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Autore: Guilty Pleasure    01/12/2017    0 recensioni
"Rose" fu l'unica parola che uscì dalle labbra del ragazzo, un lamento, una preghiera, lei non rispose nemmeno, rimase immobile a studiare il paesaggio albicante attorno a se', sognando di poter essere un uccellino per riuscire a volare via: lontano da quella Scuola che la stava pressando, lontano da lui, voleva solo sentirsi libera. Un altro passo. Era dietro di lei: poteva sentire il suo calore sulla schiena e il suo profumo di sottobosco ed estate, ne era dipendente, era talmente abituata a lui che il suo corpo reagiva sempre allo stesso modo; le sue difese crollavano inesorabilmente come la sua forza d'animo, frantumate sotto la coscienza di averlo vicino, distrutta dal suo modo di fare sempre così indeciso e prepotente; prendeva e quello che lasciava dietro se' era solo cenere e mestizia.
I loro cuori battevano ancora una volta all'unisono, sarebbe bastato annullare quella minima distanza per averla vicino, ma Scorpius sapeva che se l'avesse fatto lei si sarebbe ribellata. Lei si ribellava sempre.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti | Coppie: Draco/Astoria, Ron/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto, Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 1:

Di Ogden Stravecchio e Rum di Ribes Rosso:

Drunk on a Feeling

La Vita dell'uomo è fatta di scelte:

Sì o No.

Dentro o Fuori.

Su o Giù.

E poi ci sono le scelte che contano.

Amare o Odiare.

Essere un Eroe o un Codardo.

Combattere o Arrendersi.

[Grey's Anatomy 6x24]

 

Il vento ululava fra le fenditure del muro di pietra del suo ufficio, mentre la pioggia autunnale ticchettava sul vetro oscurato dell'angusta finestra; un sospiro mesto scaturì dalle sue labbra vermiglie, mentre con la mano destra si massaggiava il collo  e si stiracchiava le spalle; erano ore che stava seduta alla scrivania di mogano, ricurva sui plichi ingialliti che sua madre le aveva lasciato da archiviare; si tolse gli occhiali da lettura, neri come il suo umore e si asciugò una lacrima che minacciava di scendere dall'angolo del suo occhio sinistro, sbadigliando di nuovo; da quando sua madre era diventata Ministro non aveva avuto più un attimo di pace: appena diplomata aveva preso le redini del suo ufficio al Ministero e aveva iniziato a lavorare senza sosta; era una stacanovista esattamente come i suoi genitori, come era diventato suo fratello e come lo erano i suoi cugini.

"Buon Sangue non mente!" Quanti, appena arrivata al Ministero, glielo avevano ripetuto? Magari erano gli stessi che avevano chiamato o avevano pensato che sua madre era solo una stupida  Sanguesporco, come facevano a dire che aveva un Buon Sangue? Come facevano a guardarsi allo specchio la mattina senza sputarsi in faccia? L'ennesimo sospiro. Non ne avrebbe cavato un ragno dal buco quel giorno; si voltò verso la finestra e un lampo fendette il buio della sera, nuvole cariche e scure coprivano il cielo e, invece di vedere il tramonto, quella sera l'unica cosa che si poteva notare era la desolazione di Londra in quel giorno così uggioso; intrecciò le mani sotto al mento e vi appoggiò il viso voltandosi ad osservare  il suo ufficio, era così anonimo per essere la responsabile: non c'erano fotografie di amici, parenti o degli anni passati a scuola; non c'era niente che potesse far pensare che quel posto fosse utilizzato se non una serie di involti ancora sigillati e scartoffie arruffate per tutta la stanza. Un altro sospiro, la sedia grattò il pavimento di pietra mentre lei si alzava con grazia, prese la pochette scura e la giacca del completo dall'appendiabiti situato nell'angolo più scuro del suo ufficio, ed uscì di gran carriera dal reparto.

"Fa che nessuno mi fermi, ti prego. Non sono dell'umore".  Pensò mantenendo l'andatura serrata e la testa bassa; i suoi tacchi scuri erano l'unico rumore che si poteva sentire in quel corridoio: un passo dopo l'altro, lontana dalle responsabilità, lontana da un lavoro che non apprezzava come avrebbe dovuto, distante dal mondo che sua madre le aveva cucito addosso come un abito d'alta moda, su misura, solo per lei, ma lei odiava gli abiti. Odiava il Ministero e detestava la persona impostata che era diventata, pallido spettro di una madre troppo forte e troppo pretenziosa. "Riprenditi Rose! Non puoi arrenderti, non vedi la prospettiva di carriera che ti sto donando?" il ricordo di quella litigata avvenuta poco dopo il diploma aleggiava ancora fra lei e sua madre come uno spettro: eco della ribellione fallita di una figlia troppo sognatrice e incostante.

La donna si lisciò la giacca del completo che stava indossando e ne tirò le maniche per coprire alla perfezione i polsini della candida camicia che indossava sotto; sciolse i ricci indomiti, lingue cremisi che le sfioravano i fianchi, ondeggianti come il mare, sinuoso e sfrenato, inesorabile e sensuale esattamente come lo era lei: così timida eppure così sfrontata, affrontava la vita come se fosse una continua competizione, una sfida che lei si rifiutava di ricusare. I gradini delle scale di marmo nero e lucido riflettevano la sua esile figura incassata fra i capelli e gli abiti scuri ed eleganti, anonima eppure così vistosa racchiusa nella sua altera e posata eleganza; un gradino, poi un altro. L'eco dei suoi passi riecheggiava sinistramente all'interno del Ministero della Magia, quasi tutti avevano fatto rientro alle loro dimore, cullati dal dolce calore del focolare familiare, oppure erano ancora oberati di lavoro, come sicuramente lo era sua madre; la sua mammina, da quanto tempo non si prendevano del tempo insieme?

"Stai crescendo Rose, non c'è bisogno che ti tenga per mano come una bimbetta. Però ti prometto che uno di questi giorni ci prenderemo qualcosa al Pub qua di fronte. Te lo giuro". Promesse, promesse e ancora promesse. Quante ne aveva mantenute? Tutti le davano la loro parola. "Giuro che appena nascerà la bambina troveremo il tempo per uscire!" Da quanto era nata la figlia di Lily? Un anno? E quante volte si erano viste? Nessuna. "Ti assicuro che sto bene! Solo un po' di malanni da vecchiaia! Sono più forte di quel che credi, ragazzina!" Dopo due settimane esatte, suo nonno, l'aveva lasciata in un Mondo che non aveva bisogno di lei, in un Paese che non la voleva se non per il fatto di essere la figlia di due grandi Eroi di guerra. "Rose! Ti garantisco che ti restituirò tutto appena riuscirò a creare quella maledetta Pozione!" Roxanne non aveva decisamente ereditato l'intelligenza del padre nel creare scherzi, e pur di non far fallire quell'attività a cui tutti erano affezionati le aveva sborsato fior di Galeoni così da riuscire a  vederla sorridere ancora come quando erano ragazzine e sognavano il loro radioso futuro; quanto è lieto ora il tuo futuro, Rosie?

La donna scosse la testa energicamente.

"Pensa positivo e la vita ti sorriderà" pensò mentre un sorriso di circostanza le si apriva sul volto, salutando un qualche collega di cui non ricordava il nome. Dolce come una Madonna dalla voce distesa e sicura. Falsa. Spalancò le porte del Ministero con grazia e nerbo sgusciando all'esterno silenziosamente, in punta di piedi quasi non volesse disturbare la Vita che stava scorrendo al di fuori di quel posto così grave e asettico; l'aria fresca d'ottobre le pizzicò le guance terree; l'odore d'asfalto bagnato le si insinuò nelle narici e lei chiuse gli occhi; la città sapeva di vita e di frenesia: la brezza autunnale trasportava con se' una pioggerella leggera e rigenerante, le foglie morte ricoprivano il marciapiede come una coperta dai colori caldi che andava dal caffè al solferino fino ad arrivare all'oro più intenso; fece un passo verso la strada e la pioggia soave iniziò a bagnarle i vestiti e i capelli, leggera come la carezza di un bambino ma fredda come l'inverno che ormai stava bussando prepotentemente alle porte del tempo. La ragazza si strinse nelle esili spalle e fece per prendere la strada di casa, quando il suo sguardo si posò sulla porta del Pub di cui sua madre le aveva spesso parlato. "E' un posto delizioso, ci andremo". Sospirò e cambiò direzione: con o senza sua mamma ci sarebbe andata; aveva bisogno di sentirsi di nuovo una giovane della sua età, senza preoccupazioni, pronta a divertirsi e ad aprirsi con le persone, cosa che negli ultimi anni le era diventata esecrabilmente difficile; le auto sfrecciavano nella strada principale dove era situato il pub, che i Babbani non potevano vedere, schizzi di acqua e fango le si attaccarono ai pantaloni scuri mentre correva verso l'entrata del negozio dinnanzi a lei. Perché correva? O meglio, perché non farlo? Correre l'aveva fatta sentire viva in così tante occasioni che ormai ne aveva perso il conto, così come il Quidditch, era fra le poche cose che ancora si concedeva la domenica quando si riunivano alla Tana per andare a trovare l'ormai attempata e sola nonna Molly. La sua piccola e curata mano si appoggiò delicata sulla maniglia dorata della porta scura, tipica dei pub di Londra; spinse su di essa e si rifugiò all'interno del negozio; l'aria calda la investì come un uragano, le luci soffuse erano un balsamo per i suoi occhi stanchi; l'amabile chiacchiericcio che riecheggiava nel locale le riempì le orecchie come il gorgogliare delicato delle fusa di un gattino nel sonno. Sorrise apertamente mostrando i denti candidi; l'odore di legno trattato, cibo casereccio e alcolici le stava colmando le narici, vezzeggiandola e lusingandola. L'atmosfera rilassata e gioiosa che si respirava nel Pub la fece sentire come quando da bambina andava a Mielandia con i genitori a fare razzia di tutto quel che desiderava: spensierata come solo una bimba di cinque anni poteva esserlo. La donna si avvicinò al bancone di noce e si sedette sullo sgabello adiacente, appoggiandovi la pochette scura che aveva fra le mani con un suono sordo e ovattato. Rose si guardò attorno rimpinzandosi con gli occhi della gaiezza della gente. Qualche piccolo tavolo era adagiato vicino ai muri e qualcun altro era sparso per il negozio e quasi tutti erano occupati da almeno quattro persone con come minimo due pinte di birra ciascun occupante. La giovane era così assorta dall'osservare con curiosità il pub che non si accorse della persona che era appena arrivata alle sue spalle; sobbalzò. Quella voce, quella maledetta, strascicata, familiare voce; Scorpius. Bestemmia e Preghiera. 

"Un Ogden Stravecchio"  Risoluto, freddo e distante, quella esse leggermente sibilante che sfiorava leggera i denti bianchi del ragazzo. Come dimenticare?

"Un per favore non sarebbe così male sai, ragazzino?" replicò il barista finendo di asciugare un bicchiere graffiato; l'uomo fece scoccare il panno candido come una frusta, se lo appoggiò su una spalla e si voltò per prendere il Whisky Incendiario per il giovane Malfoy. Rose lasciò che i capelli le coprissero il volto, sperando di non essere riconosciuta. La sua mano sinistra era così vicino a quella del ragazzo che se solo avesse spostato il mignolo avrebbe potuto sfiorarla.

"Fa' che non si accorga di me". Pensò mentre si malediceva per la stupida idea che aveva avuto, cosa le era saltato in mente? Andare in un Pub, da sola dopo il lavoro? "Ben fatto, Rosie. Un altra delle tue fantastiche idee da ragazzina dal cervello di gomma! Ottimo, un applauso al genio di casa" La donna poteva sperare sul fatto che Scorpius era sempre stato un ragazzo meticoloso ma allo stesso tempo sbadato; peccato che la Fortuna, come al solito, non girasse dalla sua parte.

"Rose?" Eccola quella voce rivolta a lei, il suo nome accarezzato da quelle labbra seriche e profane; aveva pronunciato il suo nome come se fosse qualcosa di fragile, marcando la erre e la esse quasi a voler imprimere quella parola sulla sua lingua, certo che non l'avrebbe potuto pronunciare nuovamente. La donna alzò lo sguardo ceruleo sul giovane, occhi da cerva, occhi spaventati; roventi eppure glaciali.

"Ciao" una risposta semplice, diretta. "Un saluto quanti danni può fare?" Lo sapeva Rose che quando si trattava di lui niente rimaneva intatto, niente era abbastanza sacro per valer la pena d'essere trattato con i guanti.

L'uomo sorrise sornione, le labbra fini distese, la pelle tirata sugli zigomi alti, il naso dritto e all'insù era lievemente arricciato, la mascella dai lineamenti duri ed affilati era leggermente addolcita da quel sorriso che di dolce non aveva niente; le sopracciglia fini inarcate facevano da cornice agli occhi ombrosi e leggermente affusolati, così inespressivi e saggi da rendere difficile riuscire a fissarli per più di qualche istante; continuando a scrutare la ragazza accanto a lui si fece scivolare sulle spalle il mantello color notte e lo ripose con cura sullo sgabello alla sua sinistra; fece passare la gamba al di là del panchetto vicino a Rose e con alterigia si sedette vicino a lei; appoggiò i gomiti sul bancone, chiudendo le mani grandi, sottili e curate a pugno per sorreggere il volto affilato e il collo diafano; i capelli eburnei, forse un po' troppo lunghi accarezzavano le sue spalle larghe, ricurvo su se stesso sembrava più basso di quel che in realtà era, la camicia arrotolata con cura fino ai gomiti metteva in risalto gli avambracci candidi, tonici con i tendini tirati sui polsi, come se dovessero scattare da un momento all’altro verso la ragazza che si era come pietrificata sul suo anonimo sgabello di fronte al bancone.

"Ecco qua" il barista risvegliò Rose che si era persa ad osservare il suo ex compagno di scuola; distolse lo sguardo rapidamente senza curarsi che lui lo notasse o meno e lo posò sull'uomo dietro al bancone; un uomo tarchiato e nerboruto dai colori così scuri da risaltare sullo sfondo ocra delle pareti dietro di lui e accentuato dalla luce ambrata delle luci soffuse; era così diverso da Scorpius. Inferno e bufera, l'uno l'opposto dell'altro perfino nel modo di parlare.

"E lei signorina, cosa prende?" disse lui sorridendole affabile, caldo come l'estate africana.

"Lei prende del Rum di Ribes Rosso, vero, Weasley?" un ghigno nella sua direzione la fece arrossire lievemente.

"Come prego?" sibilò lei stizzita, orgogliosa della sua finta indipendenza: lo sapevano entrambi che c'era sempre qualcuno che decideva per lei; il giovane la stava deliberatamente canzonando e Rose non aveva intenzione di stare al gioco, non quella volta; tuttavia era così difficile mantenere le distanze da lui e dai ricordi che la sua presenza le stavano richiamando alla mente. L'ex Serpeverde chiuse la sua mano destra sul bicchiere adagiato davanti a lui, fece girare su se stesso il liquido ambrato, assorto; con calma e meticolosità appoggiò le labbra al bordo del bicchiere e lo reclinò con pacatezza estenuante, incurante della giovane che lo scrutava sottecchi, come volesse incenerirlo seduta stante.

"Ti piaceva il Rum, o sbaglio?" sussurrò lui avvicinandosi con placidità a lei; il profumo forte del liquore appena ingerito pizzicò le narici di Rose, amava l'Ogden Stravecchio, le ricordava le feste con tutti i suoi parenti, le richiamava alla memoria i giorni felici della sua infanzia; tutti gli adulti a Natale, alla Tana, bevevano quel liquore caldo dalle mille screziature di rosso come la loro famiglia.

La ragazza fissò gli occhi del giovane con corruccio, lui le sorrise nuovamente, era così piccola; cosi dolce nonostante i suoi occhi di carta da zucchero fossero pieni di ira, così bella da togliere il fiato perfino ai morti: cresciuta, più donna eppure ancora bambina nei movimenti quasi scattosi, non riusciva a stare ferma sullo sgabello, accavallava le gambe, muoveva una mano affusolata e leggiadra spostando i capelli troppo lunghi, ribelli come lei, da una spalla all'altra senza darsi pace. Il viso che ricordava avere dei lineamenti fanciulleschi ora erano più spigolosi, il mento leggermente a punta era in armonia perfetta con il suo naso piccolo accarezzato da una spruzzata di dolci efelidi chiare, così chiare che dovevi impegnarti per vederle; gli occhi da gatta, sottili, sembravano scolpiti sugli zigomi marmorei, solitamente nivei, ora leggermente arrossati.

"Per il caldo o per la stizza?" Si chiese lui continuando a fissarla con sguardo inquisitorio; la giacca nera del suo completo aveva uno scollo profondo, un solo bottone a chiudersi sulla pancia piatta della ragazza; dalla scollatura risplendeva la camicia albicante dai bottoni scuri chiusi fino al collo leggermente lungo ed aggraziato, candido; casta e pura Rose, nascondeva le sue forme sinuose dentro vestiti confezionati ad arte, il seno celato dalla giacca e dalla camicia, le scapole che lui sapeva essere scavate nel marmo racchiuse nella seta che era la sua pelle; le gambe tornite accavallate ma pronte a sorreggerla per scappare lontano da lui.

L’uomo si soffermò con lo sguardo sulle labbra cremisi della donna; quelle labbra che erano state sue, quelle labbra che durante l'adolescenza erano state fonte di migliaia di sogni impuri; le stesse labbra che durante le brutte giornate s'incurvavano per rasserenarlo in un sorriso dolce, voluttuose ed invitanti, sapeva che erano morbide e calde come il sangue che ribolliva dentro di lui; occhi famelici su di lei che stava iniziando a giocare con uno dei suoi ricci purpurei, le sopracciglia arcuate si muovevano agitate mentre gli occhi turchini dalle lunghe ciglia scure guizzavano ovunque ma non nella sua direzione.

"Che fare?" pensò lei con  lo sguardo fisso sulle sue mani, indecisa come sempre, come lui. Quanto tempo durante gli anni scolastici avevano giocato, danzato, prima di avvicinarsi veramente?

"Signorina?" il barista era nervoso, poteva percepire la carica elettrica e cupa che i due emanavano; due poli opposti che continuavano a incontrarsi e scontrarsi con forza e rabbia: lei così piccola in confronto al ragazzo sembrava in difficoltà, come se stesse combattendo contro se stessa, contro i suoi demoni, contro di lui. La donna si morse le deliziose labbra carminie, fissandosi nuovamente le sue mani curate e senza nessun tipo di orpello non riuscendo neppure a sostenere lo sguardo madreperla dell'uomo alla sua sinistra.

"Conoscere il proprio buio è il metodo migliore per affrontare l'oscurità di qualcun altro"*

Lei si avvicinò al viso del ragazzo e lui indietreggiò, lo sguardo idrargirio* sfuggente, le ciglia scure di pizzo e seta a custodire i suoi occhi perlacei, quasi si fosse scottato con quei ricci di fuoco che sapevano di melograno e frutti rossi.

"Non mi conosci così bene come pensi, Malfoy" un sibilo, una minaccia scaturita da quelle labbra carnose, labbra di rosa, voluttuose, sanguigne e impeccabili.

"Arrivederci" Enunciò quella parola con prepotenza e collera, mentre si voltava per dare le spalle al ragazzo che la adocchiava con cipiglio divertito; iniziò a ridacchiare, da prima sommessamente, poi vedendo la furia della ragazza scoppiò in una risata argentina, così allegra eppure così sbagliata su di lui; le spalle attraversate da tremiti sconnessi e gli occhi, di solito scostanti e freddi erano accesi dall'ilarità. Rose prese la sua pochette sbattendo le mani sul bancone, iraconda, apostrofò il ragazzo con epiteti irripetibili e si defilò fuori dal Pub, lasciando fluttuare i capelli sulla schiena in modo scattoso ed indignato. 

"A presto Rosie, grazie per la tua squisita e come sempre dolce compagnia" replicò lui ai suoi insulti, continuando a sghignazzare convulsamente mentre svuotava il suo bicchiere e la seguiva con lo sguardo fino alla porta, che lei si premurò di far sbattere con forza per richiuderla dietro di se', pur di mettere qualcosa fra lui e la sua persona. La risata del ragazzo le stava ancora riecheggiando nelle orecchie che ormai erano dello stesso colore dei suoi capelli e delle sue guance: era furibonda. Scosse energicamente la testa. Rosie? Da quanto tempo non sentiva il ragazzo chiamarla così? Erano anni che non si vedevano e parlavano e lui si permetteva di essere così espansivo? Sorrise dei suoi pensieri, espansivo? Malfoy? No, non erano due parole che potevano essere affiancate nella stessa frase; una risata allegra e squillante le scaturì dalle labbra, da quanto non rideva così? Si sentiva così sciocca; lo sapeva che il male non si cancella, la fiducia non si crea dal niente e Scorpius era sempre stato troppo volubile; instabile come il cielo primaverile prima di un acquazzone, incostante come il volo di un passerotto al suo primo viaggio di prova, mutevole come il suo sguardo fatto di tempesta e folgore. Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Tuttavia non riusciva a non ridere, nonostante la sensazione di star sbagliando non poteva farne a meno; mentre l'aria ormai gelida d'ottobre le si insinuava nelle ossa, malgrado si stesse stringendo nella giacca leggera,  si diresse verso il Punto di Smaterializzazione per tornare a casa con un sorriso stralunato sulle labbra e gli occhi ricolmi della giovinezza che credeva di aver perduto per sempre.

 Una ragazza illusa dai ricordi di un'adolescenza spensierata e dal rimpianto di un amore che di dolce aveva solo i sogni infranti.                                       

All'interno del pub Scorpius che stava ancora sghignazzando per le rispostacce della ragazza, posò il bicchiere sul bancone con calma facendo tintinnare leggermente il cristallo, passò l'indice sul bordo del calice un paio di volte assorto nei suoi pensieri. Era ancora la stessa identica Rose di cui aveva imparato ad apprezzare i difetti e i pregi, la stessa Rose che lo rimbeccava per delle sciocchezze e lo sosteneva nelle marachelle a volte rivolte perfino ai suoi stessi parenti. Lo stesso sorriso e gli stessi occhi, lo stesso incendio dentro quando si arrabbiava; forse era solo lui ad essere diverso, tremendamente diverso e con qualche peso in più sulle spalle, un mesto sospiro scaturì dalle sue labbra chiare. Alzò lo sguardo sul barista che era tornato alle sue mansioni. L’uomo si chiese se anche lui era rimasto stregato da quella ragazza fatta di fulgore e glaciale ira; Scorpius sollevò la mano destra per richiamare l'attenzione dell'altro uomo dietro al bancone. 

"Ne voglio un altro" disse semplicemente; la sua voce era tornata ad essere un misto di indifferenza e compostezza, face dondolare il bicchiere nella direzione del barista che levò in alto le sopracciglia pece con scetticismo, mentre il ragazzo lo fissava con aria di sfida, gli occhi caffè del dipendente del pub erano fissi su quelli argentei del giovane seduto sullo sgabello davanti a lui; nessuno dei due sembrava voler cedere, un ghigno sprezzante si aprì sul volto del ragazzo.
 

"Prova a contraddirmi" pensò continuando a fissarlo con provocazione; il barista sospirò, prese la bottiglia e rimpinguò il bicchiere del ragazzo.

"Ecco a te, ti do un consiglio. Essere umili non è un difetto, ragazzino" sputò quelle parole con ira prima di sbattere la bottiglia sul bancone, incitandolo a servirsi da solo se ne avesse voluto ancora; Scorpius sorrise, ma il sorriso che gli si schiuse sul volto questa volta, aveva qualcosa di angoscioso e letale; un brivido di gelido attraversò la spina dorsale del barista che distolse lo sguardo come si fosse appena ustionato; l'ex Serpeverde sollevò il bicchiere stracolmo di Ogden, in direzione dell'uomo nerboruto, chinò leggermente la testa in segno di assenso e gli sorrise nuovamente, ingoiando il liquore in un sol sorso; il giovane si alzò e lanciò i Galeoni sul bancone con indolenza, sfidandolo nuovamente: gli sarebbe bastata una scusa qualsiasi per alzare un gran polverone e il barista lo sapeva, conosceva bene i tipi come lui; benché il dipendente del pub fosse incerto se dire qualcosa o meno, non fece nemmeno in tempo ad dischiudere le labbra per emettere un qualsiasi suono che il giovane era già sparito dietro il turbinio del suo mantello, se non l'avesse intravisto aprire la porta del negozio, non l'avrebbe nemmeno notato andarsene; come fosse stato un'allucinazione. Silenzioso e letale come un serpente sempre pronto a scattare al momento più opportuno, mortifero come il più pericoloso dei predatori. 

Il commesso si era ritrovato così, senza volerlo, davanti a una diatriba silenziosa fra quei due ragazzi; che si erano rintracciati senza cercarsi; giorno dopo giorno per settimane: lei arrivava sempre dopo il lavoro, vestita in modo impeccabile, ogni giorno con un particolare diverso ma sempre con la sua aurea di timidezza, immersa nei suoi ricci cremisi e si sedeva su uno sgabello del bancone, il più lontano possibile dall'entrata ed aspettava come il primo giorno; a volte lui non si presentava affatto, altre volte nemmeno si sedeva: beveva il suo Ogden velocemente, ma senza staccare gli occhi dalla ragazza che lo squadrava a sua volta con gli occhi irosi e fieri come quelli di una pantera pronta ad attaccare. Mark, il barista, li guardava incantato e attendeva con lei: sapeva che prima o poi sarebbe arrivato anche lui. Sembrava dipendente dalla ragazza, dalla sua fragilità e dalla sua indipendenza, come fosse la più raffinata delle droghe, assuefacente e ottenebrante come l'Assenzio; aspra come il più acerbo dei frutti eppure accattivante come la più succosa delle pesche estive. In un primo momento lui si faceva vedere con uno schema preciso, a giorni alterni, un giorno sì e tre no, si sedeva nel lato più corto del bancone, lontano da lei, studiandola con perizia glaciale, come il cacciatore che posiziona con cura le sue trappole per catturare la sua preda prediletta; la carne tenera dove era facile affondare i denti, soffice da poter essere squarciata dalle unghie. La giovane invece teneva lo sguardo fisso sul suo Rum di Ribes Rosso, sprezzante e dura come la pietra da cui sembrava esser stata scolpita ad arte; si scambiavano sguardi in cagnesco e di tanto in tanto qualche sorrisino a volte malizioso, a volte malevolo: come quando un ragazzo troppo alticcio era inciampato versando su di lei la sua Burrobirra, il quale chi sa come poco dopo era svenuto, Schiantato, in uno degli angoli più scuri del Pub sotterrato da alcuni mantelli racimolati chi sa dove. 

Quel che è mio è mio, Weasley.

Giorno dopo giorno Mark, li vedeva danzare, respingersi ed attrarsi. Preda e Predatore. Vittima e Carnefice. Serpe e Topolino, in una trappola di vetro che entrambi si stavano impegnando a costruirsi attorno; più i giorni passavano più gli sgabelli che li distanziavano diminuivano, come i giorni di assenza del ragazzo, fino a che non si  ritrovarono tutti i giorni uno di fianco all'altra, in un religioso silenzio fatto di sguardi e attimi sfuggenti come i loro occhi incerti. Le braccia appoggiate sul bancone così vicine da potersi quasi sfiorare: lei immersa nei suoi pensieri, diritta ed immobile mentre fissava il bicchiere davanti sé, come  fosse puro veleno, lui piegato sugli avambracci che erano appoggiati sul bancone e i capelli chiari a coprirgli il volto affilato. Mark aveva ormai perso le speranze di vederli conversare civilmente, curioso come un bambino e pettegolo come una vecchia comara però li continuava a osservare parlottando di tanto in tanto a voce bassa, con il suo compagno, Tim, che come lui li teneva d'occhio; le puntate davano cinque a uno per la ragazza. 

"Capelli di fiamma, Mark, già solo questo dovrebbe spaventare" diceva Tim, saccente, quando Mark gli dava contro, secondo lui il ragazzo aveva più probabilità di essere Schiantato che di offrirle da bere; era il loro passatempo e pian piano anche quello degli altri clienti fissi del Pub. Dovettero però aspettare ben cinquantuno giorni, cinquantuno maledetti giorni da depennare dal calendario, cinquantuno giorni dove le puntate si erano fatte più cospicue e gli scommettitori più impazienti; cinquantuno giorni d'occhiatacce e di artificiosi ma, ciononostante, melensi sorrisi; eppure accadde, in quel cinquantunesimo giorno, uno dei primi giorni di dicembre dove la luce solare si disperdeva accarezzando il profilo degli edifici più alti di Londra, mentre il vento gelido si insinuava nelle ossa della gente.

Le cinque e mezzo. Era già buio e lei era in ritardo.

A chi mai importerebbe di un ritardo così esiguo?

Mark sospirò, lui era già seduto a metà del bancone di noce con le spalle rilassate e ricurve, le braccia a sorreggerle, quasi deluso: di lei non c'era traccia; ad ogni trillo del campanellino d'ottone della porta del The Phoenix and The Potion il giovane si voltava impercettibilmente, cercando di non farsi notare, per vedere se era la ragazza ad entrare nel loro porto sicuro, lontano da tutto e tutti; dopo ben cinque volte lo sentì sbuffare sonoramente, mesto, e al sesto scampanellio non si voltò neppure; l’uomo continuava a fissare il suo Ogden, indeciso se andarsene o meno, era certo che quella sera non sarebbe arrivata; eppure lei era lì. Lei che era un’eterna sorpresa era lì, era appena entrata nel Pub, i capelli di fiamma viva elettrici e indomabili incorniciavano la sua figura donandole un aria quasi spettrale e letale, nonostante lo stupore di vederla entrare nel locale il volto del ragazzo non mutò la sua espressione annoiata se non per il sopracciglio eburneo che sembrava voler sfuggire al suo algido autocontrollo, scettico.

Rose s’incamminò a passo di marcia verso il bancone del Pub con un diavolo per capello; spalle rigide foggiate di selce e quarzo, diritte malgrado tutta la furia che vestiva la giovane come una seconda pelle. Il passo militare sembrava riecheggiare al di sopra del quiete ciarlare che caratterizzava quel negozio così caldo e intimo congelando tutto quello che sfiorava. Tutto e tutti, tranne quell’uomo che continuava a fissarla con quello sguardo risoluto e, a modo suo, quasi compiaciuto.

Lui non era intimorito dalla sua rabbia, anzi ne sembrava quasi divertito, strano ragazzo fatto di livore e gelo.  

Scorpius non perse nemmeno il più impercettibile movimento della donna che gli stava andando incontro; se ci fosse stato qualcun altro al posto suo probabilmente avrebbe abbassato gli occhi in segno di resa di fronte a tanta collera e determinazione ma l’uomo sapeva che era tutta una facciata, tutta una recita imparata a memoria già da bambina: Attacca prima di essere attaccato, è così che ci si difende, Rosie!  

In pochi attimi Rose arrivò al bancone, il suo alone di rabbia e frustrazione sembrava quasi inghiottire tutte le persone sedute di fianco al posto da lei scelto, nuovamente, tutte tranne Scorpius che sbuffò sonoramente, quasi scocciato dall’entrata teatrale della ragazza che si era accasciata con malagrazia sullo sgabello vicino a quello dell’ex Serpeverde, facendo così cadere senza volere ogni sua difesa.

L’ex Grifondoro si abbandonò con le braccia sul bancone di noce e immerse il viso fra di esse lasciando che i capelli sanguinei la isolassero dal resto della clientela del The Phoenix and the Potion, ma la giovane sapeva che era impossibile nascondersi dall’uomo che aveva di fianco. Perché diavolo non era andata direttamente a casa quella sera maledetta? Era una masochista, percepiva che aveva appena dato una scusa al suo ex compagno di scuola per attaccarla; sentiva i suoi occhi forgiati da ombre e tempeste sulla sua figura, avrebbe riconosciuto quella rassicurante ma tuttavia scellerata sensazione del suo sguardo su di lei anche fra una folla inferocita; Scorpius era l’unico che la guardava come se la conoscesse meglio di chiunque altro, ma lui non sapeva niente, a lui non era mai importato veramente, giusto? Aveva solo fatto finta di conoscerla, l’aveva ingannata, le aveva fatto credere di conoscerlo per portarla fra le sue spire, lei credeva ingenuamente di conoscerlo; ipocrita. Lo sapeva quale era la verità ma faceva male, maledettamente male ammettere che forse le cose non erano mai state come lei le aveva plasmate per zittire la sua coscienza malata di una ragazzetta ferita nel cuore e ancor peggio distrutta nell’orgoglio.

Rose alzò il volto dalle braccia e puntellò i gomiti sul bancone, chiuse gli occhi che avevano preso una sfumatura più scura donandole un aria quasi spiritata e con movimenti scattosi si portò una mano al volto, e la passò sulla bocca con stizza, mentre posava lo sguardo sul viso dell’uomo che le era accanto. La donna non si era sbagliata, la stava fissando con insistenza e con un sorriso di scherno sulle labbra chiare.

“Cosa. Diavolo. Hai. Da. Guardare!” un sibilo gutturale uscì dalle labbra rubiconde della ragazza, lui prese il bicchiere di Ogden e senza distogliere gli occhi dal volto delle giovane ne bevve un po’ del suo contenuto rossastro; Scorpius, senza proferire parola appoggiò il gomito destro sul bancone sorreggendosi così il viso, un sorriso sornione gli increspò le labbra mentre la donna stringeva i pugni convulsamente lasciando che le unghie le graffiassero l’interno dei palmi candidi delle sua piccole mani da studiosa.

“Allora? Malfoy, non ti ci mettere anche tu!” ruggì lei cercando di controllare le lacrime che le pizzicavano i fieri occhi da gatta. Era incantevole nonostante il suo volto fosse pallido e le occhiaie spiccassero malefiche sotto quello sguardo indomabile e aspro come il tono della sua voce incrinata dalla mestizia e dalla rabbia repressa.

L’uomo di fianco a lei bevve di nuovo il suo Whiskey sempre senza distogliere lo sguardo da quello della donna; appoggiò il bicchiere, facendo passare la lingua sulle sue labbra come per assaporare fino in fondo il  sapore ottenebrante del liquore; lo fece in modo grave e pacato, sorridendo nuovamente: più lei si alterava più lui sembrava divertirsi a sfidarla; era sempre stato il loro gioco l’unico al quale sapevano giocare perfettamente e del quale conoscevano le regole a menadito.

“Facciamo un gioco, Weasley”.







Where My Demons Hyde 

Buon giorno!!!! Scusatemi davvero per questo ritardo ma purtroppo ho la fissa per rileggere le cose mille volte e alla fine mi sembra sempre tutto molto incompleto o incoerente quindi tendo a  fare ventimila modifiche, ma questa mi ha soddisfatto abbastanza, spero davvero che piaccia anche a voi e ringrazio di cuore le persone che hanno messo la storia fra le preferite, le seguite e le ricordate e ringrazio anche te, Dreams Eater che mi sostieni sempre e grazie mille per la tua recensione! Ringazio chi è arrivato nuovamente fino a qua, fatemi sapere quello che pensate, consigli e critiche sono davvero ben accette! un grande abbraccio a tutti, a presto!!!!

Idrargirio è un altro modo per dire Mercurio xD

"Conoscere il proprio buio è il metodo migliore per affrontare l'oscurità di qualcun altro" è una frase di
Carl Gustav Jung

Drunk on a Feeling è una frase della canzone  Wolfes di Selena Gomez e Marshmello

  
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