Vector era stata di fare una battuta. Non si era aspettato che il ragazzo rispondesse con un tono tanto sorpreso, come se si fosse aspettato tutt’altro. – Beh, no. Dovrei?
- Ieri notte. Pensavo…non eri arrabbiato?
Tutto quello che gli veniva in mente della sera precedente era una confusione infinita nei confronti di ogni cosa, del luogo in cui si era ritrovato, del buio quasi assoluto e delle persone con cui aveva parlato. Certo, Zenit gli aveva detto un paio di frasi inquietanti, però…- Hai fatto qualcos’altro a parte dirmi che pensavi fossi morto? Perché sì, mi hai messo una paura del diavolo, ma a parte dirmi delle frasi assurde su una luce verde che dovrei aver visto non hai fatto niente per cui dovrei farti del male.
- Mio padre…Quando dico delle cose strane, mio padre mi colpisce sempre perché do fastidio. Quindi pensavo…
- Come ti ho già detto tante volte, tesoro, tuo padre meriterebbe più di stare in una prigione che non in una casa normale – si intromise Hecale con tono fermo. – Le persone normali non si comportano come si comporta lui.
- Io no di sicuro – si trovò a rispondere Vector, mentre nella sua mente sfrecciavano pensieri tipo se dessi a Charmy una sberla per ogni cosa stupida che dice lo avrei già fatto a pezzi e perché lo ha detto con quel tono, come se fosse una cosa del tutto normale e se suo padre è là in giro potremmo anche lasciarlo qui quando ce ne andiamo. Naturalmente non avrebbe mai potuto pronunciare certe frasi ad alta voce, perciò si limitò a dire: - Non so quanto ti fidi, però ti assicuro che non ho nessuna intenzione di fare a botte con nessuno finché sono qui, men che meno con le uniche persone che non mi sembrano fuori di sé per il panico.
- Se avesse voluto farti del male te lo avrebbe già fatto, Zenit – aggiunse dolcemente Hecale. – Quando eravate soli, ricordi? Ma non lo ha fatto, e io mi fido di lui.
- Ha senso. – Il giovane esitò un momento, poi riprese a salire senza dire altro.
Vector girò lo sguardo su Hecale, confuso (che razza di conversazione avevano appena avuto? Era stata sufficiente a far sì che Zenit non fosse così terrorizzato da lui? Cosa diavolo stava succedendo?), ma la donna fece un profondo sospiro e scosse la testa. - Storia lunga – mormorò, e si rimise alle calcagna del ragazzo.
Il coccodrillo ricominciò a camminare, ma in realtà sperava di sentirla quella storia prima o poi. Ci mancava solo un altro mistero da risolvere insieme a tutti gli altri, e non sapeva come definire quello che stava provando. Dov’erano i suoi amici, quando ne aveva bisogno? Espio gli avrebbe detto cosa stava sbagliando e gli avrebbe suggerito cosa fare (e probabilmente Vector avrebbe fatto l’esatto opposto, ma comunque), e Charmy…diamine, Charmy era cento volte più fastidioso di questo ragazzino sconosciuto, ma almeno era in grado di parlare con lui. Invece prima di capire quali problemi avessi Zenit avrebbero fatto in tempo ad uscire da quel buco.
Immerso com’era nei propri pensieri, si rese conto a malapena di essere arrivato in cima alla scala. Fu solo quando vide Zenit a pochi passi da lui, con le braccia incrociate e gli occhi fissi su un punto da qualche parte sopra la sua spalla, che fu costretto a fermarsi.
- Quello che hai detto venendo su. E’ vero?
- Verissimo. Devo giurare?
Il leone annuì con forza, e Vector si accorse improvvisamente di quanti anni in meno rispetto alla sua vera età dimostrasse. Doveva avere quattordici, quindici anni circa, ma parlava e si muoveva come un bambino. Mentre aspettava la sua risposta, la sua mano destra si agitava come in preda a un tic nervoso, in su e in giù. Un bambino isterico, ecco cosa gli ricordava. Come Charmy, ma molto più inquietante.
- Giuro che non farò del male a nessuno a meno che non mi saltino addosso per primi. Hai intenzione di saltarmi addosso?
- N…No.
- E allora siamo a posto. E’ qui questa mappa?
- Hecale la sta già guardando. – Zenit non aggiunse altro, ma mentre schizzava via pareva avere una qualche sorta di sorriso stampata sul volto.
Vector scrollò le spalle, sentendosi stranamente soddisfatto. Continuava a non capirci molto, ma se il ragazzo si sentiva più tranquillo, era già un passo avanti, no? In ogni caso, forse era meglio concentrarsi sulla misteriosa mappa, già che erano riusciti ad arrivare fino lì.
Quando la raggiunse, Hecale stava effettivamente analizzando una serie di linee incise sulla parete irregolare della stanza, spoglia a parte quella decorazione. Zenit era al suo fianco, e stava indicando una finestra a poca distanza dal disegno. – Ero salito fin qua per vedere se vedevo Nadir dall’alto, o mio padre, ma invece ho trovato questa. Solo che non tutti i segni sono uguali a quello che si vede fuori, quindi…E’ una mappa vera?
- Penso proprio di sì. – La lupa fece segno a Vector di avvicinarsi. – Guarda qui. Ci sono linee nude e linee rosse, e quelle rosse sembrano davvero la città vista dall’alto, se le confronti con l’esterno. – Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, poi annuì e indicò un dosso sulla mappa. – Questa dev’essere la torre su cui siamo noi, a giudicare da quanto è alta, e le strade sono simili a quelle che si vedono laggiù…ma le altre tracce, che cosa sono? E questo, cos’è?
Vector annuì distrattamente. Con tutta quella foga, lui non era ancora riuscito nemmeno a guardare fuori dalla finestra. Era pronto a fidarsi di lei sul fatto che quella fosse una mappa: era piena di fossi e segni che dovevano rappresentare gli edifici e le vie. Ad attrarre la sua attenzione però non fu la doppia serie di linee scavate sul muro: una volta stabilito che strade raffigurassero, il fatto che fossero rosse o gialle o verdi non lo preoccupava granché. No, gli interessava di più l’unico elemento che, a giudicare dalla confusione, Hecale non aveva ancora definito.
Al centro del disegno, non lontano dal punto che la donna aveva identificato come la loro torre, era raffigurata una sagoma colorata di un verde brillante. Era normale che lei non lo avesse riconosciuto, ma era un’immagine che lui aveva già visto fin troppe volte.
In mezzo alla mappa, verde come quello reale, c’era lo Smeraldo gigante a cui faceva la guardia Knuckles.
 
 
 

Dopo questo capitolo penso aprirò una faida con Vector. La sua sezione mi ha fatto dannare più di tutte le altre con cui ho avuto a che fare dall'inizio di questa fic, visto che non mi soddisfaceva mai. La pubblico, perché so già che se la rileggessi di nuovo mi farebbe schifo come le tredici versioni precedenti, ma visto che voi lettori siete i migliori giudici di quello che faccio (soprattutto visto che ormai ho la nausea di questo maledetto coccodrillo e non riuscirei a dare una valutazione realistica di quello che ho scritto) lascio la palla a voi: se pensate che sia troppo veloce, troppo lento, troppo random, per favore, ditemelo. Accolgo sempre le critiche costruttive, perché altrimenti sarei una brutta persona, e qualunque cosa vogliate dire su questo capitolo o su quelli precedenti sono pronta ad ascoltarla (tranne su baby Knuckles, perché lui è un trottolino amoroso e non ha fatto niente di male).
Bacioni!
Suze
   
 
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