Capitolo
1:
Di Ogden Stravecchio e Rum di Ribes Rosso:
Drunk on a Feeling
La Vita dell'uomo è
fatta di scelte:
Sì o No.
Dentro o Fuori.
Su o Giù.
E poi ci sono le scelte che
contano.
Amare o Odiare.
Essere un Eroe o un Codardo.
Combattere o Arrendersi.
[Grey's Anatomy 6x24]
Il vento ululava
fra le fenditure del muro di pietra del
suo ufficio, mentre la pioggia autunnale ticchettava sul vetro oscurato
dell'angusta finestra; un sospiro mesto scaturì dalle sue
labbra vermiglie,
mentre con la mano destra si massaggiava il collo
e si stiracchiava le spalle; erano ore che
stava seduta alla scrivania di mogano, ricurva sui plichi ingialliti
che sua
madre le aveva lasciato da archiviare; si tolse gli occhiali da
lettura, neri
come il suo umore e si asciugò una lacrima che minacciava di
scendere
dall'angolo del suo occhio sinistro, sbadigliando di nuovo; da quando
sua madre
era diventata Ministro non aveva avuto
più un attimo di pace: appena
diplomata aveva preso le redini del suo ufficio al Ministero e aveva
iniziato a
lavorare senza sosta; era una stacanovista esattamente come i suoi
genitori,
come era diventato suo fratello e come lo erano i suoi cugini.
"Buon Sangue non
mente!" Quanti, appena arrivata al
Ministero, glielo avevano ripetuto? Magari erano gli stessi che avevano
chiamato
o avevano pensato che sua madre era solo una stupida Sanguesporco, come
facevano a dire che
aveva un Buon Sangue? Come facevano a guardarsi
allo specchio la mattina
senza sputarsi in faccia? L'ennesimo sospiro. Non ne avrebbe cavato un
ragno
dal buco quel giorno; si voltò verso la finestra e un lampo
fendette il buio
della sera, nuvole cariche e scure coprivano il cielo e, invece di
vedere il
tramonto, quella sera l'unica cosa che si poteva notare era la
desolazione di
Londra in quel giorno così uggioso; intrecciò le
mani sotto al mento e vi
appoggiò il viso voltandosi ad osservare
il suo ufficio, era così anonimo per essere la
responsabile: non c'erano
fotografie di amici, parenti o degli anni passati a scuola; non c'era
niente
che potesse far pensare che quel posto fosse utilizzato se non una
serie di
involti ancora sigillati e scartoffie arruffate per tutta la stanza. Un
altro
sospiro, la sedia grattò il pavimento di pietra mentre lei
si alzava con
grazia, prese la pochette scura e la giacca del
completo
dall'appendiabiti situato nell'angolo più scuro del suo
ufficio, ed uscì di
gran carriera dal reparto.
"Fa che nessuno mi
fermi, ti prego. Non sono
dell'umore". Pensò
mantenendo l'andatura
serrata e la testa bassa; i suoi tacchi scuri erano l'unico rumore che
si
poteva sentire in quel corridoio: un passo dopo l'altro, lontana dalle
responsabilità, lontana da un lavoro che non apprezzava come
avrebbe dovuto,
distante dal mondo che sua madre le aveva cucito addosso come un abito
d'alta
moda, su misura, solo per lei, ma lei odiava gli abiti. Odiava il
Ministero e
detestava la persona impostata che era diventata, pallido spettro di
una madre
troppo forte e troppo pretenziosa.
"Riprenditi
Rose! Non puoi arrenderti, non vedi la prospettiva di carriera che ti
sto
donando?" il ricordo di quella litigata avvenuta poco dopo
il diploma
aleggiava ancora fra lei e sua madre come uno spettro: eco della
ribellione
fallita di una figlia troppo sognatrice e incostante.
La donna si
lisciò la giacca del completo che stava
indossando e ne tirò le maniche per coprire alla perfezione
i polsini della
candida camicia che indossava sotto; sciolse i ricci indomiti, lingue cremisi
che le sfioravano i fianchi, ondeggianti come il mare, sinuoso e
sfrenato,
inesorabile e sensuale esattamente come lo era lei: così
timida eppure così
sfrontata, affrontava la vita come se fosse una continua competizione,
una
sfida che lei si rifiutava di ricusare. I gradini delle scale di marmo
nero e
lucido riflettevano la sua esile figura incassata fra i capelli e gli
abiti
scuri ed eleganti, anonima eppure così vistosa racchiusa
nella sua altera e
posata eleganza; un gradino, poi un altro. L'eco dei suoi passi
riecheggiava
sinistramente all'interno del Ministero della Magia,
quasi tutti avevano
fatto rientro alle loro dimore, cullati dal dolce calore del focolare
familiare, oppure erano ancora oberati di lavoro, come sicuramente lo
era sua
madre; la sua mammina, da quanto tempo non si
prendevano del tempo
insieme?
"Stai crescendo
Rose, non c'è bisogno che ti tenga
per mano come una bimbetta. Però ti prometto che uno di
questi giorni ci
prenderemo qualcosa al Pub qua di fronte. Te lo giuro". Promesse, promesse
e ancora
promesse. Quante ne aveva mantenute? Tutti le davano la loro parola. "Giuro
che appena nascerà la bambina troveremo il tempo per
uscire!" Da
quanto era nata la figlia di Lily? Un anno? E quante volte si erano
viste?
Nessuna. "Ti assicuro che sto bene! Solo un po' di malanni da
vecchiaia! Sono più forte di quel che credi, ragazzina!" Dopo
due
settimane esatte, suo nonno, l'aveva lasciata in un Mondo che non aveva
bisogno
di lei, in un Paese che non la voleva se non per il fatto di essere la
figlia
di due grandi Eroi di guerra. "Rose! Ti garantisco che ti
restituirò
tutto appena riuscirò a creare quella maledetta Pozione!" Roxanne
non
aveva decisamente ereditato l'intelligenza del padre nel creare
scherzi, e pur
di non far fallire quell'attività a cui tutti erano
affezionati le aveva
sborsato fior di Galeoni così da
riuscire a vederla
sorridere ancora come quando erano
ragazzine e sognavano il loro radioso futuro; quanto
è lieto ora il tuo
futuro, Rosie?
La donna scosse la
testa energicamente.
"Pensa positivo e
la vita ti sorriderà" pensò
mentre un sorriso di
circostanza le si apriva sul volto, salutando un qualche collega di cui
non
ricordava il nome. Dolce come una Madonna dalla voce distesa e sicura. Falsa.
Spalancò le porte del Ministero con grazia e nerbo
sgusciando all'esterno
silenziosamente, in punta di piedi quasi non volesse disturbare la Vita
che stava scorrendo al di fuori di quel posto così grave e
asettico; l'aria
fresca d'ottobre le pizzicò le guance terree; l'odore
d'asfalto bagnato le si
insinuò nelle narici e lei chiuse gli occhi; la
città sapeva di vita e di
frenesia: la brezza autunnale trasportava con se' una pioggerella
leggera e
rigenerante, le foglie morte ricoprivano il marciapiede come una
coperta dai
colori caldi che andava dal caffè al solferino fino ad
arrivare all'oro più
intenso; fece un passo verso la strada e la pioggia soave
iniziò a bagnarle i
vestiti e i capelli, leggera come la carezza di un bambino ma fredda
come
l'inverno che ormai stava bussando prepotentemente alle porte del
tempo. La
ragazza si strinse nelle esili spalle e fece per prendere la strada di
casa,
quando il suo sguardo si posò sulla porta del Pub di cui sua
madre le aveva
spesso parlato. "E' un posto delizioso, ci andremo". Sospirò
e
cambiò direzione: con o senza sua mamma ci sarebbe andata;
aveva bisogno di
sentirsi di nuovo una giovane della sua età, senza
preoccupazioni, pronta a
divertirsi e ad aprirsi con le persone, cosa che negli ultimi anni le
era
diventata esecrabilmente difficile; le auto sfrecciavano nella strada
principale dove era situato il pub, che i Babbani
non potevano vedere,
schizzi di acqua e fango le si attaccarono ai pantaloni scuri mentre
correva
verso l'entrata del negozio dinnanzi a lei. Perché
correva? O meglio,
perché non farlo? Correre l'aveva fatta sentire viva in
così tante occasioni
che ormai ne aveva perso il conto, così come il Quidditch,
era fra le
poche cose che ancora si concedeva la domenica quando si riunivano alla
Tana
per andare a trovare l'ormai attempata e sola nonna Molly. La sua
piccola e
curata mano si appoggiò delicata sulla maniglia dorata della
porta scura,
tipica dei pub di Londra; spinse su di essa e si rifugiò
all'interno del
negozio; l'aria calda la investì come un uragano, le luci
soffuse erano un
balsamo per i suoi occhi stanchi; l'amabile chiacchiericcio che
riecheggiava
nel locale le riempì le orecchie come il gorgogliare
delicato delle fusa di un
gattino nel sonno. Sorrise apertamente mostrando i denti candidi;
l'odore di
legno trattato, cibo casereccio e alcolici le stava colmando le narici,
vezzeggiandola e lusingandola. L'atmosfera rilassata e gioiosa che si
respirava
nel Pub la fece sentire come quando da bambina andava a Mielandia
con i
genitori a fare razzia di tutto quel che desiderava: spensierata
come
solo una bimba di cinque anni poteva esserlo. La donna si
avvicinò al bancone
di noce e si sedette sullo sgabello adiacente, appoggiandovi la pochette
scura che aveva fra le mani con un suono sordo e ovattato. Rose si
guardò
attorno rimpinzandosi con gli occhi della gaiezza della gente. Qualche
piccolo
tavolo era adagiato vicino ai muri e qualcun altro era sparso per il
negozio e
quasi tutti erano occupati da almeno quattro persone con come minimo
due pinte
di birra ciascun occupante. La giovane era così assorta
dall'osservare con
curiosità il pub che non si accorse della persona che era
appena arrivata alle
sue spalle; sobbalzò. Quella voce, quella
maledetta, strascicata, familiare
voce; Scorpius. Bestemmia e Preghiera.
"Un Ogden Stravecchio" Risoluto, freddo e distante, quella esse leggermente sibilante che sfiorava leggera i denti bianchi del ragazzo. Come dimenticare?
"Un per
favore non sarebbe così male sai, ragazzino?"
replicò il barista finendo di asciugare un bicchiere
graffiato; l'uomo fece
scoccare il panno candido come una frusta, se lo appoggiò su
una spalla e si
voltò per prendere il Whisky Incendiario
per il giovane Malfoy. Rose
lasciò che i capelli le coprissero il volto, sperando di non
essere
riconosciuta. La sua mano sinistra era così vicino a quella
del ragazzo che se
solo avesse spostato il mignolo avrebbe potuto sfiorarla.
"Fa' che non si accorga di me". Pensò mentre si malediceva per la stupida idea che aveva avuto, cosa le era saltato in mente? Andare in un Pub, da sola dopo il lavoro? "Ben fatto, Rosie. Un altra delle tue fantastiche idee da ragazzina dal cervello di gomma! Ottimo, un applauso al genio di casa" La donna poteva sperare sul fatto che Scorpius era sempre stato un ragazzo meticoloso ma allo stesso tempo sbadato; peccato che la Fortuna, come al solito, non girasse dalla sua parte.
"Rose?" Eccola quella voce rivolta a lei, il suo nome accarezzato da quelle labbra seriche e profane; aveva pronunciato il suo nome come se fosse qualcosa di fragile, marcando la erre e la esse quasi a voler imprimere quella parola sulla sua lingua, certo che non l'avrebbe potuto pronunciare nuovamente. La donna alzò lo sguardo ceruleo sul giovane, occhi da cerva, occhi spaventati; roventi eppure glaciali.
"Ciao" una
risposta semplice, diretta. "Un
saluto quanti danni può fare?" Lo sapeva Rose che
quando si trattava
di lui niente rimaneva intatto, niente era abbastanza sacro per valer
la pena
d'essere trattato con i guanti.
L'uomo sorrise
sornione, le labbra fini distese, la pelle
tirata sugli zigomi alti, il naso dritto e all'insù era
lievemente arricciato,
la mascella dai lineamenti duri ed affilati era leggermente addolcita
da quel
sorriso che di dolce non aveva niente; le sopracciglia fini inarcate
facevano
da cornice agli occhi ombrosi e leggermente affusolati, così
inespressivi e
saggi da rendere difficile riuscire a fissarli per più di
qualche istante;
continuando a scrutare la ragazza accanto a lui si fece scivolare sulle
spalle
il mantello color notte e lo ripose con cura sullo sgabello alla sua
sinistra;
fece passare la gamba al di là del panchetto vicino a Rose e
con alterigia si
sedette vicino a lei; appoggiò i gomiti sul bancone,
chiudendo le mani grandi,
sottili e curate a pugno per sorreggere il volto affilato e il collo
diafano; i
capelli eburnei, forse un po' troppo lunghi accarezzavano le sue spalle
larghe,
ricurvo su se stesso sembrava più basso di quel che in
realtà era, la camicia
arrotolata con cura fino ai gomiti metteva in risalto gli avambracci
candidi,
tonici con i tendini tirati sui polsi, come se dovessero scattare da un
momento
all’altro verso la ragazza che si era come pietrificata sul
suo anonimo
sgabello di fronte al bancone.
"Ecco qua" il
barista risvegliò Rose che si era
persa ad osservare il suo ex compagno di scuola;
distolse lo sguardo
rapidamente senza curarsi che lui lo notasse o meno e lo
posò sull'uomo dietro
al bancone; un uomo tarchiato e nerboruto dai colori così
scuri da risaltare
sullo sfondo ocra delle pareti dietro di lui e accentuato dalla luce
ambrata
delle luci soffuse; era così diverso da Scorpius. Inferno e
bufera, l'uno
l'opposto dell'altro perfino nel modo di parlare.
"E lei signorina,
cosa prende?" disse lui
sorridendole affabile, caldo come l'estate africana.
"Lei prende del Rum
di Ribes Rosso, vero, Weasley?"
un ghigno nella sua direzione la fece arrossire lievemente.
"Come prego?"
sibilò lei stizzita, orgogliosa
della sua finta indipendenza: lo sapevano entrambi che c'era sempre
qualcuno
che decideva per lei; il giovane la stava deliberatamente canzonando e
Rose non
aveva intenzione di stare al gioco, non quella volta; tuttavia era
così
difficile mantenere le distanze da lui e dai ricordi che la sua
presenza le
stavano richiamando alla mente. L'ex Serpeverde chiuse la sua mano
destra sul
bicchiere adagiato davanti a lui, fece girare su se stesso il liquido
ambrato,
assorto; con calma e meticolosità appoggiò le
labbra al bordo del bicchiere e
lo reclinò con pacatezza estenuante, incurante della giovane
che lo scrutava
sottecchi, come volesse incenerirlo seduta stante.
"Ti piaceva il Rum, o sbaglio?" sussurrò lui avvicinandosi con placidità a lei; il profumo forte del liquore appena ingerito pizzicò le narici di Rose, amava l'Ogden Stravecchio, le ricordava le feste con tutti i suoi parenti, le richiamava alla memoria i giorni felici della sua infanzia; tutti gli adulti a Natale, alla Tana, bevevano quel liquore caldo dalle mille screziature di rosso come la loro famiglia.
La ragazza
fissò gli occhi del giovane con corruccio, lui
le sorrise nuovamente, era così piccola; cosi dolce
nonostante i suoi occhi di
carta da zucchero fossero pieni di ira, così bella da
togliere il fiato perfino
ai morti: cresciuta, più donna eppure ancora bambina nei
movimenti quasi
scattosi, non riusciva a stare ferma sullo sgabello, accavallava le
gambe,
muoveva una mano affusolata e leggiadra spostando i capelli troppo
lunghi,
ribelli come lei, da una spalla all'altra senza darsi pace. Il viso che
ricordava avere dei lineamenti fanciulleschi ora erano più
spigolosi, il mento
leggermente a punta era in armonia perfetta con il suo naso piccolo
accarezzato
da una spruzzata di dolci efelidi chiare, così chiare che
dovevi impegnarti per
vederle; gli occhi da gatta, sottili, sembravano scolpiti sugli zigomi
marmorei, solitamente nivei, ora leggermente arrossati.
"Per il caldo o
per la stizza?" Si chiese lui continuando a
fissarla con sguardo inquisitorio; la giacca nera del suo completo
aveva uno
scollo profondo, un solo bottone a chiudersi sulla pancia piatta della
ragazza;
dalla scollatura risplendeva la camicia albicante dai bottoni scuri
chiusi fino
al collo leggermente lungo ed aggraziato, candido; casta e pura Rose,
nascondeva le sue forme sinuose dentro vestiti confezionati ad arte, il
seno
celato dalla giacca e dalla camicia, le scapole che lui sapeva essere
scavate
nel marmo racchiuse nella seta che era la sua pelle; le gambe tornite
accavallate ma pronte a sorreggerla per scappare lontano da lui.
L’uomo
si soffermò con lo sguardo sulle labbra cremisi
della donna; quelle labbra che erano state sue, quelle labbra che
durante
l'adolescenza erano state fonte di migliaia di sogni impuri; le stesse
labbra
che durante le brutte giornate s'incurvavano per rasserenarlo in un
sorriso
dolce, voluttuose ed invitanti, sapeva che erano morbide e calde come
il sangue
che ribolliva dentro di lui; occhi famelici su di lei che stava
iniziando a
giocare con uno dei suoi ricci purpurei, le sopracciglia arcuate si
muovevano
agitate mentre gli occhi turchini dalle lunghe ciglia scure guizzavano
ovunque
ma non nella sua direzione.
"Che fare?" pensò lei con lo sguardo fisso sulle sue mani, indecisa come sempre, come lui. Quanto tempo durante gli anni scolastici avevano giocato, danzato, prima di avvicinarsi veramente?
"Signorina?" il barista era nervoso, poteva percepire la carica elettrica e cupa che i due emanavano; due poli opposti che continuavano a incontrarsi e scontrarsi con forza e rabbia: lei così piccola in confronto al ragazzo sembrava in difficoltà, come se stesse combattendo contro se stessa, contro i suoi demoni, contro di lui. La donna si morse le deliziose labbra carminie, fissandosi nuovamente le sue mani curate e senza nessun tipo di orpello non riuscendo neppure a sostenere lo sguardo madreperla dell'uomo alla sua sinistra.
"Conoscere il
proprio buio è il metodo migliore per
affrontare l'oscurità di qualcun altro"*
Lei si
avvicinò al viso del ragazzo e lui indietreggiò,
lo sguardo idrargirio* sfuggente, le ciglia scure
di pizzo e seta a
custodire i suoi occhi perlacei, quasi si fosse scottato con quei ricci
di fuoco
che sapevano di melograno e frutti rossi.
"Non mi conosci
così bene come pensi, Malfoy"
un sibilo, una minaccia scaturita da quelle labbra carnose, labbra di
rosa,
voluttuose, sanguigne e impeccabili.
"Arrivederci"
Enunciò quella parola con
prepotenza e collera, mentre si voltava per dare le spalle al ragazzo
che la adocchiava
con cipiglio divertito; iniziò a ridacchiare, da prima
sommessamente, poi
vedendo la furia della ragazza scoppiò in una risata
argentina, così allegra
eppure così sbagliata su di lui; le spalle attraversate da
tremiti sconnessi e
gli occhi, di solito scostanti e freddi erano accesi
dall'ilarità. Rose prese
la sua pochette sbattendo le mani sul bancone,
iraconda, apostrofò il
ragazzo con epiteti irripetibili e si defilò fuori dal Pub,
lasciando fluttuare
i capelli sulla schiena in modo scattoso ed indignato.
"A presto Rosie, grazie per la tua squisita e come sempre dolce compagnia" replicò lui ai suoi insulti, continuando a sghignazzare convulsamente mentre svuotava il suo bicchiere e la seguiva con lo sguardo fino alla porta, che lei si premurò di far sbattere con forza per richiuderla dietro di se', pur di mettere qualcosa fra lui e la sua persona. La risata del ragazzo le stava ancora riecheggiando nelle orecchie che ormai erano dello stesso colore dei suoi capelli e delle sue guance: era furibonda. Scosse energicamente la testa. Rosie? Da quanto tempo non sentiva il ragazzo chiamarla così? Erano anni che non si vedevano e parlavano e lui si permetteva di essere così espansivo? Sorrise dei suoi pensieri, espansivo? Malfoy? No, non erano due parole che potevano essere affiancate nella stessa frase; una risata allegra e squillante le scaturì dalle labbra, da quanto non rideva così? Si sentiva così sciocca; lo sapeva che il male non si cancella, la fiducia non si crea dal niente e Scorpius era sempre stato troppo volubile; instabile come il cielo primaverile prima di un acquazzone, incostante come il volo di un passerotto al suo primo viaggio di prova, mutevole come il suo sguardo fatto di tempesta e folgore. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Tuttavia non riusciva a non ridere, nonostante la sensazione di star sbagliando non poteva farne a meno; mentre l'aria ormai gelida d'ottobre le si insinuava nelle ossa, malgrado si stesse stringendo nella giacca leggera, si diresse verso il Punto di Smaterializzazione per tornare a casa con un sorriso stralunato sulle labbra e gli occhi ricolmi della giovinezza che credeva di aver perduto per sempre.
All'interno del
pub Scorpius che stava ancora
sghignazzando per le rispostacce della ragazza, posò il
bicchiere sul bancone
con calma facendo tintinnare leggermente il cristallo, passò
l'indice sul bordo
del calice un paio di volte assorto nei suoi pensieri. Era ancora la
stessa
identica Rose di cui aveva imparato ad apprezzare i difetti e i pregi,
la
stessa Rose che lo rimbeccava per delle sciocchezze e lo sosteneva
nelle
marachelle a volte rivolte perfino ai suoi stessi parenti. Lo stesso
sorriso e
gli stessi occhi, lo stesso incendio dentro quando si arrabbiava; forse
era
solo lui ad essere diverso, tremendamente diverso e con qualche peso in
più
sulle spalle, un mesto sospiro scaturì dalle sue labbra
chiare. Alzò lo sguardo
sul barista che era tornato alle sue mansioni. L’uomo si
chiese se anche lui
era rimasto stregato da quella ragazza fatta di fulgore e glaciale ira;
Scorpius sollevò la mano destra per richiamare l'attenzione
dell'altro uomo
dietro al bancone.
"Ne voglio un
altro" disse semplicemente; la
sua voce era tornata ad essere un misto di indifferenza e compostezza,
face
dondolare il bicchiere nella direzione del barista che levò
in alto le
sopracciglia pece con scetticismo, mentre il ragazzo lo fissava con
aria di
sfida, gli occhi caffè del dipendente del pub erano fissi su
quelli argentei
del giovane seduto sullo sgabello davanti a lui; nessuno dei due
sembrava voler
cedere, un ghigno sprezzante si aprì sul volto del ragazzo.
"Prova
a contraddirmi" pensò
continuando a fissarlo
con provocazione; il barista sospirò, prese la bottiglia e
rimpinguò il
bicchiere del ragazzo.
Il commesso si era
ritrovato così, senza volerlo, davanti
a una diatriba silenziosa fra quei due ragazzi; che si erano
rintracciati senza
cercarsi; giorno dopo giorno per settimane: lei arrivava sempre dopo il
lavoro,
vestita in modo impeccabile, ogni giorno con un particolare diverso ma
sempre
con la sua aurea di timidezza, immersa nei suoi ricci cremisi e si
sedeva su
uno sgabello del bancone, il più lontano possibile
dall'entrata ed aspettava
come il primo giorno; a volte lui non si presentava affatto, altre
volte
nemmeno si sedeva: beveva il suo Ogden velocemente,
ma senza staccare
gli occhi dalla ragazza che lo squadrava a sua volta con gli occhi
irosi e
fieri come quelli di una pantera pronta ad attaccare. Mark, il barista,
li
guardava incantato e attendeva con lei: sapeva che prima o poi sarebbe
arrivato
anche lui. Sembrava dipendente dalla ragazza, dalla sua
fragilità e dalla sua
indipendenza, come fosse la più raffinata delle droghe,
assuefacente e
ottenebrante come l'Assenzio; aspra come il
più acerbo dei frutti eppure
accattivante come la più succosa delle pesche estive. In un
primo momento lui
si faceva vedere con uno schema preciso, a giorni alterni, un giorno
sì e tre
no, si sedeva nel lato più corto del bancone, lontano da
lei, studiandola con
perizia glaciale, come il cacciatore che posiziona con cura le sue
trappole per
catturare la sua preda prediletta; la carne tenera dove era facile
affondare i
denti, soffice da poter essere squarciata dalle unghie. La giovane
invece
teneva lo sguardo fisso sul suo Rum di Ribes Rosso,
sprezzante e dura
come la pietra da cui sembrava esser stata scolpita ad arte; si
scambiavano
sguardi in cagnesco e di tanto in tanto qualche sorrisino a volte
malizioso, a
volte malevolo: come quando un ragazzo troppo alticcio era inciampato
versando
su di lei la sua Burrobirra, il quale chi sa come
poco dopo era svenuto,
Schiantato, in uno degli angoli più scuri
del Pub sotterrato da alcuni
mantelli racimolati chi sa dove.
Quel che
è mio è mio, Weasley.
"Capelli di fiamma,
Mark, già solo questo dovrebbe spaventare" diceva Tim,
saccente, quando Mark
gli dava contro, secondo lui il ragazzo aveva più
probabilità di essere Schiantato
che di offrirle da bere; era il loro passatempo e pian piano anche
quello degli
altri clienti fissi del Pub. Dovettero però aspettare ben
cinquantuno giorni,
cinquantuno maledetti giorni da depennare dal calendario, cinquantuno
giorni
dove le puntate si erano fatte più cospicue e gli
scommettitori più impazienti;
cinquantuno giorni d'occhiatacce e di artificiosi ma, ciononostante,
melensi
sorrisi; eppure accadde, in quel cinquantunesimo giorno, uno dei primi
giorni
di dicembre dove la luce solare si disperdeva accarezzando il profilo
degli
edifici più alti di Londra, mentre il vento gelido si
insinuava nelle ossa
della gente.
Le cinque e mezzo.
Era già
buio e lei era in ritardo.
A chi mai
importerebbe di un ritardo così esiguo?
Rose
s’incamminò a passo di marcia verso il bancone del
Pub con un diavolo per capello; spalle rigide foggiate di selce e
quarzo,
diritte malgrado tutta la furia che vestiva la giovane come una seconda
pelle.
Il passo militare sembrava riecheggiare al di sopra del quiete ciarlare
che
caratterizzava quel negozio così caldo e intimo congelando
tutto quello che
sfiorava. Tutto e tutti, tranne quell’uomo che continuava a
fissarla con quello
sguardo risoluto e, a modo suo, quasi compiaciuto.
Lui non era
intimorito dalla sua rabbia, anzi ne sembrava
quasi divertito, strano ragazzo fatto di livore e gelo.
Scorpius non
perse nemmeno il più impercettibile
movimento della donna che gli stava andando incontro; se ci fosse stato
qualcun
altro al posto suo probabilmente avrebbe abbassato gli occhi in segno
di resa
di fronte a tanta collera e determinazione ma l’uomo sapeva
che era tutta una
facciata, tutta una recita imparata a memoria già da
bambina: Attacca prima
di essere attaccato, è così che ci si difende,
Rosie!
In pochi attimi
Rose arrivò al bancone, il suo alone di
rabbia e frustrazione sembrava quasi inghiottire tutte le persone
sedute di
fianco al posto da lei scelto, nuovamente, tutte tranne Scorpius che
sbuffò
sonoramente, quasi scocciato dall’entrata teatrale della
ragazza che si era
accasciata con malagrazia sullo sgabello vicino a quello
dell’ex Serpeverde,
facendo così cadere senza volere ogni sua difesa.
L’ex
Grifondoro si abbandonò con le braccia sul bancone
di noce e immerse il viso fra di esse lasciando che i capelli sanguinei
la
isolassero dal resto della clientela del The Phoenix and the
Potion, ma
la giovane sapeva che era impossibile nascondersi dall’uomo
che aveva di
fianco. Perché diavolo non era andata direttamente a casa
quella sera
maledetta? Era una masochista, percepiva che aveva appena dato una
scusa al suo
ex compagno di scuola per attaccarla; sentiva i suoi occhi forgiati da
ombre e
tempeste sulla sua figura, avrebbe riconosciuto quella rassicurante ma
tuttavia
scellerata sensazione del suo sguardo su di lei anche fra una folla
inferocita;
Scorpius era l’unico che la guardava come se la conoscesse
meglio di chiunque
altro, ma lui non sapeva niente, a lui non era mai importato veramente,
giusto?
Aveva solo fatto finta di conoscerla, l’aveva ingannata, le
aveva fatto credere
di conoscerlo per portarla fra le sue spire, lei credeva ingenuamente
di
conoscerlo; ipocrita. Lo sapeva quale era la
verità ma faceva male,
maledettamente male ammettere che forse le cose non erano mai state
come lei le
aveva plasmate per zittire la sua coscienza malata di una ragazzetta
ferita nel
cuore e ancor peggio distrutta nell’orgoglio.
Rose
alzò il volto dalle braccia e puntellò i gomiti
sul
bancone, chiuse gli occhi che avevano preso una sfumatura
più scura donandole
un aria quasi spiritata e con movimenti scattosi si portò
una mano al volto, e
la passò sulla bocca con stizza, mentre posava lo sguardo
sul viso dell’uomo
che le era accanto. La donna non si era sbagliata, la stava fissando
con
insistenza e con un sorriso di scherno sulle labbra chiare.
“Cosa. Diavolo. Hai. Da. Guardare!” un sibilo gutturale uscì dalle labbra rubiconde della ragazza, lui prese il bicchiere di Ogden e senza distogliere gli occhi dal volto delle giovane ne bevve un po’ del suo contenuto rossastro; Scorpius, senza proferire parola appoggiò il gomito destro sul bancone sorreggendosi così il viso, un sorriso sornione gli increspò le labbra mentre la donna stringeva i pugni convulsamente lasciando che le unghie le graffiassero l’interno dei palmi candidi delle sua piccole mani da studiosa.
“Allora?
Malfoy, non ti ci mettere anche tu!” ruggì lei
cercando di controllare le lacrime che le pizzicavano i fieri occhi da
gatta.
Era incantevole nonostante il suo volto fosse
pallido e le occhiaie spiccassero
malefiche sotto quello sguardo indomabile e aspro come il tono della
sua voce
incrinata dalla mestizia e dalla rabbia repressa.
L’uomo
di fianco a lei bevve di nuovo il suo Whiskey
sempre senza distogliere lo sguardo da quello della donna;
appoggiò il
bicchiere, facendo passare la lingua sulle sue labbra come per
assaporare fino
in fondo il sapore
ottenebrante del
liquore; lo fece in modo grave e pacato, sorridendo nuovamente:
più lei si
alterava più lui sembrava divertirsi a sfidarla; era sempre
stato il loro gioco
l’unico al quale sapevano giocare perfettamente e del quale
conoscevano le
regole a menadito.
“Facciamo un gioco, Weasley”.
Where My Demons Hyde
Buon giorno!!!! Scusatemi davvero per questo ritardo ma purtroppo ho la fissa per rileggere le cose mille volte e alla fine mi sembra sempre tutto molto incompleto o incoerente quindi tendo a fare ventimila modifiche, ma questa mi ha soddisfatto abbastanza, spero davvero che piaccia anche a voi e ringrazio di cuore le persone che hanno messo la storia fra le preferite, le seguite e le ricordate e ringrazio anche te, Dreams Eater che mi sostieni sempre e grazie mille per la tua recensione! Ringazio chi è arrivato nuovamente fino a qua, fatemi sapere quello che pensate, consigli e critiche sono davvero ben accette! un grande abbraccio a tutti, a presto!!!!
Idrargirio è un altro modo per dire Mercurio xD"Conoscere il proprio buio è il metodo migliore per affrontare l'oscurità di qualcun altro" è una frase di Carl Gustav Jung
Drunk on a Feeling è una frase della canzone Wolfes di Selena Gomez e Marshmello